lunedì 30 maggio 2022

"Il tempo della vendetta", Linda Castillo

Painters Mill (Ohio), novembre 2019. Manca una settimana al sessantesimo compleanno di Mary Yoder. La donna, vedova da tempo, vive con la figlia, il genero e i loro otto bambini. I nipoti sono il bene più prezioso di Mary ed è con le piccole Annie ed Elsie che trascorrerà le ultime ore della sua vita.
Le ha portate alla vecchia fattoria degli Schattenbaum, per lei un concentrato di dolci ricordi: da bambina trascorreva tantissimo tempo con quella solare famiglia e i loro animali, finché nel 1969 la fattoria era stata devastata da un'alluvione e da allora era rimasta disabitata. Mary, come ogni anno, sta raccogliendo noci aiutata dalle nipotine quando vede un'ombra dietro alla finestra della cucina. La curiosità ha la meglio e dentro trova il suo assassino, qualcuno che lei riconosce. Ormai a terra dopo aver ricevuto le prime coltellate, capisce di non poter fare più nulla per impedire all'uomo di portare via Elsie. 

Quindicesima puntata della serie ambientata nel mondo Amish che ha per protagonista il comandante di polizia Kate Burkholder. L'ultimo romanzo lo avevo letto nel novembre 2020, dopo aver divorato quelli precedenti nell'arco di undici mesi. Forse ne avevo fatto una mezza indigestione, ma a distanza di un anno e mezzo è stato davvero piacevole tornare alla scrittura rilassante della Castillo, alle sue ambientazioni rurali e ai personaggi a cui mi ero affezionata. Ognuno dei ventinove capitoli numerati si apre scandendo lo scorrere del tempo: un'ora dalla scomparsa, due ore dalla scomparsa, sette ore dalla scomparsa, ecc, uno stratagemma che genera un ritmo incalzante che mi ha ricordato le puntate di "24". Ovviamente non c'è paragone fra i libri della Castillo e la serie TV (amish vs terroristi, indagini vecchio stile vs tecnologia futuristica, campagna vs metropoli, calessi vs aerei se non addirittura missili, e via dicendo) e
- stringi stringi - spesso l'ora per ora qui non offre veri colpi di scena, ma si riduce a un ripetersi delle considerazioni e dello stato d'animo di Kate (mi ha un po' sfinita con frasi come: "Non riesco a smettere di pensare a un'innocente  bimba Amish la cui sopravvivenza dipende da me"), ma a conti fatti il meccanismo regge bene e crea più suspense rispetto ai titoli precedenti.

Un passaggio mi ha fatto sorridere per la sua ingenuità. Quello in cui il medico legale riferisce a Kate le sue valutazioni dopo l'esame esterno del cadavere di Mary Yoder e le dice:
"Ne saprò di più quando avrò effettuato l'incisione a Y. Ma mi sento già in grado di dire che il decesso è stato causato da una massiccia emorragia. E che si tratta di omicidio."
Ma va?!? Ventidue coltellate... c'era forse il dubbio che se le fosse autoinflitte? ^^
La Castillo è così, un po' alla buona, però mi piace, mi rasserena, e spero che Piemme non abbia deciso di abbandonarla, come invece temo: "Il tempo della vendetta", scritto nel 2019, è stato pubblicato in Italia nel 2020 ed è l'ultimo ad essere stato tradotto in italiano, ma dopo questo l'autrice ne ha scritto altri tre (2020, 2021 e 2022)! Non promette affatto bene...

Reading Challenge 2022, traccia bonus di maggio: libri appartenenti a una serie

domenica 29 maggio 2022

"Solo Flora", Stefania Bertola


San Mirtillo (sette chilometri da Chivasso), 10 settembre di un anno non precisato. Flora ha 15 anni e oggi inizia il secondo anno delle superiori. Dovrebbe trovarsi nella II B del liceo artistico Paul Klee di Genova e invece è nell'aula della II A del liceo parificato Ognicosa di San Mirtillo.
Lei avrebbe tanto voluto rimanere nella sua amata Genova, "dove è nata e dove ha sempre vissuto, e dove va a scuola, e ha tutti gli amici, e dove c’è il mare, la focaccia..." e invece no, perché Vittoria, sua madre, che fa la biologa marina all’Acquario di Genova, ha accettato di trasferirsi per un anno in Australia, a Brisbane, per un lavoro a progetto, ma Flora non poteva andare dall'altra parte del mondo e stare tutto quel tempo senza vedere il suo fidanzatino, Leo, sono già abbastanza distanti così, perché lui è di Torino! Molto meglio San Mirtillo, dove saranno ancora più vicini, senza contare che a San Mirtillo non c'è la focaccia, ma per lo meno c'è il mare! Proprio così, l'unico paese del Piemonte ad avere il mare, una piccola caletta nascosta dietro al bosco.
Perché la Terra è abitata da NP e da DP, rispettivamente Different People e Normal People, termini ufficiali stabiliti dal ministero dell’Interno. I NP siamo noi, uomini e donne privi di poteri, mentre i DP sono le fate, gli elfi, i vampiri, le streghe e gli gnomi. Che abitano nelle zone DP.
San Mirtillo è uno dei ventisette comuni DP italiani ed è lì che vive zia Maria Pia (nome NP) Limoncina (nome DP), sorella della mamma di Flora. Perché a volte succede che in famiglie NP nasca un figlio DP. E zia Limoncina è una fata. Il mondo DP funziona in modo simile a quello NP, hanno le loro materie scolastiche (come Traslucenza, Matematica Opinabile e Cronologia Parallela), hanno i loro corsi di studio (come Psicologia delle Creature Magiche), le loro trasmissioni TV (come Indovina l'incanto), le loro riviste (come “Morgana”, la rivista per la fata moderna), i loro dolcetti (come la Nutella rischia il gusto), le loro bibite (come la Baccacola), ecc, ecc...
NP e DP tendono a non mischiarsi, ma è più facile trovare un DP in una Zona Normale (come Iridella, una delle figlie di Limoncina, che da due anni convive a Torino con Gionata, un NP) anziché un NP in una Zona Differente. E mentre Iridella nella ZN si gode beata i suoi vantaggi - come quello di mettersi in tasca l'auto dopo averla rimpicciolita anziché diventare matta per trovare un parcheggio a San Salvario il sabato sera - per Flora non è tanto semplice ambientarsi in mezzo a tutte quelle creature, soprattutto quando sono dispettose come il cuginetto Turbo, stregoncino undicenne, o stronze come la vampira compagna di banco!

