mercoledì 28 febbraio 2024

"La curiosa vicenda dei gemelli Bonino. Ovvero, quando non è tutto oro quel che luccica", Renzo Bistolfi

 

Sestri Ponente (Genova), 3 giugno 1950. Paolo Bonino compie 25 anni e li festeggia con la madre. Vive ancora con lei, nel bell'appartamento che si trova proprio di fianco al lussuoso negozio di famiglia. Ne hanno fatta di strada, i Bonino: dal bisnonno analfabeta, che faceva il materassaio ambulante, al nonno e al padre di Paolo, che avevano prosperato grazie all'importazione di stoffe inglesi, e infine a lui, che dopo la morte del padre aveva ampliato il commercio avviando un laboratorio di cappelli.
C'era un'unica macchia sulla famiglia Bonino: Pietro, il gemello di Paolo, la pecora nera della famiglia. Da quattro anni espatriato in Argentina dopo un breve soggiorno nel carcere di Marassi, Pietro aveva cercato il fratello soltanto due volte e in entrambi i casi per battere cassa.
Strani gemelli i Bonino: identici esternamente, opposti interiormente. Paolo calmo e affidabile, Pietro irrequieto e prepotente.
Probabilmente è una fortuna che Pietro si trovi dall'altra parte dell'oceano, Paolo ne è consapevole e per questo rimane sconvolto quando riceve la lettera in cui il fratello gli annuncia il prossimo ritorno dicendogli, tanto per cambiare, di essere nei guai e di avere bisogno di aiuto.

L'ottavo romanzo del mio concittadino è quello che mi è piaciuto meno. Nelle note lui stesso dice di rendersi conto che questa storia è diversa dalle altre.

"E' un racconto piuttosto drammatico, a tinte scure, privo di quell'ironia che contraddistingue i miei personaggi. Qui c'è poco da sorridere."

Vero, anche se io ho sorriso ritrovando la mia Sampierdarena (il mio quartiere di nascita) e anche Pegli (quello in cui vivo). Pegli negli anni Cinquanta era stazione termale...


Un glorioso passato di cui i pegliesi si beano ancora oggi con la loro tipica spocchia, mal sopportata, oltre che da me, anche da Bistolfi, direi:

"Quella pretesa di lusso in versione balneare gli urtò i nervi, gli parve inutile e volgare"

Purtroppo, però, il libro non è un giallo come gli altri: c'è sì un mistero (anche più di uno), ma credo che un giallo per definirsi tale necessiti di un crimine e della conseguente investigazione.
Qui, invece, abbiamo un dramma che, ricostruendo il passato dei Bonino e dei Sanguineti (la famiglia di origine della madre dei gemelli), ha anche un po' il sapore della saga familiare (aspetto che ho apprezzato moltissimo), ma se anche compare un commissario di polizia (mi è mancato moltissimo il maresciallo Primo Galanti!) non ci sono i meccanismi dei bei gialli storici scritti precedentemente da Bistolfi.

Forse è stato il prologo a rovinarmi la lettura. Siamo all'inizio del novembre 1970, quindi quasi vent'anni dopo rispetto al successivo sviluppo del libro, e due donne si incontrano davanti alla tomba della famiglia Bonino. Fin dalle prime pagine ci viene quindi detto che Pietro è morto il 21 maggio 1952 e Paolo il 25 settembre 1970. Viene detto troppo in quel prologo: non solo la causa della morte di Pietro e il modo in cui è morto Paolo, ma le due ne commentano i caratteri opposti, la somiglianza fisica e fanno certe descrizioni che chiaramente non sono state messe lì per caso...

Tutto ciò fa capire subito la piega che prenderanno gli eventi rendendo facilmente intuibile il colpo di scena finale che, senza tutti quegli input seminati da Bistolfi all'inizio, sarebbe stato sorprendentemente bello.

Ma una cosa è verissima: non è tutto oro quel che luccica. Meno che mai quando di mezzo ci sono le palanche.

Reading Challenge 2024, traccia gioco di società febbraio, Affonda la flotta: libri ambientati in città di mare o su una nave

lunedì 26 febbraio 2024

"La signora nel furgone e le sue conseguenze", Alan Bennett

 

Londra, 1974. Come tanti scrittori, editori, giornalisti, registi e artisti di vario genere, anche Alan Bennett si era trasferito a Camden Town. Da cinque anni abitava in una casa del 1840 quando, stanco di vedere un vecchio e malandato furgone parcheggiato sulla strada proprio davanti alla finestra del suo studio, aveva proposto alla donna che ci viveva di spostare il mezzo nel suo vialetto.
Mary Shepherd aveva accettato, come se fosse stata lei a fare un favore a Bennett. Nessuno dei due avrebbe immaginato che ci sarebbe rimasta per i successivi quindici anni, fino al giorno della sua morte.

Miss Shepherd, anziana nomade stanziale, aveva quel genere di eccentricità tanto cara a Bennett, uno di quei personaggi "accanitamente originali che scardinano le certezze degli inglesi benpensanti", come nella prefazione del libro viene ricordato da Nicholas Hytner, regista, nonché amico dell'autore.

E Bennett Miss Shepherd l'ha sfruttata per bene: con questo librino (l'introduzione è quasi più lunga del racconto) pubblicato proprio nell'anno della morte della signora (1989), con la commedia teatrale (1999) e con il film (2015), diretto proprio da Hytner e che adesso voglio recuperare (in fondo al testo c'è anche la sceneggiatura del film). E' il regista a farci sapere che ai tempi delle riprese la casa era ancora di proprietà di Bennett e che nessun ambiente venne modificato.

Di Bennett avevo già letto "La sovrana lettrice" nel 2017 e, lo scorso anno, "Nudi e crudi". Anche con questo terzo racconto mi ha fatto divertire, senza arrivare a considerarlo esilarante, un aggettivo che a quanto pare viene sempre associato all'autore, secondo me esagerando, ma questa considerazione non sminuisce il mio apprezzamento per il suo intelligente humor.

