domenica 31 luglio 2022

"Eileen", Ottessa Moshfegh

New England, fine dicembre 1964. Eileen Dunlop ha 24 anni e da tre lavora come segretaria in un riformatorio maschile. Orfana di madre, vive con il padre alcolizzato. Ama leggere, ma solo storie truci, reali o di fantasia, mentre non le piacciono né la musica né ballare e neppure le trasmissioni divertenti di cui tutti sembrano andare pazzi. E' una vergine puritana, magra e spigolosa, con i capelli castano chiaro, piccoli occhi verdi e la pelle pallida butterata dai segni dell'acne. E' sempre molto infelice e arrabbiata.
E' così che descrive se stessa cinquant'anni dopo, quando ormai è una vecchia signora che porta un nome diverso da Eileen, abbandonato in quel Natale del '64 insieme alla sua casa e alle sue radici. Un sogno che progettava da tempo, ma che nell'arco di una notte era diventato una necessità.
Tutto era cominciato con l'arrivo al carcere minorile della nuova direttrice pedagogica, Rebecca Saint John.

Ottessa Moshfegh, bostoniana classe 1981, è partita con il botto vincendo con questo suo primo romanzo (scritto e pubblicato nel 2015)
il PEN/Hemingway Award per l'opera prima, oltre ad essere stata finalista del National book Critics Circle Award e del Man Booker Prize. In Italia è diventata famosa per la sua seconda opera, "Il mio anno di riposo e oblio", che leggerò senz'altro, anche se aspetterò il momento giusto: dal titolo, dalla trama e dallo sguardo della ragazza in copertina - e forte dell'esperienza fatta con "Eileen" - penso ci voglia la giusta predisposizione d'animo onde evitare di spararsi un colpo alla tempia. Perché già "Eileen" è un notevole concentrato di depressione. Con uno stile elegante - nonostante contesti e situazioni che sono l'antitesi della raffinatezza (si parla più di vomitare che di sentimenti) - l'anziana voce narrante ci racconta la settimana che precede la sua fuga dalla cittadina, che lei chiama X-ville. I capitoli scandiscono proprio ogni singolo giorno e - ad eccezione del penultimo, il più lungo e dinamico - gli altri si trascinano lentamente, con la ripetizione di gesti e circostanze sempre uguali, ma dove viene descritto anche il passato di Eileen e della sua famiglia. Una storia fortemente introspettiva di degrado, di solitudine e di miseria, più a livello umano che economico, con una carenza di igiene che - se è una inevitabile conseguenza in casi di simile disagio - qui viene descritta e utilizzata in maniera ossessiva dall'autrice per trasmettere stati d'animo che non hanno mai nulla di neanche lontanamente piacevole.

"Adoravo vedere un uomo piangere, un debole che mi ha trascinato in infinite storie con tipi depressi e lamentosi"
Una buona lettura, a patto di essere preparati ad affrontare 224 pagine di pura decadenza, dove la sola cosa bella sono i grandi occhi neri di un cervo e l'immagine di lui che si riprende dallo spavento e corre via sparendo nel bosco.
"La caccia era una cosa per gente primitiva, brutale, ottusa e insensibile"

Reading Challenge 2022, traccia di luglio: un libro con solo il nome e/o il cognome di una persona nel titolo

sabato 30 luglio 2022

"Vicine di casa", Caroline Corcoran

Londra, dicembre 2018 (o giù di lì). Harriet e Lexie hanno rispettivamente 32 e 33 anni, fanno lavori creativi e appaganti, vivono in una bella zona di Londra e condividono le pareti di casa.
Con una curiosità degna di mia nonna, che arrivava a distendersi sul pavimento usando un bicchiere come cassa acustica per sentire meglio, le due origliano reciprocamente quello che avviene nell'altro appartamento e si spiano sui social. Non hanno mai condiviso neppure un viaggio in ascensore, ma sono convinte di sapere tutto l'una dell'altra, covando un'invidia sempre più profonda e malata.
Ma una delle due malata lo è per davvero...

Un thriller psicologico senza tante pretese che sarebbe stato molto più originale se la Corcoran avesse avuto l'idea che era venuta a me durante la lettura ripensando al suo prologo e mi dispiace non poterla spiegare, ma per farlo dovrei raccontare il vero finale.

Quello che posso dire tranquillamente è che proprio nel prologo la Corcoran informa subito il lettore che quello che ha in mano non è un testo di alta letteratura. Riferendosi a una coppia, infatti, scrive: 
"Sono sempre in due, come le barrette di un KitKat".
E' stata onesta.

Lo stile di scrittura è semplice e la storia parecchio scontata, può conquistare giusto chi di thriller non ne ha collezionati troppi, ma comunque si lascia leggere, non è certo il peggiore che mi sia capitato e, considerando che si tratta di un'opera prima, darò volentieri un'altra chance all'autrice se tradurranno anche i suoi prossimi titoli.

Questo lo sconsiglierei a due categorie di persone: a chi sta lottando contro la dipendenza dall'alcool (a occhio le due protagoniste sono ubriache o parlano di alcoolici in due terzi delle scene in cui compaiono. Il mix amaretto e Coca-Cola viene citato così tante volte che mi viene la nausea anche adesso che ne scrivo, e io non sono assolutamente astemia!) e a chi sta cercando (o ha cercato in passato) di avere un figlio senza riuscirci (io ho vissuto direttamente tutta la trafila di Lexie e la Corcoran descrive fin troppo bene quella continua altalena fra speranze e delusioni con cui ho convissuto per alcuni anni. Non mi ha fatto bene ripensarci).

