lunedì 31 ottobre 2022

"Via di qui", Federica De Paolis

 

Federica De Paolis è nata a Roma nel 1971 e ha ambientato ognuno degli undici racconti di questa raccolta - pubblicata da Fazi nel 2008 - in una via della sua città. Le vie danno anche il titolo ad ogni singolo racconto e tutti sono preceduti dalla foto della targa con il nome della via stessa, un particolare originale che ho apprezzato molto.

Mi piace quando gli autori esprimono l'attaccamento alla propria città, se fossi romana adorerei questa raccolta, mi ci ritroverei - come mi succede sempre quando leggo storie ambientate a Genova, motivo per cui sono quelle che cerco e che preferisco - ma anche non conoscendo nessuna delle undici vie mi è piaciuto tutto quello che ho letto e non è un dettaglio da poco perché di solito nelle raccolte ci sono sempre racconti più deboli, che sembra siano stati inseriti solo per raggiungere un certo numero di pagine. Questi undici sono, invece, tutti piacevoli.

Achille, 45 anni, vive in via dei Papereschi. Ex pugile, ora fa il macellaio. Sfoga la sua violenza mettendosi nudo nella cella frigorifera e prendendo a pugni le carcasse degli animali morti appesi al gancio. Alla sera spia dalla finestra Aurora, la dirimpettaia di cui si dice innamorato. Aurora che conosce da quando aveva sette anni: il problema è che adesso lei ne ha appena 16.

In via di Santa Croce in Gerusalemme Salvatore, agente immobiliare siciliano, sta mostrando l'ennesimo appartamento alla signora Anticoli, che ha tanti anni quante pretese.

Isabella si risveglia nel letto di Alberto, in via degli Ausoni. Quando apre gli occhi vede che lui sta ancora dormendo e che seduta su una sedia di fronte a loro c'è una donna con i capelli biondo platino che li osserva.

In via della Polveriera abita una coppia. Ancora per poco, Rocco ha tradito, se ne sta andando di casa, ha già fatto la valigia, poi ci ripensa, non sarà lui ad andarsene.

Una madre accompagna il figlio adolescente a nuoto in via degli Olimpionici. Impedita al volante, non sorpassa neppure la Smart del tizio che ha accostato e ora contratta il prezzo con una battona dell'Est e mentre osserva la scena pensa che anche suo marito ha una Smart...

Il 26 luglio 2005 un ispettore di polizia prossimo alla pensione deve intervenire all'8 di via Fivizzano dove è stata uccisa una ragazza di 26 anni con 27 coltellate al petto.

In via dell'Acquatraversa è il 1978 ed è il giorno del compleanno di Annalou, compie 7 anni e sta per diventare una sorella maggiore.

Una donna ha subaffittato da un'amica un piccolo appartamento al 18 di via dei Fienaroli. Da otto mesi ci va dalle 18 alle 21 di ogni mercoledì e per quelle tre ore smette di essere moglie per diventare amante.

Livia ha 25 anni e una bambina di 5, Lea. Livia non sa se ha mai avuto un orgasmo, forse sì, una volta, in sogno. Si iscrive al corso femminile di orgasmi che la cinese Sue tiene al 287 di via del Vignola.

Paolo è toscano, ma vive a Roma. Ha una moglie, Elisa, toscana come lui, e un bambino, Riccardo. Lui si iscrive a un corso serale di inglese e lì conosce Emilia. All'improvviso si trova a dover vivere in un altro appartamento, all'88 di via Poerio.

La madre della voce narrante ha comprato un appartamento in un villino di via Oglio, lo arreda di bianco, lo riempie di calore. Poi si ammala e muore. Resta tutto il dolore della figlia.

Quest'ultimo è il racconto più struggente, forse perché so cosa vuol dire odiare tutte le madri che si vedono in compagnia delle figlie quando la disperazione per aver perso la propria è ancora troppo fresca e insopportabile.

Ma quelli che mi sono piaciuti di più sono via Fivizzano - perché è un buon giallo e l'ispettore è un bel personaggio, lui e la storia avrebbero meritato più di un semplice racconto - e via degli Ausoni, per il suo finale sorprendente, anche se contiene un errore madornale:


Uno scivolone pazzesco che da Fazi non mi sarei mai aspettata.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di ottobre: libri da fotografare vicino a un oggetto presente in copertina

sabato 29 ottobre 2022

"Un fuoco che brucia lento", Paula Hawkins



Londra, domenica 11 marzo 2018. Il cadavere di Daniel Sutherland, 23 anni, viene ritrovato con numerose ferite da taglio all'addome e alla gola all'interno della sua casa galleggiante. A rinvenire il corpo è Miriam Lewis: abitando nell'imbarcazione ormeggiata accanto a quella della vittima, si era insospettita notando la porta spalancata ed era entrata facendo la tragica scoperta.
I sospetti ricadono su Laura Kilbride: la ragazza, già nota alle forze dell'ordine per aver piantato una forchetta sulla mano di un uomo durante un litigio, ammette di aver passato la notte con Daniel e di essersi azzuffata con lui al risveglio, ma sostiene la sua innocenza.
E poi c'è Carla, la zia di Daniel.
Miriam ha visto anche lei uscire come una furia dalla casa galleggiante della vittima, ma istintivamente pensa di dover proteggere Laura, mentre in Carla vede il mezzo per vendicarsi del torto subito da Theo Myerson, l'ex marito di Carla, quel miserabile che ha rubato la sua storia!

E la storia di questo thriller - il terzo scritto da Paula Hawkins - è molto bella. E altrettanto ingarbugliata. Una storia con donne protagoniste come nei suoi due precedenti thriller, "La ragazza del treno" - amato da molti e tanto criticato da altri; a me erano piaciuti molto sia il libro sia il film che ne hanno tratto - e "Dentro l'acqua", che ricordo con altrettanto piacere, pur avendo preferito il primo.

A caldo (ho finito la lettura poche ore fa) mi viene da dire che "Un fuoco che brucia dentro" sia il migliore dei tre, nonostante ci sia un certo eccesso di situazioni: le vite di Laura, Miriam e Carla sono state sconvolte dai tragici eventi che le hanno colpite in passato condizionando per sempre le loro esistenze e il loro modo di essere. Pur non conoscendosi veramente, circostanze precedenti alla morte di Daniel hanno creato una ragnatela di contatti fra loro, una tela che la Hawkins tende al massimo, forse un po' troppo.

Perché se durante la lettura non ho avuto problemi trovandola, anzi, piuttosto fluida, alla fine ho faticato un po' a ricostruire con chiarezza l'ordine cronologico di ciò che avviene a ridosso della morte di Daniel. Senza gli appunti che avevo preso non sarei riuscita a incastrare tutti i tasselli, che invece vanno a posto, ma forse la Hawkins avrebbe potuto eliminare qualche passaggio senza compromettere la bellezza del thriller, uno di quelli capaci anche di far commuovere.

Reading Challenge 2022, traccia di ottobre: un libro con del nero e dell'arancione in copertina


venerdì 28 ottobre 2022

"Chanel non fa scarpette di cristallo", Barbara Fiorio


"Il giorno del matrimonio rappresenta l'apice di un amore,
da quel momento inizia la discesa
"

Genova, fine inverno di un anno non precisato. E' questo che pensano Beatrice, Penelope e Maddalena mentre guardano l'amica Rossana entrare in chiesa raggiante. Rossana ha scelto il lieto fine, con le relative conseguenze che questo comporta per quelle come loro: perdere non solo l'immortalità di cui beneficiano grazie al Patto, ma anche tutti i ricordi degli ultimi secoli di vita.
Perché loro sono le principesse delle fiabe.

Che belinata di libro! E uso il termine dialettale come omaggio all'autrice, genovese come me.

Genova nel libro non viene mai menzionata, che sia ambientato qui è evidente da questa descrizione:

"Come spesso capitava in quella città così contraddittoria, con budella di vicoli che portavano al mare, un mare schivo e osservatore."
(E da come la Vecchia - anziana proprietaria di un ristorante casereccio dove le protagoniste sono clienti fisse - tratta i clienti foresti ^^) E l'essere genovese è il motivo per cui ho inserito Barbara Fiorio nella mia wish list. Dalle recensioni sembra chiaro che il suo miglior romanzo sia "Qualcosa di vero", il terzo che ha scritto, ma io - odiosa precisina - ho voluto andare con ordine. "Chanel non fa scarpette di cristallo" è l'opera prima, scritta nel 2010, e non posso dar torto a mia sorella quando - in risposta alle mie lamentele - mi ha detto: "Dal titolo si capiva che era una belinata". Infatti. E' un libro che può essere apprezzato se si è molto giovani, molto sognatrici e se si conoscono e si amano le fiabe originali di Perrault, di Andersen, ecc. Io ho quasi 53 anni, attualmente il mio unico sogno è che la Sampdoria non retroceda in serie B e conosco solo le principesse Disney, neppure benissimo, tanto che avevo capito l'impersonificazione solo di una delle tre protagoniste (per inciso: Chanel non c'entra nulla, compare solo nel titolo). Le 219 pagine si leggono in fretta (cosa che secondo me non è mai un fattore positivo) perché il contenuto è davvero povero e stupidino (eh), però la Fiorio non scrive male, anche se a volte cade in frasi tanto ampollose quanto stonate ("Avrebbe voluto stare lì per sempre, ma doveva tornare a immergersi nella vita di tutti i giorni, quello strano ingranaggio che lentamente si trascina verso casuali orizzonti"), ma se preferisco leggere i libri seguendo l'ordine cronologico è perché (il più delle volte) gli scrittori si evolvono. E almeno due degli altri quattro romanzi che ha scritto sono dichiaratamente ambientati a Genova, quindi le darò senz'altro un'altra chance.

Reading Challenge 2022, traccia di ottobre: un libro con dell'acqua in copertina

giovedì 27 ottobre 2022

"La superba", Ilja Leonard Pfeijffer

 

"Superba e spericolata, bella e orgogliosa, seducente e inaccessibile"

E' così che Ilja Leonard Pfeijffer, scrittore e poeta olandese classe 1968, descrive la mia Genova, dove vive dal 2008. Cinque anni più tardi ha pubblicato questo libro che è una mescolanza di generi, in parte narrativa, in parte reportage, in parte autobiografia.
Ci sono voluti altri cinque anni dalla pubblicazione per avere la traduzione in italiano: o Pfeijffer all'estero non è così celebre come sostiene di essere oppure l'editoria italiana si è degnata di tradurlo per sfruttare i riflettori che Genova aveva addosso dopo la caduta del ponte Morandi (sono passate poco più di tre settimane fra il crollo e la pubblicazione e alle coincidenze non ci credo).

