mercoledì 29 maggio 2024

"Brava gente", Margherita Oggero

 

Torino, una serata di metà ottobre di un anno non specificato. "Secondo me Oreste sarebbe da ammazzare": un'affermazione grave in bocca a chiunque, ma quando a pronunciarla è una ragazzina di 15 anni la faccenda è ancora più preoccupante e diventa destabilizzante quando si apprende che l'Oreste che vorrebbe uccidere è suo padre.
Lei è Deborah (Debby), studi interrotti dopo la licenzia media e due lavoretti, baby-sitter per una vicina di casa e badante per un'altra.
Quest'ultima è l'ultra novantenne Caterina Mazzacurati, vedova da più di cinquanta, che adesso teme (con ragione) che il figlio voglia chiuderla in una casa di riposo, quello stesso figlio che anni prima le aveva fatto vendere il bell'appartamento in centro piazzandola in quello meno bello a Barriera di Milano.
Anche Linda, la madre di Debby, nonché moglie di Oreste, aveva dovuto vendere l'appartamento del centro - regalo di matrionio dell'agiato padre - per mettere una pezza alla catastrofe causata dal marito. Un disastro, ma che adesso Debby se ne esca con questa idea del volerlo far fuori le sembra decisamente un po' eccessivo.

Scritto nel 2023 è al momento l'ultimo romanzo di Margherita Oggero e non è uno dei migliori. Una pletora di storie indivudiali che hanno per protagonisti gli abitanti del quatiere e di un caseggiato in particolare.

Wikipedia mi spiega che Barriera di Milano è un antico quartiere a nord di Torino: nel 1853 venne costruita attorno alla città una cinta daziaria dotata di varchi, chiamati barriere, e che quella di piazza Crispi venne chiamata di Milano perché guardava in quella direzione.

Un quartiere proletario dove la Oggero colloca la sua "brava gente" raccontandoci le loro storie. Il libro è preceduto da un lungo elenco, "Personaggi: protagonisti, comprimari e comparse, in ordine di apparizione", una trovata più originale che utile, un'accozzaglia di nomi che prima della lettura serve solo a inquietare pensando che sono troppi, che non si riusciranno mai a memorizzare, eccetera. Uno spavento inutile perché una buona parte è, come precisato, una comparsa e solo leggendo si capisce chi è importante e quali sono i vari legami.

Di gente brava ce n'è ben poca fra ladri, spacciatori, puttanieri e altro, e la maggior parte sembra pronta per il festival dei tamarri, ma la Oggero è la Oggero e le stoccate che tira non sono poche.
Per quei politici che costruiscono le proprie campagne sugli slogan e per quegli elettori che continuano a cascarci; per quei genitori che anziché punire i figli per una nota grave vanno a scuola e prendono a pugni l'insegnante e per quelli che hanno sostituito il dizionario dei nomi con una rivista di gossip creando una generazione di Sharon, Nathan, Colin e Chanel che accostati a cognomi come Gaudino o Nuzzolese fanno morire dal ridere, per non piangere; per le trasmissioni come "C'è posta per te" e per i telespettatori che credono nella geniunità che rifilano.
Più serie considerazioni sul disagio delle nuove generazioni e sulla mancanza di prospettive patite in certe situazioni sociali.

Infine l'ultimo breve capitolo, che non è fuori dalla storia come potrebbe sembrare e chi non ne ha capito il senso non deve attribuire colpe alla Oggero, ma limitarsi a leggere autori meno raffinati.


Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, primavera: chiave nel testo


lunedì 27 maggio 2024

"Motel Life", Willy Vlautin

 

Reno (Nevada), inizio novembre 1996. "Frank, sono rovinato": è questo che Jerry Lee dice svegliando suo fratello in piena notte. Jerry Lee piange a dirotto, ma ciò che colpisce il fratello minore è quello che indossa: un giaccone nero, gli scarponi da lavoro e le mutande. Niente pantaloni. Polly Flynn si è arrabbiata con lui e glieli ha bruciati, racconta. Quindi se ne è andato e si è messo al volante, nonostante fosse un po' sbronzo, ma è stato per colpa della neve se non ha visto il ragazzino in bicicletta. Se lo è trovato davanti all'improvviso e lo ha centrato in pieno. Lo ha ucciso! E poi, non sapendo cosa fare, ha caricato il corpo in macchina, che adesso è nel parcheggio del motel.

"Siamo tutti incasinati, quindi tendiamo a stare con gente incasinata. E per me è giusto che sia così. Ma questo non vuol dire che siamo persone cattive, no? Se sei stato sfortunato non vuol dire che lo sarai sempre, no? Certa gente è sfortunata, ma le cose possono cambiare. Non penso che ci sia gente condannata alla sfortuna."