Per contro è un libro che spinge a rivalutare positivamente i propri vicini di casa (anche quelli rumorosi o poco simpatici, l'importante è che non siano degli squilibrati) e che spinge a riflettere sul potere che oggigiorno i social hanno sulle persone.

"In fondo di questi tempi l'apparenza è tutto. Dietro le porte chiuse possiamo essere imperfetti, l'importante è che sembriamo felici su Facebook"

Reading Challenge 2022, traccia di luglio: un libro con una scena notturna in copertina


mercoledì 27 luglio 2022

"Il banditore", Joan Samson

 

Harlowe (New Hampshire), 1975. Il lungo e rigido inverno sta lentamente lasciando spazio alla primavera, che da sempre segna il ritorno alla vita per gli abitanti del piccolo centro rurale. Ma questa volta il cambiamento radicale viene portato da un uomo, Perky Dunsmore. Originario di una cittadina poco distante, racconta di aver girato le Americhe in lungo e in largo per oltre vent'anni prima di scegliere Harlowe come sua residenza definitiva. Ha comprato la vecchia casa dei Fawkes e si è messo a fare il suo lavoro: il banditore d'aste.
Con l'aiuto dello sceriffo Bob Gore gira di fattoria in fattoria facendosi dare vecchi mobili e carabattole di ogni genere riuscendo poi, grazie al suo indiscutibile carisma, a piazzare fino all'ultimo chiodo arrugginito durante le aste del sabato.
In principio sono tutti contenti: i locali nel veder sparire tutti quegli oggetti inutili accumulati nel corso di decenni, ricevendo in cambio anche qualche dollaro; e i forestieri, innamorati del brocantage.
Ma quando cantine e soffitte sono ormai svuotate Dunsmore non si ferma e continua a chiedere pretendere, sempre di più...

Opera prima e ultima di questa autrice statunitense morta ad appena 39 anni nel 1976, poche settimane dopo la pubblicazione del suo romanzo negli Stati Uniti. In Italia è stato scelto nel settembre dello scorso anno da Sperling & Kupfer come una delle due prime uscite per la loro nuova collana Macabre, dedicata alla letteratura horror.
L'edizione cartacea de "Il banditore" è davvero molto bella, con il taglio delle pagine di un rosso cupo che riprende il colore principale della copertina: in libreria mi aveva tanto colpita, anche se poi ho comprato la versione digitale per risparmiare.

La classificazione nel genere horror e, soprattutto, gli stralci delle recensioni apparse nei giornali americani elencate come prefazione al romanzo (in aggiunta a quella vera e propria di Paola Barbato), mi avrebbero fatto pensare a un libro impressionante se mia sorella (che lo ha letto mesi fa) non mi avesse avvisata del contrario: uno "spoiler" positivo perché lei - aspettandosi un libro "da paura" (genere che ama tanto) - era rimasta delusa, mentre a me è piaciuto, probabilmente proprio perché avevo aspettative diverse.

In quegli stralci viene detto che la storia ricorda quelle di Shirley Jackson: io, che della Jackson ho letto solo "La lotteria", ho ben poco su cui basare il confronto, ma da quel poco posso dire che, sì, lo stile è analogo, mentre non concordo con chi (Newsday) ha definito il finale come "il più violento e avvincente con cui abbiamo avuto a che fare da molto tempo a questa parte". Dopo aver letto questo giudizio, e forte del riferimento alla Jackson, mi aspettavo una conclusione degna di quella de "La lotteria", mentre non ci si avvicina neppure.

Non l'ho trovato neppure un libro "terrificante", né "spaventoso": ma è un gran bel horror psicologico, senza nessun rimando al paranormale (cosa che temevo).
Il lettore vive la vicenda dalla parte della famiglia Moore, subito presa di mira da Dunsmore. Dopo un inizio placido e rilassante - che porta a pensare a quanto sarebbe bello trovare un banditore capace di liberarci degli oggetti inutili facendoci anche guadagnare qualcosa senza doverci sbattere su Ebay o su Vinted - subentra presto una forte inquietudine e una grandissima rabbia sia verso quest'uomo (che chiaramente non è un benefattore), sia verso l'incapacità di reagire dei Moore e degli altri.

Nella postfazione, datata 2018, Warren Carberg (vedovo della Samson) racconta come la moglie per la sua storia si fosse ispirata a un incubo che aveva fatto e, sottolineandone l'attualità, traccia giuste analogie con il presidente degli Stati Uniti di quattro anni fa, Donald Trump, che - inneggiando ai presunti valori che hanno reso grande l'America e a quella libertà che certi americani giudicano inviolabile per loro arrogandosi anche il diritto di poter decidere di quella altrui - ha raccolto grandi consensi in quel tipo di elettorato di cui tutto il mondo ha avuto una degna visione il 6 gennaio 2021 con l'assalto al Campidoglio.

Perky Dunsmore, con le dovute proporzioni, è un imbonitore al pari di Trump e il romanzo è una chiara denuncia contro l'abuso di potere e una condanna alla sottomissione.
Io, da italiana, leggendo il libro non ho potuto fare a meno di pensare alla mafia perché quello che Dunsmore mette in atto è un'azione criminale di stampo mafioso: corrompe lo sceriffo, si circonda di picciotti e va in giro di fattoria in fattoria a chiedere il pizzo. Chi si oppone viene gambizzato o peggio. E non mancano lo strozzinaggio e la corruzione edilizia.

Circostanze effettivamente ben più horror di una casa infestata dai fantasmi.

