mercoledì 31 agosto 2022

"I beati anni del castigo", Fleur Jaeggy


Appenzell Innerrhoden (Svizzera), primi anni '50. Una quattordicenne si prepara ad affrontare il suo settimo anno come interna in un collegio femminile, il Bausler Institut, che accoglie giovani di ogni nazionalità: ci sono belghe, italiane, svedesi, americane, tedesche, ecc, ma soltanto una ragazza di colore.
Un giorno, mentre stanno pranzando, entra nel refettorio un nuova educanda, Frédérique, che con la sua bellezza e la sua eleganza attira l'attenzione della quattordicenne, che avverte subito in sé il desiderio di conquistarla.

Ecco un librino che è tale solo nel numero delle pagine, 107. Scritto nel 1989, vinse il premio Bagutta nel 1990 e il Premio Boccaccio Europa nel 1994.
Non lo avevo in wish list, l'ho trovato cercando un romanzo che fosse ambientato in una scuola, collegio o università, come richiesto da una delle tracce di agosto della Reading Challenge.
Sinceramente non conoscevo Fleur Jaeggy, di conseguenza non sapevo neppure delle sue collaborazioni con Franco Battiato come paroliera, spesso con lo pseudonimo di Carlotta Wieck, ma del resto non ho mai nemmeno ascoltato le canzoni che ha scritto per lui.

Il livello narrativo di questo breve romanzo è altissimo, basta una pagina per capire di essere a distanze abissali da quello che può essere etichettato come lettura da intrattenimento.
Uno di quei libri che andrebbero letti lentamente.
Indubbiamente un testo al limite delle mie capacità e a cui avrei preferito dedicarmi in una stagione diversa (anche se gran parte della lettura è stata accompagnata da un potente temporale che si è abbattuto su Genova ieri pomeriggio) perché tutto è paurosamente tetro: l'ambientazione, i personaggi, le descrizioni.

"La nostra mente è una serie di loculi"

Già il titolo è rivelatore di quello che la storia racconta. Una storia che viene considerata fortemente autobiografica perché l'autrice ha vissuto l'esperienza dei collegi e qui descrive le lugubri giornate della voce narrante (che resta senza nome) e delle compagne all'insegna dell'obbedienza, delle gerarchie e della disciplina in un modo talmente cupo da farmi gioire per l'essere nata in una famiglia proletaria dove già le spese dei dizionari e dei libri di testo per la scuola pubblica erano un salasso.

"Dal giorno in cui siamo entrate al Bausler Institut non abbiamo fatto che pensare al giorno in cui ne saremmo uscite"

Reading Challenge 2022, traccia di agosto: un libro ambientato totalmente o in parte in una scuola, collegio o università

martedì 30 agosto 2022

"La locanda dove il mare parla piano", Emma Sternberg



Southampton (stato di New York), maggio 2015. Linn Rosemeyer, 33 anni, guarda il Sea Whisper Inn e non riesce a credere di aver davvero ereditato quella locanda, soprattutto perché era convinta di non avere più alcun parente al mondo. Rimasta orfana di madre a dieci anni, dopo due aveva perso anche il padre e da quel momento per lei c'erano state soltanto famiglie affidatarie, dove si era sentita sempre di troppo.
Invece una parente c'era, una certa Dorothea Webber, una lontana cugina della madre che aveva lasciato la Germania a vent'anni e che era morta a 75, ignorando a sua volta l'esistenza di Linn.
E' stato mister Cunningham, cacciatore di eredi, a risalire al legame fra loro. Ventiquattro ore prima si era presentato a casa di Linn a Monaco di Baviera informandola dell'eredità.
Ma quella era stata solo la seconda sconvolgente scoperta fatta da Linn quel giorno: rientrando in anticipo dal lavoro si era trovata davanti Katha, la sua nuova adorabile collega che, nuda e in estasi, cavalcava il suo Martin, altrettanto nudo e in estasi.
Dopo averli sbattuti fuori dalla porta, Linn si era resa conto di non aver perso solo Martin (l'uomo con cui credeva di poter finalmente creare quel nucleo familiare che bramava da sempre), ma anche la casa (perché l'appartamento dove vivevano insieme da più di tre anni era dei genitori di lui) e perfino il lavoro all'agenzia di viaggi (anch'essa di proprietà dei suoceri), perché di sicuro non avrebbe potuto continuare a lavorare con Martin e Katha!
Salire sul primo volo per New York per andare a vedere di persona il lascito di Dotty era stata la sua salvezza e ora eccola negli Hampton, ad ammirare questa vecchia casa a due piani, con le finestre laccate di bianco, bovindi e frontoni romantici, un grande giardino poco curato, ma bellissimo, e al di là delle dune la spiaggia privata e quindi l'oceano.
Quello che ancora Linn non sa è che dentro alla casa ci sono cinque arzilli vecchietti: ha ereditato anche loro?

Non ho raccontato mezzo libro, come può sembrare, ma soltanto il suo incipit: con quello che Emma Sternberg (amburghese classe 1979) fa succedere nelle prime trenta pagine (scarse) avrebbe potuto tranquillamente costruirci un altro romanzo!
Invece Martin lo perdiamo di vista già dopo il primo capitolo nel quale tutto quello che dice sono un "Oh", un "Cosa?", un "Linn" e un "Non è come..." che lascia in sospeso rendendosi conto che l'essere stato sorpreso mentre impala la collega è proprio quello che sembra.

Uscendo dall'appartamento esce anche dalla storia: certo Linn ripensa a lui, Martin è il mezzo che l'autrice usa per descrivere il passato della sua protagonista e il suo bisogno di appartenere a qualcuno per smettere di sentirsi sola, abbandonata, non amata e non voluta.

Questo non è stato catalogato come romanzo rosa, ma di narrativa: tecnicamente è giusto perché il focus della vicenda sono l'eredità ricevuta e i successivi sviluppi legati alla casa e a ciò che contiene. Ma lo stile è quello dei rosa, così come le tematiche sono intrise di romanticismo, altruismo, partecipazione e tutti quei buoni sentimenti tipici nei libri a lieto fine. E ovviamente non manca il personaggio maschile (che però non ha un ruolo da protagonista) per cui perdere la testa: la Sternberg - nella migliore tradizione dei rosa - gli regala occhi incredibilmente belli, ma fortunatamente non sono "occhi assassini": quelli di Ted hanno "lo stesso colore blu della sua tuta da meccanico", che non è certo un paragone da brividi.
Per contro fa arrossire Linn ventitré volte!!

