giovedì 30 aprile 2020

"La ballata di Adam Henry", Ian McEwan


Londra, 14 maggio 2012. E’ durante una partita di cricket che il diciassettenne Adam Henry accusa violenti dolori addominali, il primo segnale di una malattia spaventosa, la leucemia, che diventa ancora più terribile quando la religione professata si oppone alle trasfusioni di sangue. Per l’ospedale che ha in cura il ragazzo l’unica alternativa a una morte sicura e atroce è quello di portare il caso in tribunale.
E la delibera toccherà al giudice dell’Alta Corte Fiona Maye: 59 anni, sposata senza figli con Jack da 35. Un’unione resa “facile” da un’ottima intesa, ma che vacilla proprio nel momento in cui la strada del giudice sta per incrociarsi con quella del ragazzo malato…

Di nuovo, senza averlo programmato, mi sono regalata per la quarta primavera consecutiva una lettura di McEwan dopo "Chesil Beach", "Cortesie per gli ospiti" e "Nel guscio".
Pur avendo apprezzato tutti i romanzi, direi che questo è il migliore. Mi era stato caldamente consigliato da una cliente che non vedo l’ora di rivedere in edicola (la signora Elisabetta è una di quelli che, potendolo fare, è rimasta scrupolosamente a casa) per poterla ringraziare.

McEwan è un altro che scrive davvero bene. Bravissimo nella creazione dei suoi personaggi, principali e non, ma impareggiabile nel mettere in scena situazioni difficili che portano inevitabilmente a giudicare, a esporsi, non solo a schierarsi da una parte o dall’altra, ma anche a mettersi nei panni altrui chiedendoci cosa faremmo noi in quella situazione.
E riesce a fare tutto ciò senza esporre al lettore il proprio punto di vista.

Alla vicenda del ragazzo malato e sognatore, che mette in conflitto Stato e libertà di culto, si affianca quella personale della donna, il giudice che ha portato la freddezza professionale anche nella sua vita privata. Ed è stata quest’ultima a coinvolgermi maggiormente, forse perché - da atea - ritengo ci sia poco da dire riguardo alla prima questione, mentre – da moglie – so che ce n’è molto sulla seconda, anche se decisamente non posso mettermi nei panni di Fiona.

"Non ci resta molto tempo. Chissà quanto. Non tanti anni. O ricominciamo a vivere, a vivere sul serio intendo, oppure ci arrendiamo alla prospettiva di essere infelici da adesso alla fine

Voglio assolutamente recuperare anche il film tratto dal romanzo, “Il verdetto”.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia vagabonda di aprile "un libro ambientato in Inghilterra, Scozia o Galles"

lunedì 27 aprile 2020

"Tracce dal passato", Linda Castillo


Painters Mill (Ohio), 8 marzo 1979. E’ notte quando tre uomini si introducono nella fattoria Amish degli Hochstetler con l’intenzione di rubare i contanti della famiglia, ma qualcosa va storto: Willis viene ucciso, muoiono anche quattro dei suoi figli e la moglie Wanetta scompare. Billy, il figlio quattordicenne della coppia, unico sopravvissuto a quella violenta notte, dirà che è stata portata via dalla banda, facendo sparire le sue tracce per sempre.
Kate Burkholder all’epoca aveva solo un anno, ma come tutti nella zona ha sentito parlare dei fatti di quella tragica notte. Sarà quindi grande la sua sorpresa quando - indagando sul presunto suicidio di un uomo, che subito si rivelerà per l’omicidio che è - troverà un indizio che porta inciso un cognome: Hochstetler…

Settima puntata della serie. Inizio dicendo che non mi torna la collocazione temporale: qui siamo sicuramente nel 2014 perché viene fornita la data precisa del cold case (l'8 marzo 1979) e più volte viene detto che risale a 35 anni prima, ma poi i riferimenti alle vicende dei precedenti libri non coincidono con questa data. Anche nel libro precedente c'erano un paio di imprecisioni, non so se errori dell'autrice o di chi ha tradotto, comunque sia è una cosa che mi urta tantissimo, non è difficile fare un calendario preciso per chi legge, tanto meno per chi scrive o traduce, e per chi è odiosamente preciso come me questa approssimazione è insopportabile!

Detto questo, il romanzo è carino, mi è piaciuto anche più degli altri perché – come detto e ridetto – ho un debole per i casi irrisolti.

La “solita” semplice Castillo, che ha messo insieme un’altra storia ben costruita e più credibile delle altre, almeno sulla base di sterili probabilità, con gli Amish a rivestire il ruolo di vittime e non di pericolosi assassini e/o giustizialisti.

