giovedì 30 luglio 2020

"Non dimenticare", B.A. Paris

Fonches (Francia), 15 marzo 2006. Finn McQuaid, nonostante abbia solo 29 anni, ha già accumulato una piccola fortuna grazie al suo lavoro di consulente finanziario. Anche sul piano personale le cose non potrebbero andare meglio per lui da quando, la notte di capodanno di quindici mesi prima, ha conosciuto la giovanissima Layla, appena arrivata a Londra da una sperduta isola scozzese. Dopo un mese già convivevano e adesso stanno tornando da una vacanza trascorsa sulle piste innevate francesi. Dopo una sosta ai bagni di una piazzola lungo l’autostrada, Finn torna alla macchina senza trovarci Layla. Le ricerche della polizia non danno riscontri, la ragazza sembra essere sparita nel nulla. Passano dodici anni e Finn ha appena chiesto alla sua nuova compagna di sposarlo. Ellen è tranquilla, accomodante, sempre sorridente… ed è la sorella maggiore di Layla! Layla che all’improvviso sembra emergere dal passato sconvolgendo l’esistenza di Finn che forse non l’ha mai dimenticata e che non ha raccontato tutta la verità riguardo al momento in cui lei era scomparsa.

Una trama che casualmente in principio ricorda molto quella di “Nulla resta nell’ombra”: un’altra coppia che si conosce la notte di capodanno e che brucia le tappe andando subito a vivere insieme. Soprattutto uno dei due che sparisce durante una vacanza all’estero. Questa volta però tocca alla donna e comunque dalla sparizione in poi i due romanzi sono molto diversi, ma non mi sono piaciuti allo stesso modo.

La Paris, dopo l’apprezzamento per “La moglie imperfetta”, torna a deludermi.

Di questo libro mi è piaciuta la struttura: diviso in tre parti, nella prima si alternano i capitoli fra il passato e il presente di Finn, nella seconda si alternano fra due voci narranti e nella terza torna da sola quella del protagonista. I capitoli, inoltre, si alternano fra medio-brevi e brevissimi, con indizi e dettagli ben sistemati nell’ultima frase, uno stratagemma che spinge ad andare avanti.

Quello che non mi ha convinta è lo sviluppo della storia: dopo una bella partenza, ricca di suspense, quasi subito si perde ripetendo per troppe volte il meccanismo ritrovamento matrioska/ricevimento mail, con pochissime varianti e pochissimi cambiamenti nelle reazioni dei (pochissimi) personaggi coinvolti diventando noioso.

E purtroppo a immaginare quale fosse il colpo di scena finale, che sapevo essere il punto di forza del romanzo, ci sono arrivata poco oltre la metà del libro: Joel Dicker viene criticato perché inserisce troppi personaggi nelle sue storie, ma se un autore di thriller ne mette solo cinque deve essere davvero bravo per riuscire a sorprendere e l’idea della Paris non è stata così originale.

 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di luglio, lo collego a "La ragazza con la treccia" per le autrici sono entrambe europee

mercoledì 29 luglio 2020

"Le tre del mattino", Gianrico Carofiglio

Marsiglia, giugno 1983. Antonio non ha mai smesso di pensare a quei due giorni lontani trascorsi nella città francese, ma quest'anno - il 2016 del presente - il ricordo è più struggente perchè si ritrova ad avere 51 anni, vale a dire l'età che aveva suo padre quando hanno condiviso quell'esperienza, quelle 48 ore in cui non hanno potuto dormire, quella condivisione che li ha portati a smettere di essere due estranei.

Farei fatica a fare una classifica di gradimento perché amo Carofiglio, il suo stile e le storie che racconta, ma questo è forse il suo lavoro migliore. Un Carofiglio introspettivo, una storia molto diversa dalle altre, senza neppure un accenno a un tribunale. Un romanzo di formazione, un genere che per piacermi deve coinvolgermi e parecchio.

Nonostante io sia stata figlia di una coppia unita e felice, la coronazione perfetta del “finchè morte non vi separi”, e nonostante non mi sia riprodotta, Carofiglio c’è riuscito – a coinvolgermi - narrando la storia di questo ragazzo con cui non condivido nulla, figlio di una coppia separata, due genitori accademici che – soprattutto il padre – hanno avuto un ruolo marginale nella vita del bambino prima e del ragazzo poi, fino ai suoi 18 anni, quando una certa situazione obbliga padre e figlio a vivere due giorni in simbiosi privandoli del sonno, in una città che non è la loro e di cui hanno un po’ paura.

Una città che ricorda non poco la mia Genova e non solo perché si affacciano sullo stesso mare. Una città ben più malfamata della mia, ma con una struttura verticale simile, con le stesse mescolanze di colori, odori, suoni e rumori. Una città che forse in origine non è riuscita ad essere accogliente facendosi rispettare come ha fatto Genova e ha finito un po’ col perdersi.