Comunque sia, dall'uscita in Italia a me c'è voluto un giorno per comprarlo e quasi altri cinque anni per decidermi a leggerlo. A respingermi era in parte l'aspetto di Pfejffer (e ancora non sapevo che fosse pure simpatizzante genoano!), ma soprattutto il carattere di scrittura, non solo piccolo, ma anche grigio: un incubo per la mia vista.

Il font non è stato però il solo aspetto spiacevole della lettura. La narrazione è troppo particolare per i miei gusti. Pfeijffer scrive rivolgendosi a un amico olandese destinatario dei suoi scritti e non c'è una trama vera e propria, solo qualche collegamento tra le tre parti e i due intermezzi che formano il testo.

La prima e l'ultima parte (sicuramente scritte nel 2008) sono per me le peggiori, sembrano proprio quello che dicono di essere, degli appunti presi dall'autore nei primi mesi della sua vita genovese. Sono idee sparse, si capisce che quella del romanzo è soltanto un abbozzo di idea, appunti presi alla rinfusa che nemmeno lui sa ancora se far confluire in un libro su Genova o in altro.

La seconda parte è strettamente autobiografica e racconta il tentativo da parte dell'autore di comprare il  teatro Altrove.

"Ero sensibile al pensiero di essere in grado di restituire qualcosa alla città a cui dovevo così tanto. Di significare qualcosa per lei che significava così tanto per me."
Nei due intermezzi il libro offre il meglio, è lì che il romanzo diventa un libro che parla di emigrazione e credo che a Pfeijffer l'idea sia venuta ben oltre il 2008, quando ha capito che Genova, soprattutto la Genova antica, è un crocevia multirazziale e che tanti sono disperati. Quando, cioè, ha scoperto la Genova cantata da Fabrizio De André, quella difesa da don Gallo. La Genova degli ultimi.
"Fabrizio De André, il geniale poeta e cantante che all'estero quasi nessuno conosce. Io lo conosco, era davvero eccezionale."
Il primo intermezzo ha due protagonisti. Uno è Rashid, ingegnere marocchino che a Genova vive in un bilocale con undici connazionali e che per sopravvivere vende rose nei ristoranti. Ogni sera percorre a piedi il tragitto di ventiquattro chilometri fra andata e ritorno dal centro a Nervi (l'ultimo quartiere a est del centro città) per non perdere neppure un tavolo. L'altro è Donald Perrygrove Sinclair (Don), inglese stravagante noto a ogni frequentatore della movida del centro storico e grande tifoso della Samp, morto proprio a un tavolino di uno dei bar di piazza delle Erbe quando aveva 80 anni ed era arrivato a Genova da più di trenta, decidendo di non lasciarla più.
Invece il secondo intermezzo ha come unico protagonista Dijby, senegalese. Accenna brevemente alla vita in Africa, racconta l'illusione per un futuro migliore in Europa, ma soprattutto descrive il viaggio per arrivarci. Persone come questo ragazzo dovrebbero andare a raccontare la loro esperienza nelle scuole, anche solo per far capire che non c'è nessun merito o demerito nel nascere in un posto oppure in un altro.

Parlando di immigrazione ricorda quelle di massa che a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo portarono qualcosa come venti milioni di italiani negli Stati Uniti e in America Latina. Due terzi si imbarcarono proprio a Genova. 

"E oggi scacciamo quelli che arrivano qui spinti dalla stessa motivazione con cui centocinquanta anni fa noi siamo andati oltre oceano: sperare."
Ma se l'immigrazione è il filo conduttore del libro, Genova ne è l'assoluta protagonista.
"Genova che non si pavoneggia, a differenza di Milano e di Roma.
Genova che è una grotta di porcellana."
Fin dalle prime frasi si immerge nella Genova antica, via della Maddalena, via Garibaldi, piazza della Meridiana, piazza delle Erbe. Vico Alabardieri, dove Pfeijffer dice di abitare (o dove abitava quando ha scritto il libro).

Quanto è bella la mia Genova non lo sanno di certo i tanti (troppi) che arrivano e che si fermano solo per una manciata di ore, il tempo per vedere quei poveri pesci imprigionati nelle vasche del maledetto acquario. Che il mare sia ad appena due metri dalla struttura è una crudeltà nella crudeltà che non riuscirò mai ad accettare.

Se non vi interessa la Genova antica, ma venite qui solo per vedere dei pesci, fate la scelta giusta: poco distante dall'acquario partono i battelli per gli avvistamenti in mare. Non capite la differenza?