Il libro è una sorta di diario attraverso il quale Bennett racconta in ordine cronologico le stramberie della signora. Spesso si tratta di aneddoti brevissimi (Febbraio 1983. A. mi telefona nello Yorkshire per dirmi che è esplosa la caldaia e la cantina si è allagata. Unico commento di Miss S.: «Che spreco di acqua...») e ce la descrive in maniera clownesca ("Stamattina è vestita così: gonna arancione fatta di tre o quattro stracci per la polvere formato maxi; giacca di raso azzurro a strisce; foulard verde; occhialini azzurri e berretto a punta color kaki; sulla punta un distintivo con Rambo e teschio e ossa incrociate.") con la goffaggine derivante dall'età e da suo spropositato metro e ottanta di altezza. Una fervente cattolica (suora mancata) e anticomunista, che scriveva con costanza a vescovi e cardinali elargendo consigli sul futuro papa da eleggere (che deve essere alto "perché anche l'altezza conta, ai fini della conoscenza") e a Margaret Thatcher (il cui operato non le era del tutto congeniale, cosa che la portò a fondare un proprio partito, il Fidelis Party: "Sarà un partito che si preoccuperà della Giustizia e quindi non ci sarà bisogno di un’opposizione").

Una donna che a tratti suscita tenerezza come farebbe un bambino (
Le chiedo se vuole una tazza di caffè. «Ma no, non si disturbi. Me ne basta mezza»), ma che il più delle volte esaspera e porta a chiedersi come Bennett abbia potuto sopportare la sua invadente e (letteralmente) invasiva presenza per quindici anni.

Ma fra le righe di questa storia c'è anche un carico di tristezza non indifferente. La signora del furgone non è un personaggio di fantasia, ma una povera donna che aveva svalvolato durante la seconda guerra mondiale, quando guidava le ambulanze, a causa di una bomba scoppiatale troppo vicino e che pare avesse anche ucciso il suo grande amore. Dopo il conflitto per lei - figlia della borghesia inglese con un promettente avvenire da pianista - c'erano, invece, stati solo ricoveri in ospedali psichiatrici e successivamente un'esistenza da barbona, nella carenza igienica - su cui Bennett torna a più riprese senza riuscire a renderla divertente - e svariate psicosi, vittima di atti di vandalismo e soggetta all'allontanamento generale.

Al suo funerale erano presenti soltanto l'autore, una coppia di residenti in 
Gloucester Crescent e l'infermiera dei servizi sociali che si occupava occasionalmente di lei.
Libro, spettacolo teatrale e film sono venuti dopo, con relativa fama, e probabilmente ancora oggi c'è chi va a farsi un selfie davanti al vialetto che ospitava il suo furgone. Le stesse persone che in vita si sarebbero allontanate da lei con disgusto.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: cappello nel testo


sabato 24 febbraio 2024

"I giorni dell'abbandono", Elena Ferrante



Torino, inizio del nuovo millennio. Olga ha 38 anni, da quindici è sposata con Mario, da dieci è madre di Gianni e da sette anche di Ilaria. Casalinga aspirante scrittrice di un romanzo che non ha mai preso forma, impegnata com'era a seguire il marito nei vari spostamenti di lavoro, in Canada, in Spagna, in Grecia e da qualche anno a Torino. I figli da crescere, la casa da seguire e poi anche Otto, il cane lupo che Mario ha regalato ai bambini, ma soprattutto a se stesso. Un buon matrimonio, con una sola piccola crisi risalente a cinque anni prima, quando lui si era fatto prendere da un improvviso "vuoto di senso", finché...

"Un pomeriggio d'aprile, subito dopo pranzo, mio marito mi annunciò che voleva lasciarmi."

Ed è in quel momento che per Olga iniziano i giorni dell'abbandono.

Scritto nel 2002, secondo romanzo dell'autrice, forma una sorta di trilogia con "L'amore molesto" (letto nel 2019) e "La figlia oscura", l'unica opera della Ferrante che mi manca da leggere. Erano quasi tre anni che non lo facevo ed è stato appagante reimmergermi nella sua scrittura.

Un romanzo breve (211 pagine), ma potentissimo, che descrive una situazione ("Lo sfacelo di una separazione unilaterale") che non ho mai sperimentato e che non so come vivrei. Spero non come Olga.

"A trentotto, adesso, ero ridotta a niente, non riuscivo nemmeno a comportarmi come mi pareva giusto. Senza lavoro, senza marito, rattrappita, spuntata."

Con la protagonista come voce narrante, la Ferrante fornisce un'unica versione dei fatti. Olga è una donna devastata che si annienta, diventa volgare, cattiva, litigiosa, insofferente, soprattutto nei confronti dei figli (e del povero Otto).

Non sono madre e i miei genitori sono stati separati solo dalla morte, ma non occorre l'esperienza diretta per sapere che si può smettere di essere parte di una coppia, ma che non si dovrebbe mai smettere di essere genitori.

Qui, invece, abbiamo una madre che antepone la disperazione del suo stato a tutto, anche alle necessità primarie dei due figli, arrivando a gravi picchi di follia senza rendersi conto che mentre lei vive "l'oltraggio dell'abbandono", quelli a essere davvero abbandonati sono i bambini.
Dalla madre - assente in casa - e dal padre che se ne va e che torna a farsi vivo dopo 34 giorni adducendo un viaggio di lavoro all'estero, senza neppure una telefonata per loro.

Due bambini, per altro, odiosi: per quanto la situazione spinga a provare compassione nei loro confronti, quando Mario dice "Gianni mi è antipatico, Ilaria mi dà ai nervi" è impossibile frenare il "sapessi a me" che nasce da dentro.