Ma Marsiglia è soltanto la cornice per questa storia di sentimenti familiari in cui la bravura dell’autore rende facile immedesimarsi rendendo tangibile il momento della crescita del suo protagonista e quell’attimo in cui chiunque abbia avuto la fortuna di aver avuto i genitori accanto durante la fase di passaggio all’età adulta si rende conto che mamma e papà sono anche due persone con una vita propria, con pregi e difetti, forza o fragilità, che – a seconda dei casi - non sono invincibili oppure condannabili.

Come d’abitudine non mancano le citazioni (c’è anche un’autocitazione, questa evitabile, secondo me), tutte bellissime, a cominciare da quella del titolo.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia autore di  luglio




lunedì 27 luglio 2020

"La ragazza con la treccia", Dacia Maraini


Una quindicenne che sta andando ad abortire; i segreti di una coppia clandestina; un ex calciatore brasiliano che non ha mai dimenticato il suo grande amore spagnolo; una cantante lirica e un nano; un figlio di calzolaio che diventa regista di fama; un siciliano dall’innamoramento facile; Sekhmet, dea della carneficina e della pace; la scoperta di un tradimento; una maturanda e un bambino vestito di blu; una bambina nel bosco del bandito; un molesto uccello australiano; Mulino, il cane psicopompo; un vile cacciatore stupratore: una raccolta di brevi racconti pubblicata nel 1994 che a tratti accusa i segni dell’età per alcuni contesti, ma che è fresca e frizzante grazie alla narrazione.

Mi coinvolgono di più quei racconti che in poche pagine riescono a costruire un'intera storia, a ben delineare i personaggi: qui sono solo abbozzati in funzione dell’episodio che viene descritto, ma la Maraini scrive così bene da rendere piacevolissimo e utile il tempo trascorso leggendo le sue parole anche quando non spingono a grandi riflessioni.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di luglio, lo collego a "Il diritto di morire" perchè scritti dalla stessa autrice



sabato 25 luglio 2020

"Il diritto di morire", Dacia Maraini



Terzo dialogo, questa volta fra Dacia Maraini – scrittrice di cui ho letto pochissimo e di cui dovrei recuperare tutto perché ogni volta mi conquista – e il giurista Claudio Volpe. Tema: l’eutanasia. Scritto, come quello di Carofiglio, nel 2018, qui nulla è stato superato, anche perché dopo DJ Fabo stampa e opinione pubblica hanno smesso di occuparsi della questione, come se il suo fosse stato l’unico caso, come se una situazione del genere non potesse capitare a chiunque…

Il testo, di altissimo livello, non solo culturale, fornisce un’analisi attenta e molto ben argomentata del problema, partendo dal confronto fra vita e morte quando lo stato in cui ci si ritrova non ha più quel livello di dignità necessario per poter definire vita la vita. Perchè “vivere è diverso da sopravvivere. Perchè se ognuno di noi ha il diritto di vivere, allora a nessuno dovrebbe essere imposto di farlo nel dolore”.

Mette in luce le contraddizioni delle ragioni ideologiche e religiose di chi si dice contrario all’eutanasia perchè solo Dio può decidere quando per un uomo è arrivato il momento di morire: ma quando un corpo morto viene mantenuto in vita grazie alle macchine e alla chimica dov’è la volontà di Dio? Ma allora, come giustamente fa notare la Maraini, “secondo questo punto di vista ogni cura dovrebbe essere contraria al volere di Dio”.

E le contraddizioni del sistema giuridico che, ad esempio, “non punisce il tentativo di suicidio, ma punisce chi cerca di aiutare a suicidarsi chi lo vuole fare, ma fisicamente non può”. O che permette il rifiuto all’accanimento terapeutico, condannando di fatto un malato a morire nell’agonia, anziché poterlo fare velocemente e senza sofferenze aggiuntive.

Il testo tocca anche altre questioni. Ad esempio come la nostra vita abbia la stessa dignità di quella degli altri esseri viventi, quegli animali che invece la maggior parte di noi (di voi) tratta come oggetti ad uso e consumo dell’uomo.

"Il mondo non è esclusiva proprietà degli uomini. Tanti animali sono nati prima di noi e hanno diritto di stare in questo mondo. Ma noi li abbiamo sterminati e continuiamo a farlo togliendo loro ogni spazio vitale

Ha anche il coraggio di dire che siamo noi ad essere troppi!

"Nonostante le grandi teorie sul come vincere la denatalità incalzante, chi ha uno sguardo più ampio sul mondo e sul futuro sa che il mondo, arrivando a quasi dieci miliardi di persone da nutrire e curare, ha bisogno di limitare le nascite

E parla dell’omosessualità, tema affrontato per sottolineare quanto sia assurdo, o “aberrante”, come scrive Dacia Maraini, che ciò che dice la Bibbia “possa valere ancora oggi (…) senza tenere conto del momento storico in cui è stato scritto”.

E' inconcepibile che convinzioni religiose personali influiscano  in una questione come l’eutanasia, che invece deve essere regolamentata unicamente dalla legge di Stato, quella di uno Stato laico qual è l’Italia. Il testamento biologico non è sufficiente perché, come la facoltà di scegliere la sedazione profonda, non riguarda chi è affetto da paralisi corporea completa o chi è ridotto a stato vegetativo, cioè quelle persone che hanno bisogno di una eutanasia attiva da parte di terzi.