Tendo a non prendere in considerazione gli Young Adult per ovvie questioni di età, ma quando poi mi trovo a leggerne uno mi piacciono. Questo della Bertola (scritto nel 2016) è davvero tanto carino, una favoletta che, se non fosse per il gergo (che è quello degli adolescenti, quindi chi si scandalizza non dovrebbe accusare l'autrice di aver esagerato), sarebbe adattissimo anche per una fascia più bassa di età, dai dieci anni in su, come lo è "Vampiri contro Amet".


Un'appendice di appena venti pagine che ho trovato al termine di "Solo Flora", preceduta da una nota in cui l'autrice spiega di aver scritto il racconto tre anni prima (quindi nel 2013) e di aver ripreso l'ambientazione quando le è stato chiesto di scrivere un libro Young Adult.

Il raccontino è una cagatina: la Amet è un'azienda all'avanguardia nel campo delle simulazioni. Iridella, l'unica della famiglia Starlight a essere attratta dalle persone umane, organizza un incontro fra i dirigenti e il padre Odoacre, fabbricante di bacchette magiche, che ha il vizio di testarle in casa causando incidenti a non finire. Sembra tutto perfetto finchè Iridella non lo racconta a Blue e Velvet, due cugini vampiri...

Non ci ho trovato nessun tipo di messaggio, mentre "Solo Flora" è un inno non solo all'integrazione, all'accettazione e al rispetto per il diverso, ma anche un'esortazione rivolta agli adolescenti a non buttarsi giù, a non vedere negli altri coetanei quelli fighi sminuendo di conseguenza se stessi.

“Io non la vedo così. Io la vedo che ognuno deve fare il meglio che può con quello che ha. Tu hai la voce. Usala meglio che puoi, con forza e onestà e convinzione. Se non basterà, non basterà, ma tu non potrai rimproverarti niente.”

Un librino (151 pagine) divertente e intelligente, con un'ambientazione fantasy che è riuscita a conquistare anche me che respingo a priori le letture di genere, da "Il signore degli anelli" a "Harry Potter".
Ma è anche vero che ho passato i 5 anni delle elementari esprimendo desideri (per lo più cattivissimi!) muovendo la bocca come Samantha di "Vita da strega".

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro con delle ombre in copertina


venerdì 27 maggio 2022

"Zombie", Joyce Carol Oates

 
Mount Vernon (Michigan), maggio 1994. Il protagonista, che è la voce narrante, si presenta subito a noi lettori dicendo di chiamarsi Q_ P_ e di avere trentun anni e tre mesi. Anzi, trentun anni & tre mesi (abbastanza fastidioso l'uso continuo della e commerciale, mi piacerebbe sapere se è presente anche nel testo originale). 
Successivamente scopriamo che la Q sta per Quentin mentre il cognome resta una P, che è nato l'11 febbraio del 1963, che è stato condannato a due anni con sospensione della pena per violenze sessuali su un dodicenne di colore, che per questo è in libertà vigilata e che è il custode della villa vittoriana di famiglia frazionata in appartamenti.
E anche che è un serial killer.
Lui, in verità, non vorrebbe uccidere: gli omicidi sono il risultato involontario dei suoi maldestri tentativi di lobotomizzazione. Ma farlo non è semplice come gli era sembrato leggendo la procedura in biblioteca... "Il punteruolo viene inserito con l'aiuto di un mazzuolo nell'orbita sopra il globo oculare. L'impugnatura viene in seguito ruotata di modo che la lama recida le fibre alla base dei lobi frontali"


Decisamente più facile a dirsi che a farsi. Il primo, il secondo, il terzo, finora sono morti tutti, ma Quentin non si arrende, non può, vuole creare il suo "zombie", cioè il suo schiavo sessuale. Ne ha bisogno, cosa c'è di male? Grandioso monologo interiore di un folle scritto dalla Oates nel 1995 e vincitore nello stesso anno del Bram Stoker Award for Novel che premia i romanzi horror. Personalmente ho un'idea diversa dell'horror, "Zombie" lo definirei più un thriller (perché l'adrenalina scorre a fiumi) con risvolti orridi, perché tali sono le pratiche di Quentin. Ma l'aspetto davvero raccapricciante è che il suo personaggio è ispirato al tragicamente reale Jaffrey Dahmer, passato alla storia con il soprannome de "il cannibale di Milwaukee", che uccise diciassette persone fra il 1978 e il 1991. Catturato e successivamente condannato a più di un ergastolo, venne ucciso da un altro detenuto nel 1994 (vale a dire un anno prima della pubblicazione di "Zombie"). Dahmer violentava le sue vittime da vive e da morte, le sezionava e se le mangiava. E ad alcune trapanava il cranio per lobotomizzarle iniettando acqua bollente o acido muriatico. Ovviamente morivano, ma l'idea dello zombie poi ripresa dalla Oates era proprio sua. E lei non risparmia nessun raccapriccio a chi legge. Quentin è malato, ha una mente sufficientemente organizzata per nascondere quello che fa, ma fa in modo di non essere scoperto non perché consapevole di fare del male, ma per evitare di essere "molestato" dalle forze dell'ordine. E' al limite, non si rende conto che è sbagliato sottomettere o uccidere altri esseri umani. La sua idea dello zombie personale è quasi romantica.
"Ovviamente uno Zombie non giudicherebbe mai. Uno Zombie direbbe: «Dio ti
benedica, Padrone». Direbbe: «Tu sei buono, Padrone. Sei gentile e
misericordioso». Direbbe: «Inculami, Padrone, cavami le budella dal buco
del culo». Chiederebbe da mangiare in ginocchio e in ginocchio
chiederebbe il permesso di respirare. Sarebbe sempre rispettoso. Come
glielo ordinassi, lui leccherebbe. Come glielo ordinassi, lui
succhierebbe. Come glielo ordinassi, lui allargherebbe le chiappe del
culo. Come glielo ordinassi, si farebbe coccolare come un orsacchiotto.
Mi poserebbe la testa sulla spalla come un bambino. Oppure si lascerebbe
posare la testa sulla spalla come da un bambino. Ci imboccheremmo di
pizza a vicenda. Ci stenderemmo sotto le coperte nel mio letto in camera
del custode ad ascoltare il vento di novembre e le campane della torre
dell’orologio del Music College e conteremmo i rintocchi delle campane
fino ad addormentarci esattamente nello stesso istante»."
Come si intuisce, non è una lettura adatta a tutti. Non l'ho trovato disturbante come "American Psycho" o "Microfiction" soltanto perché il mio innamoramento per il modo in cui scrive la Oates supera ogni altro aspetto. E perché è capace di mostrare la realtà attraverso la mente del suo personaggio, malato, ma non cattivo.