Reading Challenge 2020, traccia di luglio: un libro di un genere che non leggi da molto (horror)



lunedì 25 luglio 2022

"Tre", Valérie Perrin

 

La Comelle (Borgogna, Francia), 3 settembre 1986. E' il primo giorno di scuola: Nina Beau, Etienne Beaulieu e Adrien Bobin stanno per iniziare la quinta elementare. L'unica cosa che hanno in comune è l'anno di nascita, il 1976, ma quando Nina si mette in mezzo agli altri due bambini prendendo ciascuno per mano nascono "i tre", un piccolo clan impenetrabile per chiunque, ma non indissolubile perché nel presente della storia - in quel dicembre 2017 dove comincia il libro - ci viene subito detto che due di loro non si vedono da diciassette anni e altri due non si parlano da quattordici.
A raccontarci tutti i perché è Virginie, la voce narrante del romanzo, anche lei nata nel 1976...

"Grazie a tutti i miei animali passati, presenti e futuri: mi fate crescere"

Questa è la frase con cui Valérie Perrin conclude i ringraziamenti al termine del libro ed è da lì che voglio iniziare a buttare giù le mie impressioni perché in questa storia emergono più che mai l'amore e il rispetto che l'autrice ha per gli animali. Dare alla sua protagonista principale, cioè a Nina adulta, il ruolo di direttrice di un rifugio per animali abbandonati è stata chiaramente una scelta dettata dal bisogno di dare voce a quei poveri esseri viventi che non possono raccontarci le loro pene. E la Perrin è una portavoce eccezionale.

Con passione e intelligenza porta il lettore a ragionare su come i bisogni degli animali non siano poi tanto diversi dai nostri:

"Nina entra nel gattile, dove è tutto uno stiracchiarsi, sbadigliare e pazientare. Le bestiole aspettano braccia che le accolgano, un appartamento, una casa, un balcone, un giardino, una vista, abitudini diverse da lì, un vecchio scapolo o una famiglia numerosa, ricca o povera non importa, quel che conta è l’attenzione e l’affetto."
Rivela e condanna tutta l'ignoranza e la viltà di certi comportamenti:
"Non c’è cosa peggiore di quelli che li riportano indietro: «Alla fine non va bene, ha paura di tutto, guaisce sempre», «È aggressivo, sembra che non gli piacciamo», «Forse era meglio un gatto di un cane», «Sto divorziando e mia moglie non lo vuole», «Puzza, perde peli, è brutto, ha le flatulenze», «Mantenerlo mi costa troppo...»."
Sbatte in faccia la realtà che molti si ostinano a non voler considerare: che gli animali non sono oggetti da sfruttare per il nostro divertimento e per la nostra curiosità negli zoo, nei parchi a tema, negli acquari, nei circhi. Io, genovese, dovrei morire senza aver visto un pinguino - salvo un improbabile viaggio in Patagonia - e invece a mezz'ora da casa mia ne potrei vedere almeno una dozzina, quelli rinchiusi nella minuscola vasca dell'acquario di Genova. Quando il nonno porta Nina bambina al Paa (Parco d'attrazione animalista) e alla fine della giornata le chiede se si è divertita e cosa le sia piaciuto di più, la piccola risponde "Il trenino", perché è libero, a differenza degli animali.

"Viviamo in un mondo in cui al Salone dell’agricoltura i bovini vengono filmati come star del cinema, accarezzati, ammirati e pochi giorni dopo sgozzati nell’ombra, a porte chiuse."
Uno degli ultimi capitoli è un manifesto animalista in piena regola: crudo - come serve che sia per combattere l'ignoranza e l'ipocrisia di molti - e commovente per chi contro quell'ignoranza e quell'ipocrisia ci fa i conti quotidianamente.
Così tante persone avrebbero bisogno che qualcuno si occupasse di loro
Ma ne avessi mai trovato uno fra quelli che sminuiscono e deridono gli animalisti accusandoli di non fare niente per gli esseri umani che fosse impegnato in una qualsiasi attività meritevole!! Uno! Mai successo. Sicuramente chi è attivista per una causa benefica è capace di rispettare le scelte altrui mentre chi non fa niente non fa niente e basta, né per il gattino né per il mendicante. Non sacrificherebbe mai né un euro né un minuto del suo tempo. E invece di vergognarsi e tacere, critica e sfotte.

Queste considerazioni sono "solo" pietre preziose incastonate nel gioiello che è questo romanzo. Se dopo aver letto "Cambiare l'acqua ai fiori" e "Il quaderno dell'amore perduto" mi era stato difficile stabilire quale mi fosse piaciuto di più, questa volta non ho dubbi: "Tre" è il mio preferito.

Anche qui vengono sfruttati i salti temporali che ci portano a seguire le vicende dei tre (e dei personaggi di contorno) dai loro 10 ai 41 anni, con annate particolarmente rilevanti, naturalmente il 1986/87 e poi il 1990, il 1994, il 2000, il 2003 e il 2017. La Perrin volteggia nel trentennio compreso fra il momento in cui si conoscono e il presente del libro con capacità e precisione, non avendo paura di datare gli eventi (e non sbagliando mai un riferimento temporale), costruendo nell'arco delle 624 pagine le esistenze di ciascuno, intrecciandole in una concatenazione di causa-effetto che va via via a comporre il quadro completo mentre si procede verso il finale.

