venerdì 30 settembre 2022

"L'estranea", Patrick McGrath

 

New York, anni '70. Constance e Sidney Klein si sono sposati sapendo ben poco l'uno dell'altra.
Lui le ha fatto la proposta al termine di una breve vacanza. Inglese e non più giovanissimo, con alle spalle due matrimoni falliti e un figlio vicino all'adolescenza avuto dalla prima moglie, era estasiato dall'aver trovato una donna capace di farlo ringiovanire fra le lenzuola. Una donna bellissima e ben più giovane, oltretutto.
Lei ha accettato senza neanche pensarci. Alle soglie dei trent'anni, un lavoro nel campo dell'editoria e molte situazioni irrisolte con la famiglia di origine. Con Iris, la sorella minore, che per certi versi sente di aver cresciuto dopo la prematura morte della madre quando erano ancora bambine. Così diversa da lei, più esuberante, meno problematica. E sicuramente molto più amata da quel babbo che non è mai riuscito a essere equo con le proprie figlie creando in Constance quelle insicurezze che probabilmente sono state il motivo per cui ha visto in un marito più anziano quella protezione che non ha mai avuto dal padre.

Scritto quasi dieci anni fa (2013), è comunque uno dei romanzi più recenti di McGrath (che in più di trent'anni ne ha pubblicato soltanto una decina). Nel 2019 avevo letto e amato "Follia". Anche questo mi è piaciuto tanto, ma meno rispetto all'altro.

Forse perché l'ultimo capitolo, pur essendo diverso da quello che ci si aspetterebbe arrivati a quel punto, non ha l'impatto della frase conclusiva di "Follia". Questa volta a colpirmi, ma in negativo, è stata una frase inaccettabile da una penna come quella di McGrath: "Il pesce si rizzò voglioso". Degna di quegli uomini che vanno a cambiare l'acqua al merlo!

Più probabilmente perché li ho trovati troppo simili: nella caratterizzazione dei personaggi, nelle atmosfere percepite e, a grandi linee, anche per quello che viene raccontato, infedeltà, ma non solo. Non c'è un ospedale psichiatrico, ma è il posto dove non ci si stupirebbe di trovare Constance, con tutti i suoi squilibri.

Come "Follia", è un libro in cui non ci si può immedesimare con la protagonista e neppure con chiunque le ruoti attorno e meno male perché l'unico personaggio tenero e positivo è il figlio di Sidney, ma è solo poco più di un bambino e non viene mai data voce ai suoi reali pensieri e stati d'animo, lo conosciamo attraverso le voci del padre e della matrigna (quindi marginalmente) che sono le due voci narranti con cui si alternano i capitoli.

Ed è un libro scritto altrettanto bene, ma anche altrettanto tetro: averlo letto contemporaneamente a "Residenza per signore sole" - altro titolo che non fa certo venire in mente il carnevale di Rio - non è stata una scelta felice per il mio stato d'animo.
E' indubbiamente uno dei libri più opprimenti che abbia mai letto e che potrebbe essere devastante se affrontato in una condizione di precario equilibrio psichico.

Una piccola menzione la merita Teddington, un sobborgo a sud-ovest di Londra citato nel libro: guardate su Google immagini quanto è carino, cimitero compreso.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di settembre: catena di titoli


giovedì 29 settembre 2022

"Le farò un po' male", Adam Kay



E' il 2015 quando, per opera del nuovo Ministro della Sanità Britannico, per gli specializzandi in medicina cambiano le condizioni contrattuali. In peggio.
All'epoca Adam Kay - scrittore comico e sceneggiatore inglese classe 1980 - aveva abbandonato la professione da cinque anni, ma non aveva buttato via gli appunti quotidiani che aveva preso fra il 2004 e il 2010 durante la specializzazione. Appunti che fanno di questa autobiografia una sorta di diario: in ogni capitolo Kay descrive il ruolo assunto come tirocinante durante i vari livelli di formazione lavorando in reparto, partendo dall'essere un house officer, per diventare poi un SHO, quindi un registrar, un senior registrar ed essere a quel punto quasi uno specialista, riportando - con tanto di date - eventi in un modo o nell'altro significativi.

Un'autobiografia dove però i veri protagonisti sono gli specializzandi in medicina e le condizioni in cui operano, con settimane lavorative che superano anche le cento ore, turni massacranti, responsabilità crescenti,  costantemente "spremuti e sottopagati".
Esperienza che l'autore ha vissuto in prima persona, cosa che lo ha reso solidale nei confronti degli ex colleghi quando il governo, oltre ad aggravare una situazione già al limite, è arrivato a tacciare questo settore di avidità.

La carriera medica di Adam Kay è terminata nel dicembre 2010, a due mesi dal diventare specialista. Il motivo è spiegato nel libro, un evento triste, che non costituisce un'eccezione, perché questa è una professione dove "succedono più cose negative che positive", anche se la specialità scelta dall'autore - ostetricia e ginecologia - è l'unica dove avviene il contrario, ma è anche quella in cui quando qualcosa va storto si fa più fatica a passarci sopra. Cosa che lui non è riuscito a fare, finendo con l'appendere lo stetoscopio al chiodo dedicandosi alla scrittura di sceneggiature comiche per la televisione.

Sapendo di questa sua svolta mi aspettavo un libro più divertente e - avendolo letto in alternanza a 
"Residenza per signore sole" e a "L'estranea" (che conto di terminare questa sera) - avevo un enorme bisogno di sollazzo.

Certo non mancano gli spunti per sogghignare
 ("Ho appena stampato l’ecografia di un bambino per i genitori e sto togliendo il gel per ultrasuoni alla mamma, quando il padre mi chiede se posso fare un’altra foto da una prospettiva diversa: “Non sono sicuro che questa vada bene per Facebook”. Questa gente egomaniaca e disperatamente bisognosa di attenzione sui social media mi fa alzare le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli, poi guardo meglio la foto. Capisco cosa intende: sembra proprio che il feto si stia masturbando."), se non proprio per ridere di gusto ("Tre del mattino all’accettazione del reparto maternità. La paziente ha venticinque anni ed è alla terza settimana della sua prima gravidanza. Lamenta la presenza di numerosi puntini sulla lingua che non fanno male. Diagnosi: papille gustative."), ma l'unico aspetto deludente è stato non trovare neppure uno sprazzo dello humor inglese che davo per scontato (mi chiedo quanto questo dipenda dalla traduzione).

Un particolare, invece, molesto sono le tantissime note,
ben 156 in appena 252 pagine, non lunghe e disturbanti come quelle di David Foster Wallace in "Una cosa divertente che non farò mai più", ma comunque abbastanza fastidiose, soprattutto perché sarebbero bastate delle belle parentesi senza far saltellare di continuo il lettore al fondo del capitolo o, come nel mio caso, senza costringerlo ad aprire e chiudere una finestra dopo l'altra sul Kindle.