Viceversa mi ha lasciato perplessa il non trovare la “resa dei conti” riguardo alla vicenda del passato di Kate, cosa che nel romanzo precedente era legittimo dare per certa.
Viene, invece ripresa marginalmente, ma incisivamente, quella di John e questa volta spero si sia arrivati a un epilogo definitivo, determinante per dare via libera al futuro (e per non ammorbare il lettore con cose dette, ridette, stradette…). 

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di aprile, lo collego a "Il suo ultimo respiro" perchè scritti dalla stessa autrice


martedì 21 aprile 2020

"Il suo ultimo respiro", Linda Castillo



Painters Mill (Ohio), 8 settembre 2011. Paul Borntrager sta tornando a casa con i suoi tre figli quando il calesse su cui viaggiano viene travolto da un veicolo lanciato a folle velocità che, come dimostreranno le successive indagini, non ha neppure cercato di frenare. Chi lo guidava? Chi ha ucciso Paul e due dei bambini? Un pirata della strada o un autentico killer?
E’ quello che dovrà scoprire il capo della polizia Kate Burkholder, che di nuovo si troverà a dover far luce su un crimine che coinvolge una famiglia Amish e che questa volta la tocca da vicino perché Mattie, la vedova di Paul, è stata la sua amica del cuore durante l’infanzia e l’adolescenza…

Un’altra puntata della serie di Linda Castillo, la sesta, che si sviluppa il mese precedente rispetto alla piccola parentesi raccontata in "Persa nel tempo". Si torna a un romanzo vero e proprio che, come i libri precedenti, racconta una storia decisamente classificabile più come giallo che come thriller.

Le mie impressioni sono le stesse di sempre: la scrittura scorrevole della Castillo rende queste letture piacevoli e in qualche modo rilassanti. Le vicende gialle, seppur spesso prevedibili, sono semplici, ma ben costruite, alla fine tutto torna. A renderle inverosimili è che si concretizzino tutte nel contesto Amish: l’essere così legati alla religione e alle tradizioni non esenta queste persone dal commettere crimini, ma è improbabile che all'interno della comunità ne avvengano così tanti in uno spazio temporale piuttosto ristretto e spesso con una crudeltà degna di una banda di narcos.
Ma del resto è proprio l’ambientazione Amish a rendere questa serie particolare e diversa dalle altre.

L’autrice non manca di far rivangare alla protagonista il passato di John Tomasetti (però soltanto due volte) e il suo, ma questa volta per una valida ragione perché una scoperta casuale dà il via alla possibile riapertura del cold case che la coinvolge, come scoprirò questa sera iniziando la settima puntata...

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di aprile, lo collego a "Non mentirmi" perchè entrambi gli autori sono nati negli anni '60






lunedì 20 aprile 2020

"Non mentirmi", Philippe Besson


Bordeaux (Francia), 2007. Philippe Besson sta rilasciando un’intervista a una giornalista quando qualcuno attira la sua attenzione: una figura maschile, intravista solo di spalle, ma che in un attimo riporta lo scrittore a ventitré anni prima, quando lui ne aveva soltanto 17, tanti quanti la persona che crede di rivedere in quel momento.
Impossibile non seguirlo, non mettergli una mano sulla spalla per farlo girare e poter capire se si tratta proprio di lui, di Thomas Andrieu…

Che Besson scriva molto bene lo avevo già appurato leggendo "E le altre sere verrai?", libro di cui avevo apprezzato la qualità, ma senza rimanere conquistata dalla storia raccontata. Questa, invece, è splendida.

L’autore spiega come il titolo scelto rimandi a quello che gli raccomandava sempre la madre quando era bambino, cioè di non dirle bugie. Perchè lui era bravissimo a inventarsi storie, una bravura che da adulto metterà a frutto scrivendo libri. Libri tutti di narrativa, ad eccezione di questo dove l’autore in poco più di cento pagine racconta i mesi d’amore che da ragazzo lo legarono a un compagno di scuola, Thomas.

Quella che racconta è una grande e bellissima storia d’amore, vissuta nella clandestinità perché in quell’epoca (e troppo spesso ancora adesso) si era costretti a nascondere la propria omosessualità. Due ragazzi con gli stessi impulsi che però vivranno in modo molto diverso, per scelta. O per mancanza di scelta.