C'è un risvolto giallo nella storia - secondo me non tale da giustificare l'inserimento nella categoria "gialli con investigatori privati/amatoriali" da parte Amazon e addirittura nella "narrativa gialla" su IBS, semplicemente perché la sparizione misteriosa che ci viene raccontata non costituisce mai una vera fonte di investigazione - ma è comunque un aspetto molto importante del romanzo, gestito anch'esso benissimo dall'autrice.

Ma lei è proprio brava nel coinvolgere riuscendo a creare interesse per ogni cosa successa e che succederà, su ogni particolare introdotto, anche se minimo, dal motivo per cui il maestro Antoine Py nel marzo 1987 prende di mira proprio Adrien al sapere se Badi, l'ultimo vecchio del rifugio, riuscirà a trovare una famiglia in grado di regalargli il tempo che gli resta con un po' (magari un po' tanto) di quell'affetto che ogni essere animale merita (noi esseri umani siamo sempre più lontani dall'averne diritto per il solo fatto di esistere).

Reading Challenge 2022, traccia di luglio: un libro con un numero nel titolo



sabato 23 luglio 2022

"Siracusa", Delia Ephron

Siracusa, giugno 2014. Un'idea di vacanza nata da quel genere di convivialità favorita dal tasso alcoolico quando, l'anno precedente, due coppie di americani si erano ritrovate nello stesso periodo a Londra. Era stato durante l'ultima cena che Lizzie aveva proposto di fare un viaggio tutti e quattro insieme, quattro che poi erano diventati subito cinque perché per Taylor era imprescindibile portare anche Snow, la bellissima e timidissima figlia sua e di Finn. Sposati da dodici anni, vivevano a Portland, nel Maine, mentre Lizzie e Michael lo erano da otto e facevano parte del mondo letterario newyorkese.
Lizzie - che non aveva gradito l'inserimento della bambina in quello che per lei avrebbe dovuto essere un gruppo di soli adulti - non aveva neppure provato a protestare, ben sapendo che sarebbe stato inutile scontrarsi con quella madre opprimente.
Era comunque felice di poter partire, di prendersi una pausa da quella fase di stallo in cui era precipitata la sua vita sia dal punto di vista lavorativo, sia da quello coniugale. E poi c'era Finn, con cui aveva avuto una relazione breve, ma intensa (leggasi: sesso a palate), nell'estate dei suoi ventinove anni, trasformata successivamente in quel genere di amicizia che si riesce a instaurare solo con le persone con cui si è condiviso molto di più.
Almeno era riuscita a imporre a Taylor il suo programma di viaggio, prima Roma e poi Siracusa: quanti americani potevano dire di esserci stati? Pochi, sicuramente, per cui è davvero un'incredibile coincidenza trovare nello stesso albergo Kathy Bicks, la direttrice di sala di Tino's, uno dei ristoranti preferiti di lei e di Michael!
Ma quanto durerà la stupidità di Lizzie nel credere alle coincidenze?

Limitandomi ai brevi cenni biografici riportati sulla pagina di Wikipedia dedicata all'autrice, quasi sicuramente non avrei pensato di leggere "Siracusa": sorella minore della famosa (non per me, film e cinema non mi appassionano)  regista e sceneggiatrice Nora, ha collaborato con lei alla sceneggiatura di "4 amiche e un paio di jeans", "Vita da strega", "C'è posta per te" e altre commedie, fra cui "Avviso di chiamata", tratto proprio da un romanzo di Delia (uno dei pochi, fra i sedici scritti in totale, tradotti in italiano), un genere che su carta non mi attrae più di tanto.

Ma lo avevo inserito in wish list dopo aver letto la bella recensione di Viviana (Viv, te lo scrivo anche qua: torna a recensire con la frequenza di un tempo, sei troppo brava ed è crudele privare gli altri del piacere di leggere il tuo punto di vista!), sapendo quindi che sarebbe stata una lettura piacevole e di buon livello.

Un romanzo - che classificherei come noir perché il calderone della narrativa contemporanea lo penalizza - reso particolare dalla struttura originale: ognuno dei quattro personaggi protagonisti è la voce narrante dei capitoli non numerati, ma titolati con il nome di ciascuno. Tutti parlano in prima persona rivolgendosi ai lettori, per cui ogni episodio rilevante degli otto giorni di vacanza viene raccontato dal punto di vista delle persona coinvolte, direttamente e non.

Un gruppo vacanze veramente mal assortito - fra antipatie, rancori, mancanza di stima e sensi di superiorità - come mal assortite sono le due coppie, seppur per motivi diversi.
E in mezzo agli adulti c'è Snow, questa bambina di 10 anni affetta da timidezza patologica, così
 taciturna e riservata da risultare inquietante, da compatire perché vittima delle ossessioni materne o forse detestabile perché già irrimediabilmente compromessa da lei.

E naturalmente c'è l'Italia, a cui l'autrice non fa sconti. Le critiche dei tre giorni romani non mi hanno disturbata più di tanto, in parte perché disordinati e insistenti lo siamo sul serio e non ci possiamo offendere se qualcuno ce lo fa notare, ma principalmente perché, mettendole in bocca soprattutto a Taylor, mi hanno dato l'impressione che la Ephron se ne sia servita per sottolineare lo snobismo del personaggio.

Ma su Siracusa ha infierito troppo e non mi è sembrato che portare Taylor a definire Ortigia fatiscente o far dire a Finn che Siracusa è in decomposizione fosse un modo per evidenziare l'incapacità di apprezzare l'arte e la storia da parte di chi di arte e di storia ne ha ben poca. Per fortuna almeno Lizzie se ne innamora.

