lunedì 30 agosto 2021

"D'amore e ombra", Isabel Allende

Los Riscos (Cile), anni '80. La signora Ranquileo e la signora Flores partoriscono le loro bambine quasi contemporaneamente. Di estrazione sociale diversa - poverissima la prima, benestante la seconda - alla prima poppata si rendono subito conto dal colore dei capelli che le due piccole sono state scambiate. Denunciato il fatto, escono dall'ospedale una con la figlia dell'altra, sicure che presto tutto verrà sistemato.
Ma l'ospedale non ha nessun interesse ad ammettere l'errore...
Così le due bambine, entrambe chiamate Evangelina, finiscono per crescere nella famiglia invertita.
A 15 anni la bionda Evangelina Ranquileo, così diversa da tutti i suoi fratelli, inizia a manifestare i sintomi dell'epilessia che si traducono in puntuali attacchi che la colpiscono a mezzogiorno in punto.
Senza lo scambio la sua agiata famiglia naturale l'avrebbe probabilmente portata da un medico, che avrebbe riconosciuto la malattia e che l'avrebbe curata di conseguenza.
I pochi mezzi dei Ranquileo, invece, ne determinano l'ignoranza e la ragazzina viene "visitata" da guaritori, indovini e sacerdoti capaci solo di trasformarla in un piccolo fenomeno locale.
Quando si sparge la voce che Evangelina sembrerebbe in grado di compiere miracoli durante le sue trance è l'inizio della fine perchè la massa di curiosi e disperati finisce per attirare anche i militari.
Ma anche una giornalista, Irene Beltram, e il suo fotografo, Francisco Leal.
E da lì ci sarà l'amore (il loro) e tanta ombra: perchè quello è il Cile di Pinochet.

Era l'11 settembre 1973 quando Salvador Allende, zio dell'autrice, venne deposto (e successivamente ucciso) dall'azione militare appoggiata e finanziata dagli Stati Uniti ("Non è un momento della storia degli Stati Uniti di cui andiamo particolarmente orgogliosi": così disse il segretario di Stato Colin Powell negli anni della presidenza Bush figlio, quindi una trentina d'anni dopo...). Fu l'inizio della dittatura del generale Pinochet, che restò al potere fino all'11 marzo 1990 e che per altri otto anni rimase a capo delle forze armate del Paese. Diventato in seguito senatore a vita, cosa che gli garantì l'immunità parlamentare fino al 2002, venne poi arrestato nel Regno Unito (su mandato del Governo spagnolo) accusato, fra le altre cose, di crimini contro l'umanità, ma per motivi di salute non venne mai processato. Rientrato in Cile vi morì nel 2006, evitando ogni tipo di processo.

Isabel Allende scrisse "D'amore e ombra" nel 1984, quando viveva in Venezuela già da alcuni anni dopo aver lasciato il Cile nel '75: una posizione sicura, ma ciò non sminuisce il suo coraggio nel raccontare "dall'interno" quella che fu una delle più sanguinose dittature mai esistite e non la sola per cui bisogna "ringraziare" la longa manus degli USA, che quando devono difendere i propri interessi in una data area non temono rivali.

Il romanzo è meraviglioso e, come gli altri dell'autrice, ricorda la tessitura: trama e ordito si intrecciano e, avanzando regolarmente, danno vita a un tessuto di enorme qualità. Bisogna essere fortemente miopi per vedere in "D'amore e ombra" solo la storia d'amore, anche se contiene la più bella descrizione che abbia mai letto dell'atto sessuale fra due persone.

"D'amore e ombra" è una storia di ingiustizia e repressione. Una storia di ignoranza multistrato.

Quella di certi militari, verso i quali la Allende riesce ad accordare una magnanimità che le fa fin troppo onore ("Ti hanno fatto credere che avevi un potere, ti hanno martellato il cervello col rumore degli altoparlanti in caserma, te l'hanno ordinato in nome della patria e così ti hanno accollato la tua dose di colpa, perchè tu non potessi lavartene le mani e rimanessi legato per sempre da pastoie di sangue").

Quella dei borghesi, a cui dava una giustificazione per scegliere di non vedere ("Solo i più indolenti poterono, ancora una volta, ignorare i segni e rimanere impassibili").

E quella della povera gente, che non ha mai avuto nessun mezzo per riscattarsi da essa.

Attraverso le vicende di Irene e Francisco la Allende ha romanzato la reale vicenda vissuta da alcuni conoscenti. La dittatura di Pinochet produsse qualcosa come 40.000 vittime, di cui 2.000 morti accertati e 38.000 scomparsi. E' notizia fresca di nove giorni quella della richiesta di estradizione da parte dell'Italia di tre ex militari cileni per l'uccisione di due desaparecidos di origine italiana.

"Comparvero nuove tombe, fosse comuni nei cimiteri, sepolture lungo le strade, sacchi sulla costa trascinati dalle onde, ceneri, scheletri, brandelli umani e persino corpi di bambini con un proiettile tra gli occhi accusati di succhiare al petto materno dottrine esotiche, lesive della sovranità nazionale e dei più alti valori della famiglia, della proprietà e della tradizione"

Il generale scrollò le spalle tranquillamente "perchè la patria viene anzitutto e io verrò giudicato dalla storia".

