lunedì 30 dicembre 2019

"L'angelo di neve", Ragnar Jonasson


Siglufjörður (Islanda), novembre 2008. Ari Þór ha 25 anni e dopo aver studiato, e abbandonato, prima filosofia e poi teologia, ha frequentato l’Accademia di polizia accettando subito dopo un’offerta di lavoro nella piccola cittadina all’estremo nord dell’Islanda, un villaggio di pescatori collegato al resto del Paese da un’unica strada e sempre più attanagliato dalla neve e dal gelo man mano che l’inverno si avvicina.
La vita nella piccola comunità di appena 1.200 abitanti scorre tranquilla, un agente di polizia da quelle parti ha ben poche cose di cui occuparsi. Anche quando un anziano scrittore - il celebre autore di “A nord delle colline”, il romanzo islandese più venduto nel mondo - muore cadendo da una scala all’interno del teatro locale, il capo di Ari Þór non si scompone, sicuro che si sia trattato di un incidente e non dando credito ai sospetti del ragazzo.
Ma quando pochi giorni dopo Linda, la moglie del protagonista del dramma teatrale prossimo al debutto, viene trovata seminuda e in fin di vita nel giardino innevato della sua abitazione, sarà evidente a tutti che a Siglufjörður non regna più la pace

Nonostante i tantissimi titoli tradotti in italiano negli ultimi anni, questo è il primo giallo nordico che leggo e l’inizio non poteva essere migliore. Mi ero sempre tenuta alla larga dal genere perché immaginavo storie cupe e soprattutto molto lente: non che questa storia faccia immaginare di essere al carnevale di Rio, ma mi è piaciuta davvero tanto.

Lo stile è scorrevole e incalzante dove serve che lo sia, i personaggi sono variegati e ben descritti, il giallo è articolato e ben sviluppato: una lettura tutt’altro che noiosa.

Ma forse l’aspetto che mi ha colpita di più è l’ambientazione: l’autore riesce a far sentire tutto il senso di isolamento dato dalla collocazione di questa striscina di terra stretta fra i monti e il mare (inevitabile per me fare un parallelo con la mia Liguria, soprattutto adesso che tutte le strade che la attraversano sembrano essere pericolanti…), accentuato dai rigori di inverni che per fortuna noi possiamo solo immaginare!

Due parole su Siglufjörður: nel libro si fa spesso riferimento al boom delle aringhe e ai bei tempi, prima che le aringhe sparissero dal mare, senza però mai entrare nel dettaglio. La spiegazione l’ho trovata in rete ed è atroce: negli anni ‘40 e ‘50, su spinta danese, l’Islanda mise in opera un progetto per la pesca e la lavorazione delle aringhe, sfruttando le riserve ittiche al punto da causare la sparizione di quei pesci dal loro mare. In cambio di pochissimi decenni di questo fiorente mercato, che - come sempre succede - arricchì solo gli islandesi già ricchi, la pesca incontrollata svuotò letteralmente il Mare del Nord.
E’ un qualcosa che il mio cervello non riesce neppure a concepire: il mare è così immenso che non riesco a capire come a questi poveri pesci non sia stata lasciata neppure una via di fuga alla mattanza.

E l’uomo non impara mai dagli errori, o meglio, finge di non imparare per questioni di gola e di denaro.
Un esempio a tema? La pesca a strascico: il danno che creano questi tipi di reti è noto a chiunque, ma il massimo che si è riuscito a ottenere (e solo in alcuni Paesi) è il divieto di effettuarla sottocosta! Divieti sistematicamente ignorati da quelli che dovrebbero avere maggior interesse a salvaguardare ciò che determina il loro futuro economico.
Se non avessi così a cuore l’ambiente e gli animali, potrei godere dell’ignoranza di questi soggetti.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Le otto montagne" perchè entrambi gli autori sono uomini



