giovedì 31 ottobre 2019

"L'uomo seme", Violette Ailhaud


Saule-Mort (Alta Provenza), febbraio 1852. Il paese, favorevole alla Repubblica, subisce un rastrellamento da parte della gendarmeria di Napoleone III: tutti gli uomini vengono portati via, alcuni subito uccisi, altri deportati. Le donne, soprattutto le più giovani, fra cui l’autrice, si sentono private di quello che allora era lo scopo principale delle loro esistenze: riprodursi. Isolate dal resto del mondo, senza sapere cosa stia succedendo nel resto di Francia, stringono un patto: quando e se un uomo tornerà al villaggio, se lo divideranno.

Violette Ailhaud, nasce a Saule-Mort nel 1835 ed è lì che muore nel 1925. Sei anni prima, quindi a 84 anni, scrive questo racconto, lo sigilla e lo include nel suo testamento, con l’indicazione di consegnare la busta alla sua prima discendente femmina di età compresa fra i 15 e i 30 anni, tassattivamente dopo il 1952. 
 
Verità o trovata commerciale? Effettivamente lo stile di scrittura è molto moderno, non dimostra i quasi cent’anni che ha. Resta comunque una lettura molto, molto particolare e piacevole, nonostante la tristezza di ciò che racconta. Dubbi sulla veridicità della storia pare non ce ne siano, e quindi abbiamo tutta l’atrocità di un conflitto con il suo bagaglio di crudeltà, lo sterminio degli uomini, il disagio delle donne.

Non posso dire che mi sia piaciuto il messaggio che contiene, una donna può vivere benissimo senza un uomo, ma mi rendo conto che nel 1852, per di più in un piccolo villaggio isolato, la forza fisica di un maschio fosse più necessaria di quanto lo sarebbe oggi e che ci volesse una mentalità non in linea con i tempi per concepire un’altra donna come fonte di affetto e di appagamento sessuale. Per la riproduzione niente da dire, in quello l’uomo ha un suo perché e, essendo prossimi agli 8 miliardi di abitanti sulla Terra, direi che dovremmo deciderci (tutti) a sfruttare un po’ meno l’uomo seme.

Reading Challenge 2019: per questo testo uso il bonus casata che noi Lost in Austen ci siamo aggiudicate a settembre

mercoledì 30 ottobre 2019

"13 anni dopo", Kerry Wolkinson


Stoneridge (Inghilterra), 21 maggio 2004. Olivia Adams ha sei anni e sta giocando in giardino quando viene rapita senza lasciare traccia. I genitori non riescono ad affrontare insieme il dramma, il matrimonio in breve tempo si sfascia. Ad avere la peggio è il padre: era lui con la bambina quel giorno e l’ha lasciata da sola in giardino per godersi la partita dentro casa. I sensi di colpa e le accuse della moglie lo portano alla deriva. La madre, invece, con il tempo riesce ad andare avanti con un secondo matrimonio e un secondo figlio. Anche con un nuovo lavoro, un bar che ha chiamato Via’s in ricordo della sua bambina.
Ed è lì che 13 anni dopo Olivia ritorna. Ha pochi ricordi del suo rapimento, dice che sono stati gli zingari, che ha vissuto con loro per tutto quel tempo, finché non è riuscita a scappare.
La madre, il padre, l’amichetta del cuore di un tempo: tutti credono alla sua versione. Tutti tranne il secondo marito della madre e il fratello di questi…

Mi scuso ufficialmente con Stefania, mia compagna di casata, per non averle dato retta quando mesi fa mi aveva consigliato di eliminare questo titolo dalla mia wish list: brutto, brutto, brutto!

L’autore ha sfruttato l’abusato filone delle bambine rapite (sempre nei giardini di casa, tra l’altro) che ricompaiono dopo tot anni e ha cercato di dare originalità alla storia spargendo un’acuta indole criminale a piene mani. Il risultato sono una protagonista grottesca come tutti gli altri personaggi. E la vicenda, che avrebbe anche una sua linearità, cade nell’assurdo per l’assenza di scrupoli comune a tutti.