Forse non esiste un abbonamento alla sfortuna, ma a volte è difficile credere che sia così.

I fratelli Flannigan sono due giovani uomini: non ci viene detta l'età, sappiamo solo che hanno due anni di differenza. Appartengono a quella categoria di persone da cui si tende a prendere le distanze: due disadattati per i quali comprare un cartone da sei di birra rappresenta la prima cosa da fare quando le cose vanno male. Persone di cui è facile ritenersi migliori. Ma sulla base di cosa? Perché siamo più stabili, più ricchi, più puliti? Ma cosa sarebbe successo a Frank e a Jerry Lee se il padre non avesse abbandonato la famiglia per scappare dalla città e dai suoi debiti di gioco quando erano bambini? E se la madre non fosse morta di cancro quando erano adolescenti? E se il nonno materno, l'unico parente rimasto, se li fosse portati nel Montana anziché lasciarli in un motel di Reno con 200$ e tante scuse per non volerli fra i piedi? E se Jerry Lee non avesse perso la parte inferiore di una gamba per una stupida ragazzata sei mesi dopo la morte della madre?

E se, e se, e se... Non ci pensiamo mai, ma forse non ci sono persone migliori di altre, ma solo degli "e se" diversi.

Fino a marzo non avevo mai sentito nominare Willy Vlautin. Poi mi è apparsa la copertina di un suo libro in una pubblicità di Amazon su Facebook, ho letto la trama e mi ha colpita, l'ho cercato su Wikipedia: nato proprio a Reno nel 1967, fra il 2006 e il 2021 ha scritto soltanto sei romanzi, dei quali "Motel Life" è il primo.

Nella postfazione scritta nel 2020 spiega il fenomeno dei motel a Reno, nati per dare un posto dove dormire ai frequentatori dei casinò. Ce n'erano più di 120, successivamente caduti in declino con la nascita dei casinò che offrivano anche stanze per la notte. La cosa curiosa è che fin dai suoi sette anni sognava di vivere in uno di quei motel e se questo era il suo sogno da bambino mi viene da pensare che abbia collezionato anche lui una sfilza di sfortunati "e se".

Libro meraviglioso sulla miseria e il disagio sociale, una scrittura che mi ha fatto innamorare di ogni singola parola ed era da Kent Haruf che non vivevo un simile idillio. Due protagonisti a cui è impossibile non affezionarsi.
Siamo appena a maggio, ma credo di aver già trovato la mia miglior lettura dell'anno.

Reading Challenge, traccia stagionale crucipuzzle, primavera: notte nel testo

venerdì 24 maggio 2024

"Gang Bang", Chuck Palahniuk

 

"Per convincere una donna a recitare in un film a luci rosse devi offrirle un milione di dollari. Per convincere un uomo basta chiederglielo."

E, infatti, a Cassie Wright bastano pochi giorni dalla pubblicazione dell'annuncio per radunare i seicento uomini che le servono, seicento uomini che devono soddisfare tre soli requisiti: essere maggiorenni, presentare un certificato medico e avere un'erezione.
Perché quello che dovranno fare è avere un rapporto, possibilmente veloce, con Cassie davanti a una telecamera. Lei è una pornostar ("Ha un livello tecnico infinitamente superiore a quello delle sue colleghe") e vuole trasformare la sua performance finale in un record mondiale imbattibile: una gang bang colossale!

Romanzo particolare, ma meno di quanto mi aspettassi: anche meno spinto e meno divertente di come lo avevo immaginato. E' il nono dei diciotto scritti finora da Palahniuk, autore statunitense classe 1962 che deve la sua fama internazionale principalmente al film tratto dalla sua prima opera, "Fight Club".
Leggendo la descrizione del suo stile riportata su Wikipedia mi ero un tantino preoccupata (scrittura priva di avverbi, improvvise interruzioni, ripetizioni a effetto, vocabolario limitato, eccetera, eccetera): non ho letto altro di lui, ma "Gang Bang" ha una scrittura assolutamente normale, scorrevole, priva di stravaganze. Meglio così.

L'intera scena si svolge nel capannone dove sono stati radunati i seicento che hanno risposto all'annuncio e che adesso aspettano che Sheila, la coordinatrice, li chiami a gruppi di tre per accompagnarli sul set. A ognuno è stato assegnato un numero che la stessa Sheila ha scritto sul bicipite con un pennarello indelebile. Il libro ha quattro voci narranti che si alternano nei trentacinque capitoli: Sheila, il numero 72, il numero 137 e il numero 600.

"Seicento maschi.
Una regina del porno.
Un record mondiale destinato a durare per sempre, Un film imprescindibile per ogni collezionista di materiale erotico che sappia il fatto suo.
Non uno di noi era partito con l'idea di fare uno snuff movie."