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro con il titolo composto da una sola parola

mercoledì 25 maggio 2022

"Il complotto contro l'America", Philip Roth


Newark (New Jersey), 28 giugno 1940. Sono le 4 del mattino quando Philip e Sandy Roth, rispettivamente di 7 e 12 anni, vengono svegliati da un "No!" che sembra essere stato gridato da tutti gli uomini del quartiere. I repubblicani hanno scelto il loro candidato per le presidenziali: è l'uomo passato alla storia per aver effettuato la prima trasvolata oceanica in solitaria, Charles Lindebergh.
I Roth sono ebrei. E soprattutto sono americani. Ma quando Lindebergh batte Roosevelt diventando il trentatreesimo presidente, gli Stati Uniti smetteranno di essere un posto sicuro per loro.

Questo maggio lo ricorderò come il mese delle esperienza letterarie: dopo "Il maledetto" della Oates, anche Roth mi ha fatto abbandonare la mia comoda comfort zone. "Il complotto contro l'America" è la mia prima fantastoria (termine che mi ispira più simpatia del più corretto ucronia), un genere che non avevo mai preso in considerazione e ne sa qualcosa mio marito che da anni insiste per convincermi a leggere "La svastica sul sole".

Il romanzo, scritto nel 2004, mescola la fiction a fatti reali, con un Roth bambino ebreo, lontano dai campi di concentramento dell'Europa, ma non immune dal razzismo.

Un libro che colpisce sotto molti aspetti. Il primo è che Lindebergh nazista lo era veramente. Roth ha inventato la sua elezione, ma tutto il resto è vero: naturalmente la trasvolata che fece di lui un eroe e il rapimento e l'uccisione del figlio di appena due anni, ma anche la sua dichiarata simpatia per il nazionalsocialismo, i suoi viaggi in Germania, gli incontri con Hitler, la sua ammirazione per lui, le sue dichiarazioni antisemite e il rifiuto alla richiesta di Roosevelt di restituire l'onorificenza dell'Ordine dell'Aquila tedesca (di cui venne insignito anche Henry Ford), medaglione con quattro svastiche donatogli da Goring durante uno di quei viaggi. Così come è vero che il terzo libro scritto dalla moglie venne definito dal Ministero degli Interni del fuhrer "la bibbia di ogni nazista americano".

Solo dopo aver appreso questi dettagli, che ignoravo, ho capito perché la scelta di Roth sia caduta proprio su di lui.

E solo quando sono arrivata alla fine del libro ho scoperto il poscritto con una lunga e interessantissima nota per il lettore che comprende la vera cronologia dei fatti relativi alla guerra e ai personaggi principali, dettagli su altri personaggi realmente esistiti e citati nel romanzo e altri dati.

"Il complotto contro l’America è un’opera di fantasia. Questo poscritto è destinato ai lettori ai quali interessa scoprire dove finisce il fatto storico e comincia l’invenzione."

Eccomi! Questa appendice ha vanificato tutti gli approfondimenti in rete che avevo fatto durante la lettura, ma è stata ugualmente interessante. Un lavoro accurato e preciso, come lo è l'intero libro.

Con l'alternativa che propone - non più fantascientifica di quanto avrebbe potuto apparire lo sterminio di sei milioni di ebrei nei campi di concentramento prima che i nazisti lo facessero veramente - trasmette l'angoscia e la paura determinati dalla persecuzione e da quella mancanza di sicurezza che porta a sentirsi stranieri nella propria patria.

Nell'immaginario di Roth sono gli ebrei americani a vivere (e solo in minima parte) quello che gli ebrei europei hanno davvero dovuto subire, facendo scoppiare una Kristallnacht a Detroit a cui seguono azioni xenofobe in tutta la nazione e togliendo loro il libero arbitrio obbligandoli a trasferimenti che mirano a disgregare le comunità come quella di Newark.
E se la storia vera dice altro, quelli non devono comunque essere stati anni facili per gli ebrei americani.

In diverse recensioni su Amazon c'è chi accusa il libro di essere lento (Roth esige il suo tempo, ma se si arriva ad associarlo alla lentezza allora è meglio dedicarsi ad autori più semplici) criticando lo spazio dedicato alla raccolta di francobolli di Roth bambino: assurdo! Con un semplice oggetto, quell'album, Roth rende evidente come era diverso avere 7 anni nel 1940, quando tutto, anche un francobollo di pochi centesimi, doveva essere guadagnato e meritato assumendone il possesso, ma anche la responsabilità.
Per non parlare dell'impatto tremendo che genera quando Philip cade dal letto dopo aver sognato di aprire il suo album dei francobolli scoprendo che sulla serie dedicata al bicentenario di Washington la sua faccia è stata sostituita da quella di Hitler e che su quella dei parchi nazionali ci sono stampate delle svastiche.

E' (anche) attraverso dei semplici francobolli che viene rappresentata la paura provata da un bimbo perseguitato e, quando in un passaggio la madre gli dice di lavarsi e di andare a letto, Roth scrive la frase che forse meglio di ogni altra esprime tutta la drammaticità del romanzo:

"A letto: come se il letto, come luogo di calore e di conforto, piuttosto che come incubatrice di paure, esistesse ancora"