Ma ho avuto la netta impressione che non sia stata una scelta voluta dell’autore, bensì un appiattimento causato dalla sua incapacità nel descrivere i sentimenti: quando io ritrovo qualcosa che i miei gatti hanno buttato sotto al letto manifesto un maggiore entusiasmo di questa madre che ritrova la propria figlia data per morta! Non sto esagerando: in nessun punto del libro vengono descritti gli stati d’animo di queste persone. Allo stesso modo Wilkinson non riesce a trasmettere nessuna trepidazione neppure nei momenti finali dove quello che sta succedendo dovrebbe creare una grandissima suspense.

Eppure una ricerca su web mi dice che si tratta di un autore prolifico e che i suoi thriller sono diventati bestseller nel Regno Unito, negli USA, in Canada e in Sud Africa… Per noi italiani questo è stato il primo a essere tradotto, con uno stile veramente povero, brutto.
Ma se in lingua originale ha così tanto successo, allora forse è al traduttore (tal Fabrizio Coppola) che devo dare la colpa per frasi atroci come: “Sospira, poi fa un lungo sospiro”…
O forse all’editore: è un libro che mi fa venire voglia di bannare dalla mia wish list tutti i libri della Newton Compton!

Il guaio è che quest’anno hanno tradotto anche “Il matrimonio degli inganni” e la trama mi ispira… potrei cercare di convincere Stefania a leggerlo per prima, garantendole che stavolta seguirò il suo consiglio ^^

Reading Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di ottobre per la parola "anni" nel titolo


martedì 29 ottobre 2019

"L'amore molesto", Elena Ferrante


Spaccavento, frazione di Minturno (Latina), fine anni ‘90. E’ il 23 maggio quando la 63enne Amelia affoga in mare: suicidio? Incidente? Altro? E’ anche il giorno del 45mo compleanno di Delia, la figlia maggiore, disegnatrice di fumetti a Roma. La donna torna a Napoli per il funerale, decisa anche a capire cosa sia davvero successo alla madre e ritrovando così le tre torve figure maschili della sua vita passata: il padre, lo zio materno e quell’uomo oscuro che lei da sempre conosce come Caserta…

Per mitigare il vuoto lasciato dalla tetralogia dell’amica geniale ho scelto un altro romanzo di Elena Ferrante e non so quanto sia stata un’idea felice, ho avuto qualche difficoltà nella lettura di questo libro, più volte sono dovuta tornare indietro perché avevo perso senso e contesto.

E’ una storia angosciante dove l’amore è molesto all’interno di più rapporti, fra marito e moglie, fra madre e figlia, fra padre e figlia, fra zio e nipote, con l’aggiunta di quest’uomo soprannominato Caserta e il figlio di lui: brutti personaggi.

Ed è una storia resa contorta da Delia, che non distingue i ricordi reali da quelli immaginari, a volte neppure se stessa dalla madre: decisamente troppo onirico per me!
Per fortuna ho capito il finale che spiega le circostanze poche chiare della morte di Amelia, almeno quello…

Nonostante i vari punti di impasse, ho capito che lo stile narrativo di Elena Ferrante mi piace anche quando non mi piace quello che racconta (e nonostante l’abuso dell’aggettivo “giallastro”!).

A non piacermi, invece, è l'aver ritrovato anche qua lo spregio con cui l'autrice parla di Napoli, arrivando a definirla “città senza colori”!!
Senza parole...


Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo collego a "Storia della bambina perduta" perchè scritti dalla stessa autrice



domenica 27 ottobre 2019

"Storia della bambina perduta", Elena Ferrante


Quarto e, ahimè, ultimo volume della tetralogia di Elena Ferrante che qui racconta gli anni della maturità e della vecchiaia, partendo dal 1976 arrivando al 2010, cioè all'incipit del primo romanzo, quando Elena comincia a scrivere la sua storia e quella di Lila dopo aver saputo della sparizione dell’amica dal figlio di questa, andando poi anche leggermente oltre e l’epilogo di questa saga è splendidamente… geniale!
 