E parlando di politica il pensiero della Maraini è in linea con quello di Carofiglio (e con il mio):

"La bravura di una classe politica dovrebbe stare proprio nella capacità di trovare risposte adeguate a problemi complessi (…) Ma la politica cui penso io è altro rispetto a quella odierna. Una politica fatta di persone che hanno a lungo studiato e che sanno argomentare con cognizione di causa

Per la serie: siamo a posto...


Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di luglio, lo collego a "Nulla resta nell'ombra" perchè scritti entrambi da donne 



venerdì 24 luglio 2020

"Con i piedi nel fango", Gianrico Carofiglio


Un altro dialogo, questa volta fra persone reali. Diciamo un’intervista che Jacopo Rosatelli fa a Gianrico Carofiglio. Tema: la politica. O meglio, quelli che dovrebbero essere i valori della politica e, soprattutto, il modo in cui i politici dovrebbero comunicare. E quello che dovrebbero fare, anche arrivando a mettere i piedi nel fango, perché a volte – come le alluvioni insegnano, e noi genovesi lo sappiamo fin troppo bene – bisogna buttarsi nel fango per poter aiutare chi vi è intrappolato.

Che rappresentasse l’ideale prosecuzione di “Con parole precise” l’ho scoperto solo a lettura avviata: pazienza, lo recupererò in seguito. Sono in ritardo comunque, perché i testi di questo tipo andrebbero letti all’uscita. Questo, pubblicato nel gennaio 2018, quindi due mesi prima delle elezioni che portarono l’Italia al Governo gialloverde, è già anacronistico nelle parti strettamente riferite alla situazione politica del nostro Paese, mentre le varie riflessioni generali sono intramontabili e avrebbero meritato maggiore approfondimento.

Questioni sulle quali in gran parte condivido il pensiero di Carofiglio, ad esempio riguardo all’utilizzo dell’astensione al voto come strumento di protesta, una scelta che – per quanto possa comprendere (sono anni che non c’è un partito da cui mi senta rappresentata) – molto spesso finisce col favorire proprio il partito o la lista che è più distante dalle nostre idee. Carofiglio cita l’America di Trump ed è un esempio perfetto. Meglio quindi tapparsi il naso e trovare qualcuno il più possibile vicino alle nostre idee.

Come d’abitudine con Carofiglio, il libro è ricco di citazioni e riferimenti letterari, fra le tante mi piace riportare la frase che credevo di De Gasperi e che invece adesso scopro essere del teologo e predicatore americano del diciannovesimo secolo, James Freeman Clarke:

"Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni. Un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo Paese

E non potrei essere più d’accordo di come sono col commento di Carofiglio: “La buona politica è tale se è capace di distaccarsi dalle convenienze contingenti”.

Ok, quindi la buona politica non esiste più.

E Carofiglio prosegue: “Oggi purtroppo il concetto di Clarke andrebbe adeguato al ribasso: il politico medio non pensa nemmeno alle prossime elezioni, ma al prossimo sondaggio o alla prossima risposta da dare su Facebook o su Twitter”.

Quanta triste verità! Mi deprimo quando sento qualcuno dire che vota Tizio o Caio perché “é uno di noi”, perché “parla come noi”.
Ma davvero qualcuno vuole questo? Io no, io voglio dei politici che siano superiori a me, che sappiano più di me, che parlino meglio di me!! E’ questo che dobbiamo non solo volere, ma pretendere, per essere rappresentati al meglio, da persone capaci, competenti, intelligenti e, soprattutto, oneste, anche intellettualmente!

Ma se penso a queste cose rischio di dare ragione a chi pratica l’astensionismo attivo...

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia autore di  luglio


giovedì 23 luglio 2020

"Il paradosso del poliziotto", Gianrico Carofiglio


Due uomini si danno appuntamento in uno di quei bar dove è possibile parlare riuscendo a sentire quello che l’altra persona dice. I due non si conoscono. Il primo, quello giovane, fa lo scrittore e per il suo libro ha bisogno che qualcuno gli spieghi i segreti per far confessare chi è sospettato di aver commesso un crimine. Il secondo, quello anziano, è la persona con cui gli hanno consigliato di parlare perché è un esperto. Un poliziotto famoso per riuscire a ottenere una confessione senza dover ricorrere alla violenza.

Come specificato in copertina, questo librino è un dialogo, volendo esagerare quasi un interrogatorio dove il poliziotto per una volta si ritrova a essere quello che risponde alle domande, non quello che le fa.

Inizia con una citazione che ero sicura di aver già letto:

"Io non mi fido mai di una confessione cui non ho assistito. E a dire la verità, non mi fido nemmeno di quelle cui ho assistito, se non so esattamente cosa è successo prima

Carofiglio l’aveva già usata con il suo maresciallo Fenoglio e proseguendo ho trovato altre affermazioni e situazioni prese dai suoi libri. Questa cosa rende probabilmente la lettura più interessante per chi si trova a leggere per la prima volta questi spunti, altrimenti sono cose – per quanto interessanti, ben scritte, argute, ecc – già lette.