Al presente si affianca il passato fatto di ricordi, quelli di Linn e quelli dei cinque anziani, tre donne e due uomini, tutti vecchi amici della parente defunta arrivati una ventina di anni prima al Sea Whisper Inn come turisti della locanda e poi rimasti anche dopo che era stata chiusa diventando un'abitazione privata.

Pigri e sonnolenti - per volontà e soprattutto per via dell'età - si trasformano improvvisamente in professionisti indefessi delle pulizie e del fai-da-te quando c'è bisogno di rimboccarsi le maniche, ma questa non è la sola esagerazione del libro, che ad ogni modo è una lettura di svago estremamente leggera, ma con giuste considerazioni sulla famiglia (che non deve essere per forza quella tradizionale) e toccanti riflessioni sulla solitudine.

Una lettura che porta inevitabilmente a sognare di risvegliarsi proprietari di una locanda negli Hampton, grazie soprattutto al mare.

"A cosa serva una piscina vicino al mare per me è sempre stato un mistero"

Anche per me, cara Linn, e tu sei tedesca, figurati per me che sono genovese!!

Reading Challenge 2022, traccia bonus di agosto: libri con più di 200 pagine


lunedì 29 agosto 2022

"Vietato", Karine Tuil

 

Parigi, estate 1991. Saul Weissmann e Simone Dubuisson si prefiggono lo stesso scopo: quello di sposarsi. Lui perché a 70 anni ha paura di invecchiare solo (e una moglie gli costerebbe meno di un'infermiera a domicilio), lei perché a 43 e con una diagnosi di premenopausa in atto sente il rimbombo dell'orologio biologico allo scandire di ogni singolo secondo.
Si erano conosciuti soltanto tre mesi prima durante un'escursione organizzata da un gruppo di incontri per single over 40, rigorosamente ebrei. Erano in venti, di cui soltanto tre uomini e Simone si era piazzata subito al fianco di Saul infischiandosene della grande differenza di età, così come lui si era sentito sicuro di riuscire a sopportare l'incredibile bruttezza della sua futura moglie.
Pur contrario al rito religioso del matrimonio ("Dio non era venuto ad Auschwitz, perché mai avrebbe dovuto assistere al mio matrimonio?"), aveva accettato di sottoporvisi sapendo che per Simone era una condizione imprescindibile.
E così eccoli lì, a colloquio con quel giovane rabbino che esige da parte di entrambi il certificato del matrimonio religioso dei rispettivi genitori. Simone lo ha con sé, ma Saul non lo ha mai avuto. Serve allora la testimonianza scritta di un parente, ma Saul non ha più nessuno. Anche una parte di lui era morta ad Auschwitz cinquant'anni prima. E neppure il numero tatuato sul braccio secondo il rabbino costituisce una prova certa del suo ebraismo: "Senza prove, niente matrimonio!".
Eppure i nazisti non ne avevano avuto bisogno per deportare e uccidere tutta la sua famiglia.

Quello che ho scritto è il sunto di quanto succede nel primo capitolo di questo libro mignon: appena 135 pagine pubblicate nel micro formato 12x16 cm nella collana Libri Piccoli Voland.
Un primo capitolo che aveva confermato le aspettative che avevo dopo averne letto la trama, ma che poi sono rimaste parzialmente deluse proseguendo la lettura.

Karine Tuil, parigina classe 1972, con questo suo secondo romanzo (il primo tradotto in italiano) scritto nel 2001 vinse il Prix Littèraire Wizo l'anno successivo (venne anche selezionato per il più prestigioso Prix Goncourt).

L'idea di partenza è assolutamente geniale, ma la crisi di identità che colpisce il protagonista tocca degli aspetti difficili da comprendere per chi non è ebreo e a questo si aggiunge un tipo di destabilizzazione interiore che - ai miei occhi totalmente atei - assume aspetti fantascientifici.

Al contrario i rimandi alla Shoah, quelli che portano alla diagnosi di delirio di persecuzione, sono macigni, ma la Tuil li mette nero su bianco con un sarcasmo dissacrante a tratti degno di Roth. Una manciata di frasi che da sole valgono l'acquisto.

"Voglio essere libero"
"Lo è! Si ricordi: tutti gli uomini nascono liberi e con eguali diritti"
"Sì, ma lo restano?"
"I tempi sono cambiati, ormai anche gli ebrei sono uomini liberi"
"Mosè ci ha detto la stessa cosa cinquemila anni fa quando ci ha fatto uscire dall'Egitto. Pensi un po' a cosa ci è successo dopo..."

Reading Challenge 2022, traccia di agosto: un libro con la copertina flessibile


domenica 28 agosto 2022

"Moll Flanders", Daniel Defoe



Londra, prigione di Newgate, primo decennio del 1600. Una galeotta dà alla luce una bambina che poi lascia nelle mani della pubblica assistenza prima di venire deportata negli Stati Uniti. Ed è quella stessa bambina che nel 1683, ormai quasi settantenne, racconta la sua intera esistenza: l'infanzia e l'adolescenza, quando la chiamavano Betty, vissuta sotto l'ala protettiva di una balia e a seguire tutti gli alti e i bassi di una donna che aveva come unico bene quello della bellezza grazie alla quale - ritrovandosi alternativamente moglie o amante - riuscì a sopravvivere, fino a diventare - prima per necessità, poi per diletto - la più famosa ladra dell'epoca con il nome di Moll Flanders.

Daniel Defoe scrisse questo romanzo (il mio primo di genere picaresco) nel 1722, tre anni 
dopo "Robinson Crusoe" (che non ho letto).
E' un esempio perfetto (non certo l'unico) del perché non amo i classici (per lo meno la maggior parte): se Defoe offre un bello spaccato sulla vita dell'epoca - sulle pesanti difficoltà patite dalle donne come Moll Flanders per le quali, senza poter godere di eredità o rendite personali, un matrimonio di convenienza era solo il male minore; sui sistemi processuali e penitenziari; sull'immigrazione verso il Nuovo Mondo; eccetera - non arriva ad approfondire i temi socio-culturali come mi sarebbe piaciuto, concentrandosi invece sulle vicende personali della sua protagonista fino a rendermi questa lettura una delle più soporifere di sempre.

Fa di Moll Flanders la voce narrante della sua storia, descrivendo nella prima parte i vari spostamenti al seguito di mariti o amanti, con le conseguenti gravidanze e diversi figli scodellati e mai allevati, e propinando nella seconda l'estenuante resoconto di furti e furtarelli, con relativo dettaglio delle refurtive, tutte situazioni che in un modo o nell'altro mettono principalmente in risalto l'arroganza di questa donna che trova sempre nel bisogno la giustificazione per quello che fa (mi riferisco ai reiterati furti) anche quando è lei stessa ad ammettere che avrebbe potuto smettere.

Se l'intento dell'autore, noto per il suo puritanesimo, era quello di condannare simili condotte e (come recita nelle batture finali) 
di raccontarle come monito spingendo i lettori a non cadere in comportamenti criminali o in quelli che all'epoca erano ritenuti licenziosi, presentando un personaggio che grazie al suo opportunismo cade sempre in piedi potrebbe anche aver ottenuto l'effetto contrario facendo di Moll Flanders un esempio da imitare.

E l'aspetto penalizzante del romanzo è la mancanza di introspezione: Moll Flanders si limita a raccontare quello che fa, senza descrivere sentimenti, sensazioni, stati d'animo.


Un dettaglio sgradevole, suppongo imputabile alla traduzione della edizione che ho letto (quella dell'immagine di copertina), è questa:


La ripetizione per ben 65 volte dell'espressione "per farla breve" che si sono tradotte in altrettante imprecazioni da parte mia!

Reading Challenge 2022, traccia di agosto: un classico scritto prima del 1900



mercoledì 24 agosto 2022

"La stanza del polline", Zoe Jenny

 

Estate di un anno non precisato alla fine del secolo scorso. Jo è in Italia da un anno, ha voluto andarci subito dopo aver conseguito il diploma di maturità rimandando l'iscrizione all'università per raggiungere Lucy.
Lucy è sua madre e non si vedono da dodici anni, da quando la donna aveva deciso di seguire Alois, il suo nuovo grande amore, lasciando la bambina all'ex marito, senza più cercarla, senza mai tornare a trovarla.
Noi lettori le conosciamo dopo la tragica morte di Alois: una Jo diciottenne mai stata figlia che si trova a dover assistere una Lucy quarantacinquenne mai stata madre.

"Staccava con le unghie i lunghi stami e li metteva tutti insieme. Poi andava nella stanza del polline e faceva cadere la polvere. C'era polline dappertutto, sul pavimento e sui davanzali delle alte finestre dello scantinato"

"Das Blutenstaubzimmer", pubblicato nel 1997 in Germania, rappresentò un esordio col botto per Zoë Jenny, all'epoca appena ventitreenne. Nata a Basilea nel 1974, figlia dello scrittore ed editore svizzero Matthyas Jenny (morto lo scorso anno), vide la sua opera prima tradotta in ben 27 lingue, un vero best-seller internazionale.
Con l'ultimo romanzo pubblicato quest'anno ha all'attivo dieci titoli, di cui soltanto tre sono stati tradotti in italiano, ma questa volta le lacune non mi inquietano perché questa prima esperienza non mi ha lasciato nessuna voglia di leggere altro di suo.

Avevo grandissime aspettative, considerando il caso editoriale che fu a suo tempo ero sicura che nelle sue 107 pagine avrei trovato uno di quei gioiellini capaci di dare tantissimo in contrapposizione alla loro brevità e sono sicura che per molti sia stato così, così come penso che io stessa l'avrei apprezzato maggiormente leggendolo in un periodo diverso da quello estivo.

Il librino è un piccolo mattoncino che di solare ha soltanto la stagione in cui è ambientato. E' un concentrato di quell'introspezione così cupa che nessuno meglio dei tedeschi (anche se in questo caso si tratta non di nazionalità, ma di lingua) sa esprimere a livelli così alti. Questa è l'unica cosa eccezionale che mi sento di attribuirgli.

La narrazione è molto lenta, gli eventi principali vengono raccontati sotto forma di ricordi, ai fini pratici succedono poche cose, ma quel poco - se non tragico - si traduce invariabilmente in un chiodo di solitudine che trafigge questa povera ragazza a cui verrebbe naturale affezionarsi nell'inutile tentativo di darle un po' di quell'affetto di cui ogni figlio ha pieno diritto, ma che lei non riceve da nessuno dei due genitori il cui unico interesse è quello di creare un nuovo nucleo familiare: il padre senza preoccuparsi di lasciare uno spazio anche per la figlia di primo letto, la madre che arriverà a chiederle di fingere di essere la sorella minore quando le presenterà Vito, il nuovo amore per il quale la abbandonerà di nuovo dopo che Jo l'ha salvata obbligandola a uscire dalla stanza del polline.

"Lucy non aveva intenzione di parlare del passato, non si sentiva in obbligo di scusarsi con lei"

Ho usato il condizionale perché in realtà Zoe Jenny non è riuscita a rendere amabile la sua protagonista, un personaggio che pur suscitando pena, resta piatto dall'inizio alla fine e questa, secondo me, è la grande pecca del libro.

Un particolare mi ha colpita del suo stile. Tutti i punti non utilizzati dalla Cardoso in "Campo di morte" sembrano essere finiti nel librino della Jenny:

"La città sotterranea divide in due la città vera e propria ed è utilizzata come sottopassaggio. Non molto tempo fa ci hanno trovato degli scheletri e da allora è una attrazione per i turisti. Percorro in fretta i cunicoli appena illuminati. Qui sotto c'è puzza di freddo ed è sempre umido, anche in piena estate. Uno degli scheletri è in mostra sotto una lastra di vetro, incassato nella terra. Il cranio, le ossa del bacino e i frammenti di una gamba sono ordinatamente ricomposti. Forse un bambino di otto anni, dice la tabella. Alcuni turisti bisbigliano davanti alla grata che protegge lo scheletro. Nelle nicchie buie si danno appuntamenti e drogati. Accendono le candele per trovarsi più facilmente le vene. Di tanto in tanto una luce tremolante illumina le loro facce perse, inconfondibili."

Reading Challenge 2022, traccia di agosto: un libro dove il protagonista ha meno di 30 anni


domenica 21 agosto 2022

"Campo di sangue", Dulce Maria Cardoso

 

Quattro donne stanno aspettando il loro turno per parlare con un medico del manicomio criminale dove è rinchiuso un uomo che ha commesso un delitto.
Un funzionario le ha fatte accomodare nella sala d'attesa, ma nessuna di loro è comoda e l'attesa sembra essere infinita. Tutte hanno un legame con quell'uomo. Non tutte si conoscono. Nessuna parla con le altre.
La prima è la madre, stringe fra le mani un rosario.
La seconda è l'ex moglie, fuma giocando nervosamente con l'accendino.
La terza è la proprietaria della pensione dove l'uomo viveva, è infastidita dal fumo della sigaretta (anche perché in quella stanza sarebbe vietato fumare) e continua ritoccarsi il rossetto.
La quarta è la più giovane, è incinta e l'uomo è il padre del bambino che aspetta e che non vuole.
La madre guarda la proprietaria della pensione in modo diverso dopo aver scoperto che è vedova come lei.
L'ex moglie guarda la ragazza in modo diverso dopo aver scoperto che è del segno dello scorpione.
La proprietaria della pensione guarda l'ex moglie in modo diverso dopo aver scoperto che è ricca.
La giovane si stupisce scoprendo che la madre ha solo due cognomi e che anche i suoi genitori ne avevano solo due, quando in Portogallo tutti ne hanno quattro.

Opera prima di Dulce Maria Cardoso, pluripremiata scrittrice portoghese, dove mi ha fatto molto piacere trovare una delle frasi più belle di Fabrizio De André (che però non cita): "Quando si muore, si muore soli" (da "Il testamento", 1966).

Nata nel 1964 nel nord del Paese, ma cresciuta in Angola, tornò in Portogallo nel 1975 per sfuggire con la famiglia alla guerra civile angolana. On-line è facilmente reperibile un video in cui Daniele Petruccioli, il suo traduttore italiano, racconta l'autrice. Al termine della lettura ne ho visto soltanto l'inizio, dove viene descritta la sensazione provata dalla Cardoso al rientro in Portogallo nel sentirsi profuga nel suo paese di origine. Non sono andata oltre perché non riesco a provare compassione verso chi è partito dall'Europa per andarsi ad arricchire nelle colonie africane, ma anche perché dopo la lettura di "Campo di sangue" non avrei più il coraggio per affrontare un altro romanzo scritto in questo modo:

"L'uomo muscoloso scoppiò a ridere, dai amico, non mi pare il caso di prendersela tanto, annuì, le mosche entravano e uscivano dall'abitacolo, gli ronzavano intorno alla testa, gli tornava tutto su, il vino bianco, i bocconi di polipo, le sigarette fumate gli si rivoltavano nello stomaco, un moscone ronzò forte finché non decise di posarglisi sulla carne viva, sentì un brivido di raccapriccio, avrebbe voluto scacciarlo ma non riusciva neanche a fare quel semplice movimento con la mano, chiuse gli occhi, dovevano essere quasi all'ospedale, la coda di macchine si muoveva piano, di tanto in tanto l'uomo muscoloso suonava il clacson ma non c'era un buco per passare, i paperi gialli dell'asciugamano da mare si stavano inzuppando di sangue, aveva le unghie da cane tutte di fuori, gli sembrava di macchiare anche il cruscotto, c'erano attaccati con una calamita tre riquadri con le foto della moglie e dei due figli, la moglie in mezzo, da una parte una bambina e dall'altra un bebè, sicuramente sul muro del salotto c'era un ingrandimento delle stesse foto incorniciate, omaggio del fotografo, poteva chiedergli quando erano state scattate, era un buon argomento, ci vuole sempre un certo tempo per reinventare il passato, all'uomo muscoloso la domanda sembrò strana, non se lo ricordava, era passato tanto tempo, il bebè era il bambino grasso accasciato sul sedile di dietro, la bambina sdentata era la ragazza carina che aveva baciato il padrone del bar e poi aveva mentito dicendo di non conoscere nessuno su quella spiaggia, la moglie non aveva più quel bel sorriso e i capelli nerissimi, erano persone completamente diverse ma l'uomo muscoloso era convinto che fossero le stesse, tutti cadono in questo tipo di errore, ripensò alla fotografia di Eva che lei gli aveva regalato all'inizio della loro storia e alla faccia che aveva quel pomeriggio al bar, talmente diverse, ripensò alla propria faccia sui tanti tesserini che aveva avuto nel corso degli anni, da studente, da abbonato dei mezzi pubblici, da socio di svariate associazioni, gli piaceva associarsi a tutto quanto poteva, quando uno ha tempo finisce per far parte di qualunque cosa, gli piaceva compilare i moduli e consegnare gli stampati all'impiegato, se era  richiesta una  fotografia la spillava all'angolo superiore sinistro, prima usava sempre la stessa faccia, la fotografia della carta d'identità era la stessa che stava sul tavolino del salotto di sua madre, in una cornice di vetro opaco a fianco della fotografia di suo padre, tutti e due con lo stesso sorriso confuso, non si ricordava più il giorno in cui aveva deciso di usare facce diverse, quando uno ha tempo, era andato non si sa quante volte dal fotografo, gli piaceva anche farsi le foto alle macchinette, la signorina chiudeva la tenda e lui aspettava che scattasse il flash, poi aspettava cinque minuti che uscisse la striscia con le sue quattro facce, la signorina gli diceva sempre che era venuto molto bene e lui era contento, chiedeva di separare le foto, si faceva ritagliare attentamente la faccia, una volta che era venuto con gli occhi chiusi se l'era fatta di nuovo, altre quattro facce, conservava dozzine di facce formato tessera in un dei cassetti dell'armadio, un giorno di questi bisogna che le butti via tutte, un giorno di questi."

Ma cosa cazzo hanno fatto di male i punti alla Cardoso?!? Non ho dovuto cercare per trovare un periodo adatto da ricopiare, ho aperto una pagina a caso perché le 264 del libro sono scritte tutte così, con queste frasi lunghissime (in certi casi superano le due pagine) che raggruppano pensieri, ricordi e racconti di uno dei personaggi, spesso senza logica e con ripetizioni sfinenti.

La Cardoso sa scrivere e lo dimostra il fatto che - nonostante questi pipponi deliranti - non si perde mai il filo, non ci si dimentica cosa veniva detto all'inizio della frase, e per riuscire a divagare come fa lei senza far smarrire il lettore bisogna essere bravi, molto.

Pubblicato nel 2001, il libro ha vinto il Prémio Acontece. Forse hanno premiato l'indubbia originalità, ma quello che si legge deve anche piacere e a me la sua prosa non è piaciuta. Mi piacciono i dialoghi e qui sono rarissimi. Mi piace avere una collocazione geografica e qui si sa solo che è ambientato in Portogallo. Mi piace avere una collocazione temporale e qui non c'è nessun riferimento. Mi piace poter immaginare fisicamente i personaggi e qui vengono solo descritte le unghie dei piedi di lui, spesse, ricurve e nere di sporcizia (da vomitare il mio pranzo nuziale di 24 anni fa). Mi piace avere dei nomi e qui si sa solo quello di Eva, l'ex moglie. La staticità delle vicende descritte a me non ha disturbato, ricordi e flashback danno movimento, ma è bene mettere in conto anche il rischio di avere l'impressione di non muoversi dalla sala d'attesa del manicomio o dalla pensione decrepita e lercia.

E' uno di quei libri che sembrano voler essere un manifesto di quel tipo di degrado che non lascia via di uscita.

"I ragazzi del quartiere trascorrevano interi pomeriggi seduti su un muretto a guardare le ragazze, pomeriggi lunghi e tristi durante i quali non succedeva mai niente, a parte le ragazze che passavano"
Dove il protagonista - uno a cui dà sui nervi il mare per quanto è grande, i fiori perché sono di colori troppo diversi e gli alberi perché sono tutti dello stesso verde; uno che quando riceve una lettera la tiene chiusa per qualche giorno per avere qualcosa da pregustare, anche se sa che non ci sarà scritto niente di particolare - non è certo l'unico "caso disperato" della storia: non si salva nessuno.

"Solo su un'isola si capisce davvero la vita. Pensiamo di poterne fuggire, ma l'unica alternativa che abbiamo è girare in tondo, e per quanto giriamo la sola via d'uscita sono la morte e il mare"

Reading Challenge 2022, traccia di agosto: un libro con un personaggio malato o disturbato

venerdì 19 agosto 2022

"La pittrice di anime", Isabel Wolff



Londra, primavera 2010. Ella Graham ha quasi 35 anni ed è una delle poche persone che sono riuscite a realizzare il sogno professionale che avevano da bambini: a cinque anni trascorreva il suo tempo cercando di riprodurre un volto, quello del padre che all'improvviso non aveva più visto. Ma quando ne aveva 11 la madre le aveva finalmente raccontato perché le aveva abbandonate. La rivelazione aveva causato in lei un dolore e una rabbia così potenti da spingerla a buttare via i tantissimi disegni del padre che aveva fatto in quei sei anni, ma la passione per la pittura era rimasta.
Grazie a un ritratto di Sarah Ferguson, duchessa di Cornovaglia, commissionatole dalla National Portrait Gallery e alla sua grande capacità nel riuscire a far emergere dai suoi dipinti qualità interiori che nemmeno le persone raffigurate sapevano di possedere, Ella è diventata una ritrattista di successo. C'è chi preferisce posare nella propria casa e chi, invece, va a Fulham nello studio di Ella, ad esempio Nate, l'uomo che il 3 luglio sposando Chloe, la sua sorellastra, diventerà suo cognato.
Questo è un romanzo rosa e a Ella basterà la prima sessione di due ore per passare dall'antipatia e dalla diffidenza che provava nei confronti di Nate a sentimenti ben diversi...

Era il 1997 quando negli Stati Uniti una rubrica settimanale veniva trasformata in libro: ovviamente mi riferisco a "Sex in the city" e alla rubrica che l'autrice Candace Bushnell pubblicava da tre anni nel "New York Observer".
Un anno dopo gli inglesi scopiazzavano la trovata facendo nascere dalla rubrica umoristica 
"Tiffany Trott" del "Daily Telegrah" il primo romanzo di Isabel Wolff, arrivato in Italia con il titolo di "Colazione da Tiffany Trott".
Fra il 1998 e il 2014 la Wolff ha pubblicato dieci libri, di cui solo la metà è stata tradotta in italiano. "La pittrice di anime"
 (titolo originale "The very picture of you", che Google mi traduce in "L'immagine stessa di te") è il penultimo, scritto nel 2011, ed è l'ultimo tradotto.

I libri della Wolff sono meno divertenti e meno stupidi di quelli della Bushnell e di tanti altri chick lit, categoria indubbiamente adatta ai primi tre, che ho letto molti anni fa 
(cosa evidente già dai titoli: "Colazione da Tiffany Trott", "La posta del cuore", "Minty, lui mente"), ma dove secondo me non rientrano né "Passione vintage" né quest'ultimo, non fosse altro per la mancanza di una vena umoristica in entrambi. "La pittrice di anime" è un romanzo rosa senza grandi pretese, ma decisamente migliore dell'altra mia lettura dello stesso genere di questo mese, "Il luogo segreto dell'amore". La Wolff - pur cadendo in ben sette mordicchiamenti di labbra e pur utilizzando (lei o la traduttrice) il termini piedini riferito a un'adulta - ha una scrittura piacevole, non tratta grandi temi sociali, ma non si limita neppure a banali patemi d'amore: la vicenda che coinvolge Ella e il padre biologico, nonostante sia secondaria nella trama, assume per importanza e sviluppo un ruolo protagonista e l'autrice - raccontando anche le storie di alcuni personaggi minori (quelli ritratti da Ella) - arricchisce il libro non riducendolo all'inevitabile "e vissero felici e contenti". Anzi, per essere un romanzo rosa ha un'altissima percentuale di divorzi e di separazioni. Atipica anche la dedica: "Ai miei suoceri, Eva e John". Io leggo le dediche e subito le dimentico, questa mi ha colpita.

Reading Challenge, traccia di agosto: un libro con in copertina sia foto sia disegno



domenica 14 agosto 2022

"Lamento di Portnoy", Philip Roth



"Portnoy è un antico cognome francese, una alterazione di porte noir, ossia a dire porta o cancello nero"

New York, 1966. Alex (Alexander) Portnoy ha 33 anni ed è commissario aggiunto della Commissione per lo sviluppo delle risorse umane del Comune di New York, uno di quegli incarichi che - se esercitati nel modo giusto - possono contribuire a fare la differenza per molte persone. E lui è bravo nel suo lavoro, così come si era distinto negli studi. Del resto con un Q.I. di 158 non ha dovuto compiere molti sforzi per riuscirci.
Ma nella sfera personale le cose non vanno come ci si sarebbe aspettati da uno nato e cresciuto in una famiglia di solidi principi ebraici: dov'è la famiglia che avrebbe dovuto creare? Dov'è la brava moglie ebrea con cui avrebbe dovuto condividerla? Dove sono i piccoli ebrei che avrebbe dovuto generare con lei? Perché riesce a vivere il sesso solo in un modo che molti definirebbero malato, ma che rappresenta il suo modo di essere fin da quando era un bambino e si è masturbato per la prima volta?
Tutte queste domande irrisolte lo hanno portato sul lettino del dottor Spielvogel, l'analista con cui intende iniziare un'approfondita terapia, ma prima deve raccontargli un po' di cose di sé...

Se qualcuno, come me, non si decide ad affrontare questo romanzo temendone la pesantezza può tranquillamente abbandonare ogni indugio e goderne la lettura.