Peccato che il tribunale ti abbia fatto troppa paura.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di agosto (l'autrice è nata il 2 agosto 1942)
 

 

domenica 29 agosto 2021

"Miasmi e umori", Carlo Maria Cipolla


In epoca medievale la peste, che arrivava a uccidere il 70-80% degli infetti, costituiva una sciagura a ogni latitudine e longitudine. Nel 1348 a Venezia venne istituita la Magistratura di Sanità con lo scopo di prevenire le continue epidemie. Questi uffici, in principio temporanei e che solo successivamente divennero permanenti, si espansero in tutta l'Italia settentrionale che fino al 1700 grazie a essi si distinse nel settore della prevenzione sanitaria rispetto a tutto il resto dell'Europa.

Quello di Firenze venne creato nel 1527 e in questo breve saggio Carlo Maria Cipolla analizza i dati raccolti tramite i documenti dell'epoca (relazioni risalenti agli anni dal 1608 al 1627) conservati presso l'Archivio di Stato di Firenze.
Riportando ampie parti delle relazioni mediche redatte ai tempi, non è stata per me una facile lettura, ma l'ho trovata indubbiamente interessante. Presenta un reale spaccato di quella che era la vita quotidiana dei nostri avi, alle prese non solo con la peste (
che veniva considerata il male assoluto, tanto da arrivare a usare la parola "contagio" come sinonimo), ma anche con malaria, tifo petecchiale, infezioni gastro-intestinali, vaiolo, otite, parotite, fino alla comune influenza.

E, naturalmente, evidenzia tutti i (grandissimi) limiti della medicina del seicento. Non sapevano dell'esistenza di microbi e di virus e ignoravano che alcune malattie avessero bisogno di un vettore per propagarsi. Il loro concetto di "contagiosità" era diverso da quello attuale, si basava su miasmi e umori e pensavano che le persone si infettassero per esalazione o per contatto epidermico, anche attraverso semplici oggetti (da qui l'uso di bruciare le cose toccate dai malati). Una teoria sbagliata sulla quale si basò la medicina dalla fine dell'età classica agli inizi dell'età contemporanea. E tutto veniva adattato ad essa, per esempio attribuivano lo scoppio di epidemie prevalentemente durante l'estate al peggioramento dei miasmi a causa del caldo, senza sapere che era il periodo di maggior proliferazione delle pulci.

Per questo ciò che le Magistrature di Sanità cercavano di combattere conducendo ispezioni igienico-sanitarie era soprattutto la sporcizia che in ogni angolo d'Europa provocava fetori. Le fognature erano inadeguate, spesso a cielo aperto o del tutto assenti e la relativa scarsità di letame per fertilizzare i campi portava i contadini a comprare anche escrementi umani, che però dovevano essere asciutti e che quindi venivano raggruppati in montagnole nei pressi delle abitazioni (per fortuna ho letto il libro in edicola, quindi sempre lontano dai pasti...).

A questo problema si aggiungevano quello delle acque stagnanti e quello delle sepolture, spesso eseguite in fosse poco profonde e/o in tombe non adeguatamente sigillate (solo nella seconda metà del 1700 venne imposta la creazione di cimiteri lontani dai centri abitati).

La puzza generale doveva essere insopportabile e a questo disagio si aggiungeva la convinzione che fosse la causa delle epidemie.

Le relazioni dei medici riportate dall'autore raccontano le tante erronee convinzioni che avevano, ad esempio riguardo alle malattie bronco-polmonari pensavano che il freddo dell'inverno creasse un ammasso di umori nel cervello, umori che con l'aumento delle temperature successivamente si scioglievano finendo in gola e poi nel petto soffocando e uccidendo il malato.
Ed evidenziano tristemente come all'epoca non ritenessero necessario includere nella casistica il numero di decessi fra bambini e adolescenti perchè ne morivano tanti anche nei periodi normali e quindi erano superflui per valutare la gravità di un'epidemia.

L'autore sottolinea come "medicine" e "cure" spesso facessero più male che bene: salassi, purghe ed emetici aumentavano la mortalità di circa due terzi. Paradossalmente chi era povero e non poteva ricorrere alla cure mediche, ne giovava.

Da accademico specializzato nella storia dell'economia, Cipolla fornisce alcune valutazioni piuttosto ciniche, ad esempio sull'effetto positivo che aveva sull'economia la morte nell'arco di pochi mesi di un terzo o di un quarto della popolazione là dove essa era in eccesso rispetto al capitale disponibile. O, come nel caso della malaria, evidenziando il problema che causava sul piano economico indebolendo chi ne aveva sofferto minandone così la produttività e facendolo diventare un fattore determinante di miseria e di ristagno economico.

Ma l'attuale pandemia porta inevitabilmente a riflettere sulla fortuna che, nonostante tutto, abbiamo nel vivere questa situazione nella nostra epoca: basti pensare che l'isolamento dovuto alla quarantena nel Medioevo, e oltre, portava le persone a morire letteralmente di fame!