Non esiste il reato di auto-plagio, ma personalmente lo trovo fastidioso, soprattutto in considerazione dei 3.80€ che costa questo racconto di appena 38 pagine.

Per fortuna il valore del messaggio trasmesso, anche se già letto (soprattutto in “La versione Fenoglio”), è superiore a quello dell’oggetto in sé: sottolineare che c’è un comportamento corretto e giusto da tenere da parte delle forze dell’ordine, basato sulla forza delle parole (altro tema sempre caro a Carofiglio) e non sulla forza bruta della violenza e della disparità.

Non sarebbe stato male imporne la lettura ai militari torturatori della caserma di Piacenza...

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia autore di  luglio


mercoledì 22 luglio 2020

"Il mistero del lago", Nora Roberts


Angel’s Fist (Wyoming), primavera. Reece Gilmore soffre della sindrome del sopravvissuto da quando, qualche anno prima, dei banditi hanno fatto irruzione nel ristorante dove lavorava come chef facendo una carneficina.
Da allora tutto è cambiato per lei: al posto della grande città c’è una piccola cittadina che vive di turismo, al posto del ristorante di prestigio c’è una tavola calda, ma soprattutto al posto della giovane donna con una brillante carriera davanti c’è uno scricciolo a cui basta lo scoppio di un motore per urlare dal terrore.
E un giorno la morte violenta torna a stravolgerle l’esistenza: durante una passeggiata lungo le rive del lago vede dalla parte opposta una coppia. Nonostante la distanza è chiaro che stanno litigando furiosamente. Reece con il binocolo vede l’uomo colpire la donna, questa cadere, rialzarsi, spintonarlo e quindi lui buttarla a terra mettendosi a cavalcioni con le mani strette attorno alla gola.
Reece corre a perdifiato fino alla casa più vicina, quella di Brody, l’affascinante scrittore che ha già avuto modo di conoscere al ristorante, e insieme si precipitano nel punto dove c’era la coppia non trovando nessun segno e nessun cadavere, ma Reece è sicura di quello che ha visto, anche se pochi sembrano disposti a crederle…

Storia strutturata in modo pressoché identico a quella di “Luci d’inverno”: questa volta la protagonista è una donna, ma abbiamo di nuovo un personaggio che - scottato dal recente passato, con grosse fragilità emotive e una situazione lavorativa da ricostruire – opta per un piccolo centro abitato dove tutti si conoscono da sempre e dove, superata l’iniziale ostilità per il forestiero, riescono a inserirsi trovando ovviamente il grande amore.

Identico anche lo stile svenevole e melenso, mentre l’arretratezza di vedute riguardo ai ruoli delle donne e degli uomini qui raggiunge vette terrificanti con meccanismi e affermazioni che mandano in frantumi anni e anni di lotta per l’emancipazione femminile. Dialoghi e scenari romantici terribilmente leziosi, espressioni che chiaramente vorrebbero essere sensuali, ma che avrebbero privato di ogni accenno di passione anche mia nonna, e quel “mingherlina” con cui lui si rivolge a lei, nomignolo irritante per il numero di volte che viene detto, ridicolo anche solo da pensare, ma soprattutto scorretto perchè affibbiato a una persona sottopeso per problemi psichici.

Appurato che il rosa crime è un genere che non mi si addice, non posso fare a meno di chiedermi come un lui che prima di baciare la lei le raccomanda: “Faresti meglio a prendere fiato, stiamo per immergerci” possa soddisfare chi in un libro cerca anche del romanticismo o della sensualità!

Come in “Luci d’inverno”, il rosa della storia predomina sul giallo, ma stavolta sono due tonalità di rosa e di giallo brutte: il rosa perché ancora più stereotipato, il giallo perché la vicenda è molto più banale, la risoluzione basata su casualità grossolane e il tentativo finale di creare un depistaggio fra due possibili colpevoli così evidente da risultare imbarazzante.

Anche i Teton Range non godono di descrizioni belle come quelle di cui avevano beneficiato i monti dell’Alaska, mentre per gli animali non cambia nulla, la solita strage fra trofei appesi o costine di alce e stufati di bisonte nel piatto: è anche per loro se preferisco rimandare la lettura del terzo romanzo della Roberts che ho, "Ossessione", prima di tornare a separare le nostre strade per sempre.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di luglio "un libro in cui un personaggio muore"

