sabato 29 maggio 2021

"Questa volta tocca a te", M.J. Arlidge



Southampton (Inghilterra), dicembre di un anno non precisato.
Vuoi vivere? Per poter continuare a farlo devi uccidere la persona che è imprigionata con te. Non importa quale sia il vostro legame, se siete una coppia, un figlio e un genitore o due semplici colleghi: la realtà è che siete in trappola, senza cibo nè acqua e nessuno può sentire le vostre urla disperate. Avete solo una pistola con un unico colpo in canna e solo chi dei due avrà il coraggio di usarla contro l'altro potrà lasciare il posto che, altrimenti, diventerà la tomba di entrambi.
A Helen Grace, ispettrice di polizia prossima alla quarantina, non era mai capitato di doversi occupare di omicidi seriali. Sa che per trovare l'assassino deve capire quale sia il collegamento fra le vittime, ma sembra non esserci nulla che li accomuna. E i superstiti forniscono descrizioni diverse fra loro della persona che li ha rapiti.
Una persona che chiaramente non sta scegliendo a caso chi colpire: si è preparata, ha studiato le loro abitudini e ora i rapimenti si susseguono rapidamente.
Helen non ha scelta: deve essere più veloce.

Opera prima di Matthew J. Arlidge, autore inglese classe 1974. Scritto nel 2014 è il primo di una serie di nove romanzi (più due racconti) che hanno per protagonista l'ispettrice Helen Grace (due anni fa ha scritto anche un romanzo scollegato dalla serie). Dei nove sono stati tradotti in italiano soltanto questo e il secondo, "Nessuno escluso", ed essendo ormai passati diversi anni dubito che Corbaccio o qualche altro editore lo riprenda in considerazione.

Peccato. "Questa volta tocca a te" (titolo originale: "Eeny Meeny", che curiosamente Google mi suggerisce di tradurre dal malgascio, ma che - come mi hanno spiegato - è l'inizio di una filastrocca) è un buon thriller, anche se non manca qualche difetto, e mi sarebbe piaciuto poter leggere anche gli altri.

Tantissimi capitoli (117) per una lunghezza media (359 pagine), quindi tutti molto brevi e anche per questo incalzanti. Arlidge non è riuscito a mantenere sempre alto il livello di suspense, ma ce ne ha messa parecchia ed è stato bravo a inserire dei piccoli particolari che portano a sospettare di persone diverse. Un punto, o meglio, il ruolo di un personaggio, secondo me non è stato chiarito a sufficienza, ma la storia rimane abbastanza originale dal non sembrare la fotocopia di tanti altri thriller.

Cosa che non si può dire della sua protagonista che è la gemella della Kim Stone di Angela Marsons, ma se uno dei due scrittori si è "ispirato" all'altro, allora la copiona è la Marsons dato che "Urla nel silenzio" è uscito un anno dopo questo.

Sia come sia, Helen è un'altra donna tosta che ce l'ha fatta in un settore dominato dagli uomini. Dura e inflessibile sul lavoro, all'apparenza potente come la Kawasaki che conduce a 160 chilometri all'ora, ma in realtà con un passato di sofferenze e di esperienze indicibili a cui è riuscita a sopravvivere solo costruendosi quella corazza che ora non permette a nessuno di scalfire.

A me questo genere di protagonista (lo dico in maniera netta) sta sulle balle. Prima ancora non sopporto che una donna in un ambiente lavorativo misogino venga rispettata perchè si comporta come un uomo (o con atteggiamenti che uomini misogini considerano degni di rispetto). E non c'entra che Helen Grace sia stata creata da un uomo: la Marsons è donna e ha fatto la stessa cosa.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia sorpresa di maggio
 

martedì 25 maggio 2021

"Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose", Gianrico Carofiglio



Ultimo saggio scritto da Carofiglio (2020), il primo che leggo senza che siano già passati anni dall'uscita e, nonostante ciò, già leggermente superato, non nei concetti espressi - che spero non diventino mai anacronistici - ma per via dei tanti riferimenti a Donald Trump, che per fortuna non è più il presidente degli Stati Uniti.

Un saggio che, a dispetto del sottotitolo, ho trovato meno politico dei precedenti perchè i suggerimenti proposti possono essere utili a chiunque si trovi a confrontarsi con gli altri, a prescindere da situazioni e argomenti. Inoltre, volendo ricercare "gentilezza" e "coraggio" nella classe politica attuale, bisognerebbe consigliare a ogni membro (discorso che si può estendere anche ai giornalisti, televisivi e non) di leggere e fare tesoro di questi "suggerimenti".

Un saggio molto psicologico, molto interessante e per niente semplice, almeno non per me.