Reading Challenge 2022, traccia di luglio: un libro dove i personaggi vanno in vacanza


giovedì 21 luglio 2022

"Schegge", Sebastian Fitzek

 
"Imparare a dimenticare. Avete subito un grave trauma e volete cancellarlo dalla vostra memoria? Allora rivolgetevi a noi tramite e-mail.
La clinica privata Bleibtreu cerca volontari per un esperimento sotto diretto controllo medico"

Berlino, autunno di un anno non definito. E' questo l'annuncio a cui Marc Lucas risponde spinto dalla disperazione. Quello che vorrebbe riuscire a dimenticare è la morte di sua moglie: una sera di qualche settimana prima erano in auto e stavano litigando. Lui andava troppo forte, lei si era tolta la cintura per prendere qualcosa dal sedile posteriore, qualcosa che sembrava una fotografia e che aveva a che fare con il motivo della discussione.
"Il fine giustifica i mezzi?"
Sandra ne era convinta, ma non riusciva a far capire a Marc le sue ragioni. Poi lui aveva perso il controllo del mezzo, il corpo di lei era stato sbalzato violentemente contro il parabrezza, lo aveva sfondato finendo sull'asfalto e con Sandra era morto anche il loro bambino, che avrebbe dovuto nascere a metà novembre.
Ecco la causa della disperazione di Marc. L'incapacità di continuare a vivere con quel dolore e con i sensi di colpa lo hanno portato davanti al professor Patrick Bleibtreu che gli propone di partecipare al MME Memory-Experiment, metodo grazie al quale nella sua clinica riesce a cancellare i ricordi negativi dei suoi pazienti. Definitivamente.
Ma qualcosa con Marc non funziona come avrebbe dovuto e una sera di novembre si ritrova in mezzo alla neve a bussare alla porta di una baita nel bosco. Ad aprire è un altro psichiatra, Niclas Henerland, detto Casper...

Quarto romanzo scritto da Fitzke (nel 2009), quarto e ultimo che leggo: in definitiva quel piccolo cameo (inutile, solo un vezzo) da "Il ladro di anime" è l'unica cosa che sono riuscita ad apprezzare del libro.

L'entusiasmo che avevo provato verso questo autore dopo "La terapia", sua opera prima, non era stato confermato né da "Il ladro di anime" né da "Il bambino" e dopo "Schegge" piangerei alla sola idea di leggere un'altra storia del genere.

Perché quelle che racconta Fitzke si somigliano tutte (poco fa, prima di eliminarlo definitivamente dalla mia wish list, ho letto le trame dei titoli usciti dopo questo trovando conferma a questa mia impressione) fra cliniche ed esperimenti psichiatrici, pazienti amnesici, protagonisti che o sono giovani vedovi oppure sono psichiatri, psichiatri che, se non sono i protagonisti, sono comunque personaggi principali, con immancabili inserimenti di poteri extrasensoriali, il tutto ambientato ogni volta in una Berlino siderale, con la neve sempre usata per instillare nel lettore una sensazione di claustrofobico isolamento, fattore che alla quarta volta rappresenta solo una ripetitività molesta.

Nonostante i punti in comune con i romanzi precedenti, "Schegge" non può definirsi prevedibile, ma questo aspetto è proprio il punto debole del libro. Fitzke inizia con un prologo intrigante e nei primi capitoli angoscia sgretolando tutte le certezze del suo protagonista, ma poi smarrisce la logica rendendo la storia sempre meno convincente. Manca totalmente di credibilità e non mi riferisco all'esperimento: è un libro di finzione che strizza l'occhio al fantascientifico, per cui è lecito trovarci di tutto. Parlo dei meccanismi, del far succedere qualcosa che porti a qualcos'altro. È nei passaggi più o meno semplici che viene sempre a mancare lo sforzo dell'autore per costruire una trama intelligente.

Io non vorrei perdere nessuno dei miei ricordi, nemmeno quelli dolorosi, ma se esistesse la pillola capace di farmi dimenticare questo libro la manderei giù come uno zuccherino senza tanti rimpianti.

Reading Challenge 2020, traccia di luglio: un libro ambientato in parte in un manicomio o in una clinica psichiatrica


sabato 9 luglio 2022

"Quando sarai più grande capirai", Virginie Grimaldi

 

Biarritz (Nuova Aquitania, Francia), febbraio 2015. Julia Rimini, psicologa 32enne, è tornata nella sua cittadina di origine dopo aver trascorso alcuni anni nella capitale. A Parigi la sua vita era perfetta, una casa accogliente, un compagno meraviglioso, un buon lavoro in una clinica estetica. Questo fino alla sera dell'8 agosto precedente, quando una telefonata della madre aveva scavato quel solco che si crea nella vita delle persone spaccandole in due, nel "prima di" e nel "dopo che": suo padre era morto.
Marc era stato una delusione, dimostrando già dopo un'ora di essere una di quelle persone che nel momento del bisogno non sanno dare conforto né aiuto. E quando Julia lo aveva lasciato non aveva fatto nulla per fermarla.
E dopo sei mesi di dolore e di rimpianti rieccola a Biarritz. E' lunedì, piove e fa freddo. Lei si trova davanti alla casa di riposo Le Tamerici, ha appuntamento con la direttrice ed è già in ritardo, ma tentenna. Una settimana prima, quando aveva letto l'annuncio dove proponevano un contratto di otto mesi per sostituire la loro psicologa in congedo di maternità, quel lavoro le era sembrato la soluzione ideale, ma adesso pensa di aver fatto una pazzia, a lei non piacciono le persone anziane, le fanno paura e non le trova interessanti: sarà un disastro... oppure no?!