martedì 21 luglio 2020

"La moglie imperfetta", B.A. Paris


Sussex (Inghilterra), 17 luglio 2015. Cassandra (Cass) Anderson ha 34 anni e fa l’insegnante. Ha trascorso una piacevole serata con i colleghi, la classica cena di fine anno scolastico, ma nonostante l’ora tarda all’uscita è rimasta imbottigliata nel traffico. Decide quindi di ignorare la raccomandazione del marito di non prendere la strada che taglia attraverso il bosco: è vero che riduce di molto il percorso, ma è anche isolata e i cellulari non prendono. Ed è lì che nota una macchina ferma nella piazzola. Transitando vede una donna al volante e si ferma, ma il forte temporale che imperversa su di loro la scoraggia a scendere per vedere se ha bisogno di aiuto. Rimette in moto e torna a casa, dimenticando l’episodio, finchè il mattino dopo scopre con orrore che la donna è stata uccisa in quella stessa piazzola e viene presa dai sensi di colpa, ma anche dal panico: e se l’assassino l’ha vista e pensa che lei abbia visto lui? Timori esasperati dalle telefonate mute che comincia a ricevere proprio da quella mattina e che si vanno ad aggiungere a quella che è la vera paura di Cass: il dubbio di essere affetta – come lo era sua madre – da demenza precoce. Perchè sta cominciando a dimenticare troppe cose…

Dopo più di tre anni mi sono decisa a leggere il secondo romanzo della Paris: nonostante il tempo trascorso, è ancora vivo il ricordo del nervosismo che mi aveva trasmesso quello di esordio, “La coppia perfetta”. Questo, invece, mi è piaciuto così tanto che sto pensando di leggere al più presto il terzo (“Non dimenticare”).

Anche in questo caso l’autrice non rende giustizia alla forza di noi donne: Cass non è un personaggio sottomesso come Grace, però – lungamente provata dalla malattia della madre e terrorizzata all’idea di averla anche lei – è troppo debole e insicura per i miei gusti.

Ma la storia regge proprio grazie alla sua distrazione e per questo sono riuscita a tollerare circostanze che altrimenti avrei trovato estremamente irritanti, episodi che seguono sempre lo stesso schema, quello sfruttato (in chiave divertente) anche dalla Kinsella con la protagonista dei suoi vari I love shopping: un cosa detta o fatta viene fraintesa da qualcuno e la protagonista (Becky per presunzione, Cass per paura) non chiarisce subito l’equivoco, complicando immancabilmente tutto.

E’ un thriller che se analizzato presenta qualche pecca, alcune esagerazioni, molte inverosimiglianze; avendo pochi personaggi ha anche pochi candidati al ruolo dell’assassino e la Paris non è abbastanza brava a nascondere nella trama un particolare di quelli che hanno lo scopo di colpire il lettore facendogli pensare: “ah, già, è vero” quando alla fine viene svelato, ma che in questo caso è maldestramente riconoscibile, soprattutto da chi è abituato a leggere thriller.

Ma è comunque un buon thriller: intrigante fin dall’inizio, scorrevole, crea suspense e voglia di vedere tutti i fili andare al loro posto e pazienza se certi sono evidenti.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di luglio "un libro in cui un personaggio muore"

 

venerdì 17 luglio 2020

"Nulla resta nell'ombra", Claudia Vilshofer


Val Bormida (Piemonte), giorni nostri. Sarah e Mark si sono conosciuti a capodanno e fra loro c’è stato il più classico dei colpi di fulmine, così travolgente che otto mesi dopo, freschi sposi, stanno attraversando il Piemonte dopo aver trascorso sulle rive del lago di Como la prima notte del viaggio di nozze che avrà come destinazione finale Viareggio.
Mark, fotografo di professione, ha preferito lasciare l’autostrada sperando di cogliere qualche scorcio interessante delle Langhe percorrendo le statali. A 7 km da Roccaverano, proprio nelle ore più torride di quell’afoso 4 agosto, il dramma: finisce la benzina!
La strada è deserta e Mark può solo recuperare la tanica dal bagagliaio e incamminarsi verso il paese alla ricerca di un benzinaio.
Quella che per Sarah doveva essere un’attesa di un’ora o poco più si prolunga prima in maniera esasperante, poi preoccupante via via che le ore passano, sempre più tesa nella speranza di veder rispuntare il marito da dietro la curva, ma Mark non tornerà più…

Avevo inserito questo titolo nella mia wish list perché la sinossi, oltre a far sperare in un bel thriller, diceva: “Sono diretti in Liguria dalla natia Germania” e, anche se era chiaro che nella mia regione non ci sarebbero mai arrivati, per me Genova e Liguria sono sempre un’attrattiva irresistibile.

A lettura ultimata è irrilevante che la destinazione non fosse la Liguria, ma la Toscana: quel che pesa è che non si tratta di un bel thriller.

Lo stile di scrittura è semplice, banale e ripetitivo, niente per cui valga la pena spenderci dei soldi, ma nella prima delle tre parti la storia è intrigante. La situazione descritta nella sinossi crea sufficiente tensione, si sa che questo marito non tornerà dalla moglie e la curiosità di sapere come lei affronterà la situazione è viva.