domenica 29 dicembre 2019

"Le otto montagne", Paolo Cognetti


Graines, frazione di Brusson (Aosta), agosto 1984. E’ durante quella estate che nasce l’amicizia fra Pietro e Bruno. In comune hanno solo gli 11 anni di età e il carattere chiuso. Bruno in quelle montagne ci vive e nonostante sia giovanissimo aiuta già lo zio con il pascolo. Pietro, invece, vive a Milano, la città dove i suoi genitori sono emigrati dal Veneto all’inizio degli anni ‘70. Assistente sociale lei, chimico lui, aspettano l’estate per tornare sui monti cambiando sempre paese (ma non regione), finché lei riesce a convincere il marito ad affittare una casetta, poco più che un rudere, in modo da avere una base fissa, fare conoscenze, illudersi di essere anche loro gente del posto e non di città…
E’ così che fra i due ragazzi, ritrovandosi anno dopo anno, nasce un forte legame che si interromperà con l’allontanamento di Pietro dalla sua famiglia, per poi solidificarsi in età adulta.

Libro famosissimo, vincitore del Premio Strega 2017 (anche del Premio Strega Giovani di quello stesso anno), che ammetto di aver deciso di leggere solo perché ha in copertina un elemento invernale, la neve, obbligatorio per tutti i libri letti a dicembre nella mia Reading Challenge.

La trama mi era nota ed immaginavo che fosse un libro adatto agli appassionati della montagna, cosa che io decisamente non sono. E non sono neppure un’amante dei libri di formazione. Unendo i due fattori - pur riconoscendo che si tratta di un libro discreto, scritto bene, in maniera semplice e scorrevole – è successo quello che mi aspettavo, non mi ha né interessato né emozionato.

L’essere descrittivo come è rende la montagna l’indiscussa protagonista, ma al suo fianco non ho trovato, come mi aspettavo, l’amicizia fra i due personaggi (né tanto meno ho colto l’omosessualità celata di cui avevo sentito parlare ai tempi della vittoria dello Strega), bensì il rapporto padre-figlio. Un legame fragile, freddo, non bello, cosa che mi ha reso l’intera lettura molto triste.

Tristezza amplificata dal ridottissimo ruolo in cui vengono relegati gli animali: se penso alla montagna vedo orsi, lupi, cervi, ecc… Sono loro gli abitanti della montagna, noi uomini ne siamo solo ospiti usurpatori, al pari di quando ci immergiamo nel mare rispetto ai pesci che lo popolano.
Cognetti non parla mai degli animali come di esseri viventi, ma come di bestie, dalle mucche al pascolo, al mulo da soma, alle trote da pescare fino all’atroce descrizione della macellazione di una povera camoscia.
Oggetti al servizio dell’uomo, da vivi e da morti.
Certi amanti della natura, come immagino che si definisca Cognetti, per coerenza dovrebbero limitarsi a dire di amare le piante (ma forse gli alberi abbattuti avrebbero qualcosa da ridire anche su questo).

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Un buon posto per l'inverno" perchè entrambi gli autori sono italiani


sabato 28 dicembre 2019

"Un buon posto per l'inverno", Nicoletta Coppo


Torino, giorni nostri. Olimpia Oggenda ha tante cose: quasi 50 anni, un ex marito, un ex amante, una gatta, una cavia peruviana, una laurea in architettura, un negozio di arredamento vintage, una socia-amica, un vecchio amico, un antiquario di fiducia e una famiglia di origine composta da madre, padre, fratello e sorella minori, ma soprattutto da una zia, Graziella. Si può dire che sia stata lei a crescerla, in vece di quella madre distaccata, più interessata ad ostentare la sua vita borghese che a prendersi cura dei figli, per lo meno di quella maggiore.
E sarà la zia a coinvolgerla in una faccenda più grande di loro: la casa di riposo dove entrambe svolgono volontariato è finita nel mirino di un manipolo di cittadini della Torino bene, ricchi quanto bastardi, intenzionati a mettere le mani sulla proprietà e sui lasciti dei passati degenti…

La vicenda di Villa Paradiso rappresenta solo un piccolo contorno a quella che è la storia principale: la vita di Olimpia e di tutti i personaggi che, ruotandole attorno, l’hanno condizionata, nel bene e nel male.