Molti i riferimenti alle arti marziali, care all'autore, dove l'arrendevolezza diventa arma e dove i k
ōan sono uno strumento fondamentale della pratica zen, ma soprattutto mette in evidenza questioni che possono sembrare ovvie, ma che non lo sono, come la differenza fra il buon comunicatore e l'efficace manipolatore o quella fra rapidità e fretta, aspetti su cui riflettere non è mai tempo perso, proprio in virtù di quell'effetto Dunning-Kruger ben spiegato da Carofiglio: più si è incompetenti, più si è convinti di non esserlo.

Ed è successo quello che temevo, cioè trovare il Covid anche nei libri. Come tutti, ho superato da un pezzo il limite di sopportazione verso l'attuale situazione e l'idea di ritrovarla anche nei momenti di svago non mi fa piacere. Ma Carofiglio non avrebbe potuto non parlarne e lo fa nel merito dell'onere della prova in riferimento a complottisti e no vax, trovandomi d'accordo con ogni sua affermazione.

"Il problema di questo mondo è che le persone intelligenti sono piene di dubbi e i cretini sono pieni di certezze"
(Bertrand Russel)


Smonta con estrema facilità (e non potrebbe essere altrimenti) quei politici che si definiscono "votati dal popolo" quando è sufficiente un semplice calcolo percentuale per far crollare quest'assurda affermazione.

E le percentuali tornano in riferimento alla "euristica della disponibilità" (fenomeno della psicologia sociale di cui ignoravo il termine) che avviene quando si ha una percezione sbagliata del reale rischio di qualcosa. E' quello che succede con il fenomeno delle migrazioni. Carofiglio riporta le percentuali di un sondaggio svolto nel 2019 dove ai cittadini veniva chiesto di stimare la percentuale degli immigranti rispetto alla popolazione generale. Noi italiani abbiamo risposto 31% (il dato effettivo era del 9%), gli ungheresi 20% (dato reale 2%), i greci 35% (in realtà è l'8%).
Differenze abnormi, preoccupanti, che rappresentano il livello di ignoranza non sempre giustificabile con una cattiva informazione, sempre meno sostenibile data la possibilità di attingere alle notizie che abbiamo oggi (e, no, non basta aver letto il titolo di un articolo su FB o che qualcuno ci abbia riportato la notizia su Whatsapp). Senza un approfondimento, il più possibile esteso, si resta ignoranti.

"L'ignoranza alimenta la paura, la paura alimenta l'odio, l'odio alimenta la distruzione della convivenza e, in definitiva, del senso di umanità"

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di maggio (l'autore è nato il 30 maggio 1961)



domenica 23 maggio 2021

"Con parole precise", Gianrico Carofiglio



Un altro Carofiglio (sto sfruttando bene la traccia compleanno della Reading Challenge per gli autori nati a maggio), questa volta un saggio su un tema a lui tanto caro: il linguaggio.

Scritto nel 2015, rappresenta una sorta di prima "puntata" rispetto a "Con i piedi nel fango" (del 2018) che - non sapendolo - avevo letto l'anno scorso. Aggiungendo "La manomissione delle parole" (2010) si potrebbe tranquillamente parlare di una triologia in cui l'autore evidenzia i difetti del linguaggio politico e giuridico.

In questo la parte dedicata ai politici è minore, cosa che lo rende il meno anacronistico fra i tre saggi. Analizzando le metafore usate da Berlusconi, Bersani, Renzi, ecc,  Carofiglio evidenzia come queste possano diventare strumenti manipolatori quando i politici si esprimono per slogan.

"Le società nelle quali prevalgono le asserzioni vuote di significato sono in cattiva salute"

Maggiore lo spazio che riserva all'inutile complessità del linguaggio giuridico, sottolineando come per chi opera in questo campo sia un dovere farsi capire e di come per noi altri capire sia un diritto.
Ripete l'analisi già espressa ne "La manomissione delle parole", ma riportando molti esempi della lingua burocratica che - giustamente - definisce inumana, riesce anche a essere esilarante.

Fra le tante citazioni, tutte interessanti e mai banali - da Primo Levi a Ungaretti, da Tolstoj a Simenon - c'è anche un bellissimo passaggio dell'altrettanto bello "La ballata di Adam Henry" di McEwan. Le parole precise servono anche in letteratura: lì non c'è l'obbligo civile della chiarezza, ma "le storie devono produrre un senso".

Mi ha fatto sorridere leggere proprio da parte di Carofiglio un elogio alla concisione - una qualità che non mi sento di riconoscergli, soprattutto quando è in veste di oratore - e che di sicuro io non ho! E mi ha permesso di tradurre in parole quello che già sapevo di me, cioè di preferire le letture descrittive a quelle emozionali.

A proposito del linguaggio giuridico italiano, con l'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 deteniamo il record mondiale (fonte Michele Ainis) del periodo più lungo usato in una legge, appunto: 23.510 parole! Per altro si tratta di una legge riguardante le misure di razionalizzazione della finanza pubblica...