E c'è chi parla di dittatura per il Green Pass!


Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di agosto (l'autore era nato il 15 agosto 1922)

 

 

venerdì 27 agosto 2021

"Doppio vetro", Halldora Thoroddsen

Reykjavik (Islanda), inizio autunno 2007. Una donna di 78 anni già da un decennio si è organizzata per la vecchiaia: si è trasferita in un appartamento più piccolo nel quartiere di Lindargata, selezionando fra mobilio e oggetti solo le cose a lei più care. Vedova da tempo, con figli e nipoti non particolarmente presenti nella sua vita, si è creata una routine fatta di piccole abitudini confortanti, dalla colazione a base di flakaka con burro e formaggio a qualche serata trascorsa al bar bevendo un bicchierino di gin. Ma quello che fa sempre più spesso è osservare il mondo attraverso il doppio vetro della sua finestra.

Molti denigrano Wikipedia, ma per me rappresenta spesso una rapida e utile fonte di informazioni. Di Halldora Thoroddsen, mancata a luglio dell'anno scorso, mi dice che era una scrittrice versatile: ha pubblicato quattro raccolte di poesie, una di racconti, una microstoria e due romanzi, il primo dei quali è stato "Doppio vetro".

Scritto nel 2015, vincitore del premio per la letteratura femminile islandese nel 2016 e del Premio letterario dell'Unione Europea l'anno successivo, è stato tradotto in italiano nel 2019 e all'epoca lo avevo inserito nella mia wish list dopo aver letto una recensione sulla news letters (se non ricordo male) de "Il libraio", dove veniva paragonato a "Le nostre anime di notte", che ho tanto amato.

Il confronto non regge. Il libro di Kent Haruf è vivo, questo è un libro stanco dove la promessa fatta nella sinossi ("...ci immergiamo in un'avventura sentimentale che raramente trova voce in letteratura") non viene mantenuta: c'è, sì, un incontro fra la protagonista e un suo quasi coetaneo - Sverrir, un ex chirurgo di 75 anni, divorziato e vegetariano ("Un giorno lo sono diventato, di punto in bianco. Sento che mi fa meglio") - c'è un risveglio dei sensi e ritorna la voglia di realizzare dei progetti comuni in una fase della vita in cui si è soliti pensare soltanto che sta per finire ("Nessuno si aspetta mai che costruiamo un nido sull'orlo della fossa"), ma il tutto è troppo marginale, ridotto a una manciata di (belle) frasi ("L'unica cosa che non ha età è l'amore: colora ogni fase, anche se le sfumature cambiano con gli anni") e di situazioni.

Forse il libro è troppo breve. Anche quello di Haruf, con le sue 170 pagine, lo è, ma credo che Iperborea abbia usato un font grande per il cartaceo di "Doppio vetro" perchè ho impiegato circa un'ora per leggerlo (sul Kindle): io sono lenta, 106 pagine in un'ora non riesco a leggerle e alla fine mi è rimasta una sensazione di inappagamento dovuta proprio a una mancanza di approfondimento.

L'autrice scriveva indubbiamente bene, ma in mezzo ad alcune belle metafore - come quella della vita coniugale vista come una barca costruita dalla coppia, una barca che fende le onde del mare, a volte in alto mare - tutto è stato solo abbozzato e quello che ne viene fuori è un piccolo volume cupo che parla soprattutto di morte, evidenziando il decadimento della vecchiaia.
Manca del tutto la speranza che Haruf era riuscito a dare all'autunno della vita.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di agosto (l'autrice era nata il 2 agosto 1950)

 

 

domenica 22 agosto 2021

"Il gioco di Ripper", Isabel Allende

San Francisco (Stati Uniti), settembre 2011. Celeste Roko, la Paolo Fox della California, sul finire dell'estate annuncia in televisione che nei mesi successivi a San Francisco si sarebbe verificato un bagno di sangue.
Per Amanda la profezia della sua madrina diventa il pretesto per allargare alla realtà il gioco di ruolo on-line di cui lei è il master (e per dimostrare ancora una volta a Celeste l'infondatezza dell'astrologia): fino a quel momento si era limitata a costruire fantasiose vicende criminali, ambientate a Londra nell'epoca di Jack the Ripper, con cui mettere alla prova l'ingegno e le doti investigative dei partecipanti, altri quattro adolescenti come lei sparsi per il mondo con l'aggiunta di suo nonno, a cui aveva affibbiato il ruolo del gobbo Kabel, non troppo acuto, ma servizievole e leale.
Dopo averli convinti non le rimane che setacciare la cronaca nera locale alla ricerca di casi particolari, estranei ai consueti atti di violenza di una grande città, che possano costituire un "bagno di sangue" fuori dal comune.
E che suo padre sia il capo della Sezione Omicidi di San Francisco può fare la differenza...