Una lettura piacevole, non ricordo come questo titolo sia finito nella mia wish list, forse per il micio in copertina o più facilmente perché scritto da una torinese e ambientato a Torino, una città che da adulta ho imparato ad amare molto. E c’è tanta Torino nel libro, forse ci sono un po’ troppi riferimenti all’occultismo, ma c’è anche la Torino elegante e viva che conosco e apprezzo.

Lo stile della Coppo ricorda moltissimo quello della Oggero e della Bertola (con qualche fronzolo e divagazione di troppo), un po’ meno serio rispetto alla prima e un po’ di più rispetto alla seconda: o a Torino tutti si raccontano così oppure deve essersi ispirata moltissimo alle sue concittadine, cosa che non mi dispiace affatto.

E’ stata molto brava a trattare in maniera leggera temi pesanti, non solo il difficile rapporto con la madre e le non semplici questioni familiari, ma anche i pensieri decisamente non belli che spingono noi cinquantenni a riflettere su cos’è stata la nostra vita fino ad ora, con la consapevolezza che la strada che abbiamo davanti è più corta di quella che abbiamo già percorso e che sarà giorno per giorno sempre più breve.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Oltre d'inverno" per la parola inverno nel titolo



domenica 22 dicembre 2019

"Mentre fuori nevica", Sarah Morgan


Mount Mansfield (Vermont), giorni nostri. La ventottenne Kayla Green, biondissima e bellissima, ha bruciato le tappe del suo settore: dopo pochi anni è già candidata alla vicepresidenza di Innovation, una delle più prestigiose agenzie di pubbliche relazioni del Paese. Il suo segreto? Lavorare e basta. Un altro suo segreto? L’odio compulsivo per il Natale.
E’ per questo che ha accettato di trascorrere la settimana delle feste nel Vermont. Il suo nuovo cliente, il bel tenebroso e super sexy Jackson O’Neil, ha bisogno di lei per rilanciare il resort montano extra lusso che appartiene alla sua famiglia da tre generazioni.
Quello che i due non hanno messo in conto è la fortissima attrazione che li calamiterà fin dal primo sguardo…

Loro non lo avranno messo in conto, ma a chi comincia a leggere un libro di questo tipo basta un’occhiata alla copertina per sapere come andrà a finire.
I romanzi d’amore non sono il mio genere preferito, ma ce ne sono di validi, eccome. “I ponti di Madison County”, ad esempio, non scenderà mai dal podio delle letture più belle della mia vita. Ma volendo fare una proporzione usando la classifica della serie A attuale, “I ponti di Madison County” stanno all’Inter come “Mentre fuori nevica” sta al Genoa: primi e ultimi.

La scrittura della Morgan è un concentrato imbarazzante di ripetizioni (il kindle mi conta 17 volte in cui Jackson ha la voce roca e quasi altrettante quelle in cui il silenzio montano viene interrotto dalla neve che cade da un ramo) e di terribili descrizioni che immagino vorrebbero trasmettere eccitazione e coinvolgimento (come le mani “perversamente esperte” o “gli occhi azzurri assassini” di lui) senza riuscirci minimamente.

Un romanzetto banale, scontato e vuoto, con personaggi altrettanto banali, scontati e vuoti. Non posso neppure dire stereotipati perché penso, e spero, che ormai si vada oltre la donna sergente di ferro sul lavoro che però nasconde dentro di sé una fanciullina piena di insicurezze e di fragilità, che cerca di scappare da ogni minima circostanza positiva per paura di soffrire, ma che poi finisce per cadere fra le braccia di lui, bello, forte, deciso, il massimo esemplare di maschio alfa!

Se sapessi come fare riempirei questa recensione dello smile che vomita di Whatsapp perché questi libri sono l’equivalente del regalare alle bambine il piccolo forno, ma quello - forse e per fortuna - non esiste più, mentre questo ha il coraggio di essere il primo capitolo di una trilogia!