Nella seconda e terza parte tutta l’adrenalina si perde e la vicenda diventa sempre più inverosimile e mal raccontata. L’autrice gestisce malissimo i salti temporali e, anzichè costruire almeno un poco il personaggio della protagonista (il più delle volte davvero cretina), si perde in particolari inutili e stupidi.
Soprattutto porta avanti la storia basandola su una coincidenza enorme a cui non prova neppure a dare un senso. Tutto appare come fortuito e casuale perché affida gli sviluppi ai presentimenti di Sarah, impressioni basate sul nulla, e per suscitare tensione sfrutta situazioni da B Movie (come un tentativo di fuga in piena notte, durante un temporale con le immancabili chiavi dell’auto che cadono di mano nel buio) con dialoghi da C Movie (se esistono…), in primis un ridicolo “Apriti, Sesamo” durante la forzatura di una porta!

Ma alla Vilshofer - che ha perso il mio rispetto nel momento in cui è arrivata a definire “uno stravagante peccato di gioventù” l’uccisione di un cane tramite impalamento - devo però riconoscere il merito di aver compiuto un miracolo, quello di aver risvegliato il mio patriottismo, un bel po’ malato e deboluccio…

Fra un “questa maledetta regione è un mortorio” e un “che razza di desolazione”, la signora non perde occasione per sminuire la bellezza oggettiva di quelle zone, ma ad essere davvero offensive sono le banalità anacronistiche con cui descrive noi italiani, dal meccanico sporco e puzzolente che esce con difficoltà da sotto una Cinquecento scassata a evitabili riferimenti al mostro di Firenze, passando per carabinieri incompetenti affetti da “quell’indolenza tutta italiana” e un alto tasso di sarcasmo nell’ipotizzare in quanto tempo sia traducibile l’espressione “un po’” avendo a che fare con noi…

Sono la prima a lamentarmi per tutti i nostri infiniti difetti, ma la signora ha davvero esagerato e anziché abbandonarsi a questi stereotipi avrebbe fatto più bella figura a documentarsi di più sull’Italia, così magari - fra le tante cose - non avrebbe dato a un carabiniere il grado di un poliziotto...
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di maggio "un libro con un'automobile in copertina"

mercoledì 15 luglio 2020

"Imperdonabile", Chris Lynch


Stati Uniti, giorni nostri. E’ un anno importante per Keir Sarafian, l’ultimo delle superiori. Presto dovrà lasciare Ray, quel padre meraviglioso rimasto vedovo troppo presto e che non si è mai rifatto una vita, tirando su lui e le due sorelle di poco più grandi. Fra pochi mesi le raggiungerà al college. Non vede l’ora, per lui saranno quattro anni trionfali, ne è sicuro perché giocherà nella squadra di football. Poco importa se sarà solo il kicker: per Keir è normale interpretare tutto in chiave meravigliosa: se stesso, la sua famiglia, quello che fa…
Perchè lui è un bravo ragazzo. Onesto, leale, sincero, gentile. Quindi è davvero impossibile che sia vero quello che Gigi Boudakian dice. Gigi è l’amore della sua vita, fin da quando erano bambini, e non è vero che lui l’ha violentata. Se le ha messo una mano sulla bocca è stato solo perchè lei continuava a urlare e lui doveva farla smettere in qualche modo. Ma lei dopo ha complicato tutto, quando invece si sono capiti male e basta.
Lui è un bravo ragazzo e sa cosa vuol dire no… Oppure no?

Che occasione sprecata questo Young Adult! L’idea di far raccontare un episodio di violenza contro le donne dal punto di vista dello stupratore era provocatoria quanto originale, ma per far comprendere quanto sia fondamentale la questione del consenso avrebbe dovuto descrivere l’episodio. Certo sarebbe stato più crudo, ma – proprio perché si rivolge a un pubblico giovane – quell’alone di mistero, quel detto e non detto, rendono la vicenda troppo nebulosa non centrando il punto: se una persona dice no, è no.

Non importa da quanto la si conosce, quanta confidenza ci sia, in quale situazione ci si trovi. Oltre ad avere il diritto di poter cambiare idea in qualsiasi momento, un no mette comunque la parola fine a ogni possibile travisamento della realtà.

Il libro purtroppo non lo spiega con sufficiente chiarezza.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di luglio

sabato 11 luglio 2020

"Plastic detox", Jose Luis Gallego


16 km quadrati di superficie marina sono coperti da cinque isole di plastica galleggianti.
Nel solo Mediterraneo il 96% della spazzatura che galleggia in superficie e il 72% di quella che si accumula sulle spiagge sono costituiti da plastica.
Tutti sbottiamo nel tipico “roba da matti” quando guardiamo i servizi a tema in televisione, eppure tutti contribuiamo allo sfacelo.

Il proposito di questo breve saggio è quello di sensibilizzare i lettori a cambiare le proprie abitudini analizzandole settore per settore, a casa, sul lavoro, a scuola, nel tempo libero, ecc, fornendo idee e consigli e completando il tutto con una guida ai diversi tipi di plastica per poterla riconoscere e differenziare correttamente.

