domenica 27 febbraio 2022

"Sorprendimi!", Sophie Kinsella

Londra, 2018. Sylvie e Dan Winter hanno 32 anni, sono sposati da sette e stanno insieme da dieci. Possono dire di aver già raggiunto i loro obiettivi: hanno due adorabili figlie gemelle di cinque anni, Anna e Tessa (tifose del Chelsea), una bella casa nel quartiere residenziale di Wandsworth, due lavori appaganti che forniscono sicurezza economica e soddisfacente tempo libero, una vita sociale interessante e, soprattutto, godono entrambi di ottima salute. Come i loro genitori, come i loro nonni: tutti longevi, tutti sani. L'unico a essere morto prematuramente è il padre di Sylvie, ma si è trattato di un incidente automobilistico...
Con un albero genealogico così fortunato e valutando i felici esiti dei reciproci check up, il dottor Bamford prevede per la coppia un futuro da centenari. E questo si traduce in altri sessantotto anni di matrimonio!
Ma è davvero possibile vivere per così tanto tempo sempre insieme alla stessa persona? Oltretutto conoscendosi così bene da sapere sempre con esattezza cosa l'altro/a dirà, farà, penserà? Forse è il caso di prevenire la noia facendosi delle sorprese...

Scritto nel 2018 (ed era proprio dal 2018 che non leggevo qualcosa della Kinsella) e tradotto (come quasi tutti i suoi libri) da Stefania Bertola, fino a poco oltre la metà è un suo tipico romanzo, molto vicino al genere chick lit (ma non tale al 100%), con una protagonista femminile in linea con quelle dell'autrice, una giovane donna piena di sè, che dà un'importanza esagerata all'apparire, al possedere, al suscitare invidia negli altri e indifferente a tutto ciò che non ruota attorno a lei e al suo piccolo nucleo familiare, quindi una figura odiosa che nella finzione riesce a far divertire grazie ai suoi immancabili inciampi sulla strada della pretesa perfezione.

A un certo punto, però, Sylvie scopre qualcosa che fa perdere alla storia la sua frivolezza, non arriva al punto da potersi staccare dal genere rosa, ma il dramma c'è e porta a commuoversi, cosa che non mi aspettavo e che ha reso più interessante la lettura. Il libro, secondo me, non va oltre la sufficienza (che comunque non è disprezzabile), ma se leggendo la prima metà mi chiedevo seriamente che senso avesse continuare a mantenere in wish list titoli di cui ho superato il target da almeno vent'anni, nella seconda ho smesso di considerarlo tempo perso.

Una cosa, però, mi chiedo. Per ben sedici volte Sylvie o qualche altro personaggio beve un sorso di vino: ma solo io lo tracanno a gollate?

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro con lo sfondo di un unico colore

 

venerdì 25 febbraio 2022

"Uccellino del paradiso", Joyce Carol Oates

Sparta (Stato di New York), 11 febbraio 1983. Il cadavere di Zoe Kruller, 34 anni, giace riverso nel letto della casa dove si era trasferita da tre mesi dopo aver lasciato il marito e il figlio adolescente Aaron.
Ed è proprio Aaron a rinvenire i corpo della madre. E' stata picchiata e strangolata. I principali sospettati sono il marito della donna e il suo amante, Edward Diehl. Al primo è il figlio a fornire un alibi testimoniando che il padre era stato a casa con lui per tutta la notte, il secondo non ha altrettanta fortuna, era da solo e la moglie Lucille si rifiuta di testimoniare il falso per salvarlo. Malgrado ciò, la polizia non riesce a formalizzare le accuse, non ci sono prove sufficienti.
Ma nella piccola provincia americana non basta la mancata incriminazione per essere considerati innocenti e solo una persona crede a quella di Eddie: sua figlia Krista.

Ed è lei, Krissie, a raccontare in prima persona la vicenda nella prima parte del romanzo quando sono passati quasi vent'anni dall'omicidio.

Un altro bel romanzo, scritto nel 2009, dove la Oates racconta di nuovo quegli Stati Uniti decisamente lontani dal sogno americano che comunemente viene celebrato e ingigantito su carta e schermo. L'America non patinata degli anni '80, la vita di provincia stentata per molti, gli abusi di droga e alcool, i contrasti razziali (Aaron è pellerossa da parte di padre).

"Si capiva perché, avendo ricevuto una terra così sterile e inospitale dal governo degli Stati Uniti in base a trattati che i loro antenati erano stati costretti a firmare, i discendenti delle sei tribù originarie dello stato settentrionale di New York desiderassero vendicarsi dei benefattori bianchi ogni qualvolta se ne presentasse l’occasione."

Pur raccontando due storie completamente diverse, ho trovato dei temi comuni con "Una famiglia americana": due romanzi di formazione che hanno come protagonista il legame di due figlie col proprio padre, rