domenica 28 novembre 2021

"Un lavoro perfetto", Tsumura Kikuko

Giappone, giorni nostri. Della protagonista, voce narrante della storia, ci viene detto ben poco: solo che dopo essersi laureata ha svolto per quattordici anni lo stesso lavoro, un lavoro non precisato  che però le ha causato l'esaurimento nervoso che l'ha portata a licenziarsi. Sappiamo che dopo aver sfruttato al massimo il sussidio di disoccupazione, a 36 anni è dovuta tornare a vivere con i genitori per ridurre al minimo le spese.
Noi la incontriamo quando per lei è arrivato il momento di ributtarsi nel mondo del lavoro e quello che chiede alla signora Masakado dell'agenzia interinale a cui si rivolge non è un lavoro perfetto, ma "un impiego vicino a casa e con mansioni semplici, tipo stare seduta tutto il giorno a controllare l'estrazione del collagene dai cosmetici".
E la signora Masakado riesce ad andarci incredibilmente vicino!

Il titolo originale, "Kono yo ni tayasui Wa nai", che Google mi traduce così: "Questo è un lavoro facile", è molto più veritiero di quello scelto per l'edizione italiana perchè nei cinque macro capitoli del libro seguiamo la protagonista, di cui non ci viene mai detto il nome (uff), impegnata in altrettanti lavori che vanno dall'assurdo al demenziale e che personalmente mi avrebbero portata dritta al suicidio (o all'omicidio), altro che esaurimento...

Oltre a mangiare e bere di continuo (per altro anche cose come del caffè in lattina e una bibita frizzante all'aceto nero...), la vediamo annoiarsi, ma anche appassionarsi, tendendo ad andare oltre a quello che le viene chiesto di fare, ma finendo sempre col mollare e passare ad altro.

Una protagonista che non mi è piaciuta: troppo ansiosa, troppo insicura, troppo pigra. Arriva a sentirsi sotto pressione per nulla e le passa la voglia di lavorare per delle scemenze: il "finale a sorpresa" (è così che viene definito nella sinossi), forse perchè buttato lì senza nessun passo indietro esplicativo, non è bastato a farmi cambiare opinione su di lei. L'ho trovata un insulto per ogni disoccupato.

Mi chiedo se in Giappone sia davvero così facile trovare lavoro, il web mi fornisce solo spiegazioni sui passi che deve fare uno straniero per lavorare lì, ma non è quello che mi interessa. Non credo che esistano lavori come quelli descritti nel libro, ma vorrei sapere se le agenzie di collocamento sono veramente così attive, se una persona possa sul serio provare un lavoro e scartarlo dopo un mese per passare a un altro.

Lavori a tempo determinato, perchè sono quelli che cerca la protagonista, ma per molti già sarebbero una manna. E ho molto da ridire sul quello che, stando sempre alla sinossi, sarebbe il messaggio del libro: "In tutto ciò che si fa c'è qualcosa di magico, di unico e di appagante".

Ma ci credono davvero? Ma che provino ad andarlo a raccontare a quelli che fanno lavori usuranti, umilianti, sfinenti, pericolosi. Ma che provino a farli loro e che poi tornino a dirci se pensano ancora "che dobbiamo solo trovare l'energia per riconoscerne la bellezza" e a spiegarci dove si nasconde la bellezza nel frantumare l'asfalto col martello pneumatico o nel pulire i gabinetti di stazioni e autogrill.

Detesto i libri che hanno la pretesa di trasmettere messaggi positivi irreali. E questo è anche noioso.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia sorpresa di novembre
 

venerdì 26 novembre 2021

"Per amore e per forza. L'autobiografia di Cicciolina", Ilona Staller



Ilona Staller oggi compie 70 anni. E io ieri ne ho fatti 52. Vale a dire che quando era all'apice della sua carriera di pornostar io ero una ragazzina, ovviamente non interessata al personaggio, ma avendo soprattutto amici maschi e tutti più grandi di me di Cicciolina sapevo tutto, o quasi. Ricordo bene i manifesti dei suoi spettacoli fuori dall'Alcione, a suo modo storico cinema/teatro del quartiere di Marassi, davanti a cui passavo per quindici volte all'andata e quindici al ritorno (sedici, quando anche in cugini erano in serie A) durante il campionato per andare allo stadio. Ai tempi avevo un amico, tal Paolino, che nei pomeriggi trascorsi nei locali del mitico Sampdoria Club Lo Squalo dilettava i presenti leggendo sul "Corriere mercantile" i titoli dei film porno: erano esilaranti, a volte geniali (come dimenticare "Ani sudati"?).