Ho iniziato il libro aspettandomi di ridere tanto, cosa che ho fatto grazie ai titoli dei film interpretati da Cassie che sono veri capolavori del riadattamento: Il culo oltre la siepe, Ai pompini della realtà, La donna che venne due volte, Chitty Chitty Gang Bang (che ovviamente è un musical) e tantissimi altri.

E' ricco di aneddoti su svariati film normali e famosissimi ("Cantando sotto le stelle", "Il mago di Oz", "Tre moschettieri", eccetera) e all'inizio non mancano descrizioni esilaranti...

"Cassie Wright ha passato sei mesi a seguire come un’ombra un endocrinologo, imparando il suo lavoro, studiandone i comportamenti e il linguaggio corporeo, prima di interpretare la dottoressa dell’innovativo film a luci rosse Ammucchiata posteriore al pronto soccorso.
Ha trascorso sei mesi a fare ricerche, scrivendo ai superstiti e studiando le carte del tribunale, prima di mettere piede sul set di Ammucchiata posteriore sul Titanic. Nell’unica battuta di dialogo che pronuncia, quando Cassie Wright dice: Stanotte questa nave non sarà l’unica a prenderlo in quel posto…"

...ma il romanzo rivela in fretta un alto tasso di drammaticità. Ognuna delle voci narranti ha la sua storia e nessuna è invidiabile, come non lo è quella di Cassie, che loro ci raccontano.

E questo non è un difetto, anzi, "Gang Bang" è un libro profondo e non uso questo termine per fare una battuta di dubbio gusto ^^

Però non è quello che mi aspettavo e forse ci sono rimasta un po' male.

Reading Challenge 2024, traccia di maggio: libri con il titolo scritto in una lingua straniera

mercoledì 22 maggio 2024

"Le assaggiatrici", Rosella Postorino

 

Gross-Partsch, autunno 1943. Rosa Sauer ha 26 anni ed è arrivata da appena una settimana nella Prussia Orientale quando viene reclutata dalle SS. Ogni giorno lei e altre nove donne tedesche vengono portate alla mensa della Wolfsschanze, la Tana del Lupo, dove devono assaggiare ciò che in seguito verrà servito al Führer, se nessuna di loro manifesterà segni di avvelenamento. Cavie umane regolarmente retribuite, uno stipendio più alto di quello percepito da Rosa quando lavorava come segretaria a Berlino. E' in ufficio che aveva conosciuto Gregor, il suo capo che poi sarebbe diventato suo marito. E quando lui si era arruolato l'aveva mandata dai suoi genitori perché considerava la campagna più sicura della città, senza immaginare che anche lì Rosa avrebbe rischiato di morire ogni giorno, a ogni boccone.

Libro pluripremiato (fra i tanti il Campiello nell'anno della pubblicazione, il 2018) che non mi ha mai attratta abbastanza da inserirlo nella mia wish list. Ma è a lui che ho pensato vedendo che una delle tracce di maggio della Reading Challenge richiedeva libri ambientati durante una guerra.

E' una storia romanzata che ricalca quella reale vissuta da Margot Wölk, la quale fece veramente parte del gruppo di donne (quindici e non dieci come nel libro) che vennero ingaggiate con il solo scopo di poter verificare che il cibo destinato a Hitler non fosse stato avvelenato: durante la tarda mattinata le quindici dovevano assaggiare tutto e attendere per un'ora. Se in nessuna compariva alcun genere di disturbo allora anche il Führer poteva mangiare.

La Wölk raccontò questa esperienza durante un'intervista rilasciata in occasione del suo 95° compleanno, vale a dire moltissimi anni dopo, nel dicembre 2012. Peccato per questo ritardo: penso che se ne avesse parlato prima qualcuno avrebbe avuto il tempo per scrivere la sua biografia, che avrebbe avuto un valore ben maggiore di due romanzi dove ai fatti reali si mischia la fantasia di chi li ha scritti.

Due perché, sempre nel 2018, V.S. Alexander - autore (credo) statunitense - pubblicò "Al servizio di Adolf Hitler" che racconta gli stessi fatti: una curiosa coincidenza di cui mi piacerebbe conoscere i retroscena.

Questo della Postorino, il suo quarto romanzo dei sei scritti fino a questo momento, è uno di quei libri che strizzano l'occhio ai premi letterari italiani, confezionati per raccogliere il maggior numero di consensi.

Dal punto di vista stilistico il libro non ha difetti: ben scritto, scorrevole e per niente noioso, come invece qualcuno me lo aveva descritto.