Virginie Grimaldi, francese di Bordeaux del 1977, nasce come blogger. Nel 2015 pubblica il suo primo romanzo, "Le premier jour du reste de ma vie", al momento ignorato dagli editori italiani che hanno iniziato traducendo il secondo (li odio), disponibile solo in cartaceo. Scritto nel 2016 e pubblicato in Italia l'anno successivo, gli ho dato la caccia per un bel po' di tempo prima di trovarlo usato sul sito del Libraccio.
Non vedevo l'ora di leggerlo e ora che l'ho fatto devo inserirlo fra i libri che finiscono per essere penalizzati dalle aspettative: le mie erano molto alte perché raramente ho visto un titolo con valutazioni così positive, su Amazon Francia solo l'1% dei 4.727 recensori ha dato una stella e solo il 2% ne ha dato due!
Stelline a parte, mi avevano proprio colpita certi commenti a causa dei quali mi aspettavo un libro più profondo di quello che è, cioè al 100% una lettura da ombrellone, e non per quello raffigurato e che mi ha permesso di soddisfare la traccia di luglio "un libro con in copertina un oggetto legato alla spiaggia".

Lo stile è davvero molto semplice, oltre ad essere forzatamente spiritoso con l'inserimento di battute o freddure quasi in ogni frase. Un esempio: una sera Julia sente un grido provenire dal parco della casa si riposo. Decide di andare a vedere e a quel punto leggiamo:
"Impugno l'unica arma che offre la casa: un coltello con la punta arrotondata, strumento di difesa sorprendentemente efficace. Se mi dovessi trovare davanti a un serial killer potrei sempre cospargerlo di marmellata"

Julia - che su Google cerca "come sbarazzarsi delle proprie paure" - nei panni di psicologa è credibile come lo sarei io in quelli di dietologa. La Grimaldi non le ha dato la maturità che ci si aspetterebbe dai suoi 32 anni (l'età di una donna giovane, sì, ma non di una ragazzina) e dalla sua professione, a causa della quale ha infarcito il romanzo di psicologia spicciola, parlando molto del dolore di Julia per la perdita del padre, ma senza riuscire a trasmettere quelle sensazioni che conosce bene chi ha vissuto davvero la spaccatura fra il "prima di" e il "dopo che" e che quindi percepisce con fastidio quando un autore ci prova, ma non riesce ad arrivare. Inoltre descrive la quarta età in maniera idilliaca, mettendo in scena una dozzina di ultra ottantenni (e non solo, si arriva ai 99 anni) che fra canne e tuffi nell'oceano sembrano usciti da un ipotetico "Grease, 60 anni dopo"!

Carina la rivelazione sul finale, ma in definitiva ho seguito Julia - narratrice in prima persona - con la noia che spintonava chiedendo insistentemente all'interesse di farle spazio, lasciandomi dentro una sola bella frase:

"Il vantaggio di avere una sorella è che ci sarà sempre una persona che ti vuole bene"

Reading Challenge 2022, traccia di luglio: un libro con i copertina un oggetto legato alla spiaggia



mercoledì 6 luglio 2022

"Bella mia", Donatella Di Pietrantonio

 

"L'Aquila bella me, te voglio revete'"

Alle 3:32 del 6 aprile 2009 - dopo una lunga serie di scosse che dal 14 dicembre precedente avevano tolto il sonno alla gente - arrivò la botta che uccise 309 persone e distrusse L'Aquila.

Bellissima L'Aquila! Come lo è l'Abruzzo, regione completa di tutto ciò che di bello può esistere, da ogni punto di vista, natura, storia, arte... Io ho avuto la fortuna di visitarla un po' grazie a un fidanzatino dei miei vent'anni, romano residente a Chieti, ma davvero troppe persone sembra che si siano accorte dell'esistenza di quel pezzo d'Italia solo con il terremoto.

Donatella Di Pietrantonio, teramana di nascita, nella postfazione del libro racconta il suo 6 aprile, vissuto a Penne (provincia di Pescara), dove le scosse fortunatamente hanno solo generato terrore, svegliando anche lei nel cuore della notte. Descrive il suo rapporto con L'Aquila, dove ha vissuto durante gli anni universitari. E spiega come tre anni dopo il terremoto sia diventato per lei "un'urgenza narrativa" scrivere sull'argomento.

Da quell'urgenza è nato questo breve romanzo (182 pagine), pubblicato nel 2013. L'autrice per la sua storia ha creato un'altra coppia di sorelle, questa volta gemelle, che mi hanno ricordato un po' troppo quelle de "L'Arminuta" e di "Borgo Sud" (principalmente per la personalità dominante di una sull'altra), scritti entrambi successivamente a questo, per cui le sorelle ispiratrici sono - caso mai - le due aquilane.

Una delle due, Olivia, la conosciamo solo da morta: attardandosi (la rivelazione del perché è il punto di massimo impatto del romanzo) non ha fatto in tempo a scappare in strada finendo schiacciata dal crollo del tetto della sua casa.
L'altra, Caterina, è la voce narrante. Racconta la sua vita dopo il disastro, la convivenza con l'anziana madre e con Marco, il figlio adolescente della sorella, in una casa assegnata. E racconta il suo passato, quello della madre, quello della sorella e, di conseguenza, quello del nipote.

In mezzo la distruzione di una città, la paura e il disagio delle persone, le difficoltà. Solo accenni, qualche frase qua e là. Per questo mi ha delusa. E' la storia di un lutto gravissimo, quello di chi ha perso la madre, una figlia o la sorella, ma Olivia avrebbe potuto farla morire improvvisamente in qualsiasi modo (un incidente stradale? Un aneurisma?) e il libro lo avrebbe scritto lo stesso.