Scritto nel mio anno di nascita (il 1969), opera terza dell'autore, è un monologo di 220 pagine in cui il protagonista racconta se stesso e la sua vita allo psicologo che ascolta senza intervenire.
Sesso e religione sono gli argomenti portanti: Roth è esplicito, per cui chi è particolarmente pudico e/o bigotto potrebbe avere qualche problema nel digerire tutta quella schiettezza.
Per me questo libro è un capolavoro.
 

"Questi adorano un ebreo, lo sai Alex? Tutta la loro religione delle sette meraviglie è basata sull'adorazione di uno che ai suoi tempi era un ebreo rinomato. Eh, non lo chiami essere stupidi questo? Non lo chiami gettare il fumo negli occhi della gente? Gesù Cristo, che loro vanno in giro a dire a tutti quanti che era Dio, in verità non era altro che un ebreo! E a questo fatto, questo fatto che mi fa impazzire ogni volta che ci penso, non ci fa caso nessuno, capisci? Che lui era un ebreo, come te e come me, e che quelli hanno preso un ebreo e trasformato in un dio dopo che quello è già morto, e poi - ed è proprio questo che ti può far uscire assolutamente pazzo - poi quegli sporchi vigliacchi si rigirano, e chi c'è per primo nella loro lista di gente da perseguitare? A chi è che non gli hanno lasciato un momento di tregua, chi è che non hanno mai finito di assassinare e di odiare per duemila anni? Gli Ebrei! Che poi sono stati proprio loro a dargli il loro amato Gesù! Guarda, ci puoi contare, Alex, in tutta la tua vita non sentirai mai tante fregnacce strampalate, tante idiozie disgustose quante ne dice la religione cristiana!"

Ma Roth usa Portnoy per portare in analisi tutti gli ebrei, riflettendo su quanto possa essere difficile esserlo, sulla mancanza di radici che priva del senso di appartenenza anche chi è figlio di un determinato luogo da generazioni, sul rigore che viene instillato dalle famiglie fin dalla nascita.

Insegnamenti che generano in Portnoy un perenne disaccordo interiore che lo fa soffrire per l'opprimente presenza dei genitori, in particolare della madre ("Perché voi stronze madri ebree siete semplicemente troppo insopportabili, chiaro?"), ma che contemporaneamente lo spinge a puntualizzare la superiorità degli ebrei quando interagisce con persone che non lo sono.

E a ciò si aggiunge la sua fame di sesso, puro sesso libero dai sentimenti. A Portnoy non interessa fare l'amore, lui chiava, scopa, fotte. Un chiodo fisso fin dalla preadolescenza. Il secondo capitolo dedicato all'Alex adolescente segaiolo è una delle cose più divertenti che abbia mai letto. E ancora più spassosi sono i dettagli legati alla stitichezza del padre.

E' un libro (anche) esilarante, non c'è traccia della pesantezza che temevo. Un libro acuto, intelligente, ma su questo - con quella firma - non avevo alcun dubbio.

"Non sanno far altro, questi imbecilli mangiatori dell'esecrabile, che pavoneggiarsi, offendere, insultare, beffeggiare, e prima o poi, colpire. Oh, sanno anche andar fuori nei boschi, con il fucile, questi geni, e ammazzare innocenti cerbiatti selvaggi, cervi e cerbiatti che si nutrono tranquillamente di bacche ed erbe e poi se ne vanno, senza dar fastidio a nessuno. Stupidi goyim che non siete altro! Puzzolenti di birra e ormai svuotati di munizioni, diretti a casa, a casa, con un animale morto (e prima vivo) legato su ciascun parafango, in modo che tutti quelli che incontrate nelle altre macchine possano vedere quanto siete forti e virili; e poi, nelle vostre case, prendete questi cervi - che non vi hanno fatto niente, che non hanno fatto niente a nessuno in tutto il regno della natura, ma neppure un briciolo di male, poveracci - prendete questi cervi, li tagliate a pezzi, e li cuocete in una casseruola. Figuriamoci, come se non ci fosse abbastanza da mangiare a questo mondo, quelli si devono mangiare pure i cervi! Ma quelli si mangerebbero qualsiasi cosa, qualsiasi cosa su cui possano mettere le loro grosse mani goy!

Peccato che gli ebrei non abbiano la stessa compassione nei confronti di altri animali. Anche gli agnelli non hanno mai fatto male a nessuno (ma un plauso a Israele, una delle nazioni con la percentuale di vegani più alta al mondo: non a caso un popolo che ha sperimentato sulla sua pelle il venire ammassati sui treni merci per essere portati a morire).

Reading Challenge 2022, traccia di agosto: un libro con meno di 300 pagine


venerdì 12 agosto 2022

"Il luogo segreto dell'amore", Victoria Lustbader

 

Stone Creek (stato di New York), fine giugno 2005. All'apparenza quella di Lily Margolies è una vita perfetta: 46 anni - ma talmente bella e in forma da arrivare a dimostrarne anche venti di meno - da otto è sposata con Paul Spencer, sovrano indiscusso del diritto societario di New York. Vivono al ventiduesimo piano di uno splendido edificio affacciato su Central Park, ma il posto dove Lily ama veramente trascorrere le sue estati è la villa che Paul ha fatto costruire per lei a Stone Creek, una pittoresca cittadina immersa nel verde a un centinaio di chilometri a nord ovest della Grande Mela. Danny (Daniel) Malloy a Stone Creek ci è nato 35 anni prima ed è lì che è tornato dopo averne trascorsi otto all'estero per perfezionare le sue grandi doti di artigiano del legno. La sua era veramente una vita perfetta finché un aneurisma cerebrale ha ucciso sua moglie Tara, lasciandolo solo con Caleb, il loro bambino.
Danny e Tara progettavano di avere tanti altri figli, a Lily ne sarebbe bastato anche uno solo e ormai per lei è tardi. Ed è tutta colpa di Paul, che di figli non ne ha mai voluti.

I romanzi rosa non sono mai stati il mio genere preferito, ma non li disdegno e la maggior parte di quelli che ho letto nel corso della vita mi sono piaciuti. Addirittura uno dei libri che ho amato di più in assoluto, "I ponti di Madison County", è proprio una storia d'amore.
Preferisco quelle raccontate nei chick lit perché hanno quasi sempre una percentuale rilevante di ironia che mi diverte, mentre il romanzo rosa tradizionale segue diversi cliché incompatibili con me, come in questo caso.

Victoria Lustbaster, newyorkese classe 1947, ha lavorato per anni come editor prima di diventare a sua volta autrice. Questo, scritto nel 2008, è il suo secondo romanzo e l'unico tradotto in italiano. Un libro assolutamente mediocre di cui il bel paese e il mondo intero avrebbero potuto fare a meno.