Sia il cinema che il quotidiano hanno chiuso i battenti e
Paolino l'ho perso di vista da circa vent'anni, più o meno come Ilona Staller. Non ho sentito la mancanza nè dell'amico (troppo pesante e invadente) nè del personaggio Cicciolina, ma la sua autobiografia (comprata sul sito del Libraccio per pochissimi euro) - oltre a servirmi per arrivare alle spese gratuite - mi ha attratto come da una certa età comincia a fare un po' tutto quello che è legato a ricordi del passato, soprattutto quando si tratta di anni spensierati e felici.

Per quanto il libro fosse economico, avevo comunque letto le recensioni su IBS, come d'abitudine, e ora ho ritrovato quella che mi aveva convinta all'acquisto, scritta il 4 marzo 2014 da un certo Gabriele, che inizia così: "
Uno splendido  libro!! Aiutata sicuramente da un ghost writer (scritto benissimo) aiuta a capire chi è Cicciolina". Avrei dovuto ponderare meglio il seguito dove Gabriele confronta questa autobiografia con quella di Rocco Siffredi e lamenta il fatto che si parli pochissimo di porno: mi sembra chiaro che il suo interesse per Cicciolina sia un po' più profondo del mio ^^

Il libro non è splendido e non è scritto benissimo, lo stile è talmente semplice, ripetitivo nei termini e confuso nella cronologia da avermi ricordato un'altra autobiografia letta una quindicina di anni fa, quella della signora Pescio, una mia cliente all'epoca sessantenne che (inspiegabilmente) aveva raccontato la sua vita in un librino autopubblicato, imponendone poi la lettura penso a chiunque, poveri commercianti del quartiere compresi!

Però è vero che aiuta a conoscere l'autrice (va bè, è un'autobiografia...): racconta la storia della sua famiglia (o meglio, delle donne della sua famiglia) a partire dalla bisnonna, classe 1890, che ebbe una figlia illegittima che a sua volta ebbe anch'essa una figlia illegittima, la madre di Ilona.

La storia di Ilona bambina stringe il cuore, lei e i suoi fratelli hanno patito la miseria più nera, in parte a causa della situazione ungherese dell'epoca, assoggettata all'Unione Sovietica (il libro è stato pubblicato nel 2007, quindi la Staller non arriva a esprimere il suo parere anche su Orbàn...), ma soprattutto "grazie" al padre che spendeva in donne il poco che guadagnava.

Se cresci vivendo in un buco di 34 metri quadri con altre nove persone, patisci la fame, il freddo e a 11 anni vieni molestata da un amico di tuo padre, per quanto mi riguarda ti sei guadagnata il diritto di non essere giudicata per le scelte che hai fatto dal momento in cui ti si è presentata l'occasione per scappare.

Ilona a 17 anni abbandona gli studi per lavorare come cameriera in un lussuoso hotel di Budapest dove viene assoldata come spia dai serivizi segreti ungheresi: le è facile riuscire a farsi portare nelle stanze degli uomini che le vengono indicati, poi deve solo aspettare il momento propizio per fotografare tutti i documenti che riesce a trovare. Lei ne parla in modo divertito, ma - parafrasado Julia Roberts - non deve essere stato esattamente il sogno che aveva da bambina dato che nel 1970 accetta di sposare un calabrese più vecchio di 25 anni, brutto come la fame (stando alla descrizione), senza un soldo e pure violento.

Ma è il suo lasciapassare per l'Italia e qui la storia di Ilona diventa quella di Cicciolina: ha smesso di stringermi il cuore, non per giudizio su quel che faceva visto che ha sicuramente dato del suo e finchè c'è la maggiore età e non c'è costrizione la pornografia è l'ultimo dei miei pensieri.

"Per molte donne la pornografia era una scelta disperata per guadagnare soldi, mentre per me era un lavoro divertente che mi dava molte soddisfazioni e certo non mi annoiava"

Mi è proprio risultata antipatica: l'idea che dà di sè è quella di una persona estremamente presuntuosa, il libro - zeppo di dettagli banalissimi e irrilevanti (a questo punto lo avrei preferito anch'io più pornografico, come Gabriele) - è un continuo autoincensarsi.