Quando sei Isabel Allende, puoi permetterti di approcciarti a un genere diverso dal tuo finendo con lo scrivere l'ennesimo bellissimo libro. Davvero non capisco le recensioni negative che vedo sia su IBS sia su Amazon, soprattutto da parte di chi specifica di amare l'autrice (e come si fa a non amare una scrittrice che si inventa il nome di Bruco Peloso per una galleria d'arte e che chiama Salvate-il-Tonno il gatto della protagonista?) e contemporaneamente la accusa di essersi persa in descrizioni inutili: la ricchezza di particolari, la costruzione dei personaggi, i riferimenti a situazioni reali del presente e del passato, fanno della Allende la grande autrice che è e fanno di questo romanzo un thriller intelligente, un thriller che - a differenza della maggior parte dei thriller comuni - porta a riflettere lasciando qualcosa dentro. E' un romanzo di spessore, come tutti gli altri suoi che ho letto, che ha in più la vicenda gialla.

Quest'ultima non ha nulla di eccezionale (ma a me è piaciuta moltissimo*), in forma ridotta e semplificata avrebbe potuto adattarsi a una puntata di "CSI Las Vegas" (*anche per questo), ma è molto ben costruita e sapientemente distribuita nel corso delle 462 pagine del libro. Nelle recensioni negative non poche persone lamentano il fatto che il giallo si riduce all'ultima parte e questo penso possa deludere un lettore di thriller alla Newton Compton (ma qui mi chiedo: si sono accorti di aver comprato un libro di Isabel Allende e non quello di un giallista di cui non esiste neppure la pagina su Wikipedia della sua nazione?), ma per me rappresenta una critica superficiale perchè in realtà il thriller inizia dalla prima frase del prologo e a poco a poco si sviluppa nei cinque macro capitoli (divisi a loro volta in sottocapitoli distinti dal giorno di riferimento) in modo via via sempre più incalzante: non è forse questo (tra le altre cose) il bello di un buon thriller?

E fra uno sviluppo e l'altro c'è semplicemente... Isabel Allende, con la ricchezza dei suoi personaggi, ognuno dei quali, anche quello di minor rilievo, ha una funzione precisa nel meccanismo della storia, e tramite le esistenze che ha inventato per loro l'autrice regala al lettore approfondimenti di storia e di attualità, con una capacità di analisi poco comuni anche fra i grandi autori.
Trovo avvilente che si possa bollare come "inutili divagazioni" le sue profonde considerazioni su divario e ingiustizia sociale, su violenza e giustizialismo. O come "noiose lungaggini" i suoi excursus, che questa volta vanno dai tupamoros uruguaiani alle bande di latinos che imperversano negli USA ai combattimenti fra cani, tematiche difficili da trovare in un banale thriller e di cui è insensato non apprezzare l'arricchimento che ne deriva.

E uno dei personaggi principali - Ryan Miller, ex soldato della Navy SEAL reduce della guerra d'Iraq - con i suoi ricordi della precedente missione in Afghanistan rende questo romanzo, datato 2013, dolorosamente attuale e profetico:

"Questa è una guerra d'occupazione, alla lunga insostenibile, perchè non si può sottomettere un popolo ribelle all'infinito"

"E' una guerra che si può vincere con il fuoco in campo, ma destinata a fallire sotto il profilo umano ed entrambe le parti lo sanno, è solo questione di tempo"

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di agosto (l'autrice è nata il 2 agosto 1942)

 






venerdì 20 agosto 2021

"Nove storie storiche", Cesare De Marchi


"Puoi togliere un genovese da Genova, ma non potrai mai togliere Genova da un genovese": una frase che evidentemente si adatta a Cesare De Marchi, mio concittadino classe 1949, se - dopo aver lasciato la città da ragazzo per laurearsi in filosofia a Milano ed essersi poi trasferito in Germania nel 1995 - nel 2013 ha pubblicato questa raccolta di racconti che sono un omaggio alla nostra Genova e alla sua storia.

Ogni racconto parte in sordina raccontando la semplice quotidianità di personaggi realmente esistiti o immaginati dall'autore, per arrivare al fatto concreto che è diventato una data importante nella storia della città.

"Congiura", com'è facilmente intuibile, racconta la Congiura dei Fieschi avvenuta il 2 gennaio 1547, quando gli scontri fra vecchia e nuova nobiltà delle antiche famiglie della Repubblica di Genova portarono al tentativo di eliminazione di Andrea Doria da parte di Gianluigi Fieschi.

"...vaneggiava anche lui al grido confuso, libertà, come se si potesse immaginarla una libertà più grande di quella che regnava sotto al vecchio Andrea..."

De Marchi ci porta a quella notte attraverso gli occhi del claudicante Giobatta (abbreviazione genovese di Giovan Battista), factotum di un altro Giobatta, il mercante Campodonico, che aspira ad avere una di quelle case nobili, con le facciate a fasce di marmi bianchi e neri, al punto di non voler prestare ascolto a quello che gli sta dicendo il suo omonimo riguardo a sua moglie e al Lavagna...