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro vincitore di un premio letterario (Sidewise Award for Alternate History del 2004)



lunedì 23 maggio 2022

"In cerca di Alice", Liane Moriarty

 
Sidney, 2 maggio 2008. E' un venerdì pomeriggio quando Alice Love durante l'abituale lezione di step inciampa e cade sbattendo violentemente la testa. Quando riprende i sensi dopo dieci minuti è convinta di avere ancora 29 anni, di essere alla dodicesima settimana di gravidanza e che l'anno sia il 1998! Il colpo in testa si è portato via ogni ricordo degli ultimi dieci anni: in realtà Alice ne sta per compiere 40, di figli ne ha già tre e si sta separando dal marito. E' molto più ricca e molto più magra, ma anche molto meno felice e spensierata. Ma cos'è successo alla sua vita negli ultimi dieci anni? Questo è il terzo romanzo scritto dall'autrice (nel 2010). Il secondo (così come il quarto) non è stato tradotto in italiano, mentre il primo ("Esprimi un desiderio, anzi tre") lo avevo letto lo scorso ottobre. "In cerca di Alice" mi è piaciuto allo stesso modo e per gli stessi motivi: lo stile e i personaggi della Moriarty ricordano davvero moltissimo quelli della Weiner e anche questa è una storia decisamente al femminile che, come l'altra, è leggera (cosa che mi è stata di aiuto avendo letto gran parte del libro in alternanza con "Il maledetto" della Oates, a cui l'ultima cosa che si può associare è proprio la leggerezza), ma non stupida. I fatti vengono raccontati in terza persona e naturalmente, visto il fulcro della vicenda, al presente del 2008 si mischiano i flash back dei dieci anni precedenti. La Moriarty non accenna nemmeno a dare una veridicità alla questione dell'amnesia facendo dimettere Alice dall'ospedale dopo una sola notte passata in osservazione. Dice ai medici che la memoria è tornata e loro la mandano a casa (succede nel primo capitolo, non è uno spoiler). E successivamente nessuno fra la madre (l'anello debole fra tutti i personaggi, sembra una deficiente), la sorella o il marito, pur sapendo che non è vero e che ha mentito ai dottori la spinge a fare dei controlli.

Tolto questo, l'escamotage del "buco nero" viene ben sfruttato, i salti temporali sono coinvolgenti e le rivelazioni vengono dosate nel modo giusto, fino a portare - Alice e chi legge - a ricomporre il passato dando una risposta ai cambiamenti delle persone e dei rapporti fra loro. L'autrice dà molto spazio ad Elisabeth, la sorella maggiore di Alice, e al suo non essere madre non per scelta: questa è la tematica più seria e meglio approfondita del libro, sia sotto l'aspetto delle cure per l'infertilità, sia per lo sviluppo delle conseguenze psicologiche su Elisabeth, situazioni che ho vissuto in prima persona e che, di conseguenza, mi hanno toccato anche più di quanto avrei voluto.

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro con la costa di un colore diverso da quello della copertina

venerdì 20 maggio 2022

"Dietro la scensa del crimine. Morti ammazzati per fiction o per davvero", Cristina Brondoni

Cristina Brondoni, milanese classe 1971, è (cito dalla presentazione nel libro) "giornalista, criminologa, profiler. È consulente in casi di omicidio, suicidio e morte sospetta. Ha fondato Crime Magazine e scritto i saggi “Il soccorritore sulla scena del crimine” con Luciano Garofano e “Sembrava un incidente - Staging sulla scena del crimine”, e il romanzo “Voglio vederti soffrire”." Più, ovviamente, questo saggio e un altro romanzo, "L'appartamento dell'ultimo piano", uscito alla fine del 2020 e che è il seguito di "Voglio vederti soffrire" (stesso ispettore protagonista).

Li ho tutti in wish list, ma li eliminerò. Mi pregustavo questa lettura attirata dal titolo, dalla trama e dall'argomento, ma è stata una grossa delusione principalmente a causa dello stile narrativo scelto dall'autrice, forse un maldestro tentativo di fare dello humor macabro senza mai riuscirci (niente di paragonabile a 
Caitlin Doughty, per capirci). Il saggio mette in evidenza come non sia facile rappresentare la morte in modo convincente, soprattutto sullo schermo, ed evidenzia come nella realtà il lavoro degli addetti sia molto diverso e molto più difficile rispetto a quello che ci propinano nella fiction, ma (particolare non dichiarato nella sinossi) è rivolto ad aspiranti autori e sceneggiatori, cosa che io non sono e non ho gradito la sorpresa. E' a loro che la Brondoni spiega cosa devono fare (documentarsi il più possibile) per creare situazioni verosimili. E fa degli esempi citando romanzi (compreso un classico che mai mi sarei aspettata di trovare in queste pagine), serie TV e qualche film (fa anche alcuni evitabili spoiler, non è detto - ad esempio - che tutti i lettori di questo libro abbiano già letto e/o visto "Il nome della rosa" e la Brondoni spiattella senza ritegno il mistero e la soluzione del caso!). Ma tratta troppo superficialmente gli argomenti portanti del saggio, usando inoltre un tono che indubbiamente avvalora il suo definirsi sociopatica e menefreghista, ma che lo impoverisce moltissimo dando l'impressione di leggere un qualcosa di poco serio e derisorio. Sinceramente non ho capito questa scelta poco felice di esprimersi come un'adolescente che ha appena sdoganato l'uso delle parolacce. Peccato perché scrive anche cose interessanti, ad esempio racconta il primo caso risolto grazie al profiling negli anni '50, spiega cos'è lo staging, cosa si intende per overkiller e la differenza fra il sistema italiano che si basa su leggi scritte (Civil Law) e quello anglofono (Common Law) basato sui precedenti, cioè su casi e sentenze già emesse, oltre a criticare il modo in cui vengono verbalizzati gli interrogatori in Italia (ovviamente senza neppure arrivare a sfiorare la capacità con cui lo fa Carofiglio), ma è tutto sbrigativo e privo di approfondimenti e senza la serietà dovuta all'argomento il testo non sembra un saggio, ma una caricatura.

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro con un'arma in copertina


martedì 17 maggio 2022

"Il maledetto", Joyce Carol Oates

 

Princeton (New Jersey), 24 giugno 1984. Fra il 1900 e il 1910 la cittadina universitaria fu teatro di una serie di episodi inspiegabili. M.W. van Dyck II, storico e voce narrante del romanzo, ottant'anni dopo cerca di fare chiarezza condensando gli eventi (che coinvolsero anche un suo antenato) in quattordici mesi a partire dal 7 marzo 1905: a differenza di altri studiosi, infatti, lui colloca l'inizio dell'anno della Maledizione non con il matrimonio di Anabel Slade, celebrato nel giugno di quell'anno, ma tre mesi prima, quando un linciaggio del Ku Klux Klan avvenuto a Camden, un centro della supremazia bianca del New Jersey, spinse Woodrow Wilson (futuro ventottesimo presidente degli Stati Uniti) a far visita al reverendo Slade...

Ho affrontato questa lettura con molto timore a causa della trama (decisamente al di fuori della mia comfort zone) e di alcune recensioni stroncanti. Riguardo alla storia non posso dire di essermi sentita a mio agio durante la lettura perché il genere gotico è davvero tanto distante da ciò che mi piace e che mi prende, ma la Oates scrive talmente tanto bene da rendere la trama quasi un dettaglio trascurabile e ritenerla "una delle scrittrici più sopravvalutate del nostro tempo", come qualcuno ha fatto in una recensione su Amazon, è una becera bestemmia.