Un libro che ogni donna dovrebbe leggere facendone tesoro, per non ritrovarsi a dover dipendere da qualcuno (economicamente, ma non solo) dovendo poi dare ragione alla madre di Olga:

"Le donne senza amore morivano da vive"

Adesso vorrei recuperare anche il film tratto dal romanzo.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: termometro nel testo


giovedì 22 febbraio 2024

"Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno", Benjamin Stevenson

 

Australia, giorni nostri. Michael Cunningham sta per essere scarcerato dopo aver scontato tre anni per omicidio. Deve ringraziare la bravura di Marcelo - il suo avvocato, nonché patrigno - per una condanna così lieve. Chi non merita la sua gratitudine è Ernest, suo fratello, perché è stata la sua testimonianza a farlo finire dentro.
Nonostante il tradimento ci sarà anche lui alla grande rimpatriata familiare che zia Katherine ha organizzato: un lungo week-end di quattro giorni che trascorreranno tutti insieme ad alta quota.
Ma ci sarà giusto il tempo per l'arrivo di Michael e per la scoperta di un cadavere nella neve prima che una bufera li isoli allo Sky Lodge. Ernest, calatosi nei panni del detective dilettante, ha solo una certezza: che l'assassino sia uno di loro, perché tutti nella sua famiglia hanno ucciso qualcuno.

Scritto nel 2022, è il terzo romanzo pubblicato da Benjamin Stevenson (il primo tradotto in italiano e per me il primo letto con uno dei tanti Gruppi di Lettura organizzati su Telegram da Sara BookLovers). Un libro che fatico a classificare nella narrativa gialla e credo che l'autore sarebbe d'accordo con me visto che nei ringraziamenti scrive un "Spero che leggerlo sia stato divertente" che lascia pochi dubbi su quali fossero le sue intenzioni.

E lo stile è esattamente come lo avevo immaginato dopo aver letto (prima di iniziarlo) che Stevenson è un cabarettista: la voce narrante, Ernest - Ernie - Ern, si rivolge spessissimo ai lettori e sempre in maniera ironica e sarcastica, cosa che mi ha portato ad associarlo a Ricky Gervais. Mentre leggevo mi sembrava che fosse lui a raccontarmi la storia, con la sua faccia e la voce del suo doppiatore italiano in "After Life" e forse è anche per questo che non riesco a considerarlo un giallo, nonostante a tutti gli effetti lo sia.

Ci sono morti, nel passato e nel presente. Ci sono sospetti, indiziati, indagini e colpi di scena. C'è un narratore che si definisce affidabile
("Tutto ciò che vi dirò sarà la verità, o quantomeno la verità così come la conoscevo al momento in cui credevo di saperla. Potete prendermi in parola."). Ci sono tanti personaggi (ma non troppi come avevo sentito dire: i legami di parentela, e non, si ricostruiscono in fretta e facilmente). E ci sono tanti accadimenti: eventi risalenti a trentacinque anni prima, altri a tre. E naturalmente tutto quello che avviene nel presente.

Michael è un assassino.
Ha ucciso un uomo. E secondo te è sufficiente per essere un assassino? C’è chi ammazza e viene premiato con una medaglia. I soldati lo fanno di mestiere."

Sotto alcuni aspetti il libro funziona, ci sono parti ben costruite, piacevoli e/o toccanti. Stevenson è molto bravo nel generare equivoci per poi chiarirli, creando colpi di scena anche rilevanti.

"Non vorrei però che ci prendeste per un branco di psicopatici. Siamo gente normale: alcuni buoni, altri cattivi, altri soltanto sfortunati."

Mi ha fatto anche scoprire che Margaret Atwood e Ian Fleming hanno scritto per Playboy.

Ma alla fine c'è troppo. Una storia molto intricata. Esageratamente e forzatamente intricata, con situazioni paradossali, americanate degne di un brutto B movie. Eccessi che attribuisco al tentativo di sconcertare in maniera simpatica, ma che a me hanno reso pesante la lettura. Un libro che - dopo un buon inizio - ha smesso presto di chiamarmi e che ho finito di leggere senza più riuscire a provare quella bella sensazione che si sente quando finalmente si ha del tempo da dedicare alla lettura nel corso o alla fine della giornata.

PS: nei ringraziamenti sopracitati, Stevenson cita James Randall, il disegnatore della copertina australiana del libro, dicendo di esserne ossessionato. Risparmio la fatica della ricerca in rete a chi fosse curioso come me:


Non è così memorabile da perderci tempo in due, o più (e non solo per gli orridi colori)!

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: comignolo nel testo

martedì 20 febbraio 2024

"La ribelle", Linda Castillo

 

Painters Mill (Ohio), inverno 2021. Fin da bambina Rachael Schwartz si era dimostrata insofferente ai tanti vincoli della comunità Amish. E' forse per questo che Kate Burkholder l'aveva presa in simpatia e ben ricorda come la piccola movimentava il suo lavoretto da baby sitter per i bambini Schwartz quando era ragazza.
Poi gli anni erano passati e Kate aveva già abbandonato gli Amish quando aveva saputo che il vescovo Troyer aveva messo Rachael, all'epoca diciassettenne, sotto bann.
Quasi tredici anni dopo Kate si trova in una stanza di un motel di Painters Mill: davanti a lei il corpo martoriato di una giovane donna con il volto sfigurato dai colpi ricevuti. Nonostante il massacro, riconosce subito Rachael e ora deve mettersi al lavoro per scoprire perché era tornata in città e cosa ha scatenato quella ferocia.

Era passato più di un anno da quando avevo letto l'ultimo libro della serie ("Una donna in fuga") e anche questa volta è stato un po' come tornare a casa. Questa diciassettesima puntata (scritta nel 2021, titolo originale "Fallen") è anche particolarmente riuscita, coinvolgendo fin dalle prime pagine.