Con "Bombe" facciamo un balzo in avanti di 137 anni, al bombardamento navale francese subito da Genova fra il 17 e il 29 maggio del 1684. Da anni Re Sole mal digeriva la freddezza che gli riservavano i genovesi, ma non riuscì a piegare il nostro orgoglio neppure lanciando sedicimila bombe sulla città. Genova non accettò le condizioni di resa, lottò e non cadde in mano ai francesi.
E' il savonese Sebastiano Zunino - che, dopo una laurea in medicina ottenuta più per sfinimento che per merito, si inventa i suffimigi rettali per curare quei riccastri malati solo di noia aprendo uno studio a Genova, nella centralissima via Luccoli - ci racconta del pauroso bombardamento a cui assiste al sicuro sulle alture del Righi insieme alla sua amante napoletana.

"Insurrezione", il racconto più breve, appena sei pagine, ci trasporta di altri 62 anni, al 5 dicembre 1746. Dal 5 settembre dello stesso anno la città era caduta in mano austriaca. La sopportazione dei genovesi durò giusto tre mesi, finchè da un caso fortuito partì la rivolta del popolo: un ufficiale austriaco ordinò a un gruppo di uomini di aiutare i suoi soldati a spostare un mortaio che era rimasto intrappolato nel fango di via di Portoria. Ma dal gruppo un ragazzo - poco più che un bambino di cui l'identità non è mai stata accertata, ma che passò alla storia come il Balilla - gridando: "Che l'inse?" ("Comincio io?"), lanciò una pietra contro gli invasori che dovettero scappare per sfuggire ai colpi della fitta sassaiola che ne seguì. Il giorno dopo tornarono e oltre ai sassi trovarono ad attenderli anche i fucili. Dopo tre giorni di rivolta, il popolo insorto riuscì a ottenere dagli austriaci prima una tregua e poi il ritiro.

"Queste sono le chiavi che con tanta franchezza loro signori serenissimi hanno dato ai nostri nemici; procurino in avvenire di meglio conservarle, perchè noi con il nostro sangue le abbiamo recuperate"

Sono le parole con cui il capo-popolo Giovanni Carbone, garzone di osteria, riconsegnò al doge le chiavi della città dopo averle ottenute dagli austriaci.

De Marchi ricorre al camallo Luigi, u barba (lo zio) del Balilla, per raccontare questo episodio che nel secolo successivo diventerà un esempio fondamentale per i moti rivoluzionari italiani ed europei.

(PS: gli austriaci, per i quali la conquista di Genova era diventata il principale obiettivo militare, ci riprovarono l'anno successivo, finendo con l'essere definitivamente respinti e optando per terreni di conquista più facili)

81 anni dopo il racconto "Patrioti" ci porta in via Lomellini, nella casa natale di Giuseppe Mazzini, che un giorno presenta i fratelli Ruffini a  un amico milanese di passaggio in città, il mercante Carlo Bosetti che - indifferente al magma che ribolle nel Regno di Sardegna e in quello Lombardo-Veneto, ma interessato solo ai dazi che gli austriaci gli impongono prima per comprare la lana e poi per smerciare i tessuti che produce - si spaventa per gli accenni alla Carboneria, senza rendersi neppure conto che in quel salotto gli altri tre stanno facendo l'Italia...

In "Traversata" De Marchi racconta l'opprimente viaggio in terza classe compiuto nel 1869 da un quattordicenne della Valpolcevera costretto, come tanti, ad andare in Argentina a "cercar fortuna": perchè anche noi genovesi, anche noi italiani, siamo emigrati per disperazione.
A Buenos Aires c'è un quartiere genovese, La Boca. "Ma se ghe penso", la canzone genovese per eccellenza, venne scritta nel 1925 e racconta proprio di un genovese emigrato in Sud America che sogna di tornare.


O l'ëa partîo sensa 'na palanca
L'ëa zà trent'anni, forse anche ciû
Ô l'aiva lottòu pe mette i dinæ a-a banca
E poèisene ancon ûn giorno turnâ in zû
E fâse a palassinn-a e o giardinetto
Co-o rampicante, co-a cantinn-a e o vin
A branda attaccâa a-i ærboi, a ûso letto
Pe dâghe 'na schenâa seja e mattin
Ma o figgio ô ghe dixeiva: "No ghe pensâ
A Zena cöse ti ghe vêu tornâ?!"

Ma se ghe penso allôa mi veddo o mâ
Veddo i mæ monti e a ciassa da Nûnsiâ
Riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu
Veddo a lanterna, a cava, lazû o mêu
Riveddo a-a seja Zena inlûminâa
Veddo là a Fôxe e sento franze o mâ
E allôa mi penso ancon de ritornâ
A pösâ e össe dove'hò mæ madonnâa

O l'ëa passòu do tempo, forse tróppo
O figgio o l'inscisteiva: "Stemmo ben
Dove ti vêu anâ, papà? Pensiemmo dóppo
O viaggio, o mâ, t'é vëgio, no conven!"
"Oh no! Mi me sento ancon in gamba
Son stûffo e no ne pòsso pròppio ciû
Son stanco de sentî: señor, caramba
Mi vêuggio ritornâmene un po' in zû
Ti t'é nasciûo e t'hæ parlòu spagnòllo
Mi son nasciûo zeneise e no ghe mòllo!"