Un libro tenero e dolce, ma anche estremamente triste e doloroso. Un bel libro che merita di essere letto.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di aprile, lo collego a "Non svegliarti" perchè entrambi i titoli iniziano con "non"

martedì 14 aprile 2020

"La strada in fondo al mare", Leah Fleming


Oceano Atlantico, 15 aprile 1912. Le (immaginarie) inglesi Celeste Parkes e May Smith sono due delle 706 persone sopravvissute all’affondamento del transatlantico. La prima, passeggera di prima classe, si è salvata prendendo posto su una delle scialuppe di salvataggio, la seconda, passeggera di terza classe, è stata recuperata in mare grazie all’insistenza di Molly Brown e di Celeste. Celeste viaggiava da sola, May con il marito Joe ed Ellen, la loro figlioletta. E sarà proprio Edward Smith, il capitano del Titanic, a porgerle dal mare un fagottino con la bambina. Per Joe non c’è speranza, ma almeno loro due ce l’hanno fatta. O questo è quello che pensa May finché a bordo del Carpathia riuscirà a guardare sua figlia…

Seconda cocente delusione del mese. Avevo inserito questo libro in wish list per via del Titanic, ma la vicenda strettamente collegata alla nave si esaurisce nei primissimi capitoli, serve all’autrice per creare i collegamenti fra i vari personaggi, ma i continui rimandi riferiti alle singole esperienze non sono quello che mi aspettavo. La Fleming cita persone realmente esistite, come il capitano Smith e Molly Brown, ma l’intera storia è frutto di fantasia e non l’ho trovata né interessante nè tantomeno appassionante.

Il tomo (573 pagine) tocca quasi cinquant’anni arrivando al 1959 e diventando una sorta di saga familiare che abbraccia tre generazioni. Ambientato per lo più in Inghilterra e, in misura minore, negli Stati Uniti, tocca anche la nostra Toscana, sciorinando cliché datati e fastidiosi (italiani piccoli e neri, che sembrano avere come scopo nella vita solo quello di mangiare e pregare, ecc, ecc…). L’autrice non se la cava meglio neppure con la storia: sorvola in fretta sulla prima Guerra Mondiale e agli anni del proibizionismo USA dedica appena qualche frase, dando – perché necessario alla trama - maggior spazio alla seconda Guerra Mondiale, ma utilizzando degli aggettivi che mi avrebbero fatto scagliare il libro cartaceo contro a un muro, cosa che mi sono trattenuta a stento dal fare con il Kindle per il valore dello stesso: nazisti definiti semplicemente dei prepotenti, come si potrebbe dire dei bulletti alle scuole elementari, e i nostri Partigiani chiamati simpatizzanti, come se la nostra Resistenza avesse avuto solo un ruolo marginale ai fini della nostra Liberazione!

Ma anche volendo considerare questi aspetti come dei dettagli rispetto alle vicende delle tre famiglie coinvolte, sono proprio queste a essere di basso livello: circostanze che si basano su un'infinità di coincidenze assurde e un unico stratagemma (quello di far succedere qualcosa di rilevante quando i personaggi sono distanti fra loro) usato più e più volte, probabilmente nel (vano) tentativo di aumentare la tensione. Il tutto appesantito da uno stile narrativo a dir poco antiquato.
Ma a lasciarmi davvero perplessa è stato il modo in cui la Fleming ha liquidato quello che avrebbe dovuto essere l’apice della storia, il momento di maggiore impatto, quello capace di strappare qualche lacrimuccia ai cuori teneri e che invece ha ridotto a una mezza paginetta scialba e priva di emozioni, che per questo è perfettamente in linea con tutto il libro.

A chi volesse leggerne uno degno sul Titanic, consiglio quello di Walter Lord, “Titanic. La storia vera”.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di aprile

lunedì 13 aprile 2020

"Non svegliarti", Liz Lawler


Bath (Inghilterra), giorni nostri. Per la dottoressa Alex Taylor sta per cominciare una serata speciale, è sicura che Patrick, l’affascinante veterinario con cui è fidanzata, le chiederà di sposarlo durante la cena romantica che hanno programmato. Lo sta aspettando nel parcheggio dell’ospedale dove lavora, ma succede qualcosa. Alex non sa cosa, non si accorge di nulla. Quando si riprende è stesa su un tavolo operatorio in posizione ginecologica e non le ci vuole molto per capire che l’uomo di fronte non è un vero collega, è solo vestito come un medico e le impone una scelta…
Alex perde di nuovo conoscenza e questa volta al risveglio si trova circondata dalle facce note dei suoi colleghi del Pronto Soccorso. Ma nessuno sembra credere alla sua versione della storia, nemmeno la sua migliore amica, nemmeno Patrick. Le dicono che probabilmente è stata colpita da un ramo nel parcheggio, non c’è stata nessuna aggressione. Alex si arrabbia, ma può solo riprendere la sua vita, finché si trova a prestare soccorso a quella che potrebbe essere un’altra vittima dello stesso uomo…