Reading Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di dicembre perchè racconta di un Natale sotto la neve



sabato 21 dicembre 2019

"Oltre l'inverno", Isabel Allende


Prospect Heights, Brooklyn (New York), gennaio 2016. L’anno nuovo è cominciato da tre settimane quando una tempesta di neve si abbatte sul Paese. Ed è a causa della neve e di un attimo di distrazione che Richard Bowmaster tampona con il suo Suburu la Lexus che lo precede. Una botta lieve, grazie alla velocità rallentata dalle interperie, e Richard, serio e corretto professore universitario, non si scompone: ci penserà l’assicurazione. Ma l’unica cosa che può fare, dopo aver constatato che la ragazza al volante dell’altra macchina non parla e sembra non capire quello che lui le sta dicendo, è lasciarle il suo biglietto da visita. Sarà grande la sua sorpresa quando di lì a poco la troverà a bussare alla sua porta, ma non enorme come quella che proverà davanti al contenuto del bagagliaio della Lexus!
E con la città bloccata in quello stato di ibernazione generale c’è solo una persona a cui Richard può rivolgersi per avere aiuto, l’unica a essergli vicina fisicamente: Lucia Maraz, la collega cilena a cui ha affittato il seminterrato del suo palazzo per i sei mesi di dottorato presso la sua stessa università.

Era da prima del ‘96 che non leggevo Isabel Allende e riprendere con questo suo recente romanzo (del 2017) mi ha fatto pentire per averla messa, non volontariamente, nel dimenticatoio: è bello, bellissimo.

La vicenda gialla, un po’ banale e prevedibile, serve solo come stratagemma per creare l’incontro fra questi tre personaggi così diversi fra loro: Lucia, Richard ed Evelyn, la ragazza sulla Lexus. Diversi non solo per l’età – i primi due hanno raggiunto i 60 anni, Evelyn ne ha meno di trenta – ma anche per temperamento e per vissuto. Tre storie diverse, ma tutte drammatiche.

Amo i romanzi dove chi scrive sfrutta la finzione per raccontare la storia e la realtà. La Allende, con il suo stile scorrevole, riesce a raccontare il passato non solo dei tre: fa diventare personaggi anche i loro familiari (discendenti compresi), gli amici e i datori di lavoro. E non si limita ad abbozzarne la figura, ma va nel dettaglio costruendo figure marginali nel ruolo, ma non nella descrizione, dando loro uno spessore che molti autori non riescono a dare neppure ai protagonisti dei loro libri.

Ma sono la provenienza e i trascorsi delle due donne a dare al romanzo la profondità che ha. Attraverso Lucia, nata nel 1954 (e quindi diciannovenne nel ‘73), la Allende racconta il golpe militare cileno e i successivi 17 anni della dittatura di Pinochet, mentre attraverso Evelyn descrive la mattanza guatemalteca degli anni ‘80 e la Mara Salvatrucha, puntando il dito (ma avrebbe dovuto e potuto infierire di più) sugli Stati Uniti e i loro continui interventi nei Paesi dell’America Latina, portando attraverso la CIA al rovesciamento delle democrazie rimpiazzandole con “governi totalitari che nessuno statunitense avrebbe tollerato” (cit. dal libro).

Azioni che non fanno parte del passato: un tempo c’era Reagan, adesso c’è Trump…

E’ un libro che dovrebbero leggere quelli del “non sono razzista, ma...”: l’accurata descrizione del viaggio di Evelyn, in fuga dalla morte certa che l’avrebbe colpita se fosse rimasta in Guatemala, è così tragica, terribile e vera che se dopo averla letta non si riesce ancora a capire lo strazio di queste persone e si resta insensibili di fronte a certe miserie e a tali orrori, l’essere inequivocabilmente razzisti diventa un difetto minore rispetto all’ignoranza.