Abbondano gli aneddoti che è meglio leggere lontano dai pasti (i migliori li ho mandati attorno alle 13 o alle 20 a marito, sorella e a un paio di amici ^^), c'è anche una mamma pancina intenzionata a mangiarsi la placenta, ma sostanzialmente è un libro serio che parla di un argomento ancora più serio cercando (riuscendoci) di non essere pesante come sarebbe stato se scritto da un saggista o da un  sociologo.

Non trascura nessun punto, dalla sgradevole abitudine che ormai hanno tante persone di arrivare davanti al medico con l'
autodiagnosi fatta sulla base di quello che si è letto in rete ("Spesso i pazienti arrivano in clinica con pile di pagine trovate su Google, stampate e sottolineate, ed è abbastanza odioso dover sprecare dieci minuti in più per ognuno a spiegare perché una blogger di Copenaghen con una pagina Wordpress piena di cuoricini rosa potrebbe non essere una fonte attendibile.") alle considerazioni sulle medicine alternative ("Posso più o meno capire la ragion d’essere di altre “terapie” complementari, ma l’entusiasmo per l’omeopatia mi lascia davvero perplesso. Il principio infatti è quello di assumere sostanze così diluite che ogni molecola di “medicinale” è acqua. Non è altro che la volontà di crederci. Immagino che sia un dio più facile da venerare di altri perché non c’è bisogno di pregare (a meno che non vi venga detto che non ha funzionato e stiate per morire), ma secondo me l’unica condizione che l’omeopatia può trattare è la sete."), dal pericolo di una sanità a pagamento ("Quando si parla di privatizzazione del sistema sanitario dovremmo vedere i prezzi vertiginosi del sistema americano come fantasma del Natale futuro.") alla mancanza di tutela da parte dei politici verso questo settore che è (sarebbe) nell'interesse di chiunque far funzionare nel migliore dei modi e il libro ha proprio lo scopo di far capire a chi non lavora negli ospedali gli aspetti e gli effetti di questo mestiere, le pressioni e le condizioni in cui devono esercitare queste persone mentre cercano di farci stare meglio, se non di salvarci la vita. Ce li ricordiamo ancora medici e infermieri all'opera nel pieno della pandemia, vero? Per diminuire le tasse ai ricchi chissà a chi taglieranno più fondi Meloni & co, se alla sanità o alla difesa...

Reading Challenge 2022, traccia bonus di settembre: catena di titoli


martedì 27 settembre 2022

"Gli ingredienti segreti dell'amore", Nicolas Barreau

 

Parigi, autunno di un anno non precisato. La stagione delle foglie morte è carica di drammi per la bella Aurélie: a ottobre l'improvvisa tragica morte del padre, a novembre la rottura altrettanto imprevista con Claude. Il primo le ha lasciato in eredità il piccolo e romantico ristorante Le Temps des cerises nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés, il secondo invece solo il biglietto in cui le comunica di aver incontrato la donna della sua vita.
Entrambi hanno ridotto a brandelli il suo cuore.
Una devastazione talmente evidente che un poliziotto, vedendola affacciata a un ponte dell'ile Saint-Louis, la scambia per un'aspirante suicida: per sfuggire allo zelo del flic Aurélie entra in una libreria, soltanto perché è l'unico negozio ancora aperto in quell'ora preserale. Venti minuti dopo esce con il suo acquisto non previsto: "Il sorriso delle donne", dell'inglese Robert Miller. Aurélie non è una consumatrice di libri, ma quello lo divora in una notte perché parla proprio del suo ristorante e perché la protagonista sembra essere lei!

Anche questa volta Barreau mi ha servito su un piatto d'argento la frase perfetta per descrive il suo libro: "Sembra la trama di un film americano di terz’ordine".

Scritto nel 2010, quindi due anni dopo "Con te fino alla fine del mondo" che avevo letto a marzo, "Gli ingredienti segreti dell'amore" (stando a Wikipedia) è il libro che ha reso famoso questo autore di cui non è neppure certa l'esistenza. 
Mi piacerebbe sapere se i dubbi circa la sua identità siano emersi subito dopo questo secondo romanzo: in questo caso potrebbe trattarsi di una mossa pubblicitaria sfuggita di mano.

Ma se Nicolas Barreau è davvero un'invenzione di una casa editrice tedesca, dietro deve esserci un unico ghostwritter perché i due libri sono penosamente simili: un'altra futura coppia (non accusatemi di fare spoiler, chiunque inizi un romanzo rosa è certo del happy end: se cercate la sorpresa vi conviene cambiare genere) che si conosce in modo non convenzionale, un'altra situazione dove i contatti avvengono tramite delle lettere, di nuovo uno dei due che ignora la vera identità dell'altro e di nuovo una Parigi super dolce e super romantica.

Se con Jean-Luc del precedente romanzo Barreau creava l'atmosfera sognante grazie ai fiori e ai profumi della primavera, con Aurélie si aiuta con i colori dell'autunno fino ad arrivare alla Parigi prenatalizia, che deve essere (io ci sono stata in agosto) il massimo esempio di inquinamento luminoso possibile (e speriamo che il caro bolletta quest'anno imponga a tutti, non solo ai parigini, un po' di buon senso...).

 "A Parigi faceva freddo e pioveva, ma quando sei innamorato il tempo non conta."

Insomma. Io il freddo patito a Torino (città che amo, ci tengo a precisarlo) nell'autunno del 1990 quando salivo per vedere mio marito (all'epoca fidanzato) impegnato col servizio militare me lo sento ancora nelle ossa al solo pensarci!

Ma queste romanticherie stucchevoli, di cui il romanzo è pieno, non sono il suo peggior difetto: è proprio la storia a essere debole e anche davvero poco appassionante, secondo me anche per gli amanti dei romanzi d'amore.

"Un buon libro è buono a ogni pagina", scrive Barreau: e quando non c'è neppure una pagina buona che libro è?