Era da parecchi mesi che volevo leggere questo libro senza mai riuscire a inserirlo nelle tracce della Reading Challenge. Sia per questo, sia per le ottime recensioni lette su web, avevo delle altissime aspettative e i primi tre capitoli mi hanno fatto credere di avere iniziato davvero “un grande thriller”, come la Newton Compton scrive sulle copertine di tutti quelli che pubblica. Questa casa editrice mi ha dato solo delusioni, ma almeno “un grande thriller” devono averlo pubblicato anche loro, non fosse altro che per un banale calcolo delle probabilità, ma - se è successo - di sicuro non è questo.

Tutta la suspense si esaurisce in quei primi tre capitoli lasciando spazio a una storia inverosimile sotto ogni aspetto: la motivazione del colpevole (tra l’altro facilmente intuibile ben prima di essere svelato) e ogni passaggio che mette in atto (e alcuni dei tasselli alla fine non si incastrano), senza contare che l’autrice per un buon 60% del libro crea un potente acme su un episodio in cui la protagonista è stata coinvolta l’anno precedente ("la tragedia"), pompandolo così tanto da generare un solenne scoppio per esagerazione quando viene rivelato.

Alla storia che non sta in piedi si aggiunge una protagonista resa odiosa dalla sua ridicola perfezione: una superdonna, un’eccellenza di medico, con un’intelligenza fuori dal comune, pilota di elicotteri e di cui, ovviamente, tutti si innamorano. Ma anche il corollario di personaggi che la attorniano è imbarazzante, il fidanzato, le amiche, i colleghi e, soprattutto, l’ispettore e l’agente che principalmente si occupano del caso.

Si salva solo il povero Dylan…

Oggi l’edicola è chiusa e la tentazione di sfruttare questo tempo libero per cancellare dalla mia lunga wish list tutti i thriller della Newton Compton è davvero irresistibile!

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di aprile "un libro scritto negli ultimi cinque anni" (2017)

sabato 4 aprile 2020

"Canto della pianura", Kent Haruf


Holt (Colorado), inizio autunno. Victoria Roubideaux ha 17 anni, frequenta il penultimo anno del liceo e aspetta un bambino. Maggie Jones è una delle sue insegnanti e la aiuta. Tom Guthrie è un altro dei suoi insegnanti, ma sa poco di lei. Ha una moglie che soffre di depressione e due figli, Ike e Bobby, di 9 e 10 anni, che si sostengono a vicenda. Anche Harold e Raymond McPherson sono fratelli, ma sono anziani, solitari e bisbetici. O forse no?

Prima puntata di quella che viene definita “la trilogia di Holt”. Holt è la cittadina che Kent Haruf si è inventato come scenario per le sue storie, non solo quelle della trilogia. L’ha creata per “Vincoli” e successivamente l’ha ripresa per “Le nostre anime di notte”.

Rimandavo la lettura della trilogia perché mi sono perdutamente innamorata degli altri due romanzi e Haruf è morto scrivendo troppo poco, e ancor meno è stato tradotto in italiano. Quindi so che dopo “Crepuscolo” e poi “Benedizione” non avrò più niente di suo da leggere e sarà davvero triste per me.

"Canto della pianura” è un’opera meravigliosa, come le altre. Semplicemente meravigliosa. Ogni volta mi sorprendo per come questo scrittore riesca a coinvolgermi raccontando una quotidianità al cui confronto la mia banalissima esistenza sembra un’epopea.

Ha una capacità descrittiva fuori dal comune, riesce a far visualizzare Holt come se chi legge ci vivesse veramente, ma soprattutto sa descrivere talmente bene i suoi personaggi che ci si ritrova a provare reali sentimenti per loro, positivi o negativi che siano. Sensazioni del genere le ho provate solo con la tetralogia de “L’amica geniale”.

Ma, mentre la Ferrante - oltre ad abbracciare un periodo molto ampio – usa i suoi personaggi per raccontare i cambiamenti di un’intera nazione, quelli di Haruf vivono in una sonnacchiosa cittadina rurale che non ha nulla da dire. Non si sforza neppure nell’inventare chissà quali storie personali: racconta vicende di giovani e di anziani, di matrimoni al capolinea e di nuovi amori privi di colpi di scena. Ma è così bravo a scriverle, con quella sua particolarità di non usare il virgolettato nei dialoghi, che porta a maledire la mancanza di un patentino di immortalità da dare a chi è dotato di simili talenti.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia annuale "una trilogia" (1° volume)