Un finale che mi ha appagata tanto da spazzare via la tristezza che provavo mentre mi avvicinavo alla fine, ben sapendo che questi personaggi dopo più di 1.700 pagine lette nell’arco di un mese e mezzo avrebbero lasciato un grosso senso di vuoto in me.

Con il ritorno di Elena a Napoli i contatti fra le due donne riprendono la costanza del passato, con i soliti alti e bassi, i soliti contrasti, e la loro “amicizia” (che scrivo fra virgolette perché l’idea che ho io di amicizia non può raggiungere il livello di conflittualità che sicuramente fa parte di Elena e probabilmente anche di Lila) è protagonista come non era mai stata veramente nei tre volumi precedenti.

Anche in questo la Ferrante, raccontandoli attraverso il modo in cui i suoi personaggi li hanno vissuti, non dimentica nessun evento epocale, nazionale e non, dai terremoti del Friuli e dell’Irpinia a Chernobyl fino all’11 settembre. La piaga dell’eroina, l’AIDS. E, di nuovo, ancora tanta politica, la crisi del capitalismo, le Brigate Rosse e il sequestro Moro, la strage di Bologna, la corruzione del pentapartito, mani pulite e l’ascesa di Berlusconi.
Spesso solo degli accenni, ma capaci di spingere a riflessioni profonde su cosa sia davvero cambiato - o meno - in Italia nell’arco dei sessant’anni successivi alla fine della guerra.

Trattandosi dell’ultima puntata le considerazioni si estendono all’intera opera, per me meravigliosa. Oltre all’epilogo, trovo geniale la struttura, l’essere andati a ritroso partendo da una telefonata avvenuta nel presente.

Avrei forse preferito (ma questo sempre) l’uso della terza persona: un narratore esterno permette all’autore di fornire più punti di vista arricchendo la storia, mentre il fatto che ricordi e opinioni siano solo di Elena mi ha lasciato un senso di “incompletezza” per quanto riguarda il personaggio di Lila, indubbiamente il mio preferito.

Ma torno all’uso delle virgolette (e ce ne vorrebbero milioni) per incompletezza perché la descrizione dei personaggi è il grande capolavoro della Ferrante. Sono tanti, a partire dai vari nuclei familiari del rione, ventaglio che si allarga a livello cittadino nel secondo volume e nazionale nel terzo, per tornare al rione nel quarto. Tutti i personaggi seguono il loro percorso, crescono, maturano, invecchiano, alcuni muoiono, e la Ferrante li descrive così bene da farli diventare più reali di quanto non siano i nostri veri vicini di casa e conoscenti.

E’ Napoli a uscire con le ossa rotte da questa tetralogia. Ho avuto l’impressione che l’autrice si sia resa conto in extremis di essere stata troppo dura nei confronti della sua città dedicandole sul finale due capitoli in cui ha cercato di recuperare qualcosa attraverso gli occhi di una delle figlie di Elena che all'improvviso veste i panni da turista. Un po’ poco per una Napoli sicuramente più violenta e corrotta di tante altre città italiane, ma non certo il male del mondo e con oggettivi pregi, non solo artistici e territoriali, a cui la Ferrante non dà il giusto merito.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo collego a "Storia di chi fugge e di chi resta" perchè editi dalla stessa casa editrice (e/o)




giovedì 24 ottobre 2019

"Il mago", César Aira


L’argentino Pedro Marìa Gregorini, in arte Hans Chans, prossimo ai cinquant’anni, atterra a Panama in un giorno di marzo di un anno qualunque per partecipare al convegno degli illusionisti. Questa volta è deciso a dimostrare di essere Il Miglior Mago del Mondo, perché lui – a differenza di tutti i suoi sedicenti colleghi – un mago lo è davvero!

Anche a César Aira ci sono arrivata tramite un video su YouTube, questa volta del canale Read Vlog Repeat. A dire il vero Valeria raccomandava l’ultimo libro scritto dell’autore, “Come diventai monaca”, ma - siccome mi piace andare in ordine – ho preferito partire da quello più vecchio che sono riuscita a trovare (usato sul sito del Libraccio).