Nessuno dovrebbe mai dimenticare che il luogo di nascita è casuale: se vi è andata bene, come a me, non fatene un vanto, né tanto meno un merito.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Il miniaturista" perchè entrambe le autrici sono nate ad agosto




domenica 15 dicembre 2019

"Il miniaturista", Jessie Burton


Amsterdam, 1686. E’ la metà di ottobre quando la diciottenne Petronella Oortman lascia la natia Assendelft per trasferirsi ad Amsterdam ed iniziare la sua nuova vita come moglie di Johannes Brandt, 39 anni, uno dei più ricchi e stimati mercanti della città. Ma non sarà lui ad aprirle la porta della lussuosa abitazione, bensì la sorella Marin. Johannes è in viaggio, ma anche al suo ritorno non riserverà alcuna attenzione a Nella, facendo di lei solo una moglie di facciata. Le farà però un regalo per tenerla occupata: la miniatura della loro casa, aspettandosi che la ragazza si diverta ad arredarla. E’ così che Nella commissiona i primi pezzi all’unico miniaturista che ha trovato fra le inserzioni delle Pagine di Smit...

...una enigmatica figura che sembra sfuggirle continuamente, anche se tra loro inizia un dialogo sempre più fitto, senza parole, ma attraverso piccoli, straordinari manufatti che raccontano i misteri di casa Brandt”. Il virgolettato l’ho copiato pari pari dalla sinossi e non mi trova d’accordo: il punto debole del libro è proprio la figura del miniaturista che non viene approfondita come ci si aspetterebbe dal titolo e non solo.

E’ una storia che si sviluppa in appena tre mesi: in questo breve lasso di tempo i pesanti segreti di famiglia vengono scoperti e le conseguenze che ne derivano raggiungono il loro epilogo, ma tutto avrebbe potuto essere raccontato anche senza miniatura e miniaturista.

Però ho apprezzato la furbizia commerciale dell’autrice nell’ispirarsi a una storia vera: Petronella Oortman è realmente esistita e ha davvero sposato il mercante Johannes che le ha davvero regalato la "casa delle bambole", ora conservata nel Rijksmuseum di Amsterdam. La casa è l'unica cosa che la Petronella del libro e quella reale hanno in comune, pare che la vera Petronella per arredare il suo giocattolo abbia ingaggiato i migliori artigiani dell'epoca arrivando a spendere più denaro di quanto sarebbe servito per arredare una casa vera.


La Burton in certi punti si è però lasciata prendere un po’ troppo dal gusto di romanzare: non è credibile che in quell’epoca, in una Amsterdam sottomessa alle severe regole di comportamento dettate dai Borgomastri che la governavano, potessero instaurarsi legami di amicizia fra padroni e servitù ed è impensabile che questi ultimi potessero prendere iniziative o decisioni. Viceversa è stata bravissima la Burton a ricostruire e raccontare la Amsterdam del XVII secolo che, attraverso la potentissima Compagnia Olandese delle Indie Orientali (la VOC), aveva raggiunto il monopolio del commercio con l'Asia. Ciò che alza moltissimo il giudizio complessivo sono proprio la curatissima ambientazione geografica e la magistrale ricostruzione storica.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Costretta al silenzio" perchè entrambe le autrici sono anglofone

sabato 14 dicembre 2019

"L'emporio dei piccoli miracoli", Keigo Higashino


Città XX, a due ore da Tokyo, settembre 2012. Tre ladruncoli da strapazzo hanno appena compiuto un furto in un alloggio e, non potendo scappare perché l’auto che avevano rubato per darsi alla fuga li ha lasciati a piedi, decidono di nascondersi all’interno di un vecchio emporio abbandonato per poi mischiarsi ai pendolari il mattino successivo. Ma l’emporio Namiya non è stato un negozio normale: nel 1979 grazie ai consigli elargiti dal proprietario era diventato famoso in zona come “l’emporio che risolve i problemi”. E durante la notte Shota, Atsuya e Kohei si renderanno conto di quanto quel posto sia anormale, non solo perché le lettere continuano ad arrivare nonostante siano passati 33 anni, ma soprattutto perché chi le scrive lo ha fatto nel 1979!