E puntando il dito sui periodi assurdamente lunghi presenti anche nella letteratura, Carofiglio sostiene che per essere chiari non dovrebbero superare le 25-30 parole. Qui io commento con un "dipende" che, fresca della lettura di Philip Roth, mi rende inattaccabile, ma i periodi lunghi li ho sempre amati, così come quelli brevi tendono a irritarmi, ma anche in questo caso il "dipende" è obbligatorio...

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di maggio (l'autore è nato il 30 maggio 1961)



giovedì 20 maggio 2021

"Saluti (poco) cordiali", Christophe Carlier



Isola al largo della Bretagna, 13 ottobre 2014. E' quello il giorno in cui Gabriel, l'anziano postino dell'isola, consegna la prima di una lunga serie di cartoline anonime. La prima arriva a Théodore che, impassibile, la legge e la strappa. La seconda è per Firmine e anche lei non ne parla a nessuno. Invece Léocadie, a cui arriva la terza, se ne lamenta al bar e da lì in poi tutti nell'isola iniziano a sentirsi possibili bersagli di quello che in breve soprannominano "il corvo".
Qualcuno che li osserva, che li giudica e che in due frasi secche dispensa a chiunque prenda di mira rimprovero e accusa.
Qualcuno che li conosce bene, ma chi può essere?

Romanzo breve di cui, per un volta, il titolo italiano è migliore di quello originale (
"Ressentiments distingués"). Tredicesimo (e attualmente penultimo) romanzo scritto dall'autore nel 2017 e vincitore del Prix Sentiers d'Auteurs nello stesso anno. Primo tradotto in italiano.

Avevo grandi aspettative perchè mi piacciono la Francia e i francesi e mi riprometto sempre di leggere più autori d'oltralpe, cosa che ogni anno finisco per non mettere in pratica. Di questo breve romanzo mi attirava tutto: oltre alla nazionalità dell'autore, anche il titolo, la copertina, la classificazione fatta da IBS nei gialli e, naturalmente, la trama.

Invece sono state 180 pagine di una noia indicibile e non mi è bastata la piccola sorpresa nel finale e la raffinata chiusura per trasformare in positivo il mio giudizio.

Per lo stile, raffinato è l'aggettivo che meglio si adatta a tutto il romanzo, Carlier scrive indubbiamente bene: però non racconta bene. I personaggi, anche quelli principali, sono talmente poco abbozzati da essere più che altro delle comparse. E dell'isola - che ci fa vivere dall'inizio dell'autunno alla fine della primavera, quando cioè è libera dalla presenza dei villeggianti e quando il clima la avvolge di tetraggine - non è riuscito a trasmettermi la suggestione a cui sicuramente mirava con le sue descrizioni.

Mi risulta difficile giudicarlo un giallo: Gwenegan, il poliziotto che da due anni vive nell'isola e che dalla sinossi sembra avere un ruolo rilevante, è la figura più inutile di tutte. Non inizia neppure un'indagine convinto che i fatti non la meritino, e tutto sommato ha ragione, non meritavano neppure un libro. O meglio, l'idea poteva anche essere carina, seppur non originalissima, ma avrebbe coinvolto di più se l'autore si fosse sforzato di inventare, e quindi di svelare, il contenuto delle cartoline anonime. Riportandone, invece, soltanto uno non permette a chi legge di entrare nel vivo degli stati d'animo degli isolani. Stupore, fastidio, curiosità: manca tutto.

Resta un libro sulla solitudine, sulla superbia e sull'arroganza. Forse un noir, ma a definirlo tale mi sembra di dargli più valore di quanto ne abbia.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia cascata di maggio (un libro con delle ali in copertina)


martedì 18 maggio 2021

"Nè qui nè altrove. Una notte a Bari", Gianrico Carofiglio



Bari, una sera di dicembre del 2007. La voce narrante - nome non pervenuto, età che si aggira attorno ai 45 anni, scrittore di successo tradotto anche all'estero - riceve una telefonata non propriamente gradita da Giampiero Lanave che, senza lasciargli il tempo per inventare una scusa, lo avvisa che sta andando a prenderlo insieme a Paolo Morelli per una rimpatriata.
I tre, dopo essersi pressoché ignorati durante i cinque anni del liceo, erano diventati grandi amici all'università, finendo poi però col perdersi di vista. Giampiero ha seguito le orme del padre diventando notaio, mentre Paolo subito dopo la laurea si è trasferito a Chicago, dove insegna.
Ha senso rivedersi se in quei vent'anni nessuno dei tre ha mai cercato di mantenere o di riallacciare il legame con gli altri due?
Solo Giampiero sembra esserne contento e, dopo aver offerto agli amici una sontuosa cena al ristorante, inizia un giro notturno della città, per mostrare all'amico "americano" i cambiamenti e per rievocare ricordi, comuni e non.