La parte propositiva l’ho trovata abbastanza deludente, non fornisce spunti originali per chi è già attento al problema e non è particolarmente incisiva per stimolare quelli che se ne infischiano.
Persone, queste ultime, che comunque non leggeranno il libro e questo è un aspetto basilare del problema, le troppe persone che non lo sentono come proprio quando invece lo è, eccome, e lo è soprattutto per chi, a differenza mia, ha figli, che facilmente a loro volta avranno figli, che avranno anch’essi figli, ecc, ecc…

Non è un dettaglio da poco: non avendo avuto figli, se volessi pensare solo a me stessa e avendo già 50 anni, mi basterebbe che la Terra rimanesse ancora vivibile per quanto? Diciamo una trentina d’anni, ad essere ottimisti…
Ma a una mia coetanea con figli ventenni 30 anni non bastano, ai suoi figli ne servono 60. E se vuole pensare anche ai nipoti che presumibilmente nasceranno fra dieci anni, ecco che la mia coetanea deve sperare in almeno 90 anni di Terra vivibile e così via.
Di generazione in generazione l’interesse per la salvaguardia del pianeta aumenta, è ovvio. O meglio, sembrerebbe ovvio, perché noto costantemente un maggior interesse per le tematiche ambientali nelle persone che conosco che hanno animali, non in quelle che hanno figli e la cosa – se non mi facesse arrabbiare – mi farebbe quasi sorridere.

Tornando al libro e ai suoi consigli, tutti sanno che bisogna portarsi le sporte da casa quando si va a fare la spesa, ma nella pratica lo fa solo chi ha un minimo di spinta ecologista. E questo discorso vale per tutti gli spunti forniti dall’autore: validi, ma noti.

Sull’altro aspetto fondamentale del problema plastica non sono d’accordo con lui:

"E’ facile addossare la colpa ai produttori che chiaramente sono i primi indiziati: potrebbero produrle con materiali biodegradabili

Avendo scritto un libro per invogliare le persone a ridurre il consumo di plastica e a fare una corretta raccolta differenziata è lecito che in più punti del testo ricordi le responsabilità del singolo e l’importanza che ognuno faccia il suo, ma io sono convinta che il primo passo vada fatto dalla legislatura dei vari Paesi, imponendo regole precise ai produttori perché, per quanto si sia volonterosi nel fare attenzione al packaging al momento della spesa, è impossibile non portarsi a casa degli imballaggi superflui, molto spesso di plastica.

Fa benissimo Gallego a puntare il dito contro l’abuso dei prodotti usa e getta, ma trovo che sarebbe più sensato imporre la produzione di piatti compostabili alle aziende, anziché raccomandare alle persone di non usare quelli di plastica. Quello che è stato fatto con i cotton fioc.

Troppo oneroso? Ne siamo sicuri? A Genova, in via Macelli di Soziglia, c’è la rosticceria vegana Jaanu che, oltre a fare cose buonissime, usa contenitori compostabili che vanno quindi gettati con l’umido. 
 
Il libro accenna anche alla differenza fra compostabile e biodegradabile. Una confezione compostabile è quella che si degrada completamente in un lasso di tempo ridotto, come la materia organica, senza rilasciare sostanze nocive nell’ambiente. Biodegradabile non è affatto un sinonimo, come molti pensano. E’ un termine ingannevole perché spinge a non tenere conto del tempo che impiega un materiale per biodegradarsi.

Jaanu è un piccolo negozio che riesce a mantenere prezzi accessibili non penalizzando la qualità. Se possono far rientrare nel budget questo tipo di contenitori, lo può fare chiunque, ma probabilmente chi, a differenza loro, non ha un interesse sincero per l’ambiente e un’etica da seguire, non si è mai neppure informato su alternative e costi…

Se però lo Stato imponesse dal 2021 l’esclusiva produzione e utilizzo di contenitori compostabili per il cibo d’asporto nell’arco di poco tempo diventerebbe una prassi normale, com’è stato per i sacchetti biodegradabili che hanno sostituito quelli di plastica. Senza sconvolgere la vita di nessuno, direi.

Il problema è serio, è enorme, e senza un cambiamento radicale non ci sarà mai una tangibile inversione di tendenza.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di luglio

venerdì 10 luglio 2020

"Luci d'inverno", Nora Roberts


Lunacy (Alaska), dicembre 2004. E’ un uomo molto provato quello che arriva in città all’inizio dell’inverno dopo aver accettato il ruolo di capo della polizia. Per Ignatious “Nate” Burke, 32 anni, le cose a Baltimora sono andate molto male: il suo migliore amico e collega è stato ucciso in un conflitto a fuoco di cui si sente in parte responsabile, proprio quando stava già lottando per riprendersi dal tradimento della moglie e dal conseguente divorzio.
Non tutti i 506 abitanti di Lunacy sono d’accordo con la decisione del consiglio comunale di assumere un estraneo - un cheechako - e la tiepida accoglienza non viene certo mitigata dal clima rigido! Per fortuna c’è la bella Meg a scaldargli il letto e forse anche il cuore.
La calma piatta del lavoro viene interrotta con il ritrovamento del cadavere del padre di Meg all’interno di una grotta di ghiaccio: Pat Galloway era scomparso nel febbraio 1988 e tutti erano convinti che avesse abbandonato volontariamente figlia, compagna e amici, invece è stato ucciso durante un’escursione sulla montagna. Ma da chi?