"Il maledetto" è un tomo di 679 pagine divise in quattro parti, con capitoli che si alternano fra brevissimi, mediamente lunghi e lunghissimi. E' il quinto titolo appartenente alla Gothic Saga ed è l'unico ad essere stato tradotto in italiano (e qui non possono mancare i soliti insulti agli editori per la mancanza di rispetto verso il lavoro degli autori stranieri e verso i lettori italiani).

La storia portante è troppo soprannaturale per potermi piacere, ma rende alla perfezione l'atmosfera gotica e qui è impossibile non riconoscere la bravura della Oates, che raggiunge livelli altissimi nel modo in cui orchestra personaggi realmente esistiti e fatti storici realmente accaduti con personaggi e situazioni di pura fantasia, riuscendo a far immedesimare chi legge negli stati d'animo - sempre angoscianti e soffocanti - di chi all'inizio del Novecento credeva alle apparizioni dei defunti o all'esistenza di demoni, cercando di dare poi una spiegazione logica a quei fatti attraverso l'interpretazione che lo storico sviluppa ottant'anni dopo.

Ma le parti migliori del romanzo sono state per me quelle che probabilmente eliminerebbe chi lo considera esageratamente lungo: amo lo stile descrittivo dell'autrice e le sue divagazioni storiche. Nonostante le quasi 700 pagine, avrei gradito un maggior approfondimento di certe tematiche (la questione razziale, l'evoluzionismo, il suffragio femminile) che vengono affrontate ma che, una volta esaurito il loro apporto a un qualche sviluppo della vicenda, vengono abbandonate troppo in fretta.

Fra i personaggi realmente esistiti quello più famoso, per lo meno per noi europei, è Jack London, di cui la Oates ci offre un quadro impietoso: arrogante, alcolizzato e perfino razzista.

E poi c'è Upton Sinclair,
scrittore socialista dell'epoca e autore, fra l'altro, de "La giungla", romanzo di denuncia sulla condizione dei lavoratori (e non solo) nei mattatoi di Chicago. La Oates, facendo di lui un personaggio del romanzo, può arricchirlo con più di un appello alla coscienza di chi legge per tutelare gli animali ignorantemente usati come oggetti per vezzo ("I cappelli femminili qui sono enormi, adorni di piume di struzzo molto graziose e svolazzanti" "Quanti struzzi devono essere sacrificati perché la vanità delle nostre signore possa risplendere?") o per ingordigia ("Le galline sono le più sfruttate delle creature-lavoratrici! Prima vengono loro sottratte e divorate le uova; poi, vengono divorate esse stesse"), denunciando la condizione degli animali allevati e uccisi per soddisfare il palato degli onnivori.

"Upton provò un moto di ribrezzo per i mangiatori di carne, che non avevano la più pallida idea di cosa stavano mangiando: né della sua vera natura, quella di animali sofferenti e terrorizzati, e della qualità adulterata dovuta all’industria della carne.
Si passò una mano tremante sugli occhi e per un momento gli parve di sentire di nuovo il forte odore rancido, nauseante eppure stranamente sensuale dei recinti degli animali e dei mattatoi in cui era vissuto per due mesi. L’odore di sangue, interiora, escrementi animali, carne cruda, e terrore animale… L’aria stessa viva e pulsante del fetore di creature viventi trasformate in semplice carne; grida di panico animale, e d’orrore; gli occhi di creature consapevoli che sporgevano dalle orbite nel terrore della morte, lingue che ciondolavano dalla bocca… Lo stridio di maiale di tutto l’universo lo aveva chiamato Upton Sinclair nel suo romanzo; strida che salivano fino all’alto dei Cieli, che non prestavano il minimo ascolto alla loro sofferenza. E se l’umanità si fosse resa conto di questa sofferenza, c’era un modo facile per placare la colpa: Sono solo animali."
E qui torno a condividere il post di Essere animali per togliere ogni illusione a chi ha l'ignoranza di credere che adesso funzioni diversamente rispetto al 1906 (anno di pubblicazione de "La giungla") e per chi è abbastanza onesto da voler guardare che quello che si mette nel piatto sono (erano) esseri viventi.

"Perché il genere umano insiste nel mangiare animali?"
Se lo chiedeva Upton Sinclair, me lo chiedo io.

Reading Challenge 2022, traccia di magio: un libro ambientato in Irlanda, Inghilterra, Italia o Stati Uniti (ho scelto Stati Uniti)

domenica 15 maggio 2022

"Cat Person", Kristen Roupenian

Nel 2017 il racconto breve "Cat Person", che dà il titolo a questa raccolta (dodici in tutto), viene pubblicato sul The New Yorker diventando in breve tempo il racconto più scaricato della storia. Un vero e proprio caso letterario. Opera prima dell'autrice (una bostoniana classe 1982) che le è valso un contratto da un milione e duecentomila dollari per il suo primo libro (questo), poi pubblicato due anni dopo. Non solo: HBO nel 2018 (quindi prima ancora di vederli pubblicati) ha comprato i diritti dei racconti per trarne una serie antologica drammatica. Nello stesso anno la A24, casa cinematografica indipendente americana, ha comprato i diritti di una sceneggiatura horror scritta dalla Roupenian. 

Se ho fatto bene i calcoli basandomi sulle percentuali del mio Kindle, "Cat Person" è un racconto di circa 25 pagine: non male riuscire a fare tutti quei soldi con così poco!
Secondo Einaudi (editore italiano) il successo del racconto è dovuto alla sua capacità "di raccontare, senza scrupoli o ipocrisie, la verità sulle relazioni di questo inizio millenio".
Ed è la sintesi della recensione fatta da Marco Cantoni poco più di tre anni fa in un video su YouTube dove esalta le grandi capacità dell'autrice nel descrivere il modo di relazionarsi di questa epoca.

Se è così che funziona adesso, allora sono molto felice di essere nata nel 1969.

"Ragazzaccio", raccontato in prima persona plurale (una scelta originale e non facilissima, che sempre mi conquista) parla di una coppia che fa di un giovane amico depresso per essere appena stato lasciato dalla fidanzata il proprio schiavo sessuale, finendo col diventarne dipendenti.
"Look at Your Game, Girl" è ambientato in California nel settembre 1993. Jessica ha 12 anni e viene avvicinata al parco da un ragazzo molto più grande di lei che le presta un nastro con le canzoni di Charles Manson (il titolo del racconto è quello di una sua canzone).