Un'altra piacevolissima lettura di Carofiglio, una guida turistica di Bari travestita da romanzo, cioè la stessa idea avuta da Rissotto con "Peglite", solo che a Carofiglio l'esperimento è riuscito un po' (tanto) meglio.

A Bari ci sono andata solo in occasione delle partite della mia Samp, quando Bari vecchia non era un posto raccomandabile (nel libro si parla di una trasformazione e siccome ho ben presente di come anche il centro storico di Genova abbia cambiato faccia dalle colombiane in poi, la notizia mi ha fatto senz'altro piacere), ma del resto non eravamo andati fin lì per fare i turisti...

E Carofiglio con questo libro fa decisamente venire voglia di visitare Bari: campanilista come sono, apprezzo tantissimo il modo in cui manifesta (cosa che ha fatto anche in altri romanzi) il suo attaccamento alla città. Anche se a tratti l'elenco di vie (quelle che i tre personaggi percorrono in auto o a piedi) assume un po' l'aspetto di uno stradario, sono sicura che non abbia dimenticato neppure un luogo di interesse nè un fatto rilevante accaduto in un posto specifico.
Immancabile quello dell'incendio del Petruzzelli, meno scontato (o forse no, trattandosi di Carofiglio)  quello dei 15.000 albanesi sbarcati al porto di Bari nell'estate del '91.
Cita persone reali, come la ceramista Mimma Russo Frattasi, e racconta aneddoti legati alla città, fra cui la leggenda di San Nicola, che aveva già spiegato in un altro romanzo, non ricordo quale.

Tutte cose che aveva fatto anche Rissotto. La differenza (oltre all'ovvio abisso nel modo di scrivere) è che lui in "Peglite" si era inventato una storia strampalata e, diciamolo, davvero bruttina e stupidotta, con un protagonista insignificante, mentre Carofiglio l'ha fatta semplice e ha vinto: la rimpatriata con vecchi amici è un qualcosa che tutti abbiamo sperimentato più volte, sappiamo come questi incontri siano caratterizzati dall'aggiornarsi brevemente su quello che si è fatto da quando si sono persi i contatti fino al presente per poi tuffarsi nel mare dei ricordi comuni. E inventarsi che uno dei tre abbia lasciato la città di origine dopo gli studi ha dato un senso logico a tutto quel gran girovagare e al raccontare (a lui e a chi legge) dei cambiamenti urbanistici e non solo (ad esempio dei locali storici frequentati un tempo).

Sono sicura che Carofiglio abbia attinto a piene mani dai suoi reali ricordi, ad esempio il liceo frequentato dai suoi personaggi è proprio la sua vecchia scuola, l'Orazio Flacco. E non mi stupirei se da ragazzo avesse avuto un cane di nome Randy...

Un libro malinconico sotto molto aspetti, ma anche quello dove spicca maggiormente l'umorismo raffinato dell'autore, che forse in tanti non gli riconoscono, ma solo perchè non sono in grado di coglierlo e/o di apprezzarlo.

Gli faccio solo un appunto: caro Carofiglio, la vera focaccia non è "quella con pomodori, olive, bordi bruciacchiati (e basta)".
La vera focaccia è quella genovese (e basta) ^^


Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di maggio (l'autore è nato il 30 maggio 1961)



domenica 16 maggio 2021

"Le 10 mappe che spiegano il mondo", Tim Marshall



Geografia, storia e matematica sono state le materie che più ho amato durante tutto il mio percorso scolastico. La matematica, che adoravo, si colloca al terzo posto, mentre ancora oggi non so decidermi se assegnare l'oro a storia o a geografia.

Ecco perchè ho comprato questo libro subito dopo averlo visto fra le novità di IBS. Poi ho fatto l'errore di aspettare quattro anni per leggerlo, quattro anni durante i quali il libro è diventato in gran parte anacronistico: se in certe zone del mondo la situazione è statica, in altre ci sono stati cambiamenti (alcuni dei quali in corso) che rendono la lettura sgradevolmente superata e/o incompleta.
Dal punto di vista geografico ho apprezzato molto l'analisi geopolitica che fa descrivendo come la configurazione fisica - clima, composizione demografica della popolazione, accesso alle risorse naturali, ecc - condizioni i rapporti internazionali fra i vari popoli, ad esempio come la mancanza di guerre fra Cina e India sia dovuta in gran parte al loro confine naturale invalicabile per gli eserciti che è l'Himalaya oppure come la geografia interna del sud America le impedisca di imitare l'esempio dell'Europa unita a livello commerciale.