Amica, fidanzata, moglie, madre, figlia, sorella, artista (ora... artista... ricordiamoci che questa durante i suoi spettacoli pisciava sul pubblico, definirli "piuttosto spinti, ma eleganti" è come minimo coraggioso), ecc... Esemplare in ogni ruolo, ma nessuno è così perfetto e se, giusto per fare un esempio, un tribunale arriva ad affidare il figlio (di lui parla molto) di due persone ricche e famose come Ilona Staller e Jeff Koons agli assistenti sociali, qualcosa che non funziona mi sa che c'è, ma lei si attribuisce come unico difetto
quello dell'ingenuità che l'ha portata a pagare colpe di altri.

Bisognerebbe ascoltare anche le altre campane, cosa che non ho interesse a fare, soprattutto quella del marito (anche sulla sua arte avrei qualcosa da ridire...), altra figura umile, arrivato a definirsi secondo solo a Michelangelo!

Naturalmente tutti ricordiamo Ilona Staller in Parlamento: per me la politica è una cosa seria (molto seria), ma (purtroppo) non considero la sua elezione come la più grande vergogna politica del nostro Paese...

Quei cinque anni le hanno garantito il vitalizio (scandaloso? Sì, per lei come per tutti), da tre anni ridotto a 800€. Ha dichiarato di non avere più soldi e di mantenersi vendendo la sua biancheria usata: evidentemente fra i suoi tanti pregi manca l'oculatezza, se è vero che è stata la pornodiva più pagata al mondo e che il marito l'aveva sposata per interesse, per ottenere popolarità anche in Europa, oltre ai soldi e al successo.

Sarà... Di certo c'è che proprio pochi giorni fa, il 15, una foto dei due ex coniugi è stata battuta a un'asta per la bellezza di 398mila dollari. Ad aggiudicarsela un anonimo collezionista di Pechino.

Quanta iniquità c'è nel mondo...

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di novembre (l'autrice  è nata il 26 novembre 1951)
 

martedì 23 novembre 2021

"Il linguaggio segreto dei fiori", Vanessa Diffenbaugh



San Francisco, 1° agosto di un anno imprecisato. Victoria Jones compie 18 anni, ma il nome Victoria non è stato scelto dai genitori, Jones non è il cognome di famiglia e il 1° agosto non è la sua vera data di nascita. Abbandonata in fasce, ha trascorso infanzia e adolescenza cambiando ben 32 famiglie affidatarie e fra tutte quelle persone soltanto una le è rimasta nel cuore: Elizabeth, la donna che l'ha avuta in affido per un anno quando ne aveva nove, che è arrivata a un passo dall'adozione vera e propria, finchè Victoria ha mandato tutto in fumo...
Adesso che è maggiorenne deve lasciare la comunità di alloggio che la ospita e riuscirà a mantenersi proprio grazie a Elizabeth e a tutto quello che durante quell'anno vissuto insieme le ha insegnato sui fiori e sul loro linguaggio.

Romanzo pubblicato dieci anni fa e che all'uscita fu un vero e proprio caso editoriale. Se ne parlò così tanto da far scattare in me una sorta di repulsione, nonostante non sia una lettrice prevenuta nei confronti dei romanzi "di consumo", anzi, tendo a pensare che se un libro è in grado di conquistare quasi tutti qualcosa di buono deve averlo per forza.

Ed è così per "Il linguaggio segreto dei fiori", qualcosa di buono lo ha, ma di certo non ha soddisfatto le aspettative che avevo e che erano piuttosto alte.

Non essendo interessata all'argomento tutto quell'inevitabile gran parlare di fiori mi ha annoiata in fretta e l'autrice non è riuscita a modificare l'opinione che già avevo del linguaggio attribuito ai fiori: una boiata romantica.

Cosa peggiore, non mi ha fatto scattare l'empatia che sarebbe umano (e che avrei voluto) provare verso una protagonista con un trascorso come quello di Victoria. L'origine delle sue paure e delle sue insicurezze, così come la sua ritrosia verso i legami e i contatti fisici, sono ben chiare e comprensibili (per quanto sia possibile capire davvero esperienze non vissute direttamente), ma per quanto avrei voluto provare per lei tenerezza e compassione, il più delle volte l'ho trovata irritante.

Ho sentito la mancanza di un preciso contesto storico, per me sempre importante, ma capisco che per molti possa essere un dettaglio trascurabile.