La protagonista non è nazista: il padre - così come quello della Wölk - aveva rifiutato di aderire al partito, e Rosa, come la Wölk, non aveva fatto parte della Lega delle ragazze tedesche (l'analogo femminile della Gioventù Hitleriana). Se per altre assaggiatrici (quelle che vengono definite invasate, e non faccio fatica a immaginarle) morire per Hitler sarebbe stato un onore, per Rosa quel lavoro è l'imposizione che è e la Postorino all'inizio riesce a trasmettere la paura che prova, ma presto subentrano elementi che, stemperando la drammaticità della storia, la fanno diventare quasi una favoletta, con tanto di risvolto d'amore.

La Wölk nell'intervista aveva raccontato che in seguito aveva impiegato molti anni prima di riuscire a mangiare godendo di nuovo del cibo. Se provo a immaginare quei momenti vedo una grande mensa militare con quindici donne sedute ai tavoli attorniate da SS armate, dove parla solo chi impartisce ordini mentre chi li subisce deve fare in fretta ciò che viene loro imposto.

Nel libro le donne chiacchierano, scherzano e litigano, nascono alleanze e antipatie, si scambiano addirittura i piatti e - seppur ogni tanto venga ricordato - la paura che quel cibo possa essere davvero avvelenato si affievolisce in fretta.

Tutto troppo poco realistico, compreso il modo in cui viene raccontato l'attentato al Führer del 20 luglio 1944: si lascia intendere che il colonnello che piazzò la bomba all'interno della Wolfsschanze e le persone che lo circondavano fossero mosse dal desiderio di libertà e democrazia, mentre i cospiratori dell'Operazione Valchiria miravano a eliminare Hitler perché con lui al potere avevano paura di perdere la guerra.

Discutibile anche il finale che, con un balzo di quarantacinque anni, riassume solo brevemente la vita di Rosa negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto, nulla a che vedere con quanto accadde alla Wölk, unica sopravvissuta delle quindici assaggiatrici, ma che dopo la battaglia di Berlino venne segregata per due settimane dai soldati russi e violentata con una brutalità tale da renderla sterile.
Avrebbe davvero meritato una biografia autentica.

Reading Challenge 2024, traccia gioco di società di maggio, Risiko: libri ambientati durante una guerra


domenica 19 maggio 2024

"Parlarne tra amici", Sally Rooney

 

Dublino, maggio inoltrato di un anno non precisato. Frances e Bobbi sono ex compagne di scuola, ex coinquiline ed ex amanti. Una relazione durata poco più di un anno a cavallo fra i loro sedici e diciassette. Era stata Bobbi a chiuderla. Bobbi: quella più bella, più benestante, più decisa. Ma da quel rapporto ne è nato un altro, di amicizia e di complicità che si è consolidato nel tempo. Adesso di anni ne hanno 21 e una sera, dopo essersi esibite in uno spoken word, conoscono Melissa, scrittrice e fotografa, che le invita a proseguire la serata a casa sua. Ed è lì che incontrano Nick, il marito di lei, più giovane di cinque anni (37 vs 32), che compensa con la bellezza la sua mediocrità di attore.
Nasceranno nuovi legami che finiranno con ingarbugliare ancora di più quelli preesistenti.

Sally Rooney, nata a Dublino nel 1991, ha scritto questo suo primo romanzo nel 2017, quindi quando aveva 26 anni: è a questo libro che ho subito pensato quando ho letto la traccia di maggio della Reading Challenge, libri scritti quando l'autore aveva meno di trent'anni.

Un libro di una millenial per i millenials, cosa che mi porta a essere decisamente fuori target, proprio come immaginavo e temevo. Non solo perché i 21 anni li ho superati da un pezzo, ma anche perché - avendoli avuti nel 1990, proprio quando la Rooney veniva concepita - li ho vissuti in maniera diversa rispetto alle due ragazze del libro.

Tutto sommato non mi è dispiaciuto (e meno male, visto che possiedo già anche gli altri due titoli dell'autrice), ma faccio fatica a capire il clamore suscitato all'uscita.

"Sally Rooney ha scritto il caso letterario dell’anno. Parlarne tra amici è il romanzo sull’amore e il tradimento nel nostro tempo."
(The New Yorker)

Acclamato anche come "l'esordio più importante in lingua inglese", è senza dubbio un libro ben scritto e ben strutturato, ma non l'ho trovato né scandaloso come penso mirasse ad apparire né maturo come mi è capitato di sentirlo definire e non dipende dal non potermi ritrovare in quello che racconta per questione di età e di percorsi di vita diversi se ho rilevato una certa superficialità nel trattare i temi importanti che la Rooney ha buttato dentro (abbiamo malattia, autolesionismo, tradimenti e in generale rapporti difficoltosi con genitori, amanti e amici) senza approfondimenti degni di nota.

Non aiuta la voce narrante in prima persona: succede spesso, ma in questo caso, oltre a conoscere le situazioni e i personaggi attraverso il solo punto di vista di Frances, ci viene detto poco anche di lei, di cui veniamo informati soprattutto di quello che fa, non tanto di quello che pensa o che prova.