Un inizio non felicissimo perché dalla sinossi mi aspettavo tutt’altro, una storia spassosa con questo vero mago che dal palco sbalordisce il pubblico e gli altri partecipanti con numeri strepitosi oppure che finisce per inguaiarsi da solo facendo cose per le quali non esiste un trucco credibile e diventando così quello che per tutta la vita gli ha impedito di rendere pubblica la sua magia: un fenomeno da baraccone.

Invece divertente lo è davvero pochissimo, solo per rare uscite qua e là. Viceversa il Mago è un uomo triste che non ha mai trovato il modo per sfruttare questo suo grande dono, cosa non facile perché se – come spiega – parlando per ipotesi tutti sarebbero pronti a elencare le tantissime cose che farebbero se avessero il potere per farle, nella pratica non tutto è possibile.
Fare soldi, per esempio: lui potrebbe farsi piovere fra le mani tutte le banconote del mondo, ma come la mettiamo con il numero di serie? Potrebbe fare man bassa al casinò, ma la tensione sarebbe troppo grande. O potrebbe vincere una fortuna alla lotteria, ma ciò lo porterebbe ad esporsi, quello che ha sempre cercato di evitare… Anche prendere possesso di case e cose tramite la magia non lo farebbe vivere tranquillo perché in caso di controllo non potrebbe dimostrare il legittimo acquisto.

Insomma, sono questi i motivi che lo hanno spinto molti anni prima a diventare un illusionista di professione: per potersi mescolare fra chi fingeva di esserlo.

E la parte che mi è piaciuta del libro si ferma qua, cioè all’inizio. Tutto quello che segue è la descrizione dell’interminabile giornata in cui Hans Chans prima si annoia in albergo, poi si annoia da turista in giro per la città e poi di nuovo si annoia in albergo, finché arriva finalmente la sera con l’inaugurazione della convention e non si capisce se anche lì si annoia, ma di sicuro io sono passata dalla noia alla delusione perché non succede proprio nulla ed è stato un sollievo arrivare alla fine di questo librino: non ne potevo più di questo ometto paranoico, depresso e frustrato.

Non aiutano la mancanza della suddivisione in capitoli e gli scarsissimi dialoghi, sono rare anche le andate a capo e, per quanto scritto benissimo, il monologo interiore che ne viene fuori diventa via via più pesante e… noioso.

Pagina dopo pagina il mio interesse si è prosciugato, tanto che non mi sono neppure sforzata di capire se tutto quello che avviene è reale o creato dal mago senza neppure rendersene conto e senza capirlo lui stesso.

Sono invece abbastanza sicura che Aira abbia nascosto una morale nel romanzo, un confronto fra il poter riuscire a fare qualcosa (come l’illusionista) attraverso il semplice impegno e il non riuscirci nonostante i poteri magici. Nel caso un bel messaggio, che però sarebbe arrivato di più divertendo e non annoiando.

Reading Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di ottobre perchè l'autore ha vent'anni più di me

mercoledì 23 ottobre 2019

Reading Challenge 2020

http://chelibroleggere.blogspot.com/2019/10/book-challenge-2020-iscrizioni.html

Mancano ancora più di due mesi alla fine dell'anno, ma Claudia ha già lanciato la Reading Challenge 2020, che mi sembra ancora più bella di quella in corso di cui, se non si fosse capito, sono entusiasta! Sia per com'è organizzata che per il bellissimo legame che si è creato con le mie compagne di casata.

Se vi interessa sapere come funzionerà, cliccate sul banner in alto.
 