E credo che avrei dato più valore al narrato se leggendo avessi già saputo che l'autrice e il marito sono genitori affidatari, cosa che ho scoperto solo nella breve intervista in calce al libro. Io patirei ad avere dei gatti in stallo, per cui ammiro e invidio moltissimo il coraggio che hanno queste persone. Però, sapendo questo, mi sono anche ritrovata a pensare che la Diffenbaugh avrebbe dovuto averne anche andando più a fondo della questione facendo del suo romanzo una vera e propria denuncia contro l'inadeguatezza del sistema affidatario americano. Probabilmente non avrebbe avuto lo stesso successo, ma anche il suo peso sarebbe stato diverso.

            
Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla settima traccia annuale, "sei libri di sei categorie diverse" (libro di un autore letto da una compagna di casata)

 

 

lunedì 22 novembre 2021

"La ragazza del collegio", Alessia Gazzola



Roma, fine maggio 2021. Dopo aver trascorso quasi due anni negli Stati Uniti, Alice e Claudio tornano a Roma: la "Wally" è prossima alla pensione e il dottor Conforti è a un passo dalla realizzazione del suo sogno, quello di diventare il direttore dell'Istituto di Medicina Legale.
In attesa del concorso, i due riprendono a lavorare nell'Istituto, esattamente come se non fossero mai andati via.
Ad Alice viene assegnato un omicidio stradale: la vittima, Francesca Rebaldi, aveva appena 23 anni. Originaria di Rovereto, studentessa di scienze politiche, è stata investita proprio davanti al cancello del collegio dove alloggiava.
A Claudio quello di un bambino di colore ritrovato, per fortuna vivo e in salute, a vagare da solo per le strade della capitale.
Che i due casi possano essere collegati sarebbe del tutto improbabile nella realtà, ma in un romanzo di Alessia Gazzola è inevitabile...

Ed ecco il nono romanzo della serie "L'allieva", uscito il 12 ottobre scorso a tre anni di distanza dal precedente. La storia gialla qui inizia e qui finisce, ma le vicende private della coppia si chiudono in un finale aperto che lascia immaginare uno o più seguiti, cosa più o meno confermata dall'autrice nei ringraziamenti.

Il gialletto è carino, migliore di altri della serie, ma è impossibile non rilevare come la storia sia stata costruita su coincidenze clamorose e a me non basta leggere l'ammissione da parte dell'autore ("frattanto si verifica una coincidenza bislacca") per rendere la cosa meno fastidiosa (che poi in realtà la frase citata non è riferita ai casi fortuiti di cui la Gazzola si serve per muovere gli ingranaggi più importanti, ma al suo tentativo di creare suspense inserendo un altro caso di investimento, facendo però morire la pista di un ipotetico "serial killer al volante" talmente in fretta da rendere il depistaggio del tutto superfluo).

Le coincidenze non sono le sole cose che non ho gradito.

Non mi è piaciuto che abbia aperto e chiuso in una manciata di frasi nel prologo la biennale esperienza americana di Alice e Claudio.

Non mi è piaciuta la faciloneria con cui ricorre (non per la prima volta) a frasi come "riassunto delle puntate precedenti: ..." e "il piano era dunque il seguente: ..." per raccontare (anzi, elencare) ciò che è successo nel passato, vicende corpose sia per importanza che per quantità di eventi, senza fare nessuno sforzo nè narrativo nè stilistico.

Non mi è piaciuto come abbia relegato la situazione della Repubblica Democratica del Congo al riassuntino di un video su YouTube: già detto, la Gazzola non è la Allende, ma non servivano personaggi parigini di origini congolesi. Perchè introdurre possibili macro argomenti per poi gestirli in questo modo?

Ovviamente non mi è piaciuta la solita approssimazione con cui sono state (mal) gestite le date. Non sono nemmeno sicura che i fatti inizino nel maggio 2021, potrebbe essere il 2020, ci sono molti riferimenti a delle date e nessuno mi torna.