Ma se ghe penso allôa mi veddo o mâ
Veddo i mæ monti e a ciassa da Nûnsiâ
Riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu
Veddo a lanterna, a cava, lazû o mêu
Riveddo a-a seja Zena inlûminâa
Veddo là a Fôxe e sento franze o mâ
E allôa mi penso ancon de ritornâ
A pösâ e osse dove'hò mæ madonnâa

E sensa tante cöse o l'è partïo
e a Zena o gh'à formóu torna o so nïo.
- Lëzi o têsto originale


Era partito senza un soldo,
erano già trent'anni, forse anche più.
Aveva lottato per mettere i denari in banca
e potersene un giorno venire in giù
e farsi la palazzina e il giardinetto,
con il rampicante, con la cantina e il vino,
la branda attaccata agli alberi a uso letto,
per darvi una schienata sera e mattina.
Ma il figlio gli diceva: "Non ci pensare
a Genova, cosa ci vuoi tornare?!"

Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove ho mia nonna.

Ed era passato del tempo, forse troppo,
il figlio insisteva: "Stiamo bene,
dove vuoi andare, papà?.. penseremo dopo,
il viaggio, il mare, sei vecchio, non conviene!" -
"Oh no, oh no! mi sento ancora in gamba,
sono stufo e non ne posso proprio più,
sono stanco di sentire señor carramba,
io voglio ritornarmene ancora in giù...
Tu sei nato e hai parlato spagnolo,
io sono nato genovese e... non mi mollo!"

Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove ho mia nonna.

E senza tante cose è partito
e a Genova ha formato di nuovo il suo nido.
 
  
Con "Disfatta" arriva il cambio di secolo: un uomo di 36 anni legge su "Il Secolo XIX" le pessime notizie in arrivo dal fronte. E' il 1917 e la disfatta, naturalmente, è quella di Caporetto. Durante il tragitto casa-lavoro, da via Nizza a Piazza De Ferrari, il protagonista all'improvviso cambia idea e, anzichè andare in ufficio, sale in Carignano dove c'è il distretto militare, con l'intenzione di arruolarsi come volontario.

Con "
L'intruso" De Marchi salta a piè pari la seconda guerra mondiale: siamo nell'immediato dopoguerra e il professor Peiré, cardiologo di fama internazionale, si trova a dover fare i conti con un paziente poco gradito, un ex compagno di scuola.
E' il racconto più lungo e quello che mi è piaciuto di meno. Stona con gli altri, di genovese c'è solo l'ambientazione, di storico non c'è nulla.
Ho apprezzato solo una frase:

"C'è sempre una proporzione diretta tra la quantità di quattrini che uno possiede e la quantità del suo pelo sullo stomaco"

Il protagonista di "Speranze" è un diciottenne figlio della borghesia che sul finire del 1968 abbandona gli studi e la famiglia incapace di sopportare quell'ingiustizia sociale che gli fa godere agi di cui altri sono privi senza demerito.
Genova ha dato ben altro al '68 italiano...

E si finisce nel 1992 con "La mazzetta" che avrebbe avuto un'ambientazione più consona a Milano, dove difatti un assessore genovese si reca per incontrare un riconoscibile Bettino Craxi da cui si aspetta le rassicurazioni di cui ha bisogno per continuare a poter pensare che quei taglieggiamenti sono in realtà operazioni così meritorie che, a suo avviso, dovrebbero essere riconosciute legalmente.

C'è molta Genova in questa raccolta (comprese - qua e là - parole, frasi ed espressioni dialettali che, senza note di traduzione a margine, non so quanto possano essere comprensibili per un "foresto"), ma per me non ce n'è  abbastanza: manca un racconto sulla seconda guerra mondiale (dov'è finito l'orgoglio genovese dell'autore, così evidente nel descrivere la storia dei secoli scorsi, ma che non ritorna per fargli raccontare di come Genova sia stata l'unica città europea in cui il Terzo Reich si è arresto ai partigiani?) e manca un racconto sul G8 del 2001.

Due eventi imprescindibili se si vuole raccontare la storia della mia città.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia normale di agosto (libri collegabili a uno stesso film: ho scelto "Genova", con Colin Firth)

 

lunedì 16 agosto 2021

"Topi", Gordon Reece


Campagna all'estrema periferia di Londra, 11 aprile di un anno recente. Sono le 3 e 33 del mattino quando Shelley viene svegliata all'improvviso dall'inconfondibile scricchiolio del quarto gradino della scala. Non ha dubbi: qualcuno è entrato nel cottage e sta salendo al piano superiore. E non sbaglia. Nel giro di pochi minuti il ladro, minacciando lei e la madre con un coltello, le conduce di sotto, le lega alle sedie e comincia ad ammucchiare la refurtiva in un borsone.
Nessuno può sentire i rumori che produce. Nessuno le sentirebbe se provassero a urlare. Hanno scelto quel cottage proprio per il suo assoluto isolamento circondato com'è dai campi e con la prima abitazione a un chilometro di distanza. Avevano bisogno di un posto dove nascondersi per sentirsi al sicuro dopo che Shelley era finita in ospedale, vittima di bullismo scolastico.
Perchè lei e la madre sono come i topi, che davanti agli attacchi dei gatti non sanno reagire: possono solo scappare per cercare un posto dove nascondersi.