La storia, poi, si sviluppa nell'arco di sei giorni. La scarsità dei personaggi penalizza un po' il colpo di scena sulla rivelazione del colpevole, ma è comunque un buon giallo, con alcuni flashback ben incastrati con gli accadimenti del presente.

Il difetto della Castillo è quello di descrivere e/o raccontare da capo i personaggi e i fatti principali che li riguardano. Ad esempio qui viene ripresentata l'intera squadra di Kate a vantaggio dei lettori occasionali. Posso capirne la necessità, ma basterebbe un abbozzo, chi legge tutti i suoi libri conosce benissimo le caratteristiche dell'agente Pickles (ad esempio) e per chi leggerà solo questo non è importante approfondire la conoscenza di un personaggio marginale. La Marsons, Malavasi, la Basso, eccetera, sanno gestire meglio la necessità di dare qualche informazione senza esagerare.

Ma Linda Castillo è anche questo e dubito che cambierà.

Piuttosto è preoccupante che dopo "La ribelle" abbia scritto soltanto un altro romanzo, "The Hidden One", ancora non tradotto e datato 2022: lei - che dal primo libro ne ha sfornato con costanza uno all'anno - nel 2023 non ha prodotto nulla. Che la serie sia giunta al capolinea?

Reading Challenge 2024, traccia di febbraio: libri con il titolo al singolare

venerdì 16 febbraio 2024

"L'ombra di quel che eravamo", Luis Sepulveda

 

"La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla"

Santiago, sera di un 16 luglio all'inizio del nuovo millennio. Piove da giorni sulla capitale cilena. Fa freddo. Non è il tempo migliore per uscire, ma un uomo vestito di nero cammina con tutta la velocità che gli concede l'età per arrivare alla vecchia officina dove ha dato appuntamento a tre compagni di un tempo. Costeggiando un palazzo non può sapere che in un appartamento del quarto piano una donna sta superando il limite di sopportazione nei confronti del marito e che di lì a poco, per manifestargli il suo disprezzo, scaraventerà dalla finestra lo stereo, che diventerà così arma del delitto.
E nell'attesa di qualcuno che non arriverà mai, i tre radunati dentro all'officina hanno tutto il tempo per perdersi nei ricordi.

Da circa un anno nel mio quartiere è stato allestito un grazioso piccolo BookCrossing che funziona con il solito metodo, lascia un libro e prendine uno.


Di scambi sono riuscita a farne pochi, a quanto pare a Pegli la gente legge soprattutto Harmony (oppure è vero che noi genovesi abbiamo il braccino corto, anche quando non c'è da sborsare denaro...), ma il mese scorso ho trovato questa perla.

Scritto nel 2009, è un librino di appena 148 pagine con una trama piuttosto bizzarra (l'atipicità dell'arma del delitto rende bene l'idea), una storia che è soltanto un pretesto per raccontare la Storia. Naturalmente quella del Cile.

I tre che aspettano dentro all'officina - Lucho Arancibia, Lolo Garmendia e Cacho Salinas - negli anni Settanta militavano nelle file di Salvator Allende. L'uomo che aspettano - Pedro Nolasco, detto l'Ombra - è un anarchico, protagonista di tante battaglie, ricordato con onore anche dall'ispettore Crespo, incaricato di indagare sulla sua strana morte.

"Non erano più la giovane guardia. La giovinezza era rimasta sparpagliata in centinaia di posti, strappata a brandelli dalle scosse elettriche negli interrogatori, sepolta in fosse segrete che lentamente venivano alla luce, negli anni di carcere, in stanze estranee di paesi ancora più estranei, in ritorni omerici che non portavano in nessun luogo, e di lei restavano solo canzoni di lotta che nessuno cantava più perché i padroni del presente avevano deciso che in Cile non c'erano mai stati giovani come loro."

Sono tanti i riferimenti a persone realmente esistite, alcuni riconoscibili da chiunque (Pablo Neruda, il Che, eccetera), altri che spingono alla ricerca in rete: ogni nome è stato interessante da approfondire, in particolare Clotario Blest, sindacalista cileno, che nel libro rivive attraverso l'appassionato e commovente ricordo dell'ispettore Crespo.

E sono tanti anche i fatti raccontati attraverso i ricordi dei tre nell'officina, ricordi che costituiscono il passato di Sepulveda - la cui famiglia è stata vittima della repressione di Pinochet (nel nonno di Pedro credo ci sia molto del nonno dell'autore) - e che descrive così l'11 settembre 1973:


"Era arrivato quel mattino piovoso di settembre e da mezzogiorno in poi gli orologi avevano iniziato a segnare ore sconosciute, ore di diffidenza, ore in cui le amicizie svanivano nel nulla e non restava altro che il pianto terrorizzato delle vedove e delle madri."

Con un immancabile pensiero ai sedicenti padroni del mondo:

"Gli statunitensi avevano firmato un assegno in bianco per mandare in rovina il nostro paese"

Un libro che forse può non piacere a tutti perché bisogna credere in certi ideali per riuscire a capirli e ad apprezzarli. Un vero amarcord fatto di malinconia, rimpianti, ma soprattutto di orgoglio. E di tanta, tanta amarezza verso il presente.

"Questo mondo ha perso completamente la sete di uguaglianza sociale"

La paura per il futuro ce la aggiungo io.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda febbraio: Cile


mercoledì 14 febbraio 2024

"Il dubbio", Maria Masella

 

Genova, febbraio di un anno non precisato all'inizio del nuovo millennio. Il commissario Mariani non può fare a meno di chiedersi se quella che sta conducendo sia un'indagine da poliziotto o da marito. Tutto inizia il primo lunedì del mese, quando va a trovare Anselmi a Cuneo: l'ex collega, che ha ottenuto il trasferimento per stare vicino alla figlia, è stato ferito di striscio da un rapinatore. Dal letto di ospedale gli racconta di un suicidio avvenuto un paio di mesi prima, quello di uno stimato professore che si era tagliato le vene nella vasca da bagno. Anselmi gliene parla perché fra le foto del morto ne ha trovato una di Francesca, la moglie del commissario. Il matrimonio vacilla, da qualche tempo la coppia si è separata e Mariani si è trasferito in un monolocale. E lui, anziché chiedere a Francesca, inizia a investigare per capire che tipo di rapporto ci fosse fra lei e Gualtiero Airoldi, scoprendo una serie di omicidi troppo simili per non essere collegati fra loro. Cuneo, Biella, Torino e l'ultimo caso proprio a Genova.