Che la storia si svolga nel 2020 o nel 2021 non cambia il mio disappunto verso l'ultimo elemento a non essermi piaciuto: la mancanza assoluta di riferimenti alla pandemia. Trovo questa scelta molto discutibile, a maggior ragione da parte di un'autrice laureata in medicina. Forse ha preferito non far rientrare nella sua storia la situazione che tutti, chi più chi meno, abbiamo vissuto e viviamo in modo opprimente, per non compromettere lo svago della lettura, ma far finta che il Covid non esista lo trovo assurdo e anche un po' irrispettoso nei confronti dei tanti che hanno patito delle perdite, soprattutto se umane, ma anche economiche. Io mi aspetto  di ritrovare i disagi della pandemia, anche un solo minimo accenno, in ogni libro, film o serie tv sviluppati nel presente attuale. Mi fa piacere? No, ma la realtà è questa e non parlarne affatto, fare interagire Alice e gli altri personaggi come se il Covid non esistesse è irragionevole. Sarebbero bastati una lamentela per il fastidio della mascherina o un riferimento alla difficoltà di spostarsi coi mezzi pubblici, una cosa qualunque, invece niente di niente e questo non mi è piaciuto.

Mentre mi è piaciuto moltissimo non trovare nessuna manina, piedino, portoncino, ecc, solo delle goccine di ansiolitico
: un grande passo avanti!

Ma non solo questo: i libri belli sono altri, i libri importanti sono altri, i libri di spessore sono altri, ma la Gazzola si lascia leggere e dà lo svago che ci si aspetta e in questo non delude.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla settima traccia annuale, "sei libri di sei categorie diverse" (ultimo libro scritto da un autore)

 

lunedì 15 novembre 2021

"Pastorale americana", Philip Roth



Stati Uniti, fine anni '90. Nathan (Skip) Zuckerman, affermato scrittore over 60, partecipa per la prima volta alla riunione degli ex studenti, la quarantacinquesima. A sorpresa (perchè sapeva che viveva in Florida) incontra Jerry, il ragazzino che lo stracciava sempre a ping pong e che lui amava frequentare per poter vivere sotto alla luce riflessa dallo Svedese: Seymour Irving Levov, fratello maggiore di Jerry e campione di football, baseball e basket a Newark (New Jersey), dove vivevano.
Nathan lo aveva rivisto poco tempo prima a New York, quando lo Svedese durante una cena gli aveva proposto di scrivere un libro su suo padre, morto l'anno prima. Ma quando Jerry gli dice che anche suo fratello è morto da pochi giorni e che lui è presente al raduno proprio perchè si trovava in zona dopo essere stato al suo funerale, Nathan decide di scrivere un libro non sul padre dello Svedese, ma sullo Svedese: ed ecco "Pastorale americana".

Scritto nel 1997, è il primo romanzo della cosiddetta "trilogia americana" di cui ho già letto "La macchia umana": sciaguratamente, per come amo rispettare la cronologia degli autori, a maggior ragione quando c'è un legame fra le storie raccontate che in questo caso è Nathan Zuckerman. Qui Philip Roth dà al suo alter ego un ruolo che - partendo da protagonista - diventa via via sempre più quello che è, la voce narrante della storia di un altro uomo.

Probabilmente se un autore di minor livello avesse sfruttato lo stesso espediente narrativo (far diventare un libro il raccontare di volerne scrivere uno) in due romanzi scritti a quattro anni di distanza lo avrei criticato, ma quando si scrive come Roth cosa gli si può criticare?

Su una trama semplice, nel senso che può essere riassunta in poche frasi, costruisce non solo la storia di un uomo, soprattutto di un padre, e di tutta la sua famiglia, ma quella di un'intera nazione, i grandi Stati Uniti d'America, capaci però di raggiungere livelli molto più bassi dei tanti (tutti) Paesi a cui si sentono superiori.

Con le sue infinite digressioni (che adoro, al pari del suo disfattismo) Roth ci racconta quello che furono gli anni '70 in America, con la guerra in Vietnam, il Watergate, le lotte per i diritti civili (e gli immigrati, le religioni, purtroppo anche - e dettagliatamente - di come vanno fatti i guanti di capretto!) e grazie al suo genio lo ha fatto attraverso lo Svedese, l'esempio dell'americano perfetto - borghese, perbenista, impeccabile, capace di eccellere in ogni ambito, marito di una reginetta di bellezza e padre di una bambina, poi ragazza, poi giovane donna, non troppo perfetta - che viene travolto... da una bomba.

E lì si accorge che qualche errore lo ha fatto anche lui, un po' come l'America.