Se la sinossi di un libro già nella prima frase parla di “storia magica” e di “piccoli miracoli” non ha nessuna speranza di finire nella mia wish list. Con questo ho ceduto esclusivamente per i 5 punti che mi avrebbe regalato essendo una delle letture Gold di dicembre della mia Reading Challenge e durante la prima delle cinque parti in cui è diviso mi sono stramaledetta per la mia avidità! Poi devo riconoscere che la situazione è migliorata, non troppo, ma quel tanto da non farmi più recriminare per il tempo perso.

Le storie basate sui portali spazio-temporali mi disturbano. Nel corso della vita ho apprezzato soltanto la serie TV “22.11.63” perché è quasi un capolavoro e mi era piaciucchiato “Ritorno al futuro” (solo il primo film) perché avevo 16 anni.
In questo libro la mancata spiegazione del perché i due piani temporali vadano a incrociarsi proprio a distanza di 33 anni lo rende più favoletta che romanzo di “fantascienza”, e infatti non si spaccia come tale, ma questa imprecisione ha aumentato il mio fastidio.

Per contro l’intreccio fra passato e presente ha permesso di dare risalto all’abilità dell’autore nel non facile gioco di incastro perfetto fra le vicende dei vari personaggi. Personalmente ho trovato poco interessanti le storie, ma la bravura c’è e in futuro voglio leggere altro di questo scrittore giapponese specializzato in thriller.

Sarei anche curiosa di sapere come mai all’improvviso sia passato a un genere così diverso. Concordo con mia sorella, viene da pensare che possa essere dipeso da una situazione analoga a quella di Grisham che raccontò di aver scritto “Fuga dal Natale” come ripicca al suo editore che pretendeva da lui un romanzo da vendere sotto le feste imminenti. Quello fu un grande successo anche al cinema, io lo ricordo come un libretto simpatico, nulla di più, e probabilmente finirò con apprezzare maggiormente anche il Keigo Higashino giallista.

Reading Challenge 2019: questo testo è una traccia gold del mese di dicembre

lunedì 9 dicembre 2019

"Costretta al silenzio", Linda Castillo


Ohio (Stati Uniti), anni 1993-95. Painters Mill è un piccolo centro di appena 5.300 abitanti, di cui un terzo Amish. Kate Burkholder è una di loro e ha 14 anni quando la cittadina viene sconvolta dall’uccisione di tre ragazze per mano di un serial killer. Gli omicidi cessano all’improvviso, così come erano iniziati, solo Kate e la sua famiglia sanno perché.
Quello che Kate non capisce è come possano riprendere 16 anni dopo. In quel lasso di tempo lei è diventata adulta, ha lasciato gli Amish, si è trasferita a Columbus, è diventata poliziotto ed è tornata a Painters Mill da due anni come capo della polizia locale.
Tocca quindi proprio a lei indagare per scoprire chi si nasconda dietro all’omicidio di altre tre giovani. Il modus operandi è lo stesso del “macellaio” di 16 anni prima, ma lei sa che deve trattarsi per forza di un emulatore…

Primo romanzo di una serie di tredici (alcuni però sono racconti) che ha come protagonista Kate Burkholder. Un thriller vecchio stile, sia per il tipo di crimini che per la modalità delle indagini, tanto che quando a metà lettura mi è venuta la curiosità di cercare l’anno di pubblicazione mi sono stupita nel leggere 2009: dimostra una ventina di anni in più.

Ma non per questo mi è dispiaciuto, anzi: probabilmente averlo letto contemporaneamente a quella stupidaggine de “Il gatto che scoprì il Natale” ha fatto aumentare il piacere che ogni volta provavo nel tornare a immergermi nelle vicende dell’Ohio, ma – pur non essendo un thriller né particolarmente originale né carico di suspense – è comunque una storia ben costruita e sufficientemente coinvolgente, con uno stile semplice e scorrevole, raccontata per lo più in prima persona da Kate e parzialmente in terza quando le azioni vedono come protagonisti altri personaggi. Personaggi parecchio stereotipati, ma che non stonano nella semplicità generale dell’opera.
Ed è uno di quei thriller dove il lettore a un certo punto sa più dell’investigatore, stratagemma narrativo che non amo, ma anche questo dettaglio è coerente con lo stile del romanzo.