Il testo si compone di dieci capitoli (le 10 mappe del titolo...) che toccano (quasi) ogni angolo del mondo.
Si parte dalla Russia (geograficamente svantaggiata, ma con una grande disponibilità di petrolio e gas naturali), per passare alla Cina (con i suoi squilibri fra coste e campagne, ma protetta dalle caratteristiche geografiche dei suoi confini), quindi agli Stati Uniti (che godono di una posizione geografica unica che li pone al sicuro da ogni possibile invasione) e, a seguire, Europa occidentale (di cui spiega come le divisioni naturali create da monti, fiumi e valli portarono alla formazione di tanti Stati privi di una lingua comune, cioè l'opposto degli Stati Uniti. Evidenzia anche come il minor numero di pianure e i maggiori problemi di siccità siano alla base del divario fra nord e sud del continente
), Africa (la culla dell'umanità, siamo tutti africani. Un continente immenso con regioni, climi e culture diverse accomunate dall'isolamento dal resto del mondo), Medio Oriente (dove i confini geografici tracciati sulle mappe dagli europei si stanno ridisegnando con il sangue), India e Pakistan (uniti dalla geografia del subcontinente indiano, ma divisi da un odio profondo), Corea e Giappone (la prima definita dall'autore un problema irrisolvibile, la seconda trattata con un occhio benevolo), America Latina (la dimostrazione di come la geografia possa limitare anche quando si hanno a disposizione conoscenza e tecnologia) e, infine, Artide (con tutto il suo peso politico che muoverà gli interessi del XXI secolo).

Manca l'Oceania e qui mi viene malignamente da osservare che anche quando si gioca a Risiko quello è il continente meno interessante!

Perchè a
Tim Marshall  - che (cito dal breve trafiletto dedicatogli nell'aletta della sovracopertina) "è stato per trent'anni corrispondente estero di BBC e Sky News, inviato di guerra in Croazia, Bosnia, Macedonia, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Libano, Siria, Israele" e che quindi non è un giornalista, ma un Giornalista e che indubbiamente sa di cosa parla - la guerra piace un po' troppo.

Quando descrive azioni militari del passato e quando immagina futuri scenari e strategie di guerra si rianima raggiungendo vette di esaltazione per me insopportabili e assumendo toni di assoluta superiorità verso tutto ciò che non è filo americano e - pur riconoscendogli una capacità che non ho e un'esperienza che non vorrei neppure avere - posso solo biasimare la sua visione "neocolonialista" del mondo con gli Stati Uniti al centro.

"Nel XXI secolo il Messico non pone alcuna minaccia territoriale agli Stati Uniti, anche se la prossimità causa problemi all'America perchè alimenta la fame di manodopera illegale e droghe del suo ricco vicino"

Quindi per l'autore è colpa dei messicani se gli statunitensi si drogano e se non mettono in regola il personale delle pulizie?

Questo è un esempio che può anche far sorridere (a patto di non essere un messicano obbligato dalla fame ad accettare qualunque condizione lavorativa), ma sono tanti i temi in cui mi sono trovata in disaccordo con Marshall: come non ha evidenziato il potere che Washington si è presa sulla NATO (e quindi sul mondo), come ha liquidato in quattro righe la guerra in Vietnam, come ha giustificato l'intromissione degli USA nel cambio di Governo in Ucraina, come ha minimizzato il ruolo di "polizia internazionale" assunto dagli Stati Uniti in America Latina...
Ma anche la superficialità con cui ha descritto
i danni fatti nel mondo da noi europei quando i colonialisti hanno tracciato confini geografici sulla carta senza tenere in nessuna considerazione la topografia e le culture delle varie regioni, in Africa, nel Medio Oriente, in Corea e in Sud America o il modo in cui noi europei e gli arabi (e adesso anche i cinesi) abbiamo saccheggiato l'Africa delle sue risorse e delle sue genti. Fatti che per noi appartengono alla storia, ma che condizionano ancora il presente di milioni di persone e che un libro che vuole spiegare il mondo attraverso le mappe avrebbe dovuto approfondire come, invece, non fa.

Marshall preferisce biasimare l'Europa per la (secondo lui) minima spesa che destina alla difesa, ammirando per contro gli Stati Uniti che investono sulla ricerca e sullo sviluppo delle forze armate una somma che lui quantifica superiore al bilancio militare di tutti gli altri paesi della NATO messi insieme.
E quasi deride noi europei perchè dopo le due guerre mondiali e il tracollo dell'Unione Sovietica ci sentiamo al sicuro da futuri conflitti, mentre per l'autore non è così e qui arriva a immaginare eserciti russi ed europei fronteggiarsi nel corridoio fra la costa baltica e l'inizio dei Carpazi (non spiccando per originalità, tra l'altro, come la storia bene insegna...).