"L'uomo smania sempre più di far qualcosa proprio quando non gli resta più niente da fare"

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla settima traccia annuale, "sei libri di sei categorie diverse" (libro di un autore deceduto)
 

sabato 13 novembre 2021

"La piccola libreria sulla Senna", Rebecca Raisin



Ashford (Connecticut), ottobre 2011. Sarah Smith ha 29 anni e da dieci è proprietaria de "L'angolo dei libri", una piccola libreria dell'usato che smercia principalmente romanzi rosa. Da un anno ha finalmente trovato in Ridge l'uomo dei sogni, degno delle sue amate storie romantiche: un rapporto idilliaco reso difficile dalla lontananza perchè lui, giornalista freelance, è sempre in giro per il mondo a inseguire la notizia del momento.
Sarah ha tre meravigliose amiche ad Ashford e una a Parigi, Sophie. Poco importa se la loro amicizia è solo virtuale, l'essere colleghe è il motivo che le ha fatte incontrare on-line e che ha gettato le basi del loro bel rapporto. E quando la francese - bisognosa di cambiare aria dopo una cocente delusione d'amore - le propone di scambiarsi per sei mesi casa e libreria, Sarah accetta immediatamente ritrovandosi dalla sera alla mattina lungo la Senna, immersa nella magia parigina, ma anche con una mole di lavoro a cui non era preparata.

Primo titolo di una serie (non breve, a giudicare dal numero di copertine che vedo digitando Rebecca Raisin su Google immagini) di romanzi di questa scrittrice australiana e unico tradotto in italiano (almeno per ora, ma essendo passati cinque anni dall'uscita di questo dubito che Piemme recupererà mai gli altri): se per la Colgan l'abbandono mi era dispiaciuto, stavolta sarebbe stato meglio se non avessero tradotto neppure questo, così avrei evitato di leggerlo.

Un romanzetto davvero insulso, con una protagonista insicura e lagnosa e una storia d'amore mal raccontata tenuta ai margini per la maggior parte del libro fino al banalissimo e scontatissimo happy end. No, non sto facendo spoiler: sappiamo benissimo che in libri come questo il lieto fine è assicurato, ma anche se prevedibile il più delle volte è bello, nel senso di ben raccontato. Questo no: la Raisin con gli ultimi due capitoli fa crollare a picco il già basso livello del romanzo a causa di una stucchevolezza generale davvero rara.

Ma l'aspetto più deludente riguarda l'ambientazione: l'autrice - che suppongo ami moltissimo Parigi - non riesce mai a trasmettere l'infinita beltà di questa città finendo presto col rendere noiose le descrizioni che inserisce, numerose quanto vuote.

Eppure non si è privata di nulla per emozionare il lettore: Parigi, nella sua immagine più stereotipata a rappresentare il romanticismo assoluto; una vecchia libreria storica (tutt'altro che piccola visto che occupa un intero palazzo con tanto di giardino d'inverno) traboccante di scaffali e di libri, un dedalo di stanze e stanzette fra cui perdersi, un orgasmo per ogni amante dei libri; una giovane protagonista inconsapevole del proprio fascino che è riuscita a conquistare un uomo bellissimo e sicuro di sè, con il solito corollario di particolari sdolcinati (e per me deprimenti, ma che a quanto pare piacciono, altrimenti non se ne spiegherebbe l'abuso che ne fanno gli autori del genere), come gli occhioni senza fondo di lei e quelli bollenti e ipnotici di lui; un ventaglio di personaggi secondari che a tratti riescono a essere più interessanti della protagonista (e non è una bella cosa); e tutti gli scenari atmosferici che nella vita reale ti fanno maledire il motivo che ti ha costretto a uscire di casa, ma che nella finzione possono sembrare un idillio, dal vento freddo che nel reale ti massacra gli occhi, ma che in un libro ti scompiglia i capelli in modo seducente, all'odore del fiume gonfio di pioggia che dal vero ti fa pensare a un pozzo putrido e che invece nel libro diventa profumo, alla neve ghiacciata che nel reale può piacere giusto a mia sorella quando porta a spasso la sua cagnolina mentre nel libro ti imbianca graziosamente le spalle mentre fai un picnic notturno sotto la torre Eiffel! E mi stavo dimenticando del Natale! La Raisin ci ha messo pure quello, con addobbi, pan di zenzero, regali e pranzo ad altissimo contenuto di affetto. Inspiegabilmente ha anche riempito Parigi di rose ad ottobre e di azalee a novembre...