Lento e pesante fin dal principio, dopo qualche capitolo mi ha portata a ricontrollare la data di pubblicazione perché lo stile sembra essere molto più vecchio di quello che è, come è antiquato il modo in cui cerca di trasmettere la passione. Forse la Lustbaster voleva essere elegante, finendo invece col risultare fredda proprio nelle parti da cui chi legge questo genere di romanzi si aspetta di provare le emozioni maggiori.

Ma è proprio la storia a essere bruttina e poco coinvolgente. Sono molto suggestive le descrizioni della cittadina e delle due abitazioni principali immerse nel bosco, con il torrente che gorgheggia, gli uccellini che cantano, svariati insetti che rumoreggiano e una varietà di fiori da fare invidia al palco di Sanremo dei tempi andati. E' toccante la parte in cui viene descritta la morte della giovane Tara. Ed è apprezzabile la scelta non comune della protagonista femminile più matura dell'uomo, ma l'originalità del testo lì inizia e lì finisce.

I personaggi sono prevedibili e stereotipati, ma oltre a tutto ciò che viene sempre propinato nei romanzi rosa di basso livello (Lily e Danny si incrociano nella corsia di un supermercato colpiti dalla reciproca bellezza ed è subito colpo di fulmine; l'odiosissimo mordicchiarsi del labbro inferiore come esternazione del fuoco che divampa dentro, ma che bisogna trattenere per un motivo o per l'altro; gli occhi assassini di lui, il suo fisico scolpito nel marmo, ecc, ecc), qui vengono anche descritte situazioni che fa male ritrovare ancora in libri pubblicati in epoca moderna.

Ad esempio in una scena viene descritta una famiglia in un momento di relax: mentre il padre gioca e fa baccano con il figlio maschio in piscina, la mamma e la figlia femmina "si danno da fare a piegare i tovaglioli".
Paul è un maniaco del controllo, prepotente, egocentrico, a tratti anche aggressivo, "un uomo che quando vuole o ha bisogno di qualcosa, non chiede e non negozia, ma cerca di ottenerlo con mirata e risoluta determinazione".
Per contro Lily è indulgente e timorosa in maniera svilente per tutto il genere femminile: "Non aveva voluto un bambino prima perché non le era mai stato chiesto, ed era stata educata a fare ciò che le domandavano le persone più forti e sicure di lei, in altre parole tutti".

Se è vero che i libri hanno il potere di farci viaggiare con la fantasia, di farci vivere avventure sempre nuove e che i romanzi rosa sono quelli che per tipologia inducono maggiormente a sognare, allora mi chiedo: ma davvero c'è chi ha ancora voglia di rapportarsi con un personaggio remissivo come Lily?

Reading Challenge, traccia di agosto: un libro con una storia d'amore

mercoledì 10 agosto 2022

"Storia del pinguino che tornò a nuotare", Tom Michell


Questa è una storia vera. Il libro (titolo originale: "The Penguin Lessons") è un self publishing  del 2015. Tom Michell ha raccontato il breve, ma intenso legame che lo ha unito a un singolare amico: un pinguino di Magellano.
Era il 1976 e Tom - nato e cresciuto nelle campagne del sud dell'Inghilterra - aveva 23 anni e una gran voglia di esplorare il mondo. Per questo aveva risposto a un annuncio di un collegio di Buenos Aires per un posto come insegnante di inglese. Era in Argentina da sei mesi quando aveva approfittato di un periodo di vacanza per visitare il vicino Uruguay. Nel tardo pomeriggio del giorno precedente al rientro, durante l'ultima passeggiata a Punta de Este, si era imbattuto nelle conseguenze di uno dei tanti disastri ambientali causati dall'uomo: sulla spiaggia c'erano centinaia di pinguini morti, uccisi dal petrolio riversato in mare che aveva coperto occhi, becchi e corpicini uccidendoli dopo una lenta agonia.
Tutti tranne uno: un pinguino era ancora vivo e si dibatteva arrabbiato e terrorizzato.

Michell ripercorre tutta la sua esperienza, dal recupero all'opera di pulizia, e tutto quello che seguì. Per il nome da dare all'uccello si ispirò all'edizione spagnola de "Il gabbiano Jonathan Livingston": Juan Salvador, o meglio, "Juan Salvado per gli amici più intimi, Salvador per le occasioni formali".


Il libro è arricchito da sette illustrazioni opera di Neil Beker, ma l'emozione più grande è quella di poter vedere proprio Juan Salvado mentre nuota nella piscina del collegio in un brevissimo video. Senza aver letto il libro temo che arrivino solo delle immagini verdognole e sgranate, viceversa non si può non commuoversi perché leggendo la sua storia è impossibile non affezionarsi a questo sfortunato pinguino.


Michell non parla solo di Juan Salvado. Descrive l'Argentina degli anni '70 in maniera non approfondita, ma toccando comunque tanti aspetti importanti, evidenziando soprattutto le condizioni dei poveri e il modo in cui erano i descamisados a pagare il prezzo più alto dell'inflazione, ricordando le colpe accumulate da noi europei (anche) in Sudamerica.

"Le parti più desiderabili del continente erano state occupate dagli europei in nome delle loro divinità e dei loro governanti, e ai membri delle popolazioni indigene che erano sopravvissuti alla violenza e alle malattie straniere erano state lasciate le regioni più inospitali, eppure i loro discendenti si tenevano aggrappati con fiero senso d’indipendenza agli usi tradizionali."
Certo non è Isabel Allende, ma è comunque apprezzabile. Come sono belle le considerazioni che fa sul vuoto che le persone e gli animali che abbiamo amato  ci lasciano dentro quando muoiono:
"Il tempo passa e nuove persone e nuovi animali gareggiano per avere un posto nel nostro cuore, ma quello lasciato libero da chi lo occupava in precedenza non si riempie mai."
Il romanzo ha anche una doverosa componente ecologista. La tragedia che colpì i pinguini morti in quella spiaggia uruguayana ha dato a Michell modo di sottolineare come gli animali siano le grandi vittime dell'insensatezza dell'uomo.
"Lo stile di vita odierno è esplicativo della capacità degli esseri umani di operare cambiamenti spettacolari in tempi brevissimi ma, pur sapendo che il nostro modus vivendi è insostenibile, finora il nostro modus operandi si è dimostrato incapace di mettere in pratica le misure necessario anche solo a consentire un equilibrio della vita allo stato naturale, figurarsi una sua ripresa."
Quello che però paradossalmente manca è un'autentica spinta animalista: Tom Michell non è Isabel Allende, ma non è nemmeno Costanza Rizzacasa d'Orsogna. Onore a lui per aver soccorso un pinguino, impresa sicuramente non facile, tanto meno quasi cinquant'anni fa, ma dalla lettura emerge chiaramente (e fastidiosamente) come lui sia solo una delle tante persone per le quali esistono gli animali da compagnia (fra cui si può inserire a sorpresa anche un pinguino) e quelli al servizio dell'uomo e come consideri giusto ed etico sfruttare questi ultimi, usare le parti dei loro corpi per farne oggetti e, ovviamente, mangiarseli. Chi si commuove davanti alle immagini di poveri animali uccisi da una marea nera non faccia l'errore di pensare che quelli finiti nei loro piatti abbiano sofferto di meno.