Ma è nell'ultimo capitolo che la distanza di vedute fra me e Marshall è diventata incolmabile: se già ero arrivata a quel punto  molto delusa dal non aver trovato nemmeno un accenno alle energie rinnovabili e disgustata dal modo in cui aveva parlato positivamente della produzione di soia che starebbe facendo del Brasile un colosso dell'agricoltura, senza toccare il tema della devastazione della foresta amazzonica nè specificare che tipo di soia producono (OGM) ed esportano (destinata quasi esclusivamente agli allevamenti, quindi ve la mangiate voi), con le 14 pagine dedicate all'Artide la mia costernazione è diventata totale.

E' riuscito a parlare del riscaldamento globale (cioè l'unico motivo per cui esiste questo capitolo) senza mai usare la parola "danni", preferendole "effetti", che solo agli stolti e agli illusi può fare meno paura. Ma è andato oltre presentando lo scioglimento dei ghiacci come un fattore positivo che renderà più agibile l'accesso alla regione e quindi ai giacimenti di petrolio e alle riserve di gas naturale, arrivando ad affermare che la fusione della calotta polare - riducendo la tratta percorsa dalle navi che vi transitano - fa abbassare le emissioni di gas serra! Mi ha dato un'idea: quasi quasi per dimagrire domani mi faccio amputare un arto!

Nelle ultime righe arriva la "sorpresa": auspica che si possa superare l'avidità intrinseca nel genere umano gestendo le riserve artiche a beneficio di tutti! Finalmente una cosa su cui siamo d'accordo, ma dubito che lui lo avrebbe pensato e scritto se ad avere 32 rompighiaccio, di cui 6 a propulsione nucleare, fossero gli americani invece  dei russi...

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di maggio (l'autore  è nat0 il 1° maggio 1959)



venerdì 14 maggio 2021

"Il silenzio dell'onda", Gianrico Carofiglio



Roma, aprile, 2010 o giù di lì. Roberto Marìas ha 45 anni e da sette mesi è in cura da uno psichiatra. Ogni lunedì e ogni giovedì per cinquanta minuti si mette a sedere davanti al medico e parla del suo passato: dei suoi primi 16 anni di vita trascorsi in California, dell'arrivo in Italia con la madre italiana, della Scuola Allievi Sottufficiali e via via della sua carriera che lo ha portato a diventare agente sotto copertura. Senza però mai toccare i motivi per cui ora ha bisogno di quei colloqui.
Giacomo di anni ne ha solo 11 e, a differenza di Roberto, non ha nessuno a cui raccontare le sue esperienze, le sue paure...
Alla fine, chi sarà dei due ad aiutare l'altro?

Dopo la grande esperienza fatta con Philip Roth, è stata un'enorme fortuna che la traccia compleanno autore della Reading Challenge mi permettesse di dedicarmi a due scrittori fidati: prima Robin Cook - con cui non rischiavo brutte sorprese - e ora con Gianrico Caroflglio, che è una garanzia.

Scritto nel 2011, "Il silenzio dell'onda" si colloca nella generica narrativa contemporanea ed è quindi un pò diverso dagli altri suoi romanzi. Nonostante la professione di Marìas, nemmeno sfiora le vicende processuali e lambisce appena la fase dell'istruttoria negli aneddoti che il protagonista racconta al suo terapeuta. Un mezzo che permette a Carofiglio di sottolineare i suoi valori e di spiegare come funzionano indagini,  arresti, procedure varie, non risparmiando la giusta critica a quelli che, fra le forze dell'ordine, eccedono ("La verità è che le botte le danno soprattutto quelli che non sanno fare bene gli investigatori") e con questi piccoli gialli accresce il piacere della lettura agli amanti del genere.

Ma il romanzo è la storia (una bella storia: è un peccato che Roberto Marìas non sia diventato un altro personaggio ricorrente nei libri di Carofiglio) di un uomo con trascorsi non comuni e un passato vecchio di trent'anni mai superato.

Una storia ricca, nonostante i pochissimi personaggi che vi compaiono, raccontata alternando i capitoli del protagonista assoluto con quelli di Giacomo: qui Carofiglio risulta meno convincente, facendolo parlare in prima persona avrebbe dovuto sforzarsi di adattare lo stile e, soprattutto, ridimensionare di parecchio i ragionamenti che gli ha attribuito, ma questo dettaglio non mi ha reso meno piacevole la lettura.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di maggio (l'autore è nato il 30 maggio 1961)