È una ragazza con un'insicurezza così esasperante che finisce con intenerire per la sua costante ricerca dell'approvazione altrui, nel perenne confronto con l'amica.

"La parte migliore, e la più pura espressione di quello che stavo cercando di fare, vale a dire fare di me quel tipo di persona: qualcuno degno di lode, degno d’amore."

Sorvolando su una disgustosa pasta condita con olio e aceto, quello che mi aspettavo - perché ne avevo sentito parlare in questi termini - era una gran quantità di uso dei social nei contatti. Certo ci sono telefonate, scambi di messaggi, di e-mail e Frances che a un certo punto rilegge tutta la cronologia della chat con Bobbi, come un tempo avremmo trovato la rilettura di lettere, ma non sono dettagli particolarmente rilevanti. O forse otto anni dopo l'uso del web per comunicare non colpisce più nessuno.

Piuttosto linko Wikipedia a beneficio di chi, come me, non avesse ben chiaro cosa sia uno spoken word.

Reading Challenge 2024, traccia di maggio: libri scritti quando l'autore aveva meno di trent'anni


venerdì 17 maggio 2024

"Perché hai paura?", Jérome Loubry

 

Tours (Francia), settembre 2019. Per la seconda lezione François Villemin sceglie di esporre un caso particolare ai suoi allievi, "il rifugio Sandrine", che tratta di una giovane donna trovata in stato confusionale sulla spiaggia di Villers-Sur-Mer, in Normandia, nel novembre del 1986, ricoperta di sangue, non suo. Alla psichiatra dell'ospedale locale aveva raccontato una storia ricca di dettagli e di stranezze, iniziata su una piccola isola poco distante dalla costa dove sua nonna aveva vissuto dal 1949 e dove lei aveva dovuto recarsi alla sua morte per prendere le cose ricevute in eredità, trovando un ambiente ostile e dovendo scappare dal maligno della ballata di Goethe, il Re degli Elfi, quello che vive nella foresta e che uccide i bambini che la attraversano. Un mostro di cui anche la nonna aveva paura.
Una storia lunga e complessa che il docente racconta ai suoi studenti (e a noi lettori).

"Les rifuges", questo il titolo originale, scritto nel 2019, è il terzo dei sette romanzi pubblicati da Jérome Loubry (autore francese classe 1976, nato a Saint-Amand-Montrond, un piccolo comune nel Berry, dove ha ambientato una porzione della vicenda) e il primo a essere stato tradotto in italiano, tre anni fa.

Mi incuriosiva tantissimo perché su un profilo IG che seguivo veniva sempre menzionato come il thriller più amato: adesso che l'ho letto lo consiglierò anch'io agli amanti del genere, principalmente per la sua originalità.

Impossibile entrare nei dettagli senza fare spoiler, è un libro che va letto e goduto, immergendosi in un'ambientazione e in un'atmosfera che Loubry riesce a rendere cupe e claustrofobiche come la storia richiede, con una gestione dei diversi piani temporali, così comuni in tanti romanzi, che arriva a creare una struttura a scatole cinesi in cui ci si accorge di essersi persi solo a meccanismo svelato.

E per il turismo di immagini ecco la bella Villers-sur-Mer:


Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, primavera: fantasma nel testo


mercoledì 15 maggio 2024

"Il colore del vetro", Francesco Caringella

 

"En este mundo traidor no hay ni verdad ni mentira. Todo es segundo el color del cristal con que se mira"
Duque De Rivas

Roma, 7 luglio 2000. Maurizio Salinaro sta sostenendo l'ultima prova scritta del concorso per diventare magistrato: il terrore di non farcela - un fallimento che diventerebbe definitivo visto che si tratta del suo terzo, e quindi ultimo, tentativo - gli provoca un blackout totale proprio sull'ultima domanda: "E' possibile rispondere di tentato omicidio a titolo di colpa?".
Viene salvato da un ragazzo grande e grosso dai capelli rossi che gli fornisce la risposta cruciale: "Stai tranquillo, il tentativo colposo non è mai possibile: giurisprudenza costante".
Milano, 7 novembre 2010. Inizia il processo per rapina a mano armata che vede alla sbarra Michele Rivoli, detto il roscio per via del colore dei suoi capelli. Uno dei tre giudici chiamati a decidere è Maurizio Salinaro, a cui sembra di aver già visto l'imputato, ma un attimo dopo pensa che che sia impossibile...

Scritto nel 2012, opera prima di Francesco Caringella, di cui ho già letto altri quattro romanzi successivi a questo. Non disponibile in formato digitale, l'ho cercato a lungo prima di trovarne nel febbraio scorso una copia cartacea in vendita su Vinted.
Fortuna o sfortuna?
Di sicuro la gioia nell'averlo finalmente trovato non si è estesa alla lettura e se lo avessi letto per primo probabilmente avrei abbandonato Caringella senza leggere altro di suo.