Reading Challenge, traccia di agosto: un libro con un mezzo di trasporto in copertina


domenica 7 agosto 2022

"Un caso speciale per la ghostwriter", Alice Basso

 

Torino, aprile 2015. Se sentimentalmente la vita di Vani Sarca ha preso un sentiero ricoperto di petali di rosa, sul piano lavorativo la sua strada è ostacolata da un enorme e insidioso rovo di spine: il nuovo editore è indubbiamente una persona più piacevole di Enrico Fuschi, ma il piano d'azione che ha in mente per la casa editrice L'Erica fa di lui un degno esponente della potente e spietata lobby cui appartiene.
Ma a focalizzare l'angoscia di Vani è proprio Enrico, che dopo la sorprendente decisione presa undici giorni prima nei confronti di Henry Dark è scomparso nel nulla. E Vani si sente responsabile perché, a conti fatti, lo è.
E forse è anche più buona di quanto pensasse (e di quanto pensassi anch'io).

"Le storie, bisogna prepararsi a salutarle"
Eh... già: ecco l'ultima puntata della ghostwriter, una serie carina, di puro intrattenimento senza tante pretese, secondo me di un livello leggermente superiore a quello dell'allieva di Alessia Gazzola, non fosse altro che per le citazioni letterarie, musicali e cinematografiche (questa volta sono stata in grado di apprezzarne una anch'io, che di film ne vedo due all'anno ad esagerare, ma Keyser Söze è per me il personaggio geniale per eccellenza del grande schermo).
La Basso propone anche una bella analisi (bella nel senso di realistica e che, come tale, deve essere obbligatoriamente disillusa) dell'editoria moderna, puntando il dito verso chi approfitta dell'ingenuità degli aspiranti scrittori (decisamente troppi, questo lo dico io) disposti a pagare per farsi pubblicare, ma anche contro i portali per l'autopubblicazione, che permettono a chiunque di vedere il proprio nome scritto su una copertina, anche a chi (io dico la maggior parte) non è in grado di scrivere neppure una lista della spesa decente eppure si convince di poter scrivere un libro (la Basso li chiama ingenui, io li definisco presuntuosi).

A parte questo, il libro è proprio leggerino, più ancora dei precedenti. Arrivata alla fine della serie dico che mi aspettavo, ma non ho trovato, un'evoluzione del personaggio di Vani Sarca, cosa che potrebbe anche essere stata una scelta consapevole dell'autrice, che ha sì scritto i cinque romanzi nell'arco di tre anni abbondanti, ma che ha concentrato le vicende in circa sei mesi e anche nella vita reale è raro che dall'autunno alla primavera una persona faccia chissà quali progressi. Però la ghostwriter sembra quasi regredire.

Fatico a trovare una collocazione di genere per questi libri: l'inserimento nella narrativa gialla che fanno Amazon e IBS è una bestemmia e non sono neppure abbastanza gialli né abbastanza rosa per essere definiti dei rosa crime, colore che quindi è troppo tenue anche per i rosa classici. Il solito calderone della narrativa contemporanea è un po' troppo pretenzioso, però ci finiscono opere ben peggiori di queste, ma l'etichetta che mi sembra più adatta a quest'ultimo titolo in particolare è quella di libro ironico: ogni frase di Vani gronda sarcasmo, molte battute strappano un sorrisetto, alcune fanno proprio ridere, ma nessuno nella vita si esprime perennemente come Maurizio Crozza, neppure lui!

La Basso ha esagerato e credo abbia fatto bene a chiudere il cerchio su questo suo personaggio - o forse ha esagerato proprio perché era un'uscita di scena (con finale decisamente troppo zuccheroso) -  però sarei contenta se fra un tot di anni ci raccontasse in una sesta puntata come sono cambiate le cose per una Vani Sarca ultra quarantenne.

"L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome"
"Scrivere è un mestiere pericoloso"
"Non ditelo allo scrittore"
"La scrittrice del mistero"

Reading Challenge, traccia di agosto: un libro di un autore che hai già letto


lunedì 1 agosto 2022

Reading Challenge: le tracce di agosto

   


Primo gruppo (un solo libro per traccia):

  • Un libro con in copertina sia foto sia disegno
    "La pittrice di anime", Isabel Wolff (3 punti)
  • Un libro con un mezzo di trasporto in copertina
    "Storia del pinguino che tornò a nuotare", Tom Michell (2 punti)

  • Un libro di un autore che hai già letto
    "Un caso speciale per la ghostwriter", Alice Basso (3 punti)

  • Un libro con una storia d'amore
    "Il luogo segreto dell'amore", Victoria Lustbader (3 punti)

  • Un libro con meno di 300 pagine
    "Lamento di Portnoy", Philip Roth (2 punti)

Secondo gruppo (un solo libro per traccia, solo se si sono letti i cinque libri delle tracce del primo gruppo):

  • Un libro ambientato totalmente o in parte in una scuola, collegio o università
    "I beati anni del castigo", Fleur Jaeggy (2 punti)
  • Un libro con un personaggio malato o disturbato
    "Campo di sangue", Dulce Maria Cardoso (3 punti)
  • Un libro dove il protagonista ha meno di 30 anni
    "La stanza del polline", Zoe Jenny (2 punti)
  • Un classico scritto prima del 1900
    "Moll Flanders", Daniel Defoe (5 punti)
  • Un libro con la copertina flessibile
    "Vietato", Karine Tuil (2 punti + 1 punto foto)


Traccia bonus (uno o più libri):  
libri con più di 20o pagine
  • "La locanda dove il mare parla piano", Emma Sternberg (3 punti + 1 punto foto)
 
I miei punti = 32


Iscrizioni sempre aperte QUI
Casata: L'ordine della fenice