Reading Challenge 2022, traccia di settembre: un libro con la parola segreto/i nel titolo


domenica 25 settembre 2022

"Residenza per signore sole", Masako Togawa

 

Tokyo, 1° aprile 1951. Un uomo attraversa un incrocio col semaforo rosso. Viene travolto da un furgone e muore durante il trasporto in ambulanza. Indossa indumenti femminili, un pesante cappotto e pantaloni da sci, porta anche il rossetto. Il cadavere non viene identificato, nessuno lo reclama. Eppure una donna, quella che gli aveva prestato i vestiti, lo aspetta per sette anni chiusa nella sua stanza al quarto piano della “Residenza K per signore sole”.
Sette anni più tardi questo palazzo di mattoni rossi - costruito a inizio secolo per dare asilo con le sue centocinquanta stanze ad altrettante giovani donne, nubili o vedove - deve essere fatto arretrare per permettere il necessario allargamento della strada: non poche delle signore ormai mature, se non proprio anziane, hanno paura. Non che il palazzo possa crollare, le hanno rassicurate dicendo di restare nelle loro camere e di riempire fino all'orlo un bicchiere d'acqua: durante lo spostamento non se ne verserà nemmeno una goccia!
Quello che temono è che gli scavi nelle fondamenta portino alla luce certi loro segreti...

Soprannominata dal "Times" la P.D. James giapponese, Masako Togawa non è stata soltanto scrittrice, ma anche attrice e cantante.
"Residenza per signore sole" (precedentemente pubblicato con il titolo "Appartamenti per signore sole") è stato il suo primo romanzo, scritto nel 1957, vincitore del premio Ranpo Edogawa.
Dei successivi quindici titoli, soltanto due sono stati tradotti in italiano nella collana dei Gialli Mondadori ormai molti anni fa, cosa che li rende praticamente introvabili, e un po' mi dispiace perché - nonostante "Residenza per signore sole" sia stato per me una lettura molto lenta (dodici giorni per finirlo e sono soltanto 176 pagine), nonostante abbia dovuto farmi uno schemino per associare i nomi ai personaggi (quelli giapponesi mi sembrano sempre tutti uguali), nonostante l'atmosfera desolante che si respira in ogni singola frase e nonostante non sia riuscita a capire un particolare di rilievo - il libro mi è piaciuto e avrei voluto poter leggere anche gli altri due.

Il punto di forza è senz'altro l'ultimo capitolo, dove tutto viene rivelato: se il libro fosse stato più recente non lo avrei apprezzato allo stesso modo perché un buon giallo deve permettere al lettore attento di poter fare le sue deduzioni, ma essendo stato scritto 65 anni fa (un'età portata molto bene) sono stata più indulgente e questo mi ha permesso di godere di tutte le sorprese riservate al gran finale.

Resta però un libro opprimente a causa dell'ambientazione, che è l'unica vera protagonista. L'autrice aveva dichiarato di essersi ispirata a un'analoga residenza per sole donne in cui aveva vissuto per alcuni anni. Luoghi messi a disposizione di nubili e vedove, anche economicamente autosufficienti, che al posto di un'abitazione indipendente vivevano (se per scelta o meno non l'ho capito) in un'unica stanza priva di bagno (per lo meno è così la residenza K: cinque piani ognuno con trenta camere e appena due bagni su ogni pianerottolo).

Le donne del libro, pur essendo anche più che semplici vicine di "casa", non socializzano fra loro e il racconto trasuda rancore, invidia, maldicenza. Ma soprattutto lascia sgomenti la solitudine di questi individui, una sensazione angosciante che mi respingeva già dopo una manciata di pagine di lettura: ecco spiegati i dodici giorni che mi sono serviti per riuscire a finirlo.

Un titolo sconsigliato ai depressi.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di settembre: catena di titoli

sabato 24 settembre 2022

"Non sono un assassino", Francesco Caringella

 

Nardò (Lecce), 3 dicembre 2014. Non sono nemmeno le otto del mattino quando Francesco Prencipe, quarantacinquenne capo della Squadra mobile di Bari, raggiunge la villa di Giovanni Mastropaolo, suo coetaneo, giudice e amico fraterno. Giovanni lo ha convocato con una telefonata giunta all'alba, deve fargli una domanda, quattro parole che necessitano soltanto di un "sì" o di un "no" come risposta, ma prima deve raccontargli una storia.
E' dal giornale radio che poche ore dopo Francesco apprende la notizia della morte di Giovanni: la donna di servizio lo ha trovato riverso sulla scrivania della villa di Nardò. Un unico colpo sparato a bruciapelo in mezzo agli occhi, nessun segno di effrazione.
Due giorni dopo Francesco viene sottoposto a sei ore di interrogatorio e dopo altri due per lui si aprono le porte del carcere di Potenza. La PM Paola Maralfa, detta "il molosso", è convinta di avere prove schiaccianti contro di lui, prove che Francesco dovrà ribaltare per riconquistare la libertà.

Diverse cose accomunano Francesco Caringella e Gianrico Carofiglio: la città natale (Bari), l'età (1965 vs 1961), il titolo di studio (laurea in giurisprudenza), la carriera in Magistratura, l'esperienza politica (esperto giuridico durante il governo Berlusconi II vs senatore per il Partito Democratico) e l'essere scrittori.

Quello che non hanno in comune sono le capacità.
Per via della preparazione e delle esperienze dei due autori il confronto è automatico (non solo frutto della concomitanza di lettura, come mi era successo una decina di giorni fa con Alice Basso), ma per me la partita può chiudersi sul nascere per mercy rule.

"Non sono un assassino", scritto nel 2014, è il secondo romanzo di Caringella (il primo, "Il colore del vetro", precedente di due anni, 
credo sia fuori catalogo, non sono riuscita a trovarlo). Classificato come thriller da Amazon e da IBS, è invece un giallo giudiziario. Già dal primo brevissimo capitolo il lettore sa che andrà a leggere di un processo:

"Bene, se l’indagato non ha nulla da aggiungere, per me può bastare, sentenziò il sostituto procuratore. La sua voce mi graffiò come un’unghia avvelenata.
L’interrogatorio era finito.
La battaglia per riconquistare la libertà era appena iniziata."

Naturalmente viene ricostruita la vicenda che porta al procedimento contro il protagonista, ma essendo lui la voce narrante, oltre a offrire un unico punto di vista, priva il giallo di tutta la parte relativa all'indagine riducendosi all'istruttoria processuale. A tratti sembra la sceneggiatura di una puntata di Perry Mason, anche per via di un notevole anacronismo nei dialoghi.

La storia ha più di un punto debole e diversi particolari non vengono approfonditi come sarebbe stato giusto fare (magari limando certe lungaggini descrittive), uno stile semplice in mezzo al quale le frequenti impennate ridondanti risultano davvero sgradevoli (errore in cui non dovrebbe mai cadere chi scrive per professione), un finale non prevedibile, ma personalmente poco gradito e un protagonista che, in cima a tutto il resto, è il fulcro della manifesta inferiorità cui accennavo sopra rispetto a Carofiglio: Prencipe è presuntuoso e narcisista; Guerrieri e Fenoglio sono personaggi di tutt'altro spessore e carisma.