La storia che racconta non è male, chiaramente ruota attorno all'identità dell'uomo dai capelli rossi ed è abbastanza originale, con un finale diverso da quello che ci si potrebbe aspettare.

Il contesto permette all'autore - che, fra le varie cariche, è anche un magistrato - di inserire pensieri del tutto condivisibili.

"Povertà, ignoranza, cattivi esempi. Non si sceglie la strada della criminalità."
"Non uno di quei colletti bianchi che delinquono per avidità, ma un disperato che non aveva avuto alternative dalla vita."

Dure stoccate ai giuristi, secondo i quali "bisogna applicare la legge in base a quello che essa dice, senza curarsi della ragionevolezza delle conseguenze a cui approda. Avrebbe voluto vederli quei professoroni, con le loro sofisticate teorie, alle prese con le lacrime e il sangue di un processo vero".

E interessanti considerazioni sulle difficoltà che gli addetti ai lavori possono trovare sia in fase di istruttoria che processuale, ad esempio su quanto il riconoscimento da parte di testimoni oculari non costituisca sempre una prova netta perché la memoria visiva non è affidabile come si pensa.

Ma il libro è fortemente penalizzato da una scrittura dilettantistica e antiquata (ben diversa da quella degli altri titoli letti), con comportamenti e dialoghi da parte di tutti i personaggi fortemente anacronistici, con troppi cliché, con troppe ripetizioni, con coincidenze necessarie, ma eccessive, con molto body shaming e con un sessismo veramente fastidioso.

Reading Challenge 2024, traccia annuale marzo, Festival di Sanremo: abbino il libro a "La genesi del tuo colore" (2021)


domenica 12 maggio 2024

"Come fermare il tempo", Matt Haig

 

Londra, 2017. Tom Hazard ha 41 e viene assunto alla Oakfield School come insegnante di storia. In realtà il suo vero nome è Estienne Thomas Ambroise Christophe Hazard e di anni ne ha 436.
Nato il 3 marzo 1581 in un piccolo castello francese, a diciotto anni - già orfano di padre, morto in battaglia - perde anche la madre, affogata dopo essere stata accusata di stregoneria a causa di quel figlio che non invecchiava mai.
In realtà Tom e quelli come lui invecchiano, ma lo fanno molto, molto lentamente. E' per questo che più di quattrocento anni dopo ne dimostra ancora una quarantina: una condizione invidiabile solo all'apparenza, in realtà una condanna alla solitudine.

"La prima regola è non innamorarsi. Ce ne sono altre, ma questa è la principale. Non innamorarsi. Non amare. Non sognare l’amore. Se tieni fede a questa regola, andrà tutto bene.
Non creare legami con il tuo prossimo, e vedi di affezionarti il meno possibile alle persone che incontri. Perché altrimenti finirai col perdere lentamente la ragione.
"

Quando ho visto che una delle tracce di maggio della Reading Challenge chiedeva di leggere libri il cui titolo cominciasse con la parola "Come" ho immediatamente pensato a questo, che giaceva nella mia wish list da molti anni.
Curiosamente, vista la storia che racconta, è stata una sorpresa scoprire che è stato scritto soltanto nel 2017: ero convinta che fosse molto più vecchio, forse perché se ne è parlato tantissimo.

Una fama a mio avviso esagerata: è un libro piacevole che si lascia leggere velocemente, di gran lunga migliore de "La biblioteca di mezzanotte", che avevo letto tre anni fa, ma comunque un'altra favoletta zeppa di metafore, filosofia spicciola e tanti buoni sentimenti, tutti condivisibili, ma sempre un po' scontati e superficiali.

Una superficialità che mi ha delusa soprattutto riguardo ai due macro argomenti che fanno da sottofondo a tutta la vicenda, la pace nel mondo e la tutela dell'ambiente.

"Gli esseri umani non imparano mai niente dalla Storia. Il XXI secolo potrebbe rivelarsi una brutta copia del XX , ma cosa possiamo farci? Nel secolo scorso, in tutto il mondo le menti erano dominate da utopie diverse che non potevano coincidere. La ricetta perfetta per il disastro, purtroppo ormai ben nota. E adesso l’empatia stava svanendo, come era già capitato spesso. La pace era fatta di porcellana, come era sempre stato."

Ma c'è qualcosa di più banale del dire "la storia si ripete"? Un autore che vuole scrivere sul tema dovrebbe essere in grado di esprimere qualcosa di rilevante, non limitandosi alla compiacenza.

Peggio ancora riguardo lo stato del pianeta. Dopo una banale constatazione...