"Sardine" è il gioco in quel momento più in voga fra le bambine ed è quello a cui Tilly obbliga tutti a giocare quando festeggia il suo undicesimo compleanno nella bella casa che suo padre divide con la sua giovane compagna. Finirà male.
E' uno dei racconti più confusionari (e uno dei due preferiti da Cantoni).

"Il corridore notturno" ci porta in Kenya al seguito di Aaron, un volontario texano che si ritrova a insegnare nella prima media di un istituto femminile. Le ragazzine sono tremende, cinquanta contro uno.
"Lo specchio, il secchio e il vecchio femore" ha per protagonista una principessa con il visino dolce che non riesce a scegliere un marito fra i tanti pretendenti, tutti belli, buoni e intelligenti, ma nessuno sembra essere quello giusto. Non sa cosa cerca, per questo non lo trova, finché una notte qualcuno bussa alla porta della sua stanza. Qualcuno o qualcosa?
Demenziale.
"Cat Person" Margot è una studentessa di vent'anni che per guadagnare qualche soldo vende bibite e snack all'interno di un cinema d'essai. Qui conosce Robert e, dopo lo scambio di numeri di cellulare, inizia quello di SMS... Avevo aspettative altissime su questo racconto, ma a stupirmi non è stato lui, bensì il tributo ricevuto. Racconta un qualcosa che, soprattutto nell'epilogo, è capitato almeno una volta nella vita della maggior parte delle donne perché i casi umani non risparmiano nessuna.
"Il bravo ragazzo" (il secondo racconto preferito da Cantoni) è il racconto più lungo e, probabilmente per questo, quello che risulta più coinvolgente. Il bravo ragazzo è Ted e lo incontriamo quando sta per compiere 36 anni. E' in un locale con Angela, la sua ultima ex che, come tutte le altre, non riesce a rassegnarsi alla fine della loro storia. E quando la donna reagisce al suo rifiuto tirandogli in testa un pesante bicchiere, Ted si ritrova sdraiato su una lettiga e i ricordi tornano indietro di vent'anni, al 1998, quando aveva cominciato a cucirsi addosso i panni del bravo ragazzo.
Contiene la descrizione del bacio più vomitevole che abbia mai letto: "Due pezzi di carne senza ossa che sbatacchiano di qua e di là, come un paio di lumache intente ad accoppiarsi nella caverna della tua bocca".

"Il ragazzo nella piscina", Taylor, Kath e Lizzie hanno dodici anni e durante un pigiama party guardano in VHS un horror erotico. Passano gli anni e da adulte si trovano a vivere due a Brooklyn e una in California. E quando Taylor si sposerà sarà a Kath che chiederà di organizzare il suo addio al nubilato: cosa fare per sorprenderla?
Una storiella che avrebbe meritato un finale coraggioso.
"Non avere paura", la protagonista - di cui non sappiamo nulla, né il nome, né l'età o altro - trova dietro a uno scaffale della biblioteca un vecchio libro malconcio. D'istinto lo prende e se lo porta a casa senza far registrare il prestito. E solo a casa si rende conto che è un libro degli incantesimi. Li metterà tutti in pratica ottenendo in cambio forza, denaro, intelligenza, bellezza... Ma non la capacità di fermarsi, di accontentarsi.
"La prova nel portafiammiferi", Laura sta studiando in un bar, David la osserva trovandola sciatta in modo affascinante. Sei mesi dopo lei insiste per trasferirsi in California. Un anno dopo lui torna a casa dal lavoro, lei gli mostra un ponfo: da lì in poi sarà solo prurito.

"Voglia di morire", un uomo ripensa a quando parecchio tempo prima viveva a Baltimora e a una ragazza conosciuta su Tinder, come tante altre. Ma lei non aveva accettato l'invito ad andare a bere qualcosa, lo aveva raggiunto direttamente al motel. E lì gli aveva fatto una precisa richiesta...

"Mordere" era quello che Ellie amava fare ai tempi dell'asilo ed era felice. Poi un giorno aveva sentito un'altra bambina dire di lei che era antipatica a tutti perché mordeva la gente e se ne era vergognata. Da lì non aveva più morso nessuno, anche se le sarebbe tanto piaciuto poterlo fare. Finché, ormai adulta, nel posto dove lavora era arrivato un nuovo capoufficio.

Terminato il libro, circa un'ora fa, ho riguardato il video dove Cantoni parla di questa raccolta, definendola clamorosamente bella. Per via del suo entusiasmo e della sicurezza con cui ne parlava il titolo era entrato immediatamente nella mia wish list, ma si è rivelato l'ennesima dimostrazione (non sono state tantissime, ma abbastanza da averne perso il conto) che io e lui cerchiamo nella lettura soddisfazioni davvero diverse. Ci sono state anche delle eccezioni, è grazie a Cantoni se ho avuto il coraggio di affrontare Philip Roth, ad esempio, ma forse ci vogliono mostri sacri per far incontrare il gusto di due persone divergenti come noi.

Nei racconti della Roupenian ci ho visto qualcosa di piacevole, di diverso dal solito, ma nulla che definirei "clamorosamente bello". E' brava, sì, e molto. Scrive bene e ha uno stile indubbiamente riconoscibile, però non l'ho trovata particolarmente eclettica, tutt'altro: i dodici racconti rientrano in un genere ben preciso e, seppur raccontando ovviamente storie diverse, mirano a stupire sempre nello stesso modo che già dopo il terzo o il quarto diventa del tutto prevedibile e in un racconto riuscire a stupire è la cosa più difficile, l'unica particolarità che riesce a conquistarmi e a fare la differenza e qui il mio pensiero va subito a "La lotteria" di Shirley Jackson, clamorosamente bello, questo sì.

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro che finisce con un numero di pagine pari

 

martedì 10 maggio 2022

"Perle ai porci", Kurt Vonnegut


Contea di Rosewater (Indiana, Stati Uniti), 1964.

FONDAZIONE ROSEWATER
IN CHE COSA POSSIAMO ESSERVI UTILI?