La marcia in più è l’ambientazione, questo contesto rurale reso ovattato dalla stagione invernale e dalla neve che mi ha fatto rivivere gli scenari del Minnesota delle tre stagioni di “Fargo”.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Non chiudere gli occhi" perchè sono dello stesso genere



domenica 8 dicembre 2019

"Non chiudere gli occhi", Mary Higgins Clark e Alafair Burke


Fairfield (Connecticut), giorni nostri. Katherine "Casey" Carter ha quarant’anni quando viene scarcerata dopo aver scontato una condanna di 15 per l’omicidio di Hunter Releigh III, suo fidanzato e futuro sposo. Ad attenderla le uniche due persone che le sono rimaste accanto durante la detenzione: la madre Paula e la cugina Angela.
Ed entrambe non condividono la richiesta che Casey fa a Laurie Moran, la produttrice di “Under Suspicion”: quella di fare della sua vicenda la nuova puntata della trasmissione. Laurie è perplessa, non si tratta di un caso irrisolto come quelli che ha precedentemente trattato. Un tribunale ha già individuato il colpevole e lo ha già condannato. Ma capisce anche il bisogno che ha Casey, che da sempre si dichiara innocente, di cercare il vero assassino per riabilitare il suo nome.

Quarto romanzo della serie con protagonista Laurie e terzo firmato anche da Alafair Burke: nell’intervallo fra questa lettura e i due precedenti scritti a quattro mani, “Così immobile fra le mie braccia” e “La sposa era vestita di bianco”, ho letto l’opera prima della Burke, “La ragazza nel parco”, che mi ha confermato l’idea che avevo. I libri di questa serie sono scritti da Mary Higgins Clark, magari la Burke darà un contributo a livello di idee, ma lo stile di scrittura è quello solito della vecchia Mary.

Lo stile e la storia: i libri dell’autrice sono tutti molto simili fra loro (e comunque continuo ad amarli), soprattutto quelli di questa serie che – basandosi sulla trasmissione televisiva di cui Laurie è produttrice – hanno tutti la stessa identica struttura: presentazione del cold case al lettore con relativi personaggi, individuazione dei possibili partecipanti alla trasmissione, allestimento delle interviste/interrogatori, colpi di scena vari fino al trionfo della verità.

Tutto banale e scontato, sì, compresi i personaggi descritti, immancabilmente da jet set, e devo ammettere che arrivata al quarantottesimo libro di Mary Higgins Clark comincio un po’ ad accusare la ripetitività. E il conoscerla troppo bene mi ha portata a pensare che quello/a potesse essere il/la vero/a colpevole fin dalla prima apparizione del personaggio, come poi in effetti era.

Ma non perdo di vista un altro numero importante: 92, i suoi anni. So già che mi mancherà tantissimo il suo stile anche perché, pur non eccellendo in originalità, i suoi libri sono i soli che riescono sempre a coinvolgermi già dalla prima frase.
 
Reading Challenge 2019: per questo testo uso il bonus casata che noi Lost in Austen ci siamo aggiudicate a novembre



sabato 7 dicembre 2019

"Il gatto che scoprì il Natale", Lili Hayward


Valle di Yensyul (Cornovaglia), giorni nostri. Enysyule è un cottage in granito vecchio di 500 anni da sempre conteso da due famiglie del posto, i ricchissimi Tremennor e gli umili Roscarrow. Thomasina Roscarrow, l’ultima anziana proprietaria, è morta da sei mesi lasciando all’agenzia immobiliare del paese il compito di dare in affitto il cottage con un vincolo particolare: l’affittuario non dovrà prendersi cura soltanto della casa, ma anche di Perrin, il gatto che la abita da sempre…

Perfetta new entry per la categoria “libri che di bello hanno solo la copertina”! Tanto bella quanto imprecisa nella versione italiana perchè Perrin è un gatto nero, non rosso, e anche per il titolo visto che di Natale ce n’è poco e Perrin non lo scopre. So che sono dettagli che danno fastidio solo ai precisini come me, ma alla Newton Compton sarebbe bastato non modificare la versione originale:

 
E avrei qualcosa da ridire anche sulla sinossi perché lascia sì intendere un legame fra passato e presente, ma se leggendola mi fosse stato chiaro che la “strana magia nell’aria” non era riferita all’atmosfera natalizia, ma alle visioni della protagonista non lo avrei certo inserito nella mia wish list.