Scritto nel 
2004, è il secondo titolo della serie con protagonista il commissario Antonio Mariani di cui l'anno scorso ho letto il primo ("Morte a domicilio") e il prequel ("Primo").

Questa terza lettura conferma l'idea che mi ero fatta: questi gialletti non hanno nulla di eccezionale, ma si lasciano leggere volentieri (anche se non so quantificare quanto incida l'ambientazione genovese in quel mio "volentieri").
Qui la storia parte con una coincidenza clamorosa (quante probabilità ci sono che qualcuno rovistando fra gli effetti personali di qualcun altro si imbatta nella foto della moglie di un ex collega che vive in un'altra città?), ma la concatenazione degli eventi successivi costruiti dalla Masella regge bene. La motivazione alla base degli omicidi è intuibile prima di arrivare alla metà del libro e prima che la capisca Mariani, così come chi legge capisce prima di lui chi è il colpevole (in verità il suo nome è uno dei tanti, ma il cognome è quasi di famiglia per me, per cui mi era rimasto ben impresso), ma il libro non ha nulla di già letto né di prevedibile.

In definitiva una piacevole lettura di puro intrattenimento, penalizzata dall'uso di termini a dir poco antiquati: giovanotto in bocca a Mariani, che ha meno di quarant'anni, è ridicolo, così come non ha senso che la Masella chiami il computer calcolatore. Ma neppure mia nonna, su!
E a me pesa che l'autrice - che dà precise indicazioni circa il mese e lo scorrere dei giorni (la storia inizia di lunedì e si sviluppa fino al mercoledì della data successiva, con un capitolo dedicato a ogni singolo giorno), non dia anche un anno all'ambientazione dei suoi libri.
Si capisce il tempo trascorso fra un libro e un altro solo dai dettagli personali dei personaggi,  ad esempio qui ci dice che Manu, la bambina di Mariani, ha sette anni, mentre in "Morte a domicilio" ne aveva sei, ma l'anno non compare né ci sono indizi che permettano di inquadrarlo.
Per contro in un paio di note racconta brevemente fatti importanti accaduti nel libro precedente e a cui si fa riferimento in questo. Un bel gesto verso chi dovesse leggere prima "Il dubbio", ma io avrei preferito una bella data.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: inverno nel testo

lunedì 12 febbraio 2024

"Amo la mia vita", Sophie Kinsella

 

Puglia, estate di un anno recente. E' in un antico monastero riadattato che si svolge il corso di scrittura creativa organizzato da Farida. Le sue regole sono ferree: i partecipanti hanno dovuto consegnare il cellulare, dovranno indossare la tunica fornita, identica per tutti, e non potranno dare informazioni personali agli altri, neppure dire come si chiamano né di dove sono. Si parleranno chiamandosi con il soprannome che si sono scelti e dovranno concentrarsi sulla sola cosa importante di quella settimana: scrivere.
Ma all'amore non servono nomi, città, età e professioni per sbocciare: alla fine del corso è nata una coppia, quella formata da Aria e da Dutch, che sull'aereo che li riporta a Londra (perché vivono nella stessa città, che fortuna!) scoprono di essere Ava e Matt. Adesso potrebbero chiedersi tutto, ma Ava non vuole rompere subito quella magica bolla che li ha cullati in Puglia e propone di scoprirsi a poco a poco. In fondo loro si conoscono per quello che sono, si sono innamorati per questo. Non devono preoccuparsi se una volta atterrati scorgono un chiassoso trio di donne (le amiche di Ava) attorno a un'auto di lusso (di proprietà dell'azienda di famiglia di Matt) mentre un cane (di Ava) cerca di mordere il serioso autista in uniforme.
In fondo gli aspetti materiali nella vita sono solo dettagli. O no?!

Scritto nel 2020, titolo originale "Love Your Life", ha cancellato le sensazioni piacevoli, per quanto frivole
, che mi avevano dato le due letture fatte lo scorso anno ("La famiglia prima di tutto" e "I love shopping a Natale").

Certo sono consapevole di superare di venticinque anni buoni il target di questi libri, ma questa volta ho sentito un gap generazionale di almeno quaranta.

"Mi sento come se avessi sedici anni"

Lo dice Ava e il livello è proprio quello! È un libro che mi imbarazza ammettere di aver letto e che mi fa pentire di aver già acquistato i due scritti successivamente: poi magari li troverò meravigliosi rimettendo tutto in discussione, ma di questo non riesco a salvare proprio nulla. Non basta sganciare a metà storia un carico da novanta (nello specifico la malattia di un'amica di Ava) per dargli spessore. Non ne ha.

La Kinsella non si allontana dal solito schemino collaudato, un'oca giuliva per protagonista, insicura e odiosamente accomodante, ma che intenerisce a causa di un qualcosa che l'ha resa fragile, a cui affianca un uomo esteticamente perfetto, serio, realizzato e affidabile.
L'autrice ce li presenta così, Ava quella irrisolta, Matt quello centrato, quando in realtà sono entrambi due adulti poco cresciuti, lei disordinata e inconcludente e lui un figlio di papà che, pur avendo superato da un pezzo i trent'anni, vive ancora con due amici.