E' questo che Eliot Rosewater ha fatto scrivere sulla targa sopra alla porta dell'ufficio, la stessa frase con cui risponde ogni volta che squilla il telefono nero. Quello rosso è la linea diretta con la caserma dei pompieri, dove lui è orgogliosamente volontario, però questa è quasi un'altra storia...
Ma entrambi i telefoni squillando annunciano emergenze e quelle dei disperati in cerca dell'aiuto di Eliot superano di gran lunga gli allarmi per incendi e incidenti vari.
Eliot, classe 1918, è uno di quei pochi che alla nascita - senza aver dovuto muovere un dito nè aver dovuto dimostrare una qualsiasi qualità - si sono ritrovati direttamente sul piatto della bilancia dove ci sono pochissime persone e tantissimi soldi: è ricco di famiglia.
Nel 1947 Lister Ames Rosewater, senatore dell'Indiana, con il solo scopo di evadere le tasse aveva dato vita alla Fondazione filantropica e culturale Rosewater, facendo sedere il figlio Eliot - tornato tre anni prima dall'Europa e dal fronte con una moglie francese e un trauma da "usura da combattimento" - sulla poltrona presidenziale che, da statuto, è una carica esclusivamente ereditaria.
Eliot prende molto seriamente la natura filantropica della Fondazione, lotta contro il cancro e le malattie mentali, contro il razzismo e gli abusi delle forze dell'ordine. Ma non è abbastanza, vuole aiutare tutti e per questo è tornato a Rosewater, la contea sfruttata dai suoi antenati allevando maiali, il posto dove hanno avuto inizio gli 87.472.033,61 milioni di dollari di proprietà della Fondazione.
Un comportamento... da pazzo: lo pensa il padre, lo pensa la moglie, lo pensano in tanti. Lo pensa soprattutto un giovane avvocato che ha scoperto che la carica di presidente della Fondazione può passare a qualcun altro se viene dimostrata l'incapacità di intendere e di volere di Eliot.

Per poter apprezzare come merita questo romanzo (considerato un capolavoro da molti) è necessario possedere tre requisiti: avere un interesse per i temi trattati, condividere il punto di vista dell'autore ed essere molto estrosi.
A me manca (decisamente) l'ultimo e ho ben chiaro che sia questo il motivo che mi ha impedito di godere degli aspetti eccentrici della storia.

Una storia e dei personaggi che mi hanno portata più e più volte a pensare a Don Gallo - uno che ha messo la sua vita al servizio degli ultimi nella realtà, non nella finzione letteraria - e alle canzoni di Fabrizio De André.

"Dimmi una sola cosa buona di quella gente che Eliot aiuta..."
"Sono esseri umani"

Vonnegut fa della disuguaglianza sociale la vera protagonista del libro evidenziando l'avidità e l'egoismo dei ricchi
 americani del secondo dopoguerra ("Samuel sosteneva che nessun operaio americano meritava più di ottanta cent al giorno. E tuttavia era grato se gli si presentava l’occasione di pagare centomila dollari o più il quadro di un italiano morto da tre secoli.") e le falle del sistema capitalistico. E' il primo libro che leggo dell'autore e - seppur intimorita dalla sua bizzarria - sono attratta anche dal famoso "Mattatoio n. 5" perché, al netto delle stramberie, mi è piaciuto quello che mi ha raccontato.
Belli i camei di personaggi famosi inseriti nella storia e geniale il personaggio (ricorrente nei romanzi di Vonnegut) di Kilgore Trout, che mi ha regalato le divagazioni più divertenti del libro.

E siccome per me è importante la causa animale termino riportando un passaggio toccante, con la solita speranza di spingere chi legge a chiedersi: ma la soddisfazione del mio palato vale tutto lo strazio che comporta?

"I ragazzi di Harry agguantarono le fiocine. Il più giovane piantò l’uncino nell’acqua, lo torse nella pancia di un pesce, bloccò il pesce, lo fece girare sulla punta di uno strazio infinito.
Il pesce si lasciò trascinare verso la barca, instupidito dallo choc, evitando ogni movimento che potesse aggravare la sua sofferenza.
Il figlio più giovane di Harry diede all’uncino uno strattone lacerante. Questo nuovo strazio più profondo costrinse il pesce a drizzarsi sulla coda e a rovesciarsi nella Mary con un tonfo gommoso.
Harry colpì il pesce alla testa con la sua mazza robusta. Il pesce giacque immobile.
E un altro pesce si rovesciò rumorosamente nella barca. Harry diede un colpo in testa pure a quello, e poi a un altro, e a un altro ancora, finché gli otto grossi tonni giacquero stecchiti."

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro con il nome di una pietra o di una gemma nel titolo

domenica 8 maggio 2022

"Adesso basta parlare d'amore", Hervé Le Tellier

 

Siamo a Parigi, all'inizio di un autunno insolitamente mite, quello del  2007. Abbiamo quattro uomini e due donne. Tre medici, un ricercatore, un avvocato e uno scrittore. Due dei quattro uomini sono mariti, gli altri due diventeranno gli amanti delle loro mogli. Colpi di fulmine che avrebbero potuto essere storie da una botta e via, ma che invece diventano relazioni serie perché quelle che tradiscono in realtà sono già consumate da tempo.
Seguiamo i sei personaggi per poco più di tre mesi arrivando alla fine con due coppie, come all'inizio: ma quali saranno le formazioni?

Hervé Le Tellier, parigino classe 1957, era entrato nella mia wish list la scorsa estate dopo aver sentito parlare di un altro suo libro, "L'anomalia", da una delle mie booktuber preferite, Sara del canale Sara Booklover. Ma per via della mia sempre odiosa precisione, ho dato la precedenza a questo, che è il solo altro romanzo dell'autore ad essere stato tradotto in italiano.

Due generi completamente diversi: "Adesso basta parlare d'amore"... parla solo d'amore (Le Tellier nel brevissimo prologo consiglia a chi non vuole sentirne parlare di non iniziare la lettura) e di vita quotidiana, senza avere nulla in comune con un romanzo rosa.
E' un libro serio, termine che uso per definire l'opposto di sdolcinato. Venato di umorismo, ma non divertente. Colto, ma non pesante. Elegante. E molto, molto, molto francese.

Per apprezzarlo come merita bisogna avere almeno quarant'anni e avere, o aver avuto, un legame lungo e importante fatto di 
convivenza: "ognuno a casa sua" non è abbastanza per potersi sentire cucito addosso quello che questo libro racconta.