E se avete piacere di farla con me, chiedete a Claudia di essere inserite nella mia casata:

 

 

lunedì 21 ottobre 2019

"Falsa partenza", Marion Messina


Francia, 2008. Aurélie ha 18 anni, seconda di tre figli, madre francese, padre di origini calabresi. Una famiglia operaia, povera. Due genitori con un unico scopo, quello di riuscire a far studiare i figli per permettere loro uno scatto sociale.
Alejandro ne ha 24, è arrivato in Francia per proseguire gli studi dopo aver conseguito una laurea in letteratura in un’università privata di Bogotà. Perchè in Colombia faceva parte del ceto medio-alto, mentre in Francia si ritrova a dover studiare e contemporaneamente lavorare per riuscire ad avere un posto dove vivere.
Si conoscono quindi da studenti, a Grenoble, la città di lei. Lei che si innamora di lui, lui che dichiara in partenza che non potrà mai sposare una donna europea. Perchè già dopo un anno ha capito di non sentirsi più colombiano, ma sa anche che non sarà mai francese…

Romanzo di esordio per questa giovane francese (paragonata a Michel Houellebecq) a cui sono arrivata grazie a Marco Cantoni che nel video letture di maggio ne ha parlato come il miglior romanzo di narrativa da lui letto fino a quel momento per il 2019.

Pur avendone apprezzato moltissimo stile e linguaggio (non sembra affatto un’opera prima), non mi sento pervasa dallo stesso entusiasmo di Cantoni e credo che ciò dipenda dal non essermi ritrovata nel contesto avendo vissuto gli anni fra i 18 e i 25 (e un po’ oltre, direi) in un’epoca diversa. In altre parole, fortunatamente non ho mai dovuto sperimentare la condizione di lavoratrice precaria.

Perchè è questo il tema portante del libro: non la difficoltà di integrazione del ragazzo colombiano (come la sinossi spinge a pensare, ma se lui fosse stato francese non sarebbe cambiato nulla) né tanto meno la storia d’amore fra i due. La protagonista è Aurélie che dopo un anno di università interrompe gli studi e si trasferisce a Parigi perché annoiata dalla vita di provincia e nella capitale si ritrova a fare una vita quasi da barbona con un lavoro triste, sfruttato e mal pagato.

Un libro impietoso verso la Francia.

Una Grenoble descritta come “una conca grigia, una verruca incuneata tra tre massicci”, città di cui invece io ho un bellissimo ricordo, forse perché è il posto dove in assoluto mi sono sentita più vicina alla lotta partigiana, e se è vero che le sensazioni vissute come turista di giornata sono effimere, è anche vero che – a differenza dei giovani personaggi del libro – non ho mai avuto il mito della grande città, della capitale.

Ma anche Parigi non ne esce tutta intera: brutta, imperfetta, malsana. Non potrei mai viverci (per me già Genova è troppo grande…), ma l’ho comunque amata.

E la nazione in generale, una Francia che si preoccupa di rendere accessibile a tutti la cultura e che fa studiare i suoi figli solo per creare dei disoccupati o dei precari perché con quegli studi non li prepara adeguatamente al mondo del lavoro lasciandoli senza prospettive.

Ho sempre pensato, e sinceramente continuo a pensarlo, che alcune cose funzionino meglio in Francia che da noi. Questo libro mi ha spiazzata, ma soprattutto lo hanno fatto le parole di Cantoni che sono andata a riascoltare poco fa. Lui, che ha meno di trent’anni, dice che il libro racconta i ventenni di oggi e la vera società, e qui mi rendo conto di non saperne nulla dei ragazzi di oggi: sono davvero parcheggiati all’università in attesa di allargare le fila dei disoccupati e dei precari?

Avvilente. Preoccupante. Ma in fondo, a ben pensarci, ci sono miei coetanei, quindi adulti fatti e finiti, che vanno avanti grazie ai finanziamenti degli anziani genitori e questo è ancora più avvilente.