Forse per cercare di emozionare ha esagerato finendo col scrivere uno dei romanzi più leziosi che abbia mai letto, dove la cosa migliore è il nome della libreria parigina: "Il était un fois", la frase francese che per me ha la sonorità più bella in assoluto.
Peccato che nel libro venga sempre riportato tradotto in italiano.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia cascata di novembre (un libro un libro in copertina)

 

mercoledì 3 novembre 2021

"Un posto tranquillo", Seicho Matsumoto

Kōbe, 7 marzo 1969. Asai Tsuneo, 42enne funzionario del ministero dell'agricoltura, è in trasferta di lavoro e sta partecipando a una cena con gli industriali del settore agroalimentare quando riceve una telefonata da Tokyo che gli porta una terribile notizia: sua moglie è morta per un attacco cardiaco.
Eiko aveva solo 34 anni, ma già due anni prima aveva avuto un leggero infarto. L'episodio però non rende la sua morte meno improvvisa perchè la donna stava ben attenta ad evitare qualsiasi sforzo fisico, compresa l'attività sessuale con il marito.
E' per questo che più ci riflette e più in Asai la rabbia prende il sopravvento sul dispiacere. Perchè la situazione non è chiara: cosa ci faceva Eiko dalle parti di San'ya, una zona dove non conosceva nessuno e dove non aveva interessi? Una zona che pullula di alberghi a ore? Possibile che vi fosse andata per incontrare l'amante? E, nel caso, di chi si trattava?
E il dubbio diventa ossessione.

Scritto nel 1975, è il terzo noir di Matsumoto che leggo. "Tokyo Express" resta il mio preferito, ma questo supera "Come sabbia tra le dita" grazie alla particolarità di aver costruito il giallo sulle investigazioni di un uomo comune e relegando le indagini di polizia a un debolissimo sfondo.

Asai non è un protagonista piacevole: passa dall'essere un omino triste al diventare un infame.

E' triste la sua esistenza incentrata esclusivamente sul lavoro, con tutta la fascinazione (per me inconcepibile) giapponese (ma non solo, la si trova ovunque in certi contesti e con certe ideologie) per la gerarchia.
Un'abnegazione (per me puro servilismo) che - fresco vedovo - lo porta a scusarsi con il capo "per aver anteposto al lavoro una questione privata" specificando "non voglio che si pensi che un problema personale mi abbia distolto dai miei doveri".

E' triste la coppia che forma con Eiko, non per la descrizione fisica fornita dall'autore ("Lui non era particolarmente avvenente, lei non era una gran bellezza") - ma che, inserendosi in un contesto a dir poco deprimente, mi ha fatto sogghignare - quanto per quella del loro ménage, talmente piatto da far pensare al nulla assoluto sul piano non soltanto fisico, ma anche mentale e sentimentale.

Invece come e perchè diventa un infame non lo posso dire, è la storia del libro.

Ci viene raccontata una diversa epoca, una diversa cultura, dove a un marito basta scoprire che la moglie casalinga era andata in una zona della città per un motivo che lui non conosce per convincerlo del tradimento e per trasformalo da insipido omuncolo a spregevole individuo, spinto da motivazioni odiose e capace di autogiustificarsi in maniera insopportabile.

Nella sinossi leggo che questo noir "è anche una critica acuminata della società giapponese e della ragnatela di convenzioni che la invischiano": non conoscendo a sufficienza l'autore nè la letteratura giapponese non sono stata in grado di cogliere una presa di posizione da parte di Matsumoto, le dinamiche mi erano sembrate descritte da qualcuno che le considerasse normali, ma accolgo con piacere la visione fornita da Adelphi.

Lo stile è quello che avevo già apprezzato negli altri due romanzi, quella lentezza e quella ripetitività che per alcuni (vedi mia sorella) possono risultare esasperanti, ma che su di me hanno un (inspiegabile, conoscendomi...) effetto rilassante. Qui si aggiunge la minuziosità dell'autore nell'aver diviso la storia in venti capitoli della stessa lunghezza, un dettaglio che fa bene ai precisini come me.