Anche sorvolando sul fastidio che personalmente provo per queste tematiche, il romanzo è comunque una favoletta sempliciotta, con la ragazza dibattuta fra il figlio del proprietario del maniero del villaggio e il nipote del pescatore e che si affeziona immediatamente (e assurdamente) a una casa sporca, mal ridotta, priva di corrente elettrica e di acqua calda e che, soprattutto, ha affittato soltanto per un anno.

L’assenza di capitoli, che nella prima parte della lettura mi ha disturbata non poco, proseguendo è diventata l’unico particolare interessante, anche se un autore più capace avrebbe saputo creare meglio quella continuità che penso fosse l’obiettivo di questa scelta.

E la scrittura è in linea con la trama, banale e poco interessante, con troppe ripetizioni (Jess vede ben nove cose con la coda dell’occhio, Perrin raramente miagola, ma gnaula in continuazione, ecc…) ed espressioni usate, immagino, per fare scena, ma senza senso, come “un paio di gabbiani che si gridano oscenità” o “la ragazza malmenata dalle zampe della tempesta” e anche “la canzone che le riecheggia nella testa, come un filo pendente da un rocchetto di cotone”.

Estrosità dell’autrice o di chi ha tradotto, non ho modo di saperlo, di certo è stato molto più disturbante trovare un povero maiale allo spiedo nel gioioso elenco degli elementi della festa del paese, citato fra bancarelle, vin brulé, musicisti e lucine colorate.

Animali trattati al pari di oggetti.

E buon Natale :-/

Reading Challenge 2019: questo testo risponde alla Traccia di dicembre "un libro con la copertina rossa"




martedì 3 dicembre 2019

"Ricordo di Natale", Truman Capote


Alabama (Stati Uniti), anni del proibizionismo. Buddy e Sooky sono lontani cugini e, nonostante la grandissima differenza di età, sono amici per la pelle. Sette anni lui, più di sessanta lei. Il bambino, figlio di divorziati, è stato affidato dai genitori a dei parenti che non si prendono cura di lui e che gli si rivolgono sempre con rabbia. Lei, una donna cresciuta solo fisicamente, subisce lo stesso trattamento.
Ma insieme, grazie anche alla compagnia della cagnolina Queenie, riescono a trarre gioia e conforto anche dalle piccole cose, come preparare una trentina di panfrutto da spedire agli amici per Natale, scegliere un albero e addobbarlo con decorazioni disegnate da loro e costruire uno per l’altra il regalo che si scambieranno la mattina del 25.

Breve racconto autobiografico scritto da Capote nel 1956, un ricordo tenero e commovente, dove il Natale è solo un pretesto per raccontare il vero protagonista, cioè questo rapporto di amicizia unico e particolare.

A sessant'anni di distanza potrebbe diventare una bella storia contro il materialismo: la povertà e la solitudine non lasciano la libertà di scegliere se essere vittime del consumismo e io, da non credente, posso solo sogghignare per la commercialità del Natale, ma che le cose importanti siano altre vale per chiunque ogni giorno dell’anno.

Sono comprese le illustrazioni di Beth Peck, in bianco e nero sul Kindle, ma che sono riuscita a vedere a colori sul cellulare grazie alla app Moon Reader: talmente belle da voler comprare il librino per averle su carta. Giusto a proposito dell’essere materialista...

Reading Challenge 2019: questo testo risponde alla traccia casata di dicembre "un libro con la parola Natale nel titolo"