Reading Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di ottobre per i piedi in copertina

La "mia" Grenoble, 23 agosto 2004 
















domenica 20 ottobre 2019

"Storia di chi fugge e di chi resta", Elena Ferrante


Terzo volume della tetralogia di Elena Ferrante che nell’incipit ci riporta al 2010 - il presente di tutta la narrazione – nella casa torinese di Elena Greco dove la donna sta scrivendo la storia di Lila, ma questa volta soprattutto la sua. Ripensa al loro ultimo incontro, avvenuto cinque anni prima, e da lì fa un ulteriore balzo indietro, andando a riprendere il racconto dove lo aveva lasciato.
Le due amiche vivono ormai lontane, una è rimasta a Napoli, l’altra si è trasferita a Firenze. Le telefonate non seguono un ritmo costante, gli incontri sono rarissimi. La distanza accentua maggiormente le differenze fra loro e non cancella (anzi) i rancori e i complessi di inferiorità che Elena da sempre cova nei confronti di Lila. Un’amicizia malata e sbagliata, forse da entrambe le parti.

Più ancora che nel libro precedente, Elena è la protagonista. Di lei, essendo la voce narrante, sappiamo tutto quello che fa, quello che pensa, quello che ama, quello che odia, quello che sogna. Lila compare qua e là, apprendiamo per sommi capi gli avvenimenti pratici della sua vita, ma dei suoi reali stati d’animo sappiamo poco e quel poco si basa in gran parte sulle supposizioni di Lenù.

E’ un peccato perché il libro racconta il “tempo di mezzo”, anni importanti nella vita di ogni persona e che nella vicenda coincidono con anni ancora più importanti per l’Italia e per il mondo: i moti del ‘68, gli anni di piombo, lo scandalo Lockheed, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, la seconda ondata femminista.

Vista l’importanza dei temi, l’età adulta e il coinvolgimento di Elena, la politica – che nei primi due volumi veniva raccontata bene, ma attraverso gli occhi di due bambine, prima, e di due ragazze, dopo – qui diventa la vera protagonista della storia facendo di questo il libro più interessante e profondo dei tre.
 
E’ proprio brava la Ferrante. Tramite le vicissitudini e i pensieri dei suoi personaggi racconta le condizioni e lo sfruttamento della classe operaia, le lotte per riuscire a ottenere un trattamento dignitoso, e non solo dal punto di vista economico, cose come straordinari e ferie retribuiti, mutua, ecc, che oggi tendiamo a dare per scontate senza pensare che qualcuno le ha ottenute per noi pagando anche con la vita.
 
Stesso discorso per le importanti riflessioni sull’emancipazione femminile, in famiglia, sul posto di lavoro, ovunque.

Eppure, se io ho la fortuna di provare pena per chi negli anni ‘60 era costretto a lavorare con le dita delle mani lacerate per non perdere quel posto mal pagato e rabbia perché all’epoca era “normale” che il capo reparto molestasse e abusasse delle sue subalterne, il vero orrore è che certe situazioni di sfruttamento persistono nel 2019. Anche in Italia.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo collego a "Non ditelo allo scrittore" perchè entrambi scritti da una donna



sabato 19 ottobre 2019

"Non ditelo allo scrittore", Alice Basso


Torino, inizio 2015. Sono passate quattro settimane da quando Vani Sarca con l’incarico di scrivere un ricettario narrativo si era ritrovata invischiata nelle vicende di una delle famiglie più in vista di Torino, e non solo.
Questa volta non deve fare la ghostwriter, ma cercarne uno, quello che vent’anni prima ha scritto “Verrò a trovarvi sul lago”: le lettere e gli appunti scovati per caso da una redattrice della casa editrice dimostrano che il fu Ruggero Solimano non può essere stato il vero autore del bestseller.
E Vani di tempo ne ha perché il commissario Berganza è tutto preso da un caso troppo pericoloso e per questo cerca di tenerla a distanza, finché deve arrendersi all’evidenza di aver bisogno del suo aiuto per capire come un malavitoso agli arresti domiciliari riesca a mantenere i contatti con i suoi galoppini all'esterno.

Per fortuna leggendo il secondo romanzo della Basso mi ero fatta prendere dalle vicende personali della protagonista, perché in questo sia la ricerca del collega misterioso che la faccenda gialla sono spaventosamente deboli (e preoccupanti in vista della lettura delle altre due puntate della saga), rendendo la trama insulsa.