Carofiglio non avrebbe mai messo al centro di un suo romanzo una figura del genere, probabilmente non avrebbe mai nemmeno raccontato una storia simile.
A crearmi non poco disagio è l'impressione che Prencipe sia un personaggio odioso per me, non per chi lo ha creato.

Reading Challenge 2022, traccia di settembre: un libro con delle foglie in copertina

martedì 20 settembre 2022

"Il grido della rosa", Alice Basso



Torino, 8 agosto 1935. Sono passati esattamente due mesi da quando Corrado ha chiesto ad Anita di sposarlo e fra quattro lo faranno. E sono passati quasi due mesi da quando Anita ha cominciato a lavorare, esperienza che ha chiesto di poter fare prima di maritarsi e dedicarsi completamente al suo ruolo di moglie, nell'attesa di diventare anche madre.
Il guaio è che fare la dattilografa le piace.
Le piacciono le storie che Sebastiano Satta Ascona le detta. E le è piaciuto contribuire (anzi, l'idea è stata proprio sua) alla risoluzione di un caso risalente a 16 anni prima: in piena epoca fascista lei e Sebastiano si sono dovuti limitare a raccontare la verità mascherandola come uno dei tanti gialli americani che ogni mese pubblica "Saturnalia", ma qualcuno deve aver per forza capito che la storia era torinese e averla messa nero su bianco li ha fatti stare bene.
Il problema è che ad Anita non piacciono solo le storie che Sebastiano traduce e detta: le piace anche lui.

Seconda puntata della saga con protagonista Anita Bo che ha confermato l'impressione che avevo già avuto leggendo "Il morso della vipera": ci sono troppe similitudini fra questo personaggio e Vani Sarca. Oltre al lavorare entrambe per una casa editrice (seppur con ruoli diversissimi) e alla costruzione dell'intesa fra loro e il protagonista maschile, a lasciarmi più perplessa è il trovare gli stessi dialoghi, la stessa enfasi e lo stesso umorismo, somiglianze che non si possono attribuire allo stile dell'autrice: per due personaggi così diversi andava studiato un  modo di esprimersi, ragionare, comportarsi, ecc, altrettanto differente.

Comunque sia, Anita Bo, dopo due mesi trascorsi a dattilografare gialli americani, è diventata un'investigatrice provetta. Se nel primo libro della serie l'autrice ha dato la priorità alla presentazione dei nuovi personaggi lasciando la storia gialla ai margini, qui succede il contrario, le vicende orizzontali dei protagonisti procedono (di pochissimo, ma in fondo sono trascorsi solo due mesi e siamo in un'epoca in cui i rapporti personali erano scanditi dalla lentezza imposta dal "decoro"), ma gran parte delle 304 pagine raccontano il giallo: una ragazza sordomuta, Gioia Bratti, muore nel tentativo di scavalcare il cancello di villa Pazzaglia la sera in cui i conti hanno dato una festa per presentare il bimbo appena adottato, figlio della povera Gioia. Sebastiano è presente alla festa. Diana, la migliore amica di Gioia, conosce Candida Fiorio, l'ex professoressa di Anita e di Clara. Sarà un particolare raccontato da Diana a far drizzare le antenne della novella investigatrice e da lì tutto il resto.
Insomma, il festival delle coincidenze, mi urta sempre parecchio la mancanza di sforzo per evitarle da parte di un autore, ma tutto sommato il gialletto è piacevole e la sua costruzione ha dato modo alla Basso di raccontare cosa erano le OMNI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia).
Discutibile un'affermazione riguardante Candida ("Di tutte le pensate del regime che fanno saltare i nervi a Candida – e sono tante – l’ONMI è la peggiore, da sempre, senza tema di smentita."), peggio ancora che per Anita l'istituzione peggiore del regime sia il Sabato fascista: insomma, c'era ben altro per cui spazientirsi o di cui avere paura, ma le OMNI rientrano fra le cose buone e giuste che avrebbe fatto Mussolini a detta di ignoranti e/o fascisti, e la Basso ha fatto bene a dare voce a ragazze come Gioia e Diana, a raccontare le umiliazioni e i soprusi patiti.

Così come nella postfazione ha fatto benissimo a sottolineare che per le prostitute le case chiuse non erano il paradiso che certi nostalgici (uomini, ovviamente) hanno sempre cercato di fare credere.
Sempre molto attenta a date e fatti realmente accaduti, qui inserisce nella storia quello che fu definito "il disastro di Molare" avvenuto effettivamente il 13 agosto 1935, quando il lago artificiale di Ortiglieto esondò nell'Orba provocando un'onda che nell'ovadese e nel novese uccise 111 persone.

E questa volta viene precisato il paese di origine di Sebastiano, che nel primo libro era solo genericamente ligure: Rossiglione, paesino dell'entroterra genovese che in tempo di guerra si distinse per la lotta partigiana, subì tantissime perdite e venne insignito dalla Croce di guerra al valore militare da Sandro Pertini.
Un'ottima scelta dove collocare il padre di Sebastiano, al momento l'unico personaggio del libro veramente attivo nella lotta al fascismo.

Reading Challenge 2021, traccia di settembre: un libro con un mezzo di comunicazione in copertina





 

domenica 18 settembre 2022

"Rancore", Gianrico Carofiglio



Milano, novembre 2019. Penelope Spada, adesso 45enne, continua a lavorare come investigatrice privata, pur non avendo la licenza necessaria, e continua a ricevere i clienti sul retro del bar dell'amico Diego. I clienti o gli aspiranti tali, come la donna che quel mattino le è seduta di fronte: Marina Leonardi ha impugnato il testamento del padre Vittorio, morto da due anni per un comune infarto, ma lei è convinta che la matrigna sia riuscita in qualche modo a inscenare una morte naturale. Lisa Sereni, ex soubrette di bassa lega, ha due anni in meno di Marina e ne aveva ben trentatré meno del marito. Con la sua morte ha ereditato la stragrande maggioranza del patrimonio. Un enorme patrimonio.
Penelope accetta di occuparsi del caso, pur avvisando la cliente che ben difficilmente riuscirà a trovare prove su un fatto avvenuto due anni prima e che non è mai nemmeno stato un caso da seguire per le forze dell'ordine. E accetta senza informare la Leonardi che il nome di suo padre è in qualche modo legato al motivo per cui cinque anni prima lei si era licenziata dalla procura.

Seconda puntata della serie che ha per protagonista Penelope Spada. Sono trascorsi due anni fra le vicende raccontate nel primo libro, "La disciplina di Penelope", che è stato anche il primo che ho letto quest'anno.