Manca la rabbia che mi aspettavo di trovare a profusione, quella per le morti causate da una catastrofe evitabile (c'è solo un misero accenno alle rassicurazioni fatte alla popolazione dopo gli sciami sismici dei giorni precedenti) che coinvolge anche chi non ha subito direttamente perdite né umane né materiali. La critica a politici e vip di vario genere che hanno usato L'Aquila come passerella mediatica è paragonabile a una tiratina di orecchie. Non vi è il minimo accenno alla corruzione e allo sciacallaggio successivi. Non parla della lentezza della ricostruzione pubblica rispetto a quella privata, divario già evidente nell'anno della stesura del libro.

Così alla fine quello che arriva (e che arriva eccome: la Di Pietrantonio è una grande scrittrice, sa come fare immedesimare chi la legge in certi stati d'animo) è il dolore per la perdita di una persona cara, ma - per un romanzo che nasce in memoria di un evento - non c'è l'impatto territoriale.
Non oso neppure immaginare se la mia Genova fosse colpita da un terremoto così devastante e se le sopravvivessi. Mi è bastato il crollo del ponte Morandi.

L'Aquila doveva essere protagonista assoluta, invece qui è solo un pretesto. Brutta cosa.

Reading Challenge 2022, tracce di luglio: un libro con un indumento in copertina


lunedì 4 luglio 2022

"Anne Frank - Diario", Ari Folman e David Polonsky

 

"Non ci crederà nessuno, ma a 13 anni mi sento completamente sola al mondo"

E' il 12 giugno 1942 ed è così che inizia questo graphic novel. E' il giorno del tredicesimo compleanno di Anne (Annelies Marie) Frank. E' in questa occasione che le viene regalato il diario a cui lei darà il ruolo di amica del cuore, quella che non ha mai avuto, e che chiamerà Kitty.


I Frank hanno lasciato Francoforte e la Germania da quasi dieci anni. Nel 1933 il padre ha scelto di andare ad Amsterdam, facendosi poi raggiungere prima dalla moglie e dalla figlia maggiore, Margot, e quindi da Anne, nel '34. Ma nel luglio del 1942, quando anche nei Paesi Bassi si attiva la persecuzione degli ebrei, per i Frank inizia la reclusione: insieme a un'altra famiglia di tre persone (i Van Dam) e al signor Dussel, si nascondono nell'appartamento segreto sul retro dell'edificio dove ha sede la ditta di Otto Frank, al 263 di Prinsengracht.


E' qui che la mattina del 4 agosto 1944 arrivano le SS: sono stati traditi. Vengono arrestati insieme a due delle persone che li avevano protetti e aiutati durante i due anni di isolamento. I Frank, i Van Dam e Dussel vengono deportati il 3 settembre con l'ultimo convoglio partito dai Paesi Bassi per i campi di concentramento. Arrivano tutti ad Auschwitz tre giorni dopo. Da lì prendono strade diverse, andando però quasi tutti incontro alla morte.

Anne e Margot morirono a Bergen-Belsen in una data non precisata fra la fine di febbraio e l'inizio di marzo 1945: se fossero riuscite a resistere per ancora due mesi scarsi avrebbero visto arrivare gli inglesi a liberare il campo il 12 aprile.

L'unico sopravvissuto degli otto fu il padre di Anne e fu lui a far pubblicare il suo diario nel 1947 portandolo in tutte le nostre case. Io lo lessi in terza media e mi rendo conto di ricordarne pochissimi passaggi. Non ho mai fatto riletture, ma questa prima o poi la farò perché mi dispiace averlo dimenticato, ma anche perché leggerlo con quarant'anni in più sulle spalle sarà senz'altro un'esperienza diversa.

Di questo graphic novel, pubblicato nel 2017 (titolo originale "The Graphic Diary") in occasione del 70° anniversario dall'uscita del libro, ho la versione uscita con "La Repubblica" nel gennaio dell'anno successivo. Ne avevo tenuto una copia pensando che prima o poi nella Reading Challenge sarebbe capitata una traccia che prevedeva la lettura di un fumetto, e infatti questo mese è successo.

Io i fumetti non li amo. Da bambina sono cresciuta con "Topolino", da ragazzina adoravo "Diabolik", da ragazza ho letto i primi cinquanta numeri di "Dylan Dog", poi una trentina anche di "Julia Kendall", ma da allora gli unici fumetti che prendo in mano sono quelli che vendo.
Per cui mi auguro che la traccia graphic novel sia un caso unico. Mi ha fatto piacere leggere questa, ma unicamente per il tema. Non ho le capacità e neppure l'interesse per poter valutare i disegni.

Giudicando per istinto, come faccio con ogni arte figurativa, posso dire di aver apprezzato l'estro di alcune tavole...


...e di essere stata toccata dall'atrocità di altre...





...ma - così come quando in un film o una serie TV mi imbatto in parti in lingua originale con i sottotitoli finisco sempre col leggere quelli senza riuscire a guardare contemporaneamente le immagini - durante la lettura più di una volta mi sono ritrovata a dover tornare indietro di una decina di pagine perché mi rendevo conto di aver solo letto dialoghi e didascalie senza aver quasi guardato i disegni!