martedì 11 maggio 2021

"In caso di morte", Robin Cook



New York, 28 febbraio 2011. La vita non è stata una passeggiata per Afrodita Pia Grazdani: dopo aver perso la madre quando era ancora molto piccola e con padre e zio in galera, dai sei anni ha sperimentato senza fortuna prima le famiglie affidatarie mosse solo dall'avidità e poi i centri minorili per ragazzi difficili, dove riescono a resistere solo i più scaltri e i più cattivi. Ma in qualche modo ce l'ha fatta: grazie alle suore, alle borse di studio, al suo impegno totale e alla sua brillante intelligenza, è arrivata al quarto anno alla Columbia University Medical Center.
E ora, a 25 anni, Tobias Rothman - già Premio Nobel per la Medicina - la sta coinvolgendo nei suoi studi di ricerca destinati a salvare milioni di vite e che sicuramente gli varranno un secondo Premio.
Ma in meno di un mese tutto cessa: quello che viene superficialmente archiviato come un tragico incidente mette fine agli studi di Rothman e non solo a quelli. Solo Pia non vuole credere che si sia trattato di una fatalità e si trova a indagare da sola, non sapendo di stare andando a sbattere contro a un muro di potere invalicabile perchè mischia l'alta finanza con la criminalità organizzata.

Ed è arrivato per me il triste momento di dire addio a questo autore che leggo da quando ero ragazzina. Cook, per fortuna, è ancora vivo e vegeto, ma questo - scritto nel 2013 - è l'ultimo romanzo tradotto in italiano.

Una scelta editoriale che mi rattrista tantissimo: se da un lato mi rendo conto che non sia un autore modernissimo (e penso che anche il genere medical thriller non spinga più come un tempo) e seppur anch'io negli anni abbia smesso di considerarlo il mio scrittore preferito, mi spiace infinitamente sapere che non potrò mai più leggerlo e che non avrò modo di completare la sua bibliografia. E pensando a quello che vedo quando scorro le novità editoriali su IBS mi arrabbio anche un po' pensando alle emerite boiate che importiamo, ma che - evidentemente - hanno più mercato.

Di Cook ho sempre apprezzato l'uso che fa dei suoi romanzi: medico di professione (e già questo lo pone su un piano di interesse diverso rispetto a tanti altri autori del genere), non si è mai limitato a inventare una storia. Ogni libro è un grido di allarme e/o una denuncia. E' anche per questo che avrei voluto leggere le sue opere più recenti, quanto meno gli ultimi due titoli scritti con Trump presidente degli Stati Uniti...

Anche con "In caso di morte" Cook evidenzia come la medicina non possa essere un business.
Quando a decidere se un farmaco salvavita debba essere prodotto o meno sono gli interessi economici di pochissime persone vuol dire che qualcosa non funziona come dovrebbe.

Non risparmia le immancabili critiche al sistema sanitario statunitense, ma il libro non parla di farmaci salvavita, bensì di organogenesi: la biologia è un'altra materia in cui sono completamente ignorante, non ho mai studiato cose come blastociti, fibroblasti o teratomi, ma Cook è molto bravo a spiegare anche a quelli come me la differenza fra cellule staminali embrionali e cellule staminali pluripotenti.

Peccato che anche questa volta, come ne "La cura" e altri libri precedenti, ricorra alla criminalità organizzata (qui albanese e russa) per far funzionare la vicenda thriller, cosa che personalmente non apprezzo, ma che sicuramente rende il ritmo incalzante e (per me) fin troppo ansiogeno.

Ci sono anche due piccole stonature, una cosa che verso il finale del libro la protagonista sa e che in quel momento non ha ancora modo di sapere e un personaggio corrotto all'interno del sistema ospedaliero di cui non viene svelata l'identità. Dettagli, ma per me un po' disturbanti.

Molto piacevole, invece, il piccolo cameo con cui Cook ci fa ritrovare i protagonisti di tanti suoi romanzi, Jack Stapleton e Laurie Montgomery. Vedo su Wikipedia che, dopo "La cura", nel 2018 ha scritto un altro romanzo appartenente alla loro serie (più altri quattro singoli, quindi sono cinque quelli non tradotti in italiano) e mi incuriosisce non poco il titolo: "Pandemic"... due anni prima del Covid!

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di maggio (l'autore  è nato il 4 maggio 1940)



domenica 9 maggio 2021

"La macchia umana", Philip Roth



Monti del Berkshire (Massachusetts), estate 1998. Nathan Zuckerman e Coleman Silk sono vicini di casa da cinque anni, cioè da quando Nathan ha comprato quella casetta per poter scrivere i suoi libri immerso nella tranquillità offerta dal posto. Anche il suo vicino si presta al suo bisogno di quiete, Coleman ha sempre ignorato Nathan...
Finchè un giorno gli chiede di raccontare la sua storia in un romanzo, quella storia che a suo dire ha causato la morte della moglie Iris e coperto lui e la famiglia di ignominia.
E questo perchè all'Athena College - dove era sia insegnante che preside - non hanno capito (o non hanno voluto capire) che lui quella parola l'aveva usata nel suo senso letterale, non in quello dispregiativo, e che lui quei due ragazzi non li aveva neppure mai visti!
Ma Coleman avrebbe un'altra storia da raccontare, una storia iniziata cinquant'anni prima a East Orange, dove viveva con la famiglia di origine. Una storia che non ha mai raccontato nè alla moglie nè ai loro figli e che non sarà lui a raccontare a Nathan, ma Nathan la racconta a noi.