Pfeijffer si è proprio innamorato di Genova, qui si dice felice e consapevole che questa sua felicità sia legata al luogo, al nome delle strade, alla pavimentazione stradale fatta di grossi blocchi di granito grigio. 
"Genova con le sue strade troppo inclinate, troppo ripide, troppo contorte, troppo storte o troppo irregolari."
E' riuscito a cogliere tanti aspetti di Genova e dei genovesi, tante curiosità. Come la nostra fobia per la neve, che per fortuna vediamo molto raramente ("Ieri uno strato sottile di neve è caduto su Genova. Un millimetro che si è sciolto in un istante. La vita normale è andata a gambe all'aria. Gli autobus percorrevano via XX settembre a passo d'uomo, con le catene sulle ruote. Le scuole erano chiuse. Negozi bar ristoranti hanno chiuso prima del solito perché i fornitori non riuscivano a raggiungerli."), i fantasmi che ci infestano, per chi ci crede (lui incontra la vecchina di vico dei Librai, ma ci sono anche Branca Doria in piazza San Matteo, il monaco sul carro a Porta dei Vacca, Stefano Raggi a San Donato, Giulio Cesare Vacchero della colonna infame, i fantasmi di Campo Pisano e tanti altri) e, naturalmente, il tifo ("Vedere un derby è un'esperienza fondamentale per comprendere la città."). Tutto bello, quindi? No. Non posso proprio dire che il libro mi sia piaciuto e di questo do la colpa alla mancanza di ordine fra gli argomenti trattati, una confusione aggravata dai tanti sprazzi onirici che impestano le pagine e che ho detestato, tutti inutili e dispersivi. Ma l'aspetto peggiore è la boria di Pfeijffer, una tracotanza di cui non credo sia consapevole, ma fastidiosa e non giustificabile con quella celebrità di cui si dice vittima in patria e che sarebbe il motivo che lo ha spinto a stabilirsi a Genova, dove sostiene di aver trovato la sua libertà, per poi però lamentarsi se qui non viene considerato (una troupe di una televisione locale fa un servizio da piazza delle Erbe intervistando gente a caso senza chiedere nulla a lui che scrive all'amico: "Per me non c'erano problemi, non avevo bisogno della loro attenzione, ma siamo onesti: una troupe televisiva che si trova per caso faccia a faccia con me e non mi balza immediatamente addosso è un fenomeno piuttosto... diciamolo, strano. Magari sembra arrogante...". Ma no, figurati, chi vuoi che lo pensi?!?)! Un'altezzosità che si palesa ogni volta che parla di noi italiani. Che l'Italia sia "un Paese corrotto e infinitamente inefficiente" non possiamo negarlo, ma che sia uno olandese a dirlo, per altro ospite senza costrizioni, mi dà fastidio. Passaggi come questo, in cui per descrivere un certo Walter (altro straniero del nord Europa residente a Genova) scrive: "La mancanza di geni italiani lo priva del talento di crogiolarsi melodrammaticamente nella tipica autocommiserazione italiana derivante da una mistura paradossale di sicumera e complesso di inferiorità" mi portano a sperare di incontrare Pfeijffer in giro per la città un giorno, giusto per dirgli un paio di cosette...

Reading Challenge 2022, traccia di ottobre: un libro abbinato a un gioco da tavolo (lo abbino a Zena 1814)






domenica 23 ottobre 2022

"Il porcospino", Julian Barnes

 

Un innominato Paese dell'est europeo (che chiaramente è la Bulgaria), primi anni '90.
E' il 10 gennaio quando ha inizio il Procedimento Penale Numero 1 che vede alla sbarra Stoyo Petkanov, capo della nazione negli ultimi trentatré anni.

"Quell'uomo era un tiranno, un assassino, un ladro, un bugiardo, un corrotto, un pervertito, il peggior criminale che la nazione abbia mai avuto. Lo sanno tutti."

Ma saperlo non significa poterlo dimostrare ed è per questo che è imputato solo per reati minori.
Il compito di inchiodarlo almeno per frode spetta al Pubblico Ministero Peter Solinsky, il cui padre - intellettuale del Partito - era stato successivamente esiliato dallo stesso Petkanov.
Un processo trasmesso dalla televisione di Stato che diventa una partita fra i due. E ogni partita ha i suoi tifosi: Vera, Atanas, Stefan e Dimiter - quattro ragazzi che anelano la piena libertà democratica - contrapposti alla nonna di uno di loro, una donnina che non vuole saperne di staccare dal muro l'immagine di Lenin e che sa meglio del nipote come sia importante anche il principio di uguaglianza.

Questo è il quinto romanzo dell'autore che leggo e di quanto sia bravo a scrivere non lo scopro certo io. E' una storia molto diversa da quelle precedentemente lette ("Amore, ecc", "Amore, dieci anni dopo", "Prima di me" e "Il senso di una fine"), una storia che fatico a considerare come opera di narrativa quando è evidente che Stoyo Petkanov è il nome di fantasia scelto per Todor Živkov.

Scritto nel 1992 - immagino sulla scia del reale processo che condannò il vero bulgaro a sette anni per reati amministrativi - e quindi letto con troppo ritardo da parte mia, mi stimola diverse domande: ad esempio perché Barnes abbia sentito l'esigenza di trattare questo argomento, perché facendolo abbia preferito ricorrere a personaggi immaginari quando in realtà non lo sono e se - forte della conoscenza degli eventi dei trent'anni successivi e della situazione (esplosiva) attuale - riscriverebbe questo libro.

In definitiva, la caduta del Comunismo ha corrisposto davvero alla purificazione del Capitalismo, come sosteneva Fischer? Il mondo è veramente migliore da quando la metà non è più Comunista?

Che io sia di sinistra penso lo si capisca anche quando commento un romanzetto rosa, ma non avendo mai vissuto sulla mia pelle un regime totalitario non mi permetto di giudicare chi ha sentito il bisogno di liberarsi da quel tipo di oppressione.
Ma che tanti Paesi un tempo di sinistra abbiano svoltato a destra, alcuni addirittura nella destra più estrema, mi spaventa e rafforza la consapevolezza che ideali come i miei abbiano nella natura degli individui il loro peggior nemico.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di ottobre: libri da fotografare vicino a un oggetto presente in copertina

martedì 18 ottobre 2022

"Il mistero di Henri Pick", David Foenkinos

 

Crozon (Bretagna), giorni nostri. Henri Pick è morto da due anni. La sua è stata una vita taciturna (per forza, era bretone...), senza sorprese. Una moglie (Madeleine), una figlia (Joséphine) e una pizzeria, che ha gestito per oltre quarant'anni. E nessuno ha mai sospettato che fosse anche un grande romanziere.
E' stata Delphine Despero, giovane editor per le prestigiose Éditions Grasset & Fasquelle, a scovare un manoscritto che porta la sua firma fra i tanti donati alla biblioteca di Crozon da autori di tutta Francia, e non solo. Perché in quella biblioteca c'è una sezione speciale che raccoglie i romanzi rifiutati dagli editori.
E' un mistero come possano aver respinto una storia bella come quella che Pick ha raccontato ne "Le ultime ore di una storia d'amore".
Ma per la vedova il vero mistero è come Henri possa esserne l'autore, lui che in tutta la vita non le ha mai scritto nemmeno un biglietto d'auguri!