"Rancore" ha confermato i miei dubbi e le mie perplessità. Mi fa sempre tanto piacere leggere Carofiglio, lo considero un autore di alto livello, i suoi romanzi non sono solo intrattenimento, sono istruttivi e anche questo lo è (carenza che invece avevo riscontrato nell'altro) offrendo un'accurata disamina su mafie e crimine organizzato, rendendo onore a Falcone e Borsellino e - grazie a personaggi legati alle logge massoniche - entrando in questo mondo oscuro riuscendo a descrivere con semplicità queste associazioni che di semplice non hanno proprio nulla e sulle quali ho un'opinione identica a quella che ho letto nel libro:

"Provo una diffidenza profonda nei confronti di quel mondo, mi sembra così poco compatibile con la mia idea di democrazia"
Il libro, come sempre, è ricco di belle citazioni e mi ha fatto sorridere vedere che anche Carofiglio, come me, parla ancora di scuola elementare e non primaria. Mi sono trovata d'accordo con molte altre affermazioni ("La maggior parte delle persone non ha opinioni personali, adotta quelle che sente da altri e si convince che siano proprie") fra cui, piacevolissima sorpresa, anche alcune animaliste:

"Noi non siamo lupi o tigri, loro non possono scegliere se mangiare o no la carne. Cosí come non potevano scegliere gli uomini primitivi. Tu e io viviamo in Italia nel 2019, e alimentarci senza carne – e anche senza pesce – non solo non comporta un pericolo per la vita, ma neanche un pericolo per la salute. Perciò noi scegliamo di mangiare gli altri animali. Mangiamo – mangiate – vitello dagli occhi dolci."
Propone addirittura una ricetta (che senz'altro proverò) a base di tofu - scelta molto coraggiosa visto che il tofu è l'emblema del cibo triste per chi ama sfottere i vegani (ma provate a seguire sui social i due ragazzi di Elefante Veg e poi vediamo chi mangia triste) - ed evidenzia la grande incoerenza della gente ("Noi non proviamo commozione o disgusto davanti a un bell’hamburger. Ma se assistiamo allo spettacolo di un vitello che si dibatte mentre lo trascinano, be’ qualche dubbio ci viene."). Avrebbe però potuto trovare un appellativo diverso per prendere le distanze da chi in qualche modo esagera: anche rompicoglioni mi sarebbe andato bene, ma "vegani estremisti" no, semplicemente perché (ed è ovvio, basta pensarci) essere vegani non permette mezze misure, non puoi essere solo un po' vegano. E, no, al vegano non puoi dire "ma vivi e lascia vivere", proprio non puoi. Anche il perché di questo è ovvio. Comunque sia, caro Carofiglio, trova un altro termine: "Estremista è chi sgozza, non chi salva" (cit.). Ma, tornando ai miei dubbi, è la protagonista che continua a non convincermi: la trovo così maschile da farmi continuare a chiedere perché Carofiglio non si sia inventato un altro personaggio uomo. Probabilmente però lui l'ha voluta proprio così perché la capacità di creare profili femminili credibili e accurati non gli manca, lo dimostrano due dei personaggi di questa storia, Lisa (la giovane vedova) ed Elena (la donna di servizio del defunto), ma a me Penelope Spada proprio non piace. E questo non vuol dire che non mi sia piaciuto il libro.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di settembre: catena di titoli


giovedì 15 settembre 2022

"La bambina con il cappotto rosso", Kate Hamer

 

Norfolk (Inghilterra), marzo 2000. Carmel, otto anni appena compiuti, è una bella bambina, intelligente e un po' svagata. Sembra aver superato serenamente la separazione dei genitori, è meglio non vederli più insieme se vederli insieme significa vederli litigare. E pazienza se sono cinque mesi che suo padre non la cerca, lui ha una nuova casa, una nuova compagna, una nuova vita, ma per fortuna Carmel ha ancora la sua mamma, ogni tanto bisticciano, ma si vogliono tanto bene, fanno tutto insieme e adesso le ha anche regalato quel bellissimo montgomery rosso, il suo colore preferito! La mamma le ha promesso che appena avrà risparmiato abbastanza soldi le comprerà anche le scarpe che hanno visto in una vetrina di un negozio in città, sembrano due coccinelle e Carmel non vede l'ora di averle ai piedi. Ma intanto si può distrarre con le loro gite, di recente sono andate in un labirinto bellissimo, quando è arrivata al centro Carmel si è addirittura addormentata sotto a un albero e purtroppo non ha sentito la mamma che la chiamava. E' stato il custode a ritrovarla quando era già buio. Non aveva mai visto la mamma così preoccupata...
Così lo sa di fare qualcosa di sbagliato quando al festival delle storie si nasconde sotto a un tavolo, ma non ne può più di essere strattonata dalla mamma che non le lascia la mano neppure per un attimo, non permettendole di sfogliare i libri come vorrebbe! Un attimo di distrazione e Carmel scivola sotto al tavolo, ma poi ci resta per troppo tempo, come nel labirinto, e quando esce fuori la mamma non c'è più. Si mette a cercarla, ma trova solo quel signore con gli occhiali rotondi che aveva già notato in precedenza, senza mai parlargli. Questa volta, però, lui le va vicino e le dice qualcosa di terribile: sua madre è stata investita da un camion mentre la cercava e l'hanno portata in ospedale. Gli ha chiesto di badare a lei perché lui è suo nonno.
E Carmel lo segue, perché ha otto anni, perché lo sa di avere davvero un nonno anche se non lo ha mai visto, perché si sente in colpa per l'incidente della madre e perché non sa che quell'uomo in realtà la sta rapendo.

Opera prima, scritta nel 2015, da questa gallese autrice di almeno altri due romanzi, ma per ora in italiano (e in altre quindici lingue) è stato tradotto soltanto questo.

Una discreta penna, uno stile che non è scontato trovare all'esordio. Soprattutto una grande capacità nel dare voce ai pensieri e agli stati d'animo di una bambina nei capitoli dove è Carmel la voce narrante e nel trasmettere il panico (prima) e il senso di vuoto (poi) di Beth, la madre, in quelli dove è lei raccontare.