E dopo il solito abbozzo di trama, ora devo passare alle considerazioni personali, cosa che faccio con la consapevolezza di non avere la preparazione necessaria per poter parlare di questo Capolavoro come vorrei saper fare.

Inizio con le banalità, ad esempio dicendo che avevo inserito "La macchia umana" nella mia wish list dopo averne ascoltato la recensione fatta da Marco Cantoni su You Tube. Come mi è già capitato di dire, ho smesso di seguire Cantoni perchè - dopo aver letto diversi libri di cui lui era entusiasta - ho capito che abbiamo opinioni diverse (soprattutto riguardo all'importanza della trama in un romanzo), ma dopo questa lettura è probabile che torni a iscrivermi al suo canale.

Roth mi fa capire che le letture di livello esistono e che dovrei cercarle, anzichè starne alla larga come ho la tendenza a fare. Roth mi faceva paura, pensavo fosse ben oltre le mie capacità. E l'ho affrontato con questa paura e anche con un certo scoraggiamento a causa dei cinque macrocapitoli che mi sono trovata davanti.

Il primo giorno di lettura non è stato facile, ma poi mi sono resa conto che il suo stile è caratterizzato da quei periodi lunghissimi che ho sempre amato, così lunghi da necessitare di molta concentrazione per non rischiare di arrivare al punto e dover tornare indietro per riprendere il filo da cui si era partiti. Ma con la giusta attenzione e dedicandogli il tempo necessario ho potuto godere della storia che questo libro racconta e del modo incredibile in cui viene raccontata.

Anzi, delle storie: perchè al protagonista Roth affianca altri personaggi (non molti) ripercorrendo la vita di ognuno, spesso partendo dall'infanzia, e costruendo delle personalità approfondite in maniera magistrale. Figure caratterizzate da aspetti sia positivi che negativi, come siamo noi esseri umani nella realtà. E, là dove c'è del male, il male è stato causato dal sistema: abbiamo vittime del razzismo, vittime del degrado sociale, vittime politiche.

Fra tutti, è
Lester Farley ad avermi colpita di più e non poteva essere altrimenti perchè - reduce del Vietnam - è personaggio di fantasia fino a un certo punto. Gli Stati Uniti hanno generato migliaia di Lester Farley, carne da macello nelle mani dei potenti.

"Lo senti piangere, il Muro"

E Roth ci fa entrare nella testa di uno di loro in modo sconvolgente:

"Un giorno è là che mitraglia nel Vietnam, e vede gli elicotteri che esplodono, e vede esplodere i compagni a mezz’aria, così basso da sentire l’odore della carne che frigge, da sentire le grida, da vedere interi villaggi andare in fumo, e il giorno dopo è di nuovo sui Berkshire. E ora sì che si sente veramente fuori posto, e per giunta gli fanno un po’ paura certe cose che gli fischiano sopra la testa. Non ha voglia di stare in compagnia, non è capace di ridere o scherzare, sente di non fare più parte di quel mondo, sente di avere visto e fatto cose così estranee ai pensieri di quella gente che lui non riesce a intendersi con loro e loro non riescono a intendersi con lui."

Non meno straziante è l'esistenza di Faunia e anche qui Roth mette sapientemente in luce come il decantato sistema americano a volte si inceppi non curandosi come dovrebbe (e con l'aggravante che potrebbe, un lusso che poche nazioni hanno) dei suoi figli meno fortunati.

Scritto nel 2000, Roth non gira attorno alla vicenda Clinton-Lewinsky ("L'estate in cui il pene di un presidente invase la testa di tutti"), un altro spunto per attaccare il perbenismo americano, l'ipocrisia, di cui purtroppo non hanno l'esclusiva.

Roth non mi fa più paura come prima, ma ancora mi intimorisce. Non so se sarò in grado di recuperare tutti i suoi romanzi e mi faccio rabbia da sola per non essermi documentata prima di iniziare questo: solo a metà percorso ho scoperto che è l'ultimo di quella che viene definita la "Trilogia Americana", al seguito di "Pastorale americana" e di "Ho sposato un comunista", tre storie distinte che hanno però la stessa voce narrante, quel Nathan Zuckerman alter ego di Philip Roth. Un peccato per chiunque non leggerli in ordine cronologico, ma un'assurdità per me che mi impegno a rispettare quell'ordine anche con gli autorini...

Ormai è fatta, per fortuna ho un'ottima memoria e, se anche non la avessi, "La macchia umana" è un libro impossibile da dimenticare.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla prima traccia annuale, "dieci libri a scelta da leggere entro la fine dell'anno"