"Chiunque può adorare la lettura, a patto di avere tra le mani il libro giusto, quello che gli piacerà, che gli parlerà e da cui non riuscirà più a staccarsi."

Io la lettura la amo fin troppo, quello che non pensavo era di arrivare ad amare anche questo libro. Non era nella mia wish list, l'ho comprato solo perché nessuno degli oltre settecento titoli che la compongono comprendeva la parola mistero o misteri, come richiesto da una delle tracce del mese della Reading Challenge. Su IBS ne ho trovati diversi e la scelta è caduta su questo in parte per la trama, in parte per la nazionalità dell'autore.

Nato a Parigi nel 1974, laureato in lettere alla Sorbona, ha all'attivo un buon numero di romanzi (ma è anche regista e sceneggiatore), solo poco più della metà tradotti in italiano.

Questo lo ha scritto nel 2016 e l'origine del libro è accattivante perché reale: inizia raccontando della Brautigan Library di Vancouver, dove un ammiratore di Richard Brautigan (il cui primo romanzo venne respinto tre volte dagli editori) all'inizio degli anni '90 mise in pratica quello che l'autore aveva immaginato ne "L'aborto" (1966, poi ristampato con il titolo "La casa dei libri"). E' da lui che l'immaginario Jean-Pierre Gourvec di Foenkinos prende ispirazione imitando la sezione nella sua biblioteca bretone.

Cita molti altri scrittori reali: Frédéric Beigbeder (che mi ripropongo di leggere da anni), Michel Houellebecq, Laurent Binet, ecc. A Delphine fa addirittura scoprire "HHhH" (il primo romanzo di Binet), libro effettivamente pubblicato dalla casa editrice per cui lavora la ragazza.
Avrei voluto conoscere meglio la letteratura francese, sono sicura di essermi persa moltissimi altri spunti.

"Oggi ci sono più scrittori che lettori"

Il libro è una palese denuncia verso la società attuale che si concentra più sulla forma che sul contenuto e lo fa con una trama coinvolgente e ben costruita, in appena 242 pagine racconta tanto, non c'è neppure una pagina di troppo, e lo fa con uno stile particolare, colloquiale, a tratti addirittura fiabesco.
Non c'è solo il mistero di Henri Pick, ma le esistenze dei vari personaggi femminili, ognuno dei quali regala una storia nella storia. Storie soprattutto tristi e struggenti, in questo libro c'è più amore che mistero, ma l'amarezza di questi legami sentimentali viene così ben bilanciata dall'umorismo francese da lasciare il ricordo di una lettura lieta.

(E anche qui ci sono luoghi bellissimi da scoprire grazie a Google immagini: Quimper, Crozon e la spiaggia di Morgat,)

Reading Challenge 2022, traccia di ottobre: un libro con la parola mistero/i nel titolo


sabato 15 ottobre 2022

"Teddy", Jason Rekulak



Spring Brook (New Jersey), inizio estate di un anno non precisato. Mallory Quinn ha 21 anni e da 18 mesi è in riabilitazione. Con l'eroina ha toccato i punti più bassi della sua giovane vita, ma ora è pulita e grazie al suo sponsor, Russell, ha ritrovato il piacere liberatorio della corsa e anche uno splendido lavoro: per tutta l'estate sarà la babysitter di Teddy, un adorabile bambino di cinque anni. I Maxwell le hanno messo a disposizione il cottage a ridosso del bosco che circonda il giardino della loro bella casa: è minuscolo, ma completo, sembra la casetta dei sette nani da quanto è carino!
Fra Teddy e Mallory si instaura subito un legame affettuoso, il bambino preferisce la sua compagnia a quella dei coetanei e insieme trascorrono placide giornate fra tuffi in piscina e avventure nel bosco.
Ma durante il riposino pomeridiano Teddy incontra un'altra amica, Anya. E' grazie a lei che ha scoperto quanto gli piaccia disegnare. Il problema, però, è che Anya non esiste, è l'amica immaginaria che staziona sotto al lettino di Teddy e che si mostra a lui solo quando sono da soli.

Uscito a maggio negli Stati Uniti (titolo originale "Hidden pictures"), tradotto in dodici lingue e arrivato in Italia il mese scorso, può senz'altro essere considerato un caso editoriale (ne verrà anche tratta una serie per Netflix).

Rappresenta una grandissima trovata a livello di marketing grazie ai disegni che sono parte integrante della storia e che sono il motivo per cui, dopo non so quanti anni, non ho avuto dubbi scegliendo di comprare la versione cartacea. E non me ne sono pentita.
L'oggetto libro è bellissimo: per esigenze di vista, spazio e costo ormai compro solo libri digitali, tranne ovviamente quando non esiste questa versione, ma in questo caso si tratta di libri datati che compro usati sul Libraccio.
E' per questo che l'avere in mano un libro fresco di stampa - per di più molto bello per la sua copertina in rilievo, la sua compattezza e la sua dimensione - mi ha emozionata così tanto da farmi decidere che merito di concedermi in futuro qualche altra gioia come questa, con buona pace di occhi, libreria e conto in banca.