All'inizio ho dovuto scontrarmi con la sinteticità del prodotto, ad esempio non mi capacitavo come la Notte dei Cristalli fosse stata ridotta a un'unica vignetta con una sola frase di testo, ma ha ragione Ari Folman che nelle note dell'autore fa notare come ci sarebbero volute 3.500 pagine per poter disegnare ogni pensiero e ogni concetto espressi da Anne.

Non sono riusciti a farmi cambiare idea su fumetti e graphic novel, ma indubbiamente lui e Polonsky sono riusciti a fare un gran lavoro.

Mentre non posso dire altrettanto di GEDI: non ero neppure arrivata a un terzo della lettura quando hanno iniziato a scollarsi le prime pagine dal dorso!!


Reading Challenge 2022, traccia di luglio: un fumetto/graphic novel legato a un personaggio storico o letterario



domenica 3 luglio 2022

"Una posizione scomoda", Francesco Muzzopappa



Milano, attorno al 2010 o giù di lì. E' possibile diplomarsi con successo al Centro Sperimentale di Cinematografia come sceneggiatore venendo giudicato da Amelio e Sorrentino come una promessa del cinema italiano, sognare di arrivare a scrivere scenografie per Spielberg e Tarantino, per questo rifiutare le proposte di mamma Rai perché "le fiction italiane sono appaltate all'Arma o alla Curia" (verissimo!!) e ritrovarsi nel giro di pochi anni a essere lo sceneggiatore di "Qui Quo Qua e le giovani mignotte"?
E' possibile ed è proprio quello che è successo a Fabio Loiero, viterbese over 30 trapiantato a Milano perché è lì che ha sede la Starlette, la casa di produzione hard per cui lavora di nascosto da tutti: guai se mamma e papà lo scoprissero, troppo bigotti, troppo per bene. Non parliamo poi degli ex compagni di corso, che hanno avuto il buon senso di essere meno pretenziosi e che adesso lavorano tutti, nessuno per Woody Allen, ok, ma neppure per la trans Romina!
Ma lo pseudonimo Fabius basterà a celare la sua vera identità al mondo adesso che deve rappresentare la Starlette al Festival del Porno di Cannes?

Un librino assolutamente da poco che però ha il pregio di lasciarsi leggere in fretta senza annoiare, tranne quando l'autore (che immagino grande appassionato di cinema) per ogni film citato (tantissimi!) sciorina titolo, anno, regista e durata: se fossi stata interessata mi sarei letta il Morandini, no?!

Opera prima (datata 2013) di Francesco Muzzapappa, barese classe 1976, con all'attivo un totale di dieci romanzi pubblicati che, a giudicare da titoli e copertine, dovrebbero essere tutti del genere di questo.
Dei dieci, sei sono editi da Fazi e quattro da De Agostini: se prima di questa lettura consideravo la Fazi una casa editrice molto seriosa e altrettanto snob, "Una posizione scomoda" mi ha fatto capire che non sono inquadrati come pensavo.

Classificato da Amazon come umoristico, a me ha fatto ridere principalmente per la rivisitazione in chiave hard di titoli famosi, da "Sette ani in Tibet" a "Uccelli ne trovo", da "I soliti colpetti" a "Erezioni di piano", ma - come ho già avuto modo di scrivere - fin da ragazzina mi divertivo moltissimo a leggere i titoli dei film porno su "Il corriere mercantile" di Genova, per cui...

La storia è leggera leggera e la sinossi la riassume quasi del tutto. Muzzopappa avrebbe potuto impegnarsi un po' di più per arricchire l'identità del suo protagonista che, a trent'anni suonati, sembra ricoprire ancora e solo il ruolo di figlio, non quello di un uomo adulto che ha comunque lasciato il nido da un pezzo, ma probabilmente lo scopo era solo quello di far divertire e con me ci è riuscito grazie a "Porkemon".

Reading Challenge 2022, traccia di luglio: un libro preso tanto, tanto, tanto tempo fa e non ancora letto



venerdì 1 luglio 2022

Reading Challenge: le tracce di luglio

   


Primo gruppo (un solo libro per traccia):

  • Un fumetto/graphic novel legato a un personaggio storico o letterario
    "Anne Frank - Diario", Ari Folman e David Polonsky (1 punto)
  • Un libro con un indumento in copertina
    "Bella mia", Donatella Di Pietrantonio (1 punto)
  • Un libro con in copertina un oggetto legato alla spiaggia
    "Quando sarai più grande capirai", Virginie Grimaldi (3 punti)
  • Un libro ambientato in un manicomio o clinica psichiatrica
    "Schegge", Sebastian Fitzek (3 punti)
  • Un libro preso tanto, tanto, tanto tempo fa e non ancora letto
    "Una posizione scomoda", Francesco Muzzopappa (2 punti)

Secondo gruppo (un solo libro per traccia, solo se si sono letti i cinque libri delle tracce del primo gruppo):

  • Un libro di un genere che non leggi da molto tempo (horror)
    "Il banditore", Joan Samson (3 punti)
  • Un libro con un numero nel titolo
    "Tre", Valérie Perrin (7 punti)
  • Un libro con solo il nome e/o il cognome di una persona nel titolo
    "Eileen", Ottessa Moshfegh (3 punti)
  • Un libro dove i personaggi vanno in vacanza
    "Siracusa", Delia Ephron (4 punti)
  • Un libro con una scena notturna in copertina
    "Vicine di casa", Caroline Corcoran (5 punti + 1 punto foto)

Traccia bonus (uno o più libri):  
libri nella propria wish list almeno dal 2019 
 
 
I miei punti = 33


Iscrizioni sempre aperte QUI
Casata: L'ordine della fenice