Ma è proprio la storia a essere stupida o forse l'ho trovata tale perché per me i compromessi possono andare bene solo fino a un certo punto, è difficile essere accomodanti per tutta la vita (per me anche per pochi minuti). Un rapporto duraturo ha bisogno di abitudini, interessi e passioni se non identici, quanto meno simili e conciliabili.
Al primo posto metterei gli ideali, ma in questo libro non ce ne sono.

Reading Challenge 2024, traccia di febbraio: libri di autori che ne hanno scritto più di venti

sabato 10 febbraio 2024

"Antonio", Beatriz Bracher

 

San Paolo, un anno non precisato del primo decennio del 2000. Benjamin Kremz ha una trentina d'anni e sta per diventare padre. L'imminente nascita di Antonio lo spinge a fare chiarezza sul passato della sua famiglia. Con una madre morta di parto e un padre morto pazzo quando lui era soltanto un ragazzino sono tre le persone a cui si rivolge, sperando di riuscire a ricostruire un passato che non gli è mai stato raccontato. Un'esigenza di sapere che è aumentata da quando zia Leonor gli ha mostrato il certificato di nascita di un altro Benjamin Kremz, nato 29 anni prima di lui e morto a meno di un mese di vita. Quel Benjamin era il suo fratellastro, partorito dalla stessa madre quando era ancora una ragazzina. Ma era anche suo zio perché il padre del bambino morto era Xavier, suo nonno.

Beatriz Bracher, redattrice ed editrice brasiliana nata a San Paolo nel 1961, è anche autrice di sei romanzi. "Antonio", scritto nel 2007, è il terzo che ha pubblicato e al momento l'unico a essere stato tradotto in italiano. 

 "Una delle voci più autorevoli e innovative della letteratura lusofona contemporanea"

Innovativo è un aggettivo che associato ai libri mi preoccupa sempre perché temo di scontrarmi con stili troppo particolari, lontani da ciò che mi piace e che mi interessa.

Il modo di scrivere della Bracher l'ho trovato molto bello e decisamente colto, ma anche molto tradizionale. Purtroppo anche molto pesante, come lo è la storia che racconta.

I tre interlocutori di Benjamin sono la nonna paterna Isabel, 75 anni, che gli parla da un letto d'ospedale mentre affronta la fase terminale della malattia che l'ha colpita; Raul, amico d'infanzia del padre di Benjamin, afflitto dal rimorso per non essersi preso cura di lui fino in fondo; e Haroldo, amico di suo nonno, l'unico in grado di raccontare la famiglia Kremz, a partire dai bisnonni di Benjamin.

"Xavier era un irresponsabile nella vita domestica. Meraviglioso con gli amici e le amanti, devastante per i figli, parassita con la moglie."

Ogni capitolo alterna le tre voci e nei primi ho rischiato di perdermi per riuscire a ricostruire l'albero genealogico ("Un suo prozio si sposò con la zia acquisita di un cugino di secondo grado di mia nonna, da parte di madre"). Quando poi ci sono riuscita la comprensione è diventata facile, ma la pesantezza è rimasta.

Isabel, Raul e Haroldo parlano con Benjamin, ma in realtà lui non dice mai nulla. Sono tutti monologhi dei tre, molto raffinati, ma anche disordinati, che fanno del testo il libro delle disgressioni. Quasi tutti i capitoli sono di quindici pagine e alla fine di ognuno sono poche le informazioni "utili", quelle che interessano davvero non solo a Benjamin, ma anche a chi legge. Tutto il resto è un esercizio di stile dell'autrice, appagante se si vuole leggere qualcosa di ben scritto, irritante se si dà maggiore importanza allo sviluppo della trama.

"Il lavoro emancipa i figli dai genitori, dal portafoglio dei genitori, e ammetto che è già una gran cosa, ma il lavoro di per sé non libera nessuno, al contrario, tendenzialmente imprigiona."

Da un'autrice impegnata e cresciuta negli anni della dittatura militare mi aspettavo qualcosa di più dei brevi accenni al golpe degli anni Settanta e ai movimenti di resistenza che mette in bocca alla sola Isabel, mentre avrei fatto volentieri a meno della descrizione dell'uccisione di un maiale fornita da Raul.

I capitoli dove è lui la voce narrante sono particolarmente opprimenti, quelli di Haroldo i più utili e quelli di Isabel i migliori, più veri: la Bracher è stata più brava nel dare voce alla donna, ma in generale è un libro di livello, solo terribilmente malinconico e tetro.

"Morire è intransitivo, non si presta a condivisioni, ha un soggetto singolare, mai plurale. Anche le morti di massa, l'Olocausto, le camere a gas, le carneficine, sono morti individuali. Chi muore, muore da solo."

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda febbraio: Brasile

giovedì 8 febbraio 2024

"Scomparsa", Florencia Etcheves

 

El Paraje (Argentina), 15 aprile di un anno non precisato. Leonora, Mariana, Micaela, Manuela e Cornelia sono cinque studentesse del prestigioso Dullmich College di Buenos Aires. Hanno 15 anni e la gita in Patagonia è stata voluta dalla giovane professoressa di scienze, Ludmila Roviralta, un premio per le sue allieve più brillanti. Hanno 15 anni e la sera prima della partenza eludono la sorveglianza dell'insegnante per andare a ballare con Ariel Alonso, il figlio dei proprietari della locanda dove alloggiano che ha fatto perdere la testa a ognuna di loro.
Buenos Aires, 15 aprile di dieci anni dopo. Clara Villalba fa celebrare una messa per il decimo anniversario della scomparsa di sua figlia. Da El Paraje erano tornate soltanto quattro delle cinque ragazzine: dopo la serata in discoteca Cornelia era scomparsa e soltanto la madre non ha mai smesso di sperare di poterla rivedere. Ed è proprio al termine della funzione che, dopo dieci anni senza il minimo appiglio, succede qualcosa: Clara scopre che ogni 15 aprile qualcuno estraneo alla famiglia ha fatto pubblicare sul giornale un necrologio per Cornelia. Non sarebbe abbastanza per convincere Manuela, che adesso è un'agente della squadra Omicidi, a riaprire il caso, ma anche lei ha notato qualcosa di anomalo nella fotografia di Cornelia posata sull'altare durante la funzione e vuole capire di cosa si tratta.