"Andarmene da quel posto sarebbe stata un'ammissione, eravamo arrivate in due e me ne andavo via da sola"
Un libro che però mi ha delusa. L'inizio è davvero coinvolgente (e sconvolgente), decisamente thriller, con il rapimento di questa bambina - tema decisamente abusato all'epoca dell'uscita - che però si distingue per la particolarità della convinzione da parte di Carmel di essere stata affidata al nonno materno. Ma una volta avvenuto il rapimento la suspense cessa di colpo e il libro va a rientrare nel genere di narrativa contemporanea (come viene classificato sui soliti Amazon e IBS), di stampo altamente drammatico. L'adrenalina torna a riaffacciarsi ancora un paio di volte nelle pagine, ma giusto un guizzo, possibili svolte che l'autrice abortisce subito creando non poca delusione da parte di chi, come me, dalla trama e dall'incipit pensava di aver comprato e di stare leggendo un thriller. Manca però tutta la parte investigativa, la vicenda non si focalizza mai sulle indagini della polizia, la storia non viene mai spiegata dal punto di vista dei detective, né viene mai detto cosa fanno. Ma ci sono svariati punti inseriti nella trama che poi non vengono sviluppati e/o chiariti, difetti che per alcuni possono essere irrilevanti, ma che io noto e biasimo. In generale manca proprio il giusto equilibrio fra le parti: il contrasto fra l'inizio altamente trascinante e tutto il corpo centrale lento, ripetitivo, addirittura noioso, è già di per sé penalizzante, ma poi si arriva a un finale che sembra mozzato di netto: è conclusivo, ma non è esaustivo e dopo tutta quella staticità il lettore avrebbe diritto a essere reso partecipe di ciò che accade, mentre si ha la sensazione di essere cacciati via.

Reading Challenge 2022, traccia di settembre: un libro con un colore nel titolo

martedì 13 settembre 2022

"Il morso della vipera", Alice Basso

 

Torino, giugno 1935. Anita è la più bella ragazza del quartiere, nessun uomo rimane indifferente di fronte alle sue forme e ai lunghi capelli neri. Anita sa quello che tutti pensano: che se una donna è bella, allora è inevitabilmente stupida e lei non ha mai esitato a sfruttare questa convinzione a suo vantaggio. Del resto è anche vero che a scuola non ha mai brillato (a differenza della sua migliore amica Clara, che incarna l'altro luogo comune di cui sono vittime le donne: bruttezza = intelligenza), ma quel diploma preso all'istituto professionale adesso le torna utile per realizzare un suo desiderio, quello di lavorare per sei mesi prima di convolare a giuste nozze con il fidanzato Corrado.
Un desiderio che, in verità, non sapeva neppure di avere prima che le sfuggisse di bocca al momento della proposta di lui...
Ma adesso un lavoro lo ha: è la dattilografa della casa editrice Monné, quella che stampa la rivista di racconti gialli "Saturnalia". Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Anita batte sui tasti della Olivetti M40 quello che Sebastiano Satta Ascona traduce e inventa: perché lui, oltre a tradurre i racconti gialli americani, è l'autore della serie che ha come protagonista il commissario Bonomo.
Anita, che non è mai stata amante della lettura, scopre all'improvviso quanto sia bello immergersi nelle parole. A non piacerle sono solo le avventure di Bonomo, un fascistone come il suo creatore... o forse no?

Il mese scorso avevo letto l'ultimo libro con Vani Sarca come protagonista e non avevo in programma di buttarmi subito in questa nuova serie di Alice Basso.
Ma poi sono uscite le tracce di settembre della Reading Challenge... La prima recita "il primo libro di una serie" e la mia wish list mi offriva due opzioni: Anita Bo della Basso oppure la trilogia di Notting Hill di Madeleine St John. Ha vinto la Basso solo perché un'altra traccia del mese chiede che venga letto un libro con un mezzo di comunicazione in copertina e nel secondo di questa serie ("Il grido della rosa", che ho già iniziato oggi al mare) c'è un bel telefono in bachelite.
C'è anche una traccia per la quale bisogna leggere un libro con un investigatore dilettante o professionista, così, se ne avrò il tempo, leggerò anche il terzo (e per ora ultimo) romanzo di questa serie ("Una stella senza luce").

Da questo via uno, sotto l'altro sarebbe lecito pensare che questo libro mi sia piaciuto da morire. Invece no. E' senz'altro una serie che voglio proseguire, il punto di forza (e contemporaneamente anche il grosso, enorme, limite) dei libri di Alice Basso è la semplicità: pura lettura di svago, piacevole (se piace il genere, ovvio), rilassante, divertente. Libri così è difficile che possano "piacere da morire", di certo non a me. Si lasciano leggere (o leggiucchiare, come direbbe l'autrice ^^) e non distraggono né impegnano quando ci si dedica a più di un titolo contemporaneamente.

E qui scatta l'impietoso paragone con Gianrico Carofiglio: ieri, dopo aver finito "Il morso della vipera", ho iniziato "Rancore", il secondo della serie di Penelope Spada. Sono arrivata solo al 21%, che corrisponde grossomodo a pagina 43, ma posso già fare un confronto fra questi due gialli che hanno come protagonista una investigatrice donna: la distanza fra loro è abissale.

E non mi riferisco alle storie gialle che raccontano: quella di "Rancore" nel punto in cui sono arrivata è ancora ai preludi, mentre quella de "Il morso della vipera" - un cold case risalente al 1919 - è solo il pretesto su cui Alice Basso ha costruito e raccontato non solo la sua protagonista, ma anche i vari personaggi seriali (Sebastiano, Corrado, Clara, ma anche la famiglia Bo e gli altri minori). Un abbozzo di gialletto, in linea con quelli che impegnavano Vani Sarca: ci stà, se si cerca un vero giallo si legge altro.

L'abisso che separa Carofiglio dalla Basso sono i contenuti: il 21% di "Rancore" mi ha già fornito nozioni sui metodi di indagine e considerazioni politiche e sociali al limite della saggistica. Carofiglio non rientra nel mio concetto di lettura di svago: raramente è rilassante; il suo umorismo è particolare, personalmente lo amo, ma non è per tutti; e nei suoi libri ci mette tutta la sua esperienza di magistrato e politico finendo col fare scuola.

Alice Basso non ha il suo spessore, forse non vorrebbe neppure averlo, di sicuro neanche prova ad avvicinarcisi. Però questa volta ha scelto di ambientare la sua nuova serie in epoca fascista. Nella postfazione spiega il perché di questa scelta e perché abbia optato per il 1935 come anno di ambientazione:

"Perché ho pensato che ambientare una storia nel 1938 significasse per noi, lettori di oggi, farla troppo facile. Il 1938 è l’anno delle leggi razziali in Italia, della Conferenza di Monaco; c’era il Minculpop, si era già visto cos’avevano fatto in Etiopia, cosa stava facendo l’amicone Hitler eccetera. Noi, oggi, se guardiamo al 1938, lo vediamo subito, da che parte stanno i cattivi. Poi lo sappiamo, perché lo studiamo a scuola, che essere italiani e antifascisti nel 1938 era difficilissimo, che a esserci in mezzo c’era il rischio di non capirci niente o di cedere alla tentazione di non voler capire, che opporsi era così pericoloso e inusuale che la maggior parte dei cittadini non prendeva neanche in considerazione di poterlo fare eccetera; però, lo stesso, per noi lettori di oggi è più facile, forse anche più interessante, identificarci con quell’atmosfera ancora nebulosa che aleggiava fino al 1935. Quella in cui le cose non erano ancora esplose, tanta gente era ancora disposta a stare a vedere, a dire sì, mah, però, tutto sommato, ad accettare il compromesso. Ecco. Secondo me quell’atmosfera lì sì che ci fa suonare delle corde interiori."
Non sono d'accordo. Dal 10 giugno 1924 era chiaro per chiunque cosa fosse il fascismo. Undici anni dopo l'atmosfera non era affatto "nebulosa" e siccome vengo da una famiglia che non ha mai accettato "il compromesso" (pagandone le conseguenze) non ho digerito la bonarietà con cui la Basso ha intriso questo libro. Molti torinesi figli o nipoti dei miei omologhi genovesi racconterebbero episodi ben diversi da quelli al limite della caricatura interpretati da Anita e dagli altri. Leggendo ho più volte pensato che il libro aspirasse a candidarsi per una fiction di mamma RAI, ma - soprattutto quando l'Italia è prossima all'essere di nuovo governata da un partito che ha la fiamma nel suo simbolo - è bene essere chiari e netti quando si racconta cosa è e cosa è stato il fascismo. E' proprio il momento storico più sbagliato per essere magnanimi.

Reading Challenge 2022, traccia di settembre: il primo libro di una serie


domenica 11 settembre 2022

"L'anomalia", Hervé Le Tellier

 

Costa est degli Stati Uniti, acque internazionali
10 marzo 2021
42° 8' 50" N
65° 25' 9" W

E' in quel preciso punto dell'oceano che il volo 006 dell'Air France in volo da Parigi a New York si trova a dover affrontare un gigantesco cumulonembo non segnalato. Le 243 persone a bordo fra equipaggio e passeggeri trascorrono interminabili minuti sballottati come se si trovassero all'interno di una lavatrice durante la centrifuga, mentre la fusoliera viene bersagliata da una potente grandinata. Tutti pensano di precipitare, invece il comandante David Markle riesce a portare il suo aereo fuori dalla turbolenza e raggiungere l'aeroporto Kennedy.

Costa est degli Stati Uniti, acque internazionali
24 giugno 2021
41° 25' 27" N
65° 49' 23" W

E' in quel preciso punto dell'oceano che il volo 006 dell'Air France in volo da Parigi a New York si trova a dover affrontare un gigantesco cumulonembo non segnalato. le 243 persone a bordo fra equipaggio e passeggeri trascorrono interminabili minuti sballottati come se si trovassero all'interno di una lavatrice durante la centrifuga, mentre la fusoliera viene bersagliata da una potente grandinata. Tutti pensano di precipitare, quando all'improvviso tutto finisce e il sole risplendente dai finestrini dell'aereo.

Si tratta dello stesso aereo, con lo stesso equipaggio e gli stessi passeggeri a bordo. Per loro non sono trascorsi tre mesi, credono che sia ancora il 10 marzo. Non sanno di essere delle "fotocopie", dei "duplicati". I servizi segreti non sono in grado di capire questa anomalia e possono solo far scattare immediatamente il Protocollo 42.


Per dire qual è la mia opinione su questo romanzo inizio dalla fine: pagina dopo pagina ero ansiosa di vedere quale conclusione avrebbe escogitato l'autore e la sua trovata mi è piaciuta moltissimo.
Se l'ho capita.
Sono abbastanza sicura di averla interpretata correttamente e mio marito - a cui ho raccontato il libro passaggio per passaggio nel corso della lettura (avrebbe fatto prima a leggerselo) - mi ha dato ragione, cosa rilevante perché lui è appassionato di questo genere di storie sotto forma di libri, fumetti, film e serie tv, mentre a me manca totalmente la capacità di ragionare in termini fantascientifici.

Perché questo libro - alla faccia di Amazon e di IBS dove è classificato come narrativa contemporanea - è un libro di fantascienza: puoi metterci dentro storie d'amore, sfumature noir, introspezione psicologica, abusi e altro, ma se la storia si basa su un aereo che misteriosamente ricompare in cielo con a bordo i doppi di persone già esistenti, per me è fantascienza allo stato puro. E non lo dico con disprezzo, anzi: il libro mi è piaciuto tantissimo, nonostante sia di questo genere che detesto.

Ho iniziato parlando del finale del libro perché - a parte fidarmi di Fabio - ho avviato in rete una ricerca del tipo "l'anomalia harvé le tellier spiegazione finale": la spiegazione non l'ho trovata, ma mi sono imbattuta nell'articolo dedicato al libro sul sito de "Il libraio" e su un'altra interessante recensione su "Doppiozero". Che il romanzo, scritto nel 2020, avesse vinto il premio Goncourt nello stesso anno lo sapevo già (quando a maggio avevo letto "Adesso basta parlare d'amore" mi ero già un po' documentata su Le Tellier), ma gli autori dei due articoli (rispettivamente Mauro Baudino e Alice Figini) hanno evidenziato le mie lacune.

Delle tante intersezioni letterarie ne ho colto ben poche e probabilmente dovrei un po' vergognarmi nel dire che in mezzo ai vari Tolstoj, Proust, Camus e Calvino, il rimando che ho apprezzato di più è stato quello a "Red Dragon", thriller di Thomas Harris che, secondo me, è ancora più bello del già bellissimo e ben più famoso "Il silenzio degli innocenti".

E' andata sicuramente peggio con i riferimenti a trasposizioni cinematografiche (c'è tutto un dialogo preso pari pari da "Indipendence Day", ma io l'ho scoperto solo perché poco oltre lo riconosce uno dei personaggi) o televisive (il libro viene paragonato a "Black Mirror" che io avevo solo vagamente sentito nominare e che fino a poche ore fa pensavo fosse un film e non una serie tv), ma anche leggere nelle recensioni altrui di "suggestioni metaletterarie" mi fa sentire ignorante perché non saprei proprio spiegare cosa sono, quindi neppure riconoscerle.

Per lo meno ho colto e apprezzato i "significati nel sottotesto", politici, ecologisti e contro il fanatismo religioso.

Pur essendo due romanzi completamente diversi, ho ritrovato l'umorismo dell'autore, piacevole come nel libro letto quattro mesi fa, e il suo stile diretto, così godibile da non farmi avvertire il fastidio che di solito provo nel leggere frasi brevi.

Non so se sia davvero un capolavoro visionario perché non so a cosa paragonarlo, ma è un libro che va oltre la fantascienza spingendo verso riflessioni e considerazioni personali che possono anche essere dolorose.