Purtroppo non sono altrettanto entusiasta della storia che "Teddy" racconta. All'inizio lo ero: nel primo terzo mi aveva completamente catturata, la presenza di Anya nel testo e nei disegni era (è) piuttosto inquietante e mi dispiaceva non avere abbastanza tempo da dedicare al libro, ma - proprio quando era legittimo aspettarsi un crescendo di suspense - la trama si è impoverita diventando meno coinvolgente e cominciando a trasudare cliché, trascinandosi ripetendo fatti e considerazioni già ampiamente sviluppati. La rivelazione di quanto accaduto in passato a Mallory è sì un qualcosa di importante nella sua drammaticità, ma non è quello che si cerca quando si legge un horror. In realtà il libro è stato catalogato nel genere thriller, la sinossi stessa dichiara che si tratta di "un thriller che sconfina nel paranormale", affermazione con cui mi trovo in completo disaccordo perché per me un thriller può sfruttare il paranormale solo se alla fine queste teorie vengono smontate dando agli eventi spiegazioni logiche e realistiche. Ma se viene dato credito a possessioni, bambole assassine, teste che ruotano di 360°, morti risorti o altro, allora il libro è un horror, a prescindere che poi riesca a spaventare o meno. In definitiva a vent'anni sicuramente avrei adorato "Teddy" fino in fondo, ma a quasi 53 sono decisamente una lettrice molto meno impressionabile, ma anche molto più esigente.

Reading Challenge 2022, traccia di ottobre: un libro abbinabile a una di queste emoticon
 👻👿💀🎃

giovedì 13 ottobre 2022

"Tutto il blu del cielo", Mélissa Da Costa



Oggetto: Cercasi compagno/a di viaggio per un’ultima avventura
Autore: Emile26
Data: 29 giugno 01:02
Messaggio:
Ragazzo di 26 anni, affetto da Alzheimer precoce, desidera partire per un ultimo viaggio. Cerca un/una compagno/a d’avventura per condividere quest’ultima esperienza.
Itinerario da definire insieme: Alpi, Alte Alpi, Pirenei? Viaggio in camper con tratti a piedi (zaino e tenda in spalla). Si richiedono condizioni fisiche adeguate.
Partenza: il prima possibile. Durata del viaggio: 2 anni al massimo (in base alle previsioni dei medici). Possibilità di rientro anticipato.
Profilo del/della compagno/a di viaggio:
Non sono richieste competenze mediche particolari: non seguo cure o terapie e sono in pieno possesso delle mie capacità fisiche.
Buona tenuta mentale (rischio di avere vuoti di memoria sempre più rilevanti).
Amore per la natura.
Non farsi spaventare da uno stile di vita un po’ spartano.
Voglia di condividere un’avventura umana.
Contattarmi esclusivamente via mail. In un secondo momento potremo sentirci per telefono. Risposta:
Oggetto: Re: Cercasi compagno/a di viaggio per un’ultima avventura
Autore: Jo
Data: 5 luglio 08:29
Messaggio:
Buongiorno Emile26,
il suo annuncio mi ha colpito.
Mi chiamo Joanne, ho 29 anni.
Sono vegetariana, le faccende domestiche e le comodità non sono il mio forte.
Sono solo 1 e 57 ma sono in grado di portare uno zaino da 20 chili per diversi chilometri.
Sono in buone condizioni fisiche nonostante qualche allergia (punture di vespa, arachidi e molluschi).
Non russo.
Non parlo molto, amo la meditazione, soprattutto quando sono immersa nella natura.
Sono disposta a partire il prima possibile.
Attendo sue notizie.
Joanne
Il libro inizia così, quando la vita da persona sana di Émile termina ad appena 26 anni con quella terribile diagnosi. In preda a sgomenti e paure comprensibili e inimmaginabili, l'unica sua certezza è quella di non voler morire in ospedale, cosa che succederebbe senz'altro se accettasse di sottoporsi alle cure palliative su cui i genitori e la sorella sembrano riporre tante speranze, ma che in realtà non gli garantirebbero nemmeno un giorno di vita in più. Quando pubblica l'annuncio non si aspetta davvero che qualcuno risponda. Invece una giovane bretone, silenziosa e riservata, lo fa e lo raggiunge a Roanne senza esitazioni.
E da lì partono. Direzione sud-ovest della Francia, verso la zona meridionale dell'Aquitania e le sue montagne, che Émile preferisce a un letto di ospedale per dire addio alla vita.
Un libro notevole: sia per la portata delle pagine (624, che sono tante, troppe: scremandolo di 150, o anche di 200, sarebbe stato altrettanto bello, ma più coinvolgente perché - dilungandosi più del dovuto in certi punti - a tratti smarrisce l'interesse del lettore), sia per gli argomenti. Al plurale, perché anche Joanne ha una storia da raccontare, addirittura più tragica di quella di Émile.
Un libro drammatico, quindi, ma soprattutto commovente. Se durante l'intera lettura avevo faticato a trattenere le lacrime, sul finale ho rotto gli argini. 