"E non c'è bisogno di essere un genio per sintonizzarsi su un notiziario e trarne la conclusione che probabilmente non ce ne resta molto [di tempo]. Le altre sottospecie di homo, come i Neanderthal, l'Homo di Denisova o i cosiddetti "Hobbit" dell'Indonesia, si sono dimostrate schiappe a lungo termine, perciò è molto probabile che anche noi faremo altrettanto."

...Haig prosegue scrivendo:

"Per le effimere va bene così. Va bene così se sai di avere davanti a te solo altri trenta o quarant'anni. Puoi permetterti di pensare in piccolo."

Chiarito che effimere è come vengono chiamate nel libro le persone con un ciclo di vita normale, il concetto espresso in questa frase è sbagliato perché si adatta soltanto a chi - come me - non ha né figli né alcun tipo di discendenza: solo in questo caso è sufficiente che il mondo vada avanti per i pochissimi decenni che restano da vivere. Ma la maggior parte della gente ha figli e ha, o avrà, dei nipoti che a loro volta facilmente si riprodurranno. Chi ha una progenie deve fare tutto quello che può per mantenere la Terra vivibile ben più a lungo di quello che serve a me e, come dico sempre in questi casi, mi lascia sempre perplessa quel mix di mancata lungimiranza e di ignoranza in cui si crogiolano i più.

In definitiva dubito di tornare a leggere questo autore, ma lo ricorderò con questo, che per me è il suo passaggio migliore.

"Gli altri animali non hanno il progresso , si dice. Ma la mente umana in quanto tale non progredisce. Rimaniamo gli stessi scimpanzé sopravvalutati, solo che abbiamo armi più grosse. Abbiamo conoscenze sufficienti a renderci conto che siamo solo una massa di quanti e particelle, proprio come tutto il resto, eppure continuiamo a sforzarci di distinguerci dall’universo in cui viviamo, di conferire a noi stessi un significato maggiore rispetto a quello di un albero, di un sasso, di un gatto o di una tartaruga."

Reading Challenge 2024, traccia di maggio: libri il cui titolo inizia con la parola "come"

mercoledì 8 maggio 2024

"Buio", Anna Kantoch

 

Una bella prosa basta a fare di un libro un buon libro? Evidentemente sì, altrimenti "Buio" non avrebbe ricevuto il premio Zulaski.

Ma una bella prosa basta a farmi piacere un libro? Assolutamente no. Anche se invecchiando il mio modo di giudicare i libri è cambiato e una trama bella (non bella in assoluto, ma bella per me) non è più fondamentale come lo era un tempo, resta comunque importante. E di "Buio", tolta la bella scrittura, non mi è piaciuto nulla e non mi è piaciuto perché in definitiva ho capito davvero poco.

Anna Kantoch lo ha scritto nel 2012, titolo originale "Czarne" (nero). Autrice polacca classe 1976 con all'attivo diversi romanzi, era finita nella mia wish list l'anno scorso quando Moscabianca Edizioni ha tradotto in italiano "Gli incompiuti" (del 2017), una raccolta di racconti che hanno la particolarità di avere una struttura a scatole cinesi che mi incuriosisce moltissimo, al punto che vorrei leggerlo nonostante il mancato apprezzamento di "Buio", a cui ho dato la precedenza per seguire l'ordine cronologico.

La protagonista e voce narrante è una donna di 35 anni di cui non viene mai detto il nome. E' l'estate del 1935 quando il fratello maggiore, Franciszek, va a prenderla dopo l'ennesimo periodo trascorso in un sanatorio sul Baltico e la porta a Varsavia, ospitandola nella sua casa.

I capitoli, tanti e per lo più brevi (anche il romanzo lo è, 192 pagine), dopo numero e titolo indicano la parola "adesso" oppure "ricordi", creando salti temporali che ho patito non poco.
Mentre gli "adesso" riguardano chiaramente il presente, i "ricordi" portano la protagonista a Buio, nella casa di campagna dove da piccola fino all'adolescenza ha trascorso le vacanze estive con la famiglia.

"Franciszek era di papà, e Staś di mamma. Io ero tra i due, la figlia di mezzo e di nessuno. Questi eravamo noi ogni estate a Buio, si arrivava a giugno quando fiorivano i tigli e si ripartiva solo verso la fine di agosto."

La storia ruota attorno a quanto accadde nell'estate del 1914, qualcosa che cambiò per sempre la vita della protagonista. Una donna venne uccisa, Jadwiga Rathe, attrice teatrale, nonché musa del padre.