Nora Roberts è una di quegli autori capaci di sfornare anche dieci libri all’anno, spesso tomi come questo, non librini. Un dettaglio che non mi ha mai spinta verso i suoi titoli perché la quantità quasi sempre penalizza la qualità. Partendo da questo presupposto e non avendo attrattiva per il genere rosa crime, avevo aspettative molto basse, cosa che ha sicuramente contribuito a rendere la lettura più piacevole di quanto pensassi.

La storia gialla non regala suspense, non eccelle né per dinamismo né per complessità, ma nella sua semplicità è comunque sensata e ben costruita. La Roberts spinge i sospetti in una direzione, poi in un’altra, quindi in un’altra ancora e quando svela il colpevole lo fa senza riuscire a creare un colpo di scena, non perché fosse già chiara la sua identità (poteva essere chiunque), ma perché poco interessante ai fini della storia. Un bel paradosso, ma qui il giallo è talmente tanto stemperato dal rosa che finisce per essere un dettaglio poco disturbante.

Le vicende sentimentali sono melense, scontate e raccontate in modo piuttosto antiquato, con largo uso di espressioni come “una Barbie sciupauomini”, “uno schianto di donna” e “la fece sua”, nulla di diverso da quanto mi aspettassi.

Per contro la Roberts dà un’immagine convincente, seppur stereotipata, ai tanti personaggi e soprattutto è molto brava nella parte descrittiva. Ho preferito la sua presentazione dell’Alaska rispetto a quella di “Nelle terre estreme”, anche se continuo a non provare nessuna attrattiva per un posto dove i dieci gradi sotto lo zero vengono descritti come “mite temperatura”!!

E fra stufati di orso, hamburger di alce e insalate di bisonte, quando un cane viene ritrovato sgozzato arriva l’immancabile ipocrisia della frase pseudo animalista: “Gesù, chi è quel malato figlio di puttana capace di fare una cosa simile a una povera bestia?”
 

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di luglio "un libro in cui un personaggio muore"


lunedì 6 luglio 2020

"La casa della bellezza", Melba Escobar


Bogotà, 23 luglio 2015. La casa della bellezza è un centro estetico di lusso nell’esclusiva Zona Rosa. Karen ha 24 anni e si occupa di manicure, cerette e massaggi. Si è trasferita nella capitale da Cartagena con l’obiettivo di arrivare a risparmiare un milione di pesos e farsi raggiungere da Emiliano, il suo bambino. E’ per lui che riesce a sopportare dodici ore di duro lavoro, sempre sorridente, sempre paziente, subendo l’arroganza delle sue facoltose clienti che devono la loro ricchezza a padri o a mariti potenti e corrotti, donne che sfoggiano borsette che costano come due stipendi di Karen, ma che le lasciano soltanto mille pesos di mancia (l’equivalente di 24 centesimi di euro!).
Quel giorno la sua ultima cliente è Sabrina Guzmàn, che si presenta al centro con la divisa scolastica: ha 18 anni, è agitata ed euforica perché passerà la serata con il ragazzo che la corteggia da due mesi e che le ha detto di presentarsi “liscia come una mela”.
Ma quella sera Sabrina morirà e Karen è l’unica persona a sapere chi doveva incontrare…

Un libro tutto al femminile dove la voce narrante è quella della psicoterapeuta Claire Dalvard, 59 anni, tornata in Colombia da due dopo aver vissuto a Parigi tutta la sua vita adulta. Karen è la sua estetista ed è per questo che si intrecciano le esistenze così diverse di queste due donne e di altri personaggi femminili e maschili, più o meno rilevanti, tutti più o meno condannabili.

Ho letto gialli migliori di questo, ma raramente ho letto romanzi così disturbanti. L’autrice è editorialista dei quotidiani “El Pais” e “El Espectador” e questo è un grandioso libro-denuncia contro la società colombiana, machista e corrotta, misogina e classista, dove moralismo e ignoranza dettano le regole.

L’Italia non è certo esente da maschilismo e corruzione e sappiamo tutti che anche qui ci sono donne stuprate che, come Karen, arrivano a pensare: “Mi ha obbligata, ma anch’io non dovevo mettermi abiti così aderenti”, ma nel libro sembra che nessuna donna sia esente dalla sottomissione all’uomo, neppure quelle che grazie all’essere agiate e istruite avrebbero i mezzi per rendersi indipendenti.
La cosa peggiore è che sembrano non voler neppure provare a farlo perché in questo tipo di società essere la “prescelta” di un uomo è un vanto che appaga, senza capire che si viene considerate e trattate come un oggetto.

Politica e forze dell’ordine completano un quadro talmente squallido da risultare inconcepibile. Eppure parlandone con un vecchio amico che da molti anni vive in Brasile e che per via del suo lavoro conosce molto bene i vari Paesi del Sud America, Colombia compresa, mi sono sentita ricordare che non si può generalizzare, ma anche dire che le situazioni descritte non sono esagerazioni.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia annuale "sei libri ambientati in sei capitali diverse"