Un libro notevole anche perché si tratta dell'opera prima di questa giovane autrice francese. Nata in una città non specificata neppure su wikipedia.fr (ma come si fa?!? Che sono nata a Genova vorrei che lo scrivessero anche sulla mia urna cineraria!) nel 1990, aveva quindi solo 29 anni quando è stato pubblicato "Tout le bleu du ciel", vincitore di due premi nazionali francesi (Alain-Fournier e Cezam) l'anno successivo.

Scritto in maniera semplice e pulita, è anche (decisamente) un romanzo on the road, genere che non amo (riesco a essere pigra anche leggendo), che in questo caso mi ha coinvolta perché, per contro, amo moltissimo la Francia, e che mi sarei goduta ancora di più se mi avesse riportata in una delle zone in cui sono stata in vacanza negli anni passati.

Invece, come spesso mi succede, mi sono dovuta accontentare di "viaggiare" con Google immagini, scoprendo piccoli paesini stupendi, a cominciare da Saint-Suliac (vicino a Saint-Malo), luogo di provenienza di Joanne, per proseguire con tutti gli approdi del camper dei due protagonisti: Peyriac-de-Mer, Pouzac, Artigues, Pic du Midi e Sentier des Muletiers, Barèges, il lago di Glère, Luz-Saint-Sauveur, Gèdre, Beaudéan, Mosset, Eus, Cômes, Bages-Sigean, Gruissan, Aste-Béon, Lascun, ecc...
Ma il pregio maggiore del romanzo è l'esortazione al vivere (e godere) del presente, cosa che non faccio mai abbastanza (e probabilmente potrei anche eliminare quell'abbastanza...).

Reading Challenge 2022, traccia di ottobre: un libro dove nel titolo c'è una parola con la stessa iniziale del tuo cognome (C)


mercoledì 12 ottobre 2022

"Roberto Mancini, senza mezze misure", Marco Gaetani

 

Quindici mesi dopo "La bella stagione" le mie letture sono tornate a tingersi con i colori più belli del mondo. Perché questa è, sì, la biografia di Roberto Mancini e quindi hanno il loro spazi(ett)o anche le altre squadre in cui ha giocato e quelle che ha allenato, nazionale compresa, ma quello che la Sampdoria ha rappresentato per lui (e viceversa) è un concentrato di sentimenti non paragonabile con quelli che sono normali contratti di lavoro.

Lo ha ben capito anche Marco Gaetani - giornalista pubblicista romano classe 1987, nonché tifoso laziale - che, scegliendo di dedicare il suo primo libro a quello che nella sua squadra è stato sia giocatore che allenatore, non ha cercato di stravolgere la realtà facendogli indossare la nostra maglia nel disegno di copertina e scrivendo solo singoli capitoli sulle altre due squadre in cui ha giocato (Bologna e Lazio) e sulle sue tre principali esperienze come allenatore (Lazio, Inter e Nazionale), riservandone ben nove al Mancini blucerchiato. Quasi l'intero libro, com'è giusto che sia.

Scritto alla fine del 2020 e pubblicato nella primavera del 2021 (quindi anch'esso, come "La bella stagione", prima della vittoria dell'Europeo e prima dell'esclusione dai Mondiali), non ha il taglio giornalistico che temevo, ma è un'opera quasi romanzata che segue anno dopo anno la vita professionale del Mancio.
Gaetani a un certo punto scrive: "Se incontrassi Mancini..." e mi ha stupito questa cosa, scrivere un libro su qualcuno senza mai parlarci è strano e la cosa effettivamente si riflette sul testo dove di privato, a differenza dell'altro libro, non c'è quasi nulla.

Del resto gli autori de "La bella stagione" sono proprio Mancini e Vialli, e se anche il libro lo avrà materialmente scritto Domenico Baccalario (il curatore), quello che racconta sono i ricordi dei due gemelli del gol.

Gaetani, invece, scrive quasi esclusivamente di partite, di classifiche, di calciomercato. Descrive tantissimi gol (bisogna essere, non solo amanti del calcio, ma proprio tifosi per poterlo apprezzare) e lo fa benissimo, li fa rivivere. Io la maggior parte li ho visti dagli spalti: dei 204 gol segnati in carriera, ben 173 li ha fatti con la maglia della Samp. Tanti me li ricordavo, ma ho cercato su YouTube i video di ogni nostra partita citata e anche qualcuna delle altre (è colpa di questo libro se le mie letture questo mese stanno andando così a rilento).

"Tu che sei un campione e ti chiami Bobby Gol,
facci un gol, facci un gol di tacco Bobby gol"

Questo era uno dei tanti nostri cori per il Mancio, ma qui posto il video di quello che è passato alla storia come "il gol di tacco di Mancini": me lo sono riguardato almeno dieci volte, non lo so se sia il più bello, ma indubbiamente è uno di quei gol che da soli valgono il prezzo non del biglietto della partita, ma dell'abbonamento all'intero campionato.

I servizi di "90° minuto" e de "La domenica sportiva" sono senz'altro stati la fonte principale per la stesura di questo libro: Gaetani descrive quello che è stato trasmesso ai tempi, a volte riporta fedelmente le interviste di fine partita. Aggiunge i suoi ricordi solo quando parla di Mancini giocatore e allenatore della Lazio e solo in quei casi i commenti sono più quelli di un tifoso che di un giornalista, ed è normale e giusto che sia così.
Io, che il 20 maggio 1992 ero a Wembley, il gol di Koeman che ci costò la Coppa dei Campioni, lo ricordo con uno stato d'animo ben diverso dal suo, ma dedicare a quella partita il prologo del libro è stato un bel gesto.