Florencia Etcheves, nata a Buenos Aires nel 1971, è scrittrice, giornalista di cronaca nera, autrice e conduttrice televisiva, vincitrice per tre volte del Premio Martin Fierro come miglior giornalista donna. Al momento ha all'attivo otto romanzi. Questo, scritto nel 2016 (titolo originale "Cornelia") è il quinto e il solo a essere stato tradotto in italiano insieme all'ultimo che ha scritto ("La cuoca segreta di Frida", del 2022).

Mentre lo leggevo pensavo che se fosse stato un film sarebbe stato un B movie, invece il trailer di quello prodotto da Netflix nel 2018 ("Perdida") non sembra affatto male e mi piacerebbe vederlo.

Il libro qualitativamente non è granché, presenta moltissime criticità (piani temporali che avrebbero potuto essere gestiti meglio, una ricostruzione degli eventi disordinata, un paio di questioni che avrebbero dovuto essere sviscerate con più attenzione, alcune inutili ripetizioni e qualche cliché, il tutto raccontato con uno stile che arriverei quasi a etichettare come amatoriale, pur sapendo che è opera di qualcuno che scrive per professione), ma ha due pregi enormi.

E' avvincente, un libro che chiama, ogni volta che gli ho dedicato del tempo ho sempre fatto fatica a chiudere il Kindle. Nonostante il crescendo di "americanate" che la Etcheves arriva a inanellare man mano che ci si avvicina alla fine, ero davvero curiosa di scoprire cosa fosse successo in Patagonia nel passato e di arrivare alla conclusione dei fatti del presente: difetti a parte, un coinvolgimento del genere ha un valore non indifferente per chi ama i thriller.

L'altro merito deriva dalla denuncia sociale di cui è carico. Ho letto che la Etcheves come cronista di nera si è occupata dei casi più importanti accaduti nel suo Paese. Il livello di criminalità argentino è cosa nota e temo che l'autrice abbia disegnato un quadro realistico.
Non solo stupratori, seviziatori, assassini, ma anche poliziotti corrotti e uomini facoltosi che alimentano la domanda di certi mercati.

Casualmente mi sono trovata a leggere la prima parte del libro mentre finivo "Quelli che uccidono" di Angela Marsons ritrovando la stessa tematica (lo sfruttamento della prostituzione, che in "Scomparsa" arriva alla tratta delle bianche), ma gestita e descritta in modi diversi. Il libro inglese rispetto a quello argentino sembra quasi una favoletta: chiaramente non lo è, non ci sono donne sfruttate di serie A o di serie B, ma la Etcheves dà un senso all'espressione "pentirsi di essere nati". Anzi, nate. Raggelante.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda febbraio: Argentina


martedì 6 febbraio 2024

"Tre storie extra vaganti", Carlo Maria Cipolla

 

Può un saggio adempiere al suo ruolo divulgativo in maniera divertente? Sì, se a scriverlo è stato Carlo Maria Cipolla.
Rispetto ai tre testi letti in precedenza ("Il pestifero e contagioso morbo", "Allegro, ma non troppo" e "Miasmi e umori"), è in questo librino (appena 91 pagine, scritto nel 2003) che emerge maggiormente la specializzazione in storia economica dell'autore.

In ciascuna delle tre parti, come evidenziato dal titolo, racconta altrettanti episodi curiosi dei secoli passati, tutti legati al commercio. 

Gli "Uomini duri" del primo capitolo sono i mercanti (mercatores). Attraverso la famiglia fiorentina dei Bardi - il cui Banco all'inizio del Trecento arrivò a essere la  compagnia mercantile e finanziaria più ricca e potente d'Europa - Cipolla descrive l'evoluzione di queste figure che passarono dall'essere guardati nell'alto Medioevo con sospetto da chiunque ("un po' come gli zingari oggigiorno") e condannati dalla Chiesa per il loro attaccamento al denaro ad arrivare ai vertici delle società grazie alla "rivoluzione commerciale" che in alcune zone (Italia centrosettentrionale, Catalogna, Paesi Bassi e città della Lega Anseatica)  li portò a diventare padroni.
Seguiamo, quindi, la mirabolante ascesa dei Bardi e il successivo tracollo, da banchieri a falsari.

Falsari che sono i protagonisti del secondo capitolo, "La truffa del secolo" (XVII) perpetrata per circa un ventennio da alcuni nobili liguri ai danni dei turchi, per i quali i luigini (moneta francese) non erano mai abbastanza. A causare la crescita della richiesta fu la smania delle donne turche di trasformare le monetine (un luigino valeva un dodicesimo di scudo francese) in monili di ogni genere - orecchini, bracciali, collane - finché la "massiccia e improvvisa domanda di luigini ne spinse al rialzo il valore di scambio".
E chi arrivò a risolvere la penuria?

"Se c’è un posto al mondo in cui si profili qualche possibilità di guadagno, potete star certi che vi troverete un genovese"

Così scriveva nel 1675  Jacques Savary nel suo trattato commerciale e finanziario intitolato "Le parfait négociant" (e Cipolla aggiunge: "Ho girato mezzo mondo, ho insegnato per tre anni all’Università di Genova e non conosco persona che se la sentirebbe di contraddire minimamente l’affermazione di Savary a proposito dei Genovesi").

In realtà gli ideatori della truffa furono dei mercanti francesi, ma per coniare illegalmente luigini (meno argento e più rame) dovettero rivolgersi ai Grimaldi, agli Spinola, ai Doria e ad altri nobili signori che godevano del diritto di zecca.