Scritto nel 2010, "Topi" rappresenta il romanzo di esordio per questo inglese classe 1963, a cui non credo ne siano seguiti altri. Dalla rete ho appreso che Reece - autore di fumetti, graphic novel e di libri illustrati per ragazzi - ha da tempo lasciato l'Inghilterra per la Spagna trasferendosi poi definitivamente in Australia, ma non sono riuscita a trovare altri suoi romanzi. Non è importante, non sono nemmeno sicura che vorrei leggerli, se esistessero.

In questo la voce narrante è quella di Shelley, sedici anni, e questo dà al libro uno stile molto simile a quello dei Young Adult, cosa che non reputo negativa, mentre mi ha a tratti annoiata l'incessante ripetizione degli eventi e sono rimasta a dir poco perplessa da certe esternazioni e da alcuni collegamenti, come quello fra il sangue di un corpo ferito e il sangue mestruale, relazione che porta l'autore a chiedersi se il sangue possa essere una prerogativa delle donne e da lì a ipotizzare che sia per questo che tante diventano infermiere! Mah.

"Topi" è comunque un thriller abbastanza particolare, che si fa leggere facilmente (ma qualcuno alla Giunti non stava bene quando ha deciso di scrivere nella sinossi che il libro ha "un ritmo che inchioda alla pagina e una suspense che non ha nulla da invidiare ai capolavori di Hitchcock"!!), ma di cui condivido davvero poco.

Caratterialmente ho trovato esasperante la remissività di Elizabeth, la madre della giovane protagonista, un'arrendevolezza che - oltre a contrastare con il ruolo di avvocato (addirittura "geniale") che Reece ha scelto per lei -  trasmette alla figlia, una ragazzina con cui ho faticato a empatizzare, in parte per il disprezzo che manifesta in più occasioni nei confronti degli animali, ma soprattutto perchè (per mia fortuna) inconciliabile col com'ero io alla sua età.

Salvo poi arrivare alla reazione tanto agognata nel momento e nel modo sbagliati.

"Avevo trasformato uno spiacevole, ma comune furto domestico in un disastro di proporzioni monumentali"

Una frase che ben rappresenta la visione a senso unico che lega gli avvenimenti del libro, un egoismo che sarebbe accettabile se limitato al pensiero della protagonista, ma che purtroppo è proprio il messaggio trasmesso dal libro e non sarò mai d'accordo con il concetto di giustizia a qualunque costo.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla terza traccia annuale, "sei libri, l'iniziale dei titoli deve formare la parola Austen"
 

giovedì 12 agosto 2021

"La figlia della fortuna", Isabel Allende


Valparaíso (Cile), 15 marzo 1832. Una neonata cilena viene abbandonata dentro a una cesta lasciata all'ingresso della Compagnia Britannica d'Importazione ed Esportazione.
Rose Sommer - che ha vent'anni e che da due vive in Cile, dove l'hanno portata i fratelli Jeremy e John per metterla al riparo dallo scandalo che irrimediabilmente l'avrebbe colpita in Inghilterra - vede in questa bambina la figlia che non avrà mai perchè per lei l'amore è un capitolo chiuso. Dà alla piccola un nome e anche il suo cognome ed è così che Eliza Sommers cresce in balia degli umori di questa donna bizzarra, che le impone una rigida educazione, ma che è anche capace di dimenticarsi di lei per lunghi periodi durante i quali a prendersene cura è Mama Fresia, la nutrice araucana.
In questo modo Eliza cresce nella contrapposizione fra i dogmi protestanti e la magia, fra i rigori anglosassoni e la passionalità, parlando inglese e spagnolo...
Fino a incontrare il cileno Joaqu
ín Andieta e il cinese Tao Chi'en, i due uomini che in modi diversi determineranno il futuro di questa figlia della fortuna.

Un altro meraviglioso romanzo firmato Allende. Diviso in tre parti che coprono dieci anni, dal 1843 al 1853 (quindi dagli 11 ai 21 anni della protagonista), ciò che racconta va ben oltre la storia di Eliza e degli altri personaggi: tutti loro sono un pretesto per raccontare fatti reali e questa volta la Allende descrive, con la sua innata bravura, uno spaccato della metà del diciannovesimo secolo non limitandosi al Nuovo Mondo, ma allargando alla Cina e (molto più marginalmente) all'Inghilterra.

I suoi romanzi trasmettono cultura e spingono a cercare approfondimenti in rete, immancabili visti i temi importanti che riesce sempre a trattare.

Questa volta abbiamo la soppressione e la sottomissione degli indios da parte degli spagnoli...

"Ma nessuno denunciava il destino degli indios, privati delle loro terre e ridotti in miseria, né degli affittuari dei campi, che come gli animali venivano venduti ed ereditati con la terra"

Il modo in cui, nonostante la schiavitù in Cile fosse stata abolita (perchè in fondo "non essendoci piantagioni il traffico di africani non era redditizio"), si fosse trovato il modo per importare legalmente carichi di schiavi cinesi e polinesiani.