Deve essersene resa conto anche l’autrice che al presente ha affiancato un salto temporale di 17 anni con diversi capitoli che ci fanno conoscere Vani Sarca ragazzina, ai tempi della scuola e del primo amore. La descrizione di questa Vani 17enne, però, cozza con il personaggio fin qui costruito dalla Basso e con i tanti ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza che già le aveva fatto svelare nei primi due libri: un essere fieramente introverso e solitario che all’improvviso scopriamo perfettamente a suo agio sui banchi di scuola e in coppia proprio con il ragazzo più popolare… Non torna.

Ma ad essere ancora più insensato è il modo in cui questa donna dalla perspicacia paragonabile a un super potere di un super eroe venga trasformata dalla Basso in una sciocca cretinetta incapace di cogliere gli evidenti segnali di interesse da parte di un uomo!

Per lo meno fra i due pretendenti ha fatto rimanere in gioco quello che avrei scelto io!

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo collego a "Scrivere è un mestiere pericoloso" perché entrambi sono ambientati a Torino

lunedì 14 ottobre 2019

"Scrivere è un mestiere pericoloso", Alice Basso


Torino, autunno 2014. Sono passate solo poche settimane dalla conclusione dell’indagine che ha fatto incontrare Vani Sarca, la 34enne ghostwriter della casa editrice L’Erica, e il 50enne Romeo Berganza, commissario di polizia. L’uomo è rimasto così colpito dall’intuito di Vani da procurarle un secondo lavoro come consulente di polizia.
Ma sarà lei a fornire a lui del lavoro extra: incaricata di raccogliere le memorie dell’81enne Irma Envrin - che dai suoi 14 anni ha lavorato come cuoca presso la tenuta dei Giay Marin, ricchissima e famosissima famiglia di stilisti torinesi – per trasformarle in un ricettario narrativo, a sorpresa sentirà l’anziana signora confessarle di essere stata lei ad avvelenare nel 2009 Adriano, lo scapestrato primogenito di Armando Giay Marin, capostipite della celebre famiglia.
Quindi Aldo, il fratello minore della vittima, sta scontando un’ingiusta condanna per omicidio? E perché ai tempi ha confessato il delitto se non è stato lui a commetterlo?

Secondo romanzo della saga di Alice Basso con protagonista la sua asociale ghostwritter, leggero e carino come il primo. Se con “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” ero rimasta momentaneamente perplessa perché non rispecchiava il giallo che avevo immaginato iniziando la lettura, questa volta senza fraintendimenti di genere ho finito con l’appassionarmi di più alle vicende personali di Vani (infatti inizierò subito il terzo perché voglio vedere quale direzione prenderà la sua vita sentimentale, sperando che scelga chi sceglierei io…) che non al cold case su cui lei e Berganza si trovano ad investigare, un gialletto un po’ campato per aria, soprattutto nel suo epilogo.

E se nel primo libro mi ero rispecchiata non poco nel “carattere di merda” di Vani, qui ho trovato un altro grandissimo punto in comune: il disinteresse per la cucina con conseguente forte antipatia verso le celebrità del settore.
O forse è solo la mia intolleranza verso il soggetto reale a farmi pensare che l’assonanza del nome che la Basso ha scelto per l’arrogante blogger di cucina, cioè la seconda firma del ricettario che Vani deve scrivere in vece di Irma, non sia casuale? Cinzia Croco non ricorda tanto Carlo Cracco?
Di sicuro è il primo di questi vip della padella a cui ho pensato leggendo di “certi chef pomposi che disquisiscono della preparazione di una caponata come se stessero descrivendo l’edificazione della Sagrada Familia”. Lo stesso pensiero che ho fatto io le volte in cui mi è capitato di ascoltare terribili smargiassate da parte di Cracco, Barbieri, ecc, deliri di onnipotenza che troverei giustificabili (ma comunque maleducati) giusto da parte di un cardiochirurgo di fama mondiale.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo collego a "Lucky" perchè entrambe le autrici si chiamano Alice