Quello era un calcio diverso, migliore. Le rose non erano infinite (noi vincemmo lo scudetto con soli 16 giocatori). Ogni squadra poteva avere al massimo due, poi tre, giocatori stranieri, cosa che portava a coltivare i talenti italiani.
Roberto Mancini calciatore adesso non avrebbe rivali in Nazionale, mentre all'epoca ne aveva fin troppi. Questo, e il suo carattere non certo accomodante, hanno limitato le sue presenze in maglia azzurra. A proposito dell'estromissione da Italia 90 Gaetani riporta un bellissimo stralcio dell'intervista rilasciata a Marino Bartoletti per il "Corriere della Sera":

"Ora che sono allenatore, Vicini lo capisco ancora meno. Settanta giorni di ritiro per fare lo spettatore. Si comportò malissimo con me, non ebbe neppure il coraggio di darmi una spiegazione. Probabilmente il mio torto, come quello di Vialli e Vierchowod, era solo quello di giocare nella Sampdoria e non in una società più forte politicamente. E Vicini, si sa, non è mai stato un cuor di leone. In quel Mondiale non fu nemmeno un tecnico accorto: contro l’Argentina sarebbe bastato mettere Vierchowod su Maradona. Lo avrebbe annullato e tutto sarebbe cambiato. Lo avrebbe visto anche un cieco. Purtroppo, non Vicini. Un regalo però ce lo fece. Ci fece talmente imbestialire, ferì così tanto il nostro orgoglio, che noi della Samp vincemmo alla grande lo scudetto."

Dopo Samp/Sampdoria (che nel libro appare 1.093 volte) e gol (633), la parola più ripetuta è lite/litigio: è impossibile parlare del Mancio ignorando il suo modo di essere. Il "senza mezze misure" che completa il titolo è sicuramente riferito alle sue capacità tecniche, ma credo soprattutto alla sua incapacità di frenarsi. Un'incapacità che non ho mai potuto criticare perché ci accomuna e che mi rendeva comprensiva, e anche orgogliosa di lui, quando lo vedevo dare di matto in campo.

Gaetani non parla, forse perché non ne era a conoscenza, dei suoi otto livelli di incazzatura, ma gli riconosce il giusto merito di non aver mai avuto paura nell'esporsi, facendo nomi e cognomi. Da noi era la perfetta antitesi alla (per me odiosa) diplomazia di Gianluca Vialli.

Vialli che nel libro ha il suo spazio, e non poteva essere altrimenti ("Per stagioni e stagioni, sono stati il volto della Sampdoria. Anzi, sono stati la Sampdoria."). Come lo hanno Attilio Lombardo, Fausto Salsano, Vujadin Boskov e, naturalmente, Paolo Mantovani.

La Samp torna sempre nei discorsi di Mancini e nei suoi pensieri: è a noi che ha dedicato la vittoria agli Europei e sicuramente ha messo una buona parola con Dejan Stankovic, di cui è stato compagno di squadra e allenatore, per convincerlo a venire ad allenare una squadra ultima in classifica e senza società, a un passo dal possibile fallimento.

Nel 1997 aveva detto:

"Questa gente mi ha voluto bene sempre, anche all’inizio, quando giocavo poco e non benissimo. Ho dato tanto, ma in cambio ho avuto ancora di più. Ora vado via, ma il mio sogno è fare l’allenatore: sarebbe bello tornare ed essere importante come lo sono stato da calciatore per quindici anni. Potrei ripagare quei tifosi che ora si sentono traditi. Forse ho vinto meno di quanto era possibile, ma l’amore vale più dei successi."

E
 un giorno tornerà.


Reading Challenge 2022, traccia bonus di ottobre: libri da fotografare vicino a un oggetto presente nella copertina

sabato 1 ottobre 2022

Reading Challenge: le tracce di ottobre

     


Primo gruppo (un solo libro per traccia):

  • Un libro con la parola mistero/i nel titolo
    "Il mistero di Henri Pick", David Foenkinos (2 punti)
  • Un libro abbinabile a un gioco da tavolo
    "La superba", Ilja Leonard Pfeijffer (3 punti + 1 punto foto)

  • Un libro dove nel titolo c'è una parola che ha la stessa iniziale del tuo cognome (quindi per me la lettera C)
    "Tutto il blu del cielo", Mélissa Da Costa (6 punti)

  • Un libro abbinabile a una di queste emoticon: 👻👿💀🎃
    "Teddy", Jason Rekulak (4 punti)
  • Un libro con dell'acqua in copertina
    "Chanel non fa scarpette di cristallo", Barbara Fiorio (2 punti)

Secondo gruppo (un solo libro per traccia, solo se si sono letti i cinque libri delle tracce del primo gruppo):

  • Un libro "c'era una volta"
  • Un libro con un modo di uccidere nel titolo 
  • Un libro con una o più persone di spalle in copertina
  • Un libro dove si pratica la magia
  • Un libro con del nero e dell'arancione in copertina
    "Un fuoco che brucia lento", Paula Hawkins (4 punti + 1 punto foto)


Traccia bonus (uno o più libri):
 i libri letti vanno fotografati accanto a un oggetto o a un soggetto presente in copertina
  • "Roberto Mancini, senza mezze misure", Marco Gaetani (2 punti)
  • "Il porcospino", Julian Barnes (1 punto + 1 punto foto)
  • "Via di qui", Federica De Paolis (2 punti)
 
I miei punti = 29


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Casata: L'ordine della fenice