"Victor ha lasciato passare la vita, e c'è di che mettersi a piangere"

Reading Challenge 2022, traccia di settembre: un libro di un editore che non leggi spesso

mercoledì 7 settembre 2022

"Donne che comprano fiori", Vanessa Montfort

 

Madrid, inizio estate. Il giardino dell'angelo è un negozio di fiori, suggestivo come la zona in cui si trova, il barrio de las Letras. Il suo punto di forza è il giardino interno, ricavato dall'antico cimitero della chiesa di San Sebastiàn.
O forse è Olivia, la proprietaria. Sulla sessantina, alta, magra, elegante, capelli color mandarino.
In quella estate definita la più calda del secolo (siamo quindi nel 2003?) diventerà il cardine per altre cinque donne - Marina, Galatea, Casandra, Aurora e Victoria - ognuna in una fase di cambiamento: una trasformazione sperata, cercata e/o subita, ma che alla fine di quell'estate le renderà diverse e più forti rispetto al giorno in cui si erano ritrovate per la prima volta sedute insieme nel giardino di Olivia.

"Ci sono donne che comprano fiori e altre no"
Io non ne compro. Sto cercando di ricordare: mi viene in mente solo un mazzo di fiori preso con Interflora per il matrimonio di un'amica romana ormai una trentina d'anni fa, ma direi che è stata l'unica volta. Di certo non ho mai comprato fiori recisi per me, o per casa, come si usa dire. Ricordo una bella pianta di margherite presa nell'estate del 1988 e molte di gerani che qualche anno dopo avevo dovuto comprare per rimpiazzare quelle che avevo fatto morire di sete scordandomi completamente della loro esistenza durante una vacanza dei miei. Poi tre piantine di primule appena sposata, che si erano afflosciate miseramente nell'arco di pochi giorni. Insomma, il pollice verde non è una mia qualità e, come mi è già capitato di scrivere, pur apprezzando l'oggettiva beltà dei fiori, non ne subisco il fascino. E probabilmente farei bene a evitare anche l'argomento fiori nei libri. Qui la loro presenza e, soprattutto, il loro presunto significato sono meno invasivi rispetto a "Il linguaggio segreto dei fiori", ma abbastanza rilevanti da farmi associare i due romanzi nonostante raccontino storie diverse. Curioso, fra l'altro, che entrambe le autrici si chiamino Vanessa.
Questa è nata a Barcellona nel 1975 e, oltre a essere scrittrice, è anche autrice teatrale, cosa che spiega il modo molto scenografico che ha di descrivere le varie ambientazioni, che si tratti del giardino o del quartiere. Scritto nel 2016 e pubblicato in Italia l'anno successivo, è un romanzo molto spagnolo che definirei esclusivamente femminile, sia perché i personaggi maschili sono quasi delle comparse, sia perché fatico a immaginare un lettore interessato a questa storia.
E' un inno all'amicizia fra donne, a quel mix di complicità e solidarietà che è davvero tanto, tanto difficile veder realizzare nella realtà.

Ma vorrebbe anche essere un inno al femminismo, un tentativo secondo me mal riuscito perché tanto è apprezzabile l'esortazione al metterci in primo piano quando un po' tutte tendiamo ad anteporre i desideri altrui ai nostri (io in realtà sono piuttosto egoista, soprattutto nei riguardi del mio tempo, ma mi ha fatto riflettere la considerazione del non avere in casa un ambiente tutto per me, cosa che invece mio marito ha), quanto poi è deludente constatare come l'autrice riconduca la felicità all'amore ("Casandra vuole quello che vogliamo tutte. Essere amata.").

Certo anch'io ritengo che la serenità di coppia (e anche qualcosa di più, magari) sia, se non fondamentale, quanto meno molto rilevante nella sfera del benessere generale di una persona, ma penso che si possa raggiungere un equilibrio più che soddisfacente anche senza dover vivere per forza una relazione. Inoltre i disagi interiori delle protagoniste hanno origine dai rapporti conflittuali con le rispettive madri, un problema che non mi ha mai sfiorata e in cui non riesco a immedesimarmi.
Ho trovato molto discutibili le riflessioni sulle donne parassita che sarebbero quelle mogli tradite che usano la pietà per trattenere il proprio marito. Marito che, quindi, viene descritto come vittima di queste mogli. Mah, ogni caso è una storia a sé, però credo che il più delle volte se una persona non tronca una relazione per un'altra sia perché alla fine sceglie quella che preferisce e tutto il resto è una scusa addotta spesso anche con se stessi.

Il modo in cui vengono trattate queste tematiche, in associazione al clan femminile che si forma e alle grandi bevute che si fanno, rendono il romanzo una sorta di Sex and The City madrileno, con protagoniste meno glamour e meno simpatiche: nessuna mi ha conquistata particolarmente e avrei apprezzato una narrazione veramente corale al posto di una Marina unica voce narrante. Di questo personaggio mi sono piaciuti solo il nome (che è quello di mia sorella), quello del defunto marito (Oscar, che era il nome di mio padre) e Capitàn (il gatto).

Nel romanzo appaiono poi camei di diversi personaggi famosi, Rosa Mantero, Kiddy Citny, ecc.
Compare anche l'autrice stessa, una mossa autocelebrativa che non mi è piaciuta.

Reading Challenge 2022, traccia di settembre: un libro pubblicato da due editori diversi

giovedì 1 settembre 2022

Reading Challenge: le tracce di settembre

    


Primo gruppo (un solo libro per traccia):

  • Il primo libro di una serie
    "Il morso della vipera", Alice Basso (3 punti)
  • Un libro con un colore nel titolo
    "La bambina con il cappotto rosso", Kate Hamer (3 punti)

  • Un libro pubblicato da due editori diversi
    "Donne che comprano fiori", Vanessa Montofort (3 punti)

  • Un libro con un mezzo di comunicazione in copertina
    "Il grido della rosa", Alice Basso (3 punti)

  • Un libro di un editore che non leggi spesso
    "L'anomalia", Hervé Le Tellier (3 punti)

Secondo gruppo (un solo libro per traccia, solo se si sono letti i cinque libri delle tracce del primo gruppo):

  • Un libro con la parola segreto/i nel titolo
    "Gli ingredienti segreti dell'amore", Nicolas Barreau (3 punti)
  • Un libro comprato in edicola
  • Un libro con delle foglie in copertina
    "Non sono un assassino, Francesco Caringella (3 punti)
  • Un libro con protagonista un investigatore dilettante o professionista
  • Un libro che richiama un altro libro

Traccia bonus (uno o più libri): 
catena di titoli
  • "Rancore", Gianrico Carofiglio (2 punti)
  • "Residenza per signore sole", Togawa Masako (1 punto)
  • "Le farò un po' male", Adam Kay (2 punti)
  • "L'estranea", Patrick McGrath (3 punti + 1 punto foto)
 
I miei punti = 30


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Casata: L'ordine della fenice