"Vuole conoscere di nuovo la vertigine della caduta che non sperava più di provare"

I capitoli sono tanti e brevi, non numerati
, ma intitolati col nome del personaggio, o dei personaggi, di cui di volta in volta parlano. Qualche spunto grafico (un capitolo con delle frasi cancellate, così; un altro con le pagine divise in due colonne dove in una viene raccontato qualcosa e nell'altra sono descritti, senza punteggiatura, i pensieri di chi sta assistendo a quel qualcosa; l'inserimento dell'immagine di copertina di un racconto del personaggio scrittore, ecc) lo rende originale. E anche questa volta è citata la mia Genova, o meglio, si parla soltanto di "un paio di jeans blu Genova", ma mi fa sempre piacere vedere quel nome, soprattutto quando mi appare a sorpresa.
Però quando ho letto "tagliatelle al pesto ligure" ho dovuto celebrare un minuto di raccoglimento per le povere trenette!!

Reading Challenge 2022, traccia di maggio: un libro cartaceo

giovedì 5 maggio 2022

"Figlia della cenere", Ilaria Tuti


Friuli Venezia Giulia, 2019. Sono passate due settimane dalla risoluzione del caso raccontato in "Ninfa dormiente" e il commissario Teresa Battaglia è soltanto l'ombra della donna forte che è stata: mente e corpo sono sempre meno affidabili e se per il corpo esiste il sostegno di un bastone o di mani amiche pronte a sostenere, per la memoria non c'è rimedio. Teresa sa di non essere più nelle condizioni di svolgere il suo lavoro, ma quando Giacomo Mainardi chiede di poter parlare con lei non può fare a meno di incontrarlo. Giacomo è stato il suo primo caso da profiler e adesso potrebbe essere anche l'ultimo. Questa è (tenendo conto anche del racconto "La ragazza dagli occhi di carta") la quinta puntata della serie che ha per protagonista il commissario Battaglia. Un libro che, secondo me, non ha senso affrontare senza aver letto i precedenti perché in questo caso si va ben oltre la trama orizzontale dei romanzi seriali: qui viene raccontato il passato di Teresa agli inizi della carriera, inizi che coincidono con gli eventi personali che la segneranno per sempre, quelli che avendo letto gli altri titoli già si conoscevano, ma non dettagliatamente. Tramite il suo passato Ilaria Tuti fa di questo romanzo una denuncia contro la violenza sulle donne, fisica e psicologica, con una chiara e giustissima esortazione a denunciare gli abusi patiti, sia fra le mura domestiche sia sui luoghi di lavoro.

L'autrice alterna il presente al passato di ventisette anni prima, creando il primo ad uso esclusivo del secondo e inserendo anche alcuni capitoli ambientati nel IV secolo a.C. intrisi di quel paganesimo a lei evidentemente tanto caro (a me no). Queste divagazioni storiche le danno anche modo di raccontare di Aquileia nella storia e nell'arte: apprezzo sempre tanto gli autori legati al proprio territorio e nei libri della Tuti è sempre più che evidente il suo grande attaccamento al Friuli. Questa volta si è lasciata prendere un po' troppo la mano, certi capitoli danno la brutta impressione di star leggendo una guida turistica. Poi ci sono i soliti salti temporali, un sistema narrativo che mi piace molto (se ben gestito, cosa che la Tuti sa fare), ma ultimamente ne ho letti troppi strutturati così, mi rendo conto di avere bisogno di un po' di storie lineari per disintossicarmi dall'alternanza fra il prima e il dopo. Un prima e un dopo che in questo romanzo si differenziano nettamente, quanto meno per il mio gusto personale. Se ho trovato molto bella e avvincente tutta la parte legata al passato - la storia gialla funziona, seppur con qualche faciloneria, ma soprattutto mi ha toccata la vicenda personale di Teresa - quella del presente non mi ha convinta: qui la storia gialla diventa inverosimile sotto ogni aspetto, avrei gradito uno sforzo maggiore per trovare il modo di riportare a galla i fatti di ventisette anni prima e un paio di passaggi non vengono spiegati. Ma a spiazzarmi è stato soprattutto il tracollo di Teresa, un po' eccessivo considerando che dalla fine del precedente romanzo la Tuti ha fatto passare soltanto due settimane e non era ridotta così male. La sua condizione e la sinossi fanno pensare che questa sia l'ultima puntata della serie, ma dopo averlo letto non ne sono così convinta, qualcosa da spiegare c'è ancora, senza contare che ricorrendo ai piani temporali la Tuti potrebbe scrivere altri trenta romanzi raccontando vecchi casi della sua protagonista, ad esempio quello di Blanca/Anna, che qui viene solo accennato e non mi stupirei se in futuro dovesse uscire un nuovo libro su questa vicenda. Non ne sarei contenta. Il rischio di raschiare il fondo del barile sarebbe enorme e non degno del bel personaggio che è Teresa Battaglia.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di maggio: libri appartenenti a una serie

domenica 1 maggio 2022

Reading Challenge: le tracce di maggio

 

Primo gruppo (un solo libro per traccia):

  • un libro ambientato in Irlanda, Inghilterra, Italia o negli Stati Uniti
    "Il maledetto", Joyce Carol Oates (6 punti)
  • un libro con un'arma in copertina
    "Dietro la scena del crimine: morti ammazzati per fiction o per davvero", Cristina Brondoni (1 punto)
  • un libro con il nome di una pietra o di una gemma nel titolo
    "Perle ai porci", Kurt Vonnegut (2 punti + 1 punto foto)
  • un libro che finisce con un numero di pagine pari
    "Cat person", Kristen Roupenian (2 punti)
  • un libro cartaceo
    "Adesso basta parlare d'amore", Hervé Le Tellier (2 punti)

Secondo gruppo (un solo libro per traccia, solo se si sono letti i cinque libri delle tracce del primo gruppo):

  • Un libro con delle ombre in copertina
    "Solo Flora", Stefania Bertola (2 punti)
  • Un libro con la costa di un colore diverso da quello della copertina
    "In cerca di Alice", Liane Moriarty (5 punti)
  • Un libro con il titolo composto da una sola parola
    "Zombie", Joyce Carol Oates (2 punti)
  • Un libro vincitore di un premio letterario
    "Il complotto contro l'America", Philip Roth (5 punti)
  • Un libro novità pubblicato a maggio in Italia

Traccia bonus (uno o più libri):  
libri appartenenti a serie e/o saghe
  • "Figlia della cenere", Ilaria Tuti (3 punti)
  • "Il tempo della vendetta", Linda Castillo (3 punti)
 
I miei punti = 34


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Casata: L'ordine della fenice