I riferimenti alla cerimonia del settimo e del quarantanovesimo giorno mi hanno spinta a cercare informazioni sui rituali funebri del Giappone facendomi scoprire tutta la loro complessità che li porta a essere fra i più costosi del mondo e creandomi il bisogno di recuperare il film "Departures".
Mio marito non è molto contento.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla quarta traccia annuale, "cinque libri, ognuno ambientato in un continente diverso" (Asia)

 

martedì 2 novembre 2021

"L'isola sotto il mare", Isabel Allende

1697: è l'anno in cui la Spagna cede alla Francia l'attuale Repubblica di Haiti, la parte più occidentale dell'isola Hispaniola. Francesi e spagnoli erano i colonizzatori, i padroni, e in meno di cinquant'anni erano riusciti a sterminare gli abitanti dell'isola, un dettaglio per loro irrilevante avendo a disposizione un intero continente da saccheggiare per procurarsi tutti gli schiavi di cui avevano bisogno.
Zarité (Tété) Sadella è una bambina di origini guineane quando il francese Toulouse Valmorain, proprietario di una delle più floride piantagioni dell'isola, la compra come schiava per la moglie, la spagnola Eugenia Garcia del Solar. Ne ha 11 quando la violenta. E ne ha 40 quando ci racconta la sua storia.

Scritto nel 2009, è l'ennesimo capolavoro in cui l'autrice attraverso la storia dei suoi personaggi racconta la Storia. Non soltanto quella di Haiti, perchè alla prima parte ambientata nell'isola negli anni che vanno dal 1770 al 1793, segue la seconda che riguarda gli anni (1793-1810) in cui padrone e schiava si trasferiscono in Louisiana. Sullo sfondo abbiamo anche la storia della Francia, da Luigi XVI e Maria Antonietta a Napoleone Bonaparte, passando ovviamente attraverso la rivoluzione.

Ai tanti capitoli scritti in terza persona si alternano i pochi in cui è Tété a raccontare. Le azioni e i punti di vista dei bianchi sono tali da avermi fatto vergognare di esserlo. I secoli trascorsi non bastano a ripulirci dalle colpe dei nostri avi, di tutto il male che abbiamo fatto a ogni latitudine e longitudine, 
trucidando popolazioni, schiavizzandole, spostandole come se non fossero persone, ma oggetti finiti sulla Terra con l'unico scopo di dare beneficio a noi.
Non potremo mai pareggiare il debito che abbiamo contratto.

La Allende racconta il razzismo dell'epoca basato sull'ignoranza dei bianchi, convinti che i neri appartenessero a una specie diversa.

"Aveva sentito dire che i neri soffrono meno e prova ne era che nessun bianco avrebbe retto quello che loro sopportavano e, così come si tolgono i cuccioli alle cagne o i vitelli alle vacche, si potevano separare le schiave dai loro figli; dopo poco tempo si riprendevano dalla perdita e in seguito nemmeno se ne ricordavano"

E dà voce ai pochi che già allora erano consapevoli della disumanità intrinseca al sistema schiavista.

"Le concedo che in un aspetto la razza bianca è superiore: siamo più aggressivi e avidi. Ciò spiega il nostro potere e l’estensione dei nostri imperi"

Descrive un'epoca in cui "si partiva dal presupposto che chi non abusava del potere non meritava di averlo", un concetto mai del tutto superato.

Racconta la storia dell'isola, dal leader haitiano Makandal, che per primo combatté gli schiavisti finendo con l'essere bruciato vivo dai colonialisti nel 1758, all'ex schiavo Toussaint che quarant'anni dopo guidò la rivolta degli schiavi che in seguito portò alla nascita della prima repubblica indipendente di neri, Haiti.

Meravigliosa nel non fare sconti alle religioni (
"Il vudù non aveva nulla di terrificante, era un insieme di credenze e rituali come quelli di qualsiasi altra religione, compresa quella cattolica, molto necessario perché dava senso alla miserabile esistenza degli schiavi"), anche con la sua intelligente ironia ("Madame Delphine mi faceva pregare la Vergine Maria, una dea che non balla, piange solamente, perché avevano ucciso suo figlio e perché non aveva conosciuto mai il piacere di stare con un uomo").

Ma soprattutto crea Tété, una protagonista a cui è impossibile non affezionarsi, che si vorrebbe solo abbracciare chiedendole scusa. Le vicissitudini sue e degli altri personaggi schiavizzati, gli abusi, i soprusi e tutte le ingiustizie patite sono invenzioni reali e il fatto che questo romanzo sia un'opera di fantasia non rende meno atroce ciò che narra.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla settima traccia annuale, "sei libri di sei categorie diverse" (libro di un autore preferito)