Ma purtroppo il libro non è un giallo e fare luce sul mistero di questa morte non è stato giudicato rilevante dalla Kantoch, che invece - dopo un incontro all'Associazione spiritistica di Varsavia - trascina protagonista e storia in un disagio infinito che mescola presente e passato, fatti reali e immaginari, sogno e realtà. Un qualcosa che non so come vada definito, se narrazione onirica, realismo magico, fantascienza o altro, ma qualunque cosa sia non mi è piaciuta.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda di maggio, Polonia

lunedì 6 maggio 2024

"Il caso Alaska Sanders", Joel Dicker


Mount Pleasant (New Hampshire), 6 aprile 2010. Marcus Goldman ha ancora paura di volare: è per questo che percorre in auto il non breve tragitto che separa Montréal - dove deve recarsi spesso per seguire le riprese del film tratto dal suo primo romanzo - da New York. Quel giorno, dopo una breve tappa ad Aurora, riceve un inaspettato invito a una festa di compleanno: quello della figlia minore di Perry Gahalowood, che gli promette di raccontargli cosa accadde esattamente quello stesso giorno di undici anni prima, perché la nascita della sua bambina non fu l'unico evento a segnare per sempre quella data.
Ed è così che sergente e scrittore tornano a indagare in coppia.
Questa volta non si tratta di una persona scomparsa, ma di un omicidio, quello della ventiduenne Alaska Sanders, ritrovata morta sulle rive del lago Skotam la mattina del 3 aprile 1999. Un delitto che ha un colpevole, Eric Donovan, condannato all'ergastolo.
Ma, se è lui l'assassino, come si spiega la lettera anonima ricevuta da Perry?

Mentre "tutti" stanno già leggendo "Un animale selvaggio", l'ultimo romanzo di Dicker pubblicato in Italia poco più di un mese fa, io mi sono decisa a recuperare questo, già vecchio di due anni. Dopo il trauma de "L'enigma della camera 622", letto nel 2021, mi ero ripromessa di abbandonare l'autore, ma con questo nuovo caso di Goldman mi ha fregata: annunciato come l'ultimo romanzo della trilogia che lo vede protagonista (e avendo amato "La verità sul caso Herry Quebert" e, ancora di più, "Il libro dei Baltimore"), mi sarebbe pesato non concluderla.

Il giudizio su questo libro è rapidissimo: lo si amerà se sì è amato Herry Quebert, viceversa se lo si è odiato si odierà anche questo. Perché sono simili in maniera imbarazzante.
Non nelle vicende: la storia di Alaska non ha nulla a che vedere con quella di Nola ed Herry Quebert compare solo in qualche (evitabilissimo) cameo.
Ad essere uguale è il meccanismo narrativo, con i capitoli ambientati nel presente (che abbraccia i mesi dall'aprile all'agosto 2010) alternati a quelli del passato (che riguardano un periodo di circa un anno a cavallo fra il 1998 e il 1999 e che fanno diventare presto il caso uno dei miei amati cold case) e, soprattutto, con gli stessi stratagemmi che portano a una continua oscillazione fra dubbi e scoperte.

Un gioco ben collaudato, Dicker sa gestire i salti temporali e tramortisce il lettore con così tante divagazioni che a un certo punto ci si dimentica di chiedersi chi sia il vero assassino di Alaska.
Un romanzo che è il festival dei narratori inaffidabili, che non è certo privo di difetti (qualche ingranaggio è davvero improponibile) e che rigurgita tutto l'autocompiacimento che caratterizza questo autore. Non dimentichiamo che Marcus Goldman è il suo alter ego e che incensando il suo personaggio ("folgorante carriera", "l'enorme successo del libro su Harry Quebert che mi consacrò come scrittore di rilievo nazionale", "il mio trionfo il libreria", eccetera) in realtà incensa se stesso.

Però c'è anche una bella presa di posizione contro la pena di morte, con dure critiche al sistema giudiziario americano e agli americani stessi, cosa che dal compiacente Dicker non mi sarei aspettata.

E, per la sezione turismo di immagini, alcune scene si svolgono nella bella isola di Vinalhaven, lungo le coste del Maine. Merita una foto:




Reading Challenge 2024, traccia vagabonda maggio: Svizzera


mercoledì 1 maggio 2024

Reading Challenge: le tracce di maggio

     


TRACCE MENSILI


Libere:
  • libri con il titolo scritto in una lingua straniera
    Gang Bang, Chuck Palahniuk (2 punti)
  • libri il cui titolo inizia con la parola "come"
    Come fermare il tempo, Matt Haig (3 punti)
  • libri scritti quando l'autore aveva meno di trent'anni
    Parlarne tra amici, Sally Rooney (3 punti)

Traccia gioco di società: Risiko, 
libri ambientati durante una guerra 
  • Le assaggiatrici, Rosella Postorino (3 punti)

Traccia vagabonda: 
  • Svizzera: Il caso Alaska Sanders, Joel Dicker (6 punti)
  • Polonia: Buio, Anna Kantoch (2 punti)

I miei punti di maggio: 19