L'insediamento degli inglesi in Cile, che in meno di vent'anni avevano trasformato posti come la "misera borgata" di Valparaíso in un porto importante. Che dava agli inglesi (non ai cileni) il controllo del traffico marittimo del Pacifico...

"Sotto quella parvenza di pace assoluta c'era una città intera di velieri spagnoli inabissati e scheletri di patrioti con una pietra legata alle caviglie"

Gli scontri culturali e religiosi, con l'immancabile presunzione europea...

"Non dobbiamo provocare i nativi. Questa è gente molto superstiziosa"
"Le credenze altrui sono superstizioni, Mr Todd. Le nostre si chiamano religione"

"Di araucani non ne sarà rimasta che una manciata. Questa gente ha il vizio di farsi massacrare" specificò il fratello
"Erano gli indigeni più selvaggi d'America, Mr Todd. La maggior parte morì combattendo contro gli spagnoli. Erano cannibali"
"I prigionieri li tagliavano a pezzi da vivi: la cena la gradivano fresca" aggiunse il capitano
"Lei e io faremmo la stessa cosa se qualcuno ci uccidesse la famiglia, mettesse a fuoco il villaggio e ci rubasse la terra"

E, ancora, le guerre dell'oppio tra Cina e Gran Bretagna; la situazione dei messicani californiani dopo l'annessione della California, appunto, agli Stati Uniti; quella degli indiani d'America; e quella delle Sing Song Girls cinesi, un traffico di piccole schiave che, insieme ai monopoli su alcool e oppio, generò la nascita della Mafia Cinese, creata dalla Cina come organizzazione umanitaria per sostenere i connazionali che andavano a lavorare in America, ma che - senza il sostegno economico necessario da parte della Cina stessa - presto iniziò a mantenersi con questi traffici illeciti diventando l'organizzazione criminale che tutti conosciamo.

Non manca l'inserimento di personaggi realmente esistiti (Ludovico I di Baviera e Lola Montez; Joaquin Murrieta e Jack Tre Dita), anche questi interessanti da cercare e approfondire.

E i personaggi di fantasia, per i quali la Allende costruisce una storia dettagliata e una personalità accurata, creano uno splendido arcobaleno di culture ed etnie diverse, il tutto raccontato con la sua grandissima capacità nell'arte della scrittura.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di agosto (l'autrice è nata il 2 agosto 1942)

 

domenica 8 agosto 2021

"Perchè mi appartieni", Mary Higgins Clark e Alafair Burke


Greenwich Village (New York), giorni nostri. Kendra Bell, 39 anni, non ha cambiato casa nonostante cinque anni prima suo marito Martin sia stato ucciso proprio sul vialetto di accesso. Un omicidio irrisolto e da allora la donna non è mai riuscita a scrollarsi di dosso il sospetto di essere lei la mandante. A crederlo sono soprattutto Cynthia e Robert, i rigidi e potenti genitori di Martin, convinti di aver generato il figlio perfetto e sempre più smaniosi di ottenere l'affido dei due nipoti, Bobby e Mindy.
Per questo si rivolgono con insistenza alla produttrice televisiva Laurie Moran, assicurandole la piena partecipazione della nuora.
Ma allora perchè Kendra aveva opposto un netto rifiuto quando pochi mesi prima la stessa Laurie l'aveva contattata riconoscendo nell'assassinio di Martin un caso perfetto per la sua trasmissione?

Sesto romanzo con protagonista Laurie Moran e quinto firmato anche da Alafair Burke per la serie "Under Suspicion". La storia gialla di ogni romanzo è autoconclusiva, mentre la trama orizzontale che riguarda la vita personale della protagonista si evolve.

Ho invece perso il conto del numero dei libri postumi
a cui si è arrivati. Come ho detto in ogni recensione dei libri della serie, amo i cold case e per questo speravo che la Burke non abbandonasse il personaggio di Laurie continuando a inventare nuove indagini per lei, ma il finale di questo - proprio la frase conclusiva - potrebbe rappresentare degnamente la chiusura di un ciclo e questo mi dispiacerebbe molto.

Se i romanzi di Mary Higgins Clark sono tutti molto simili fra loro, ancora di più lo sono quelli di questa serie, ma mi piacciono e mi coinvolgono sempre allo stesso modo. Immancabili i risvolti rosa, gli scenari da alta società, i particolari lussuosi e i personaggi di successo con vite perfette, ma la vicenda gialla anche in questo caso è ben costruita, ogni dettaglio trova il suo incastro logico e se anche certe dinamiche mi fanno pensare che l'autrice vivesse nell'ovatta, al di fuori del mondo reale (ma chi può riuscire a immaginare dei poliziotti complimentarsi con l'autrice per aver risolto dei vecchi casi in un programma che, così facendo, ha svelato mancanze, errori e superficialità da parte degli investigatori dell'epoca?!?), l'assurdità di certe sparate mi strappa un sorriso per l'affetto che provo verso quella che per me è "la Mary".

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla quarta traccia annuale, "cinque libri, ognuno ambientato in un continente diverso" (Americhe)