Savary, insieme ai figli, torna anche nel terzo e ultimo capitolo, "I Savary e l’Europa".
Cipolla amplia il panorama passando dalla Francia - dove i mercanti vennero elevati al rango di nobili grazie all'ordinanza emanata da Luigi XIII nel 1623 - al regno di Polonia, che fino a
lla metà del XVI secolo era lo Stato più potente del centro Europa, ma che nel 1772 (trattato di Pietroburgo) scompariva.
Russia, Prussia e Austria si spartirono i territori e a pagarne le conseguenze furono gli ebrei, esplusi dalla Russia o costretti a vivere in villaggi-ghetto se si trovavano in zone prussiane o austriache.

Si torna a parlare anche di noi genovesi con Savary che, nel trattato sopra citato, ci riconosce "un'intraprendenza impareggiabile" che ci portava a "brillare per abilità commerciale".

"I Savary - padre e figlio - dimostrano a più riprese nelle loro opere stima per gli italiani, e la cosa è tanto più degna di nota perché in Francia a quel tempo gli Italiani erano malvisti, specialmente a corte dove quel megalomane del Re Sole nutriva un feroce odio contro i Genovesi. Costoro erano già stati oggetto di speciale odio da parte di Filippo II di Spagna quando questi era costretto a prendere continuamente danaro a prestito da loro. Tra il 1550 ed il 1650 i Genovesi avevano dominato le finanze europee e profittando del continuo stato di bancarotta di Filippo II, lo avevano spennato come un pollo. Non stupisce che questi li ripagasse con un rancore profondo che rimase però silente perché l’uomo era maestro di self-control. L’ineffabile Re Sole invece non perdeva occasione per dirne di grosse e il suo ambasciatore riportava che il suo re «non vuole far pace con i Genovesi, ma li vuole tutti per morti et fare a suo potere che non si conosca più dove sia stata quella città."

E Re Sole provò davvero ad annientarci con il bombardamento navale del 1684, senza però ottenere né la resa né la conquista.

Ciao Luigino, avresti fatto meglio a preoccuparti per la tua gotta...

Reading Challenge 2024, traccia di febbraio: libri con cappello/i in copertina

domenica 4 febbraio 2024

"Quelli che uccidono", Angela Marsons

 

Black Country, gennaio 2017. Sono passati soltanto due mesi da quando la squadra di Kim Stone è arrivata a un passo dal perdere un suo prezioso elemento. La detective preferisce non rischiare incaricando Stacey e Dawson di rintracciare chi ha abbandonato un bambino di pochi mesi sul piazzale davanti alla centrale di polizia. Nel frattempo lei e Bryant indagano sull'omicidio di Kelly Rowe, una giovane prostituta trovata morta con almeno quattro profonde ferite da arma da taglio sul torace.
E Kelly sarà la prima, ma non l'ultima.

Scritto nel 2017, titolo originale "Broken Bones" (più adatto), è il settimo libro della serie ed quello che mi è piaciuto di più. Angela Marsons costituisce un bell'esempio dell'importanza che ha leggere i libri seguendo l'ordine con cui sono stati scritti. Certo nel suo caso è indispensabile, trattandosi di una serie con collegamenti che non riguardano soltanto le vicende private dei personaggi, ma la cronologia serve soprattutto per seguire e apprezzare il miglioramento di un autore.

La Marsons non scrive capolavori letterari, ma fa quello che pochi autori di thriller fanno: denuncia sociale. A cominciare dalla sua protagonista: Kim Stone ha nel suo passato una storia di abbandoni, abusi, violenze e sfruttamenti che non si limitano a fare di lei il prototipo (che non amo) di eroina invincibile di tanti romanzi, ma che servono a mettere in luce certe mancanze del sistema e a svelare la cattiveria umana.

In "Quelli che uccidono" inserisce macro argomenti legati allo sfruttamento. Delle donne, scambiate e vendute come oggetti, e degli immigrati (qui nello specifico si parla della comunità rumena). Inserendo nella sottotrama anche gli enormi pericoli che si nascondono nel web e di cui gli adolescenti costituiscono prede fin troppo facili.

Molto brava negli intrecci di quello che sotto ogni aspetto è un poliziesco in piena regola, con indagini su strada, interrogatori, pedinamenti e azioni solitarie e di squadra. Non un thriller, ma uno splendido giallo quasi vecchia maniera.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: fiocco nel testo


giovedì 1 febbraio 2024

Reading Challenge: le tracce di febbraio

  


TRACCE MENSILI

Libere:
  • libri di autori che ne hanno scritto più di venti
    Amo la mia vita, Sophie Kinsella (3 punti)
  • libri con il titolo al singolare
    La ribelle, Linda Castillo (3 punti)
  • libri con cappello/i in copertina
    Tre storie extra vaganti, Carlo Maria Cipolla (1 punto)

Traccia gioco di società: Affonda la flotta, libri ambientati in città di mare o su una nave
  • La curiosa vicenda dei gemelli Bonino. Ovvero, non è tutto oro quel che luccica, Renzo Bistolfi (3 punti)

Traccia vagabonda:
  • Argentina: Scomparsa, Florencia Etcheves (3 punti)
  • Brasile: Antonio, Beatriz Bracher (2 punti)
  • Cile: L'ombra di quel che eravamo, Luis Sepulveda (1 punto)

Traccia stagionale crucipuzzle, inverno:
  • Quelli che uccidono, Angela Marsons (3 punti)
  • Il dubbio, Maria Masella (2 punti)
  • Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno, Benjamin Stevenson (3 punti)
  • I giorni dell'abbandono, Elena Ferrante (2 punti)
  • La signora nel furgone, Alan Bennett (1 punto)

I miei punti di febbraio: 27