mercoledì 13 aprile 2022

"Le luci del Titanic", Hugh Brewster


Sono passati 110 anni da quando,  alle 23.40 del 14 aprile 1912, il Titanic entrò in collisione con un iceberg. L'impatto fu fatale e la nave considerata inaffondabile colò a picco in due ore e quaranta minuti, diventando con l'oceano la tomba di 1.852 persone.

Quattro anni dopo "Titanic, la vera storia" di Walter Lord, mi sono regalata quest'altra lettura, che ho trovato ancora più completa e coinvolgente, priva delle osservazioni classiste e sessiste che mi avevano disturbata nel saggio di Lord, una conseguenza dell'anno di pubblicazione, il 1955, mentre Brewster ha scritto il suo soltanto dieci anni fa, in occasione del centenario. Considerato il più grande esperto internazionale sulla vicenda del Titanic, in precedenza aveva collaborato con Robert Ballard alla stesura de "Il ritrovamento del Titanic" (altro libro che vorrei leggere) che racconta l'individuazione (avvenuta nel 1985) e l'esplorazione del relitto. Con i suoi studi ha anche contribuito alla realizzazione dei film di James Cameron, "Titanic" e "Ghosts of the Abyss", il primo film in 3D. Il titolo originale di questo, "Gilden lives: fatal voyage" (che Google mi traduce con "Vite dorate: viaggio fatale"), svela subito l'impostazione che l'autore ha voluto dare al suo testo.
"Nella maggior parte dei riscontri del disastro, il Titanic è il protagonista e i passeggeri hanno semplicemente i ruoli secondari. Ma chi erano queste persone? E cosa le aveva spinte a compiere la traversata fatale?"

E si comincia da mercoledì 10 aprile 1912, quando attorno alle ore 15.40, sul molo di Cherbourg i primi passeggeri sono in attesa del Titanic, che è in ritardo. La maggior parte, circa un centinaio, sono passeggeri di terza classe, soprattutto libanesi, siriani, bulgari e croati, ma vi sono anche alcuni passeggeri di prima e seconda classe, fra cui John Jacob Astor IV, il più ricco.

Ci sono anche persone che non hanno in programma la traversata oceanica, come il gesuita Francis Browne - compagno di James Joyce al college e all'università, che - come altri - sbarcò dal Titanic a Queenstown. Appassionato di fotografia, è a lui che si devono gli scatti a bordo della nave. Un articolo del "Time" ne mostra sedici.

Questa prima parte mi ha presa fino a un certo punto. Brewster fa quello che aveva promesso, cioè presenta i passeggeri e probabilmente si è limitato ai passeggeri facoltosi perché erano i soli di cui fosse possibile reperire notizie, ma spesso esagera. Ad esempio per spiegare il motivo per cui il ventiquattrenne milionario canadese Quigg Baxter parlasse un francese perfetto - dettaglio già di per sé non fondamentale - anzichè limitarsi a dire che era la prima lingua della madre, racconta la storia di lei e della famiglia in generale a partire dal 1882 e dell'amante che viaggiava con lui, una cantante di cabaret, ne cita il vero nome, quello falso con cui si era registrata sulla nave e il nome d'arte! 

Di personaggi più famosi, come Frank Millet, Archie Butt, gli Astor o la stilista Lucile, scrive quasi delle mini biografie, dilungandosi anche in descrizioni particolareggiate di dettagli minimi, ad esempio delle ciabattine indossate dalla stilista a bordo della scialuppa di salvataggio.

Diventa ben più interessante quando comincia a raccontare dei (pochi) giorni di viaggio, del modo in cui non venne data la giusta importanza alle segnalazioni ricevute dalle altre navi circa la presenza di iceberg in zona (la prima arrivata già nel tardo pomeriggio di venerdì 12), dell'impatto e degli eventi successivi con i particolari noti a tutti, ma che era obbligatorio citare, del Californian che non rispose ai messaggi di soccorso perché il marconista era andato a dormire (e di come dopo divenne obbligatorio per le navi mantenere sempre aperto il contatto radio), delle scialuppe insufficienti (la tragedia del Titanic fece cambiare questa regola) e calate in mare solo parzialmente occupate (e nessuna delle prime sei aveva a bordo passeggeri di seconda e di terza classe), della famosa orchestra che suonò fin quasi all'affondamento.

Affondamento che descrive in maniera agghiacciante. In particolare il quindicesimo capitolo, intitolato "Voci nella notte", destabilizza e non c'è da stupirsi se una superstite dichiarò che il ricordo dei lamenti dei naufraghi in acqua l'avrebbe perseguitata per tutta la vita.

Qui Brewster riprende i nomi dei personaggi citati in precedenza raccontando la sorte di ognuno e in molti casi i loro comportamenti durante il naufragio. A bordo delle scialuppe c'erano egoisti che si rifiutavano di tornare indietro e altri che invece imploravano chi era ai remi di farlo. Bisognerebbe essersi trovati al loro posto per sapere cosa avremmo fatto noi in quel frangente, se avrebbe vinto la paura o l'altruismo, ma quello che emerge è che alla base della ritrosia dei più non c'era solo il timore di finire in acqua trascinati da quelli che avrebbero cercato di salire sulla scialuppa, bensì la totale mancanza di considerazione per la vita di chi apparteneva alla terza classe e in acqua dovevano esserci per forza loro.

"Nelle scialuppe c'era chi non poteva credere che qualcuno dei passeggeri di prima e seconda classe potesse essere stato abbandonato"
Daisy Spedden, una sopravvissuta che a bordo del Carpathia diede assistenza ai passeggeri più poveri insieme a Margaret Brown e ad altre due donne, raccontò che alcuni di quelli di prima classe sostenevano che nessun passeggero di terza avrebbe dovuto essere salvato, come se non fossero stati esseri umani.

Solo due delle 18 scialuppe tornarono indietro e qui viene ben descritto il ruolo assunto da Margaret Brown, soprannominata Molly dopo la morte, sia a bordo della scialuppa numero 6, sia sul Carpathia, dove si attivò per creare un fondo per aiutare quei superstiti che avevano perso tutto nel naufragio (fondo a cui a parole aderirono tutti, ma che in seguito vide la concreta partecipazione di pochi), e che all'arrivo a New York - mentre gli altri riccastri festeggiavano nelle loro stanze al Ritz -  rimase a bordo dellla nave per aiutare i passeggeri di terza classe trascorrendo la notte con loro. 
In seguito allestì il Comitato dei Superstiti del Titanic (avrebbe anche lottato per il suffragio femminile e per la costituzione del primo tribunale minorile americano).
A questa donna immensa non venne chiesto di testimoniare davanti alla commissione d'inchiesta, ma del resto vennero ascoltate soltanto due donne (cinque consegnarono deposizioni scritte).

Per contro, però, le donne ebbero l'enorme privilegio di godere della regola (istituita soltanto nel 1852) del "prima le donne e i bambini" grazie alla quale si salvò il 74% delle donne a bordo (delle passeggere di prima classe ne morirono soltanto quattro), contro il 20% degli uomini.

Un altro momento toccante è quello in cui il Carpathia, una volta arrivato al porto di New York, prima di attraccare al molo 54, dove era destinato, lasciò davanti al terminal della Withe Star le 13 scialuppe di salvataggio che avevano issato a bordo dopo aver recuperato i superstiti: erano tutto ciò che restava del Titanic.
Brewster traccia un accurato resoconto di ciò che avvenne sulla terraferma (agli uffici newyorkesi della White Star la notizia certa dell'affondamento arrivò solo alle alle 18.20 del 15 aprile) e delle successive inchieste, quella americana (che suscitò l'indignazione degli inglesi per via dell'indagine del Senato americano su una loro nave) e quella inglese. Inchieste che comunque servirono a poco, non vennero neanche prese in considerazione le testimonianze di chi raccontò che la nave si era spezzata in due, così fino al ritrovamento nel 1985 si continuò a pensare che fosse affondata intatta, e le due commissioni non trovarono prove della discriminazione patita dai passeggeri di terza classe. Invece il privilegio di classe venne messo in pratica anche con i morti: dei 190 corpi recuperati dalla Mackay Bennett per conto della White Star, 116 vennero ributtati in mare dopo aver legato una spranga di ferro ai piedi dei cadaveri.
"Sembra che gli ordini fossero di recuperare solo i corpi dei passeggeri di prima classe e dell'equipaggio. La "scelta", perché questo era, si basava sull'aspetto e sui vestiti."
Certo deve essere stata una scena atroce che il capitano della Mackay Bennett paragonò a uno stormo di gabbiani posati in acqua: i salvagenti mantenevano i cadaveri in verticale. Questo accadeva il 21 aprile, sei giorni dopo il naufragio. Altri (pochi) corpi venero recuperati da altre navi nei giorni successivi, gli ultimi tre - morti in una scialuppa poi abbandonata alla deriva - addirittura due mesi dopo. A recuperarli fu la Oceanic, cioè proprio la nave che nel porto di Southampton aveva rotto gli ormeggi sfiorando la collisione con il Titanic appena partito.
Da notare che dal Californian, arrivato nel luogo dell'affondamento il giorno successivo, affermarono di non aver trovato nessun cadavere.

Nell'ultima parte Brewster racconta cosa ne fu dei superstiti. Molti vissero a lungo (cinque di loro arrivarono ai cent'anni), ma non è esagerato pensare che nessuno superò mai del tutto la tragedia (quattordici persone si suicidarono), forse nemmeno i più arroganti.

Ieri sera grazie a Rai Play ho recuperato la puntata di "Ulisse, il piacere della scoperta"  trasmessa sabato scorso e dedicata interamente al Titanic: l'ho trovata ben fatta (come sempre), anche se con delle lacune, di sicuro non paragonabile alla completezza del libro, ma comunque godibile se interessati all'argomento.
Segnalo anche il sito di Claudio Bossi sul Titanic, davvero molto, molto interessante.

Reading Challenge 2022, traccia di aprile: un libro con titolo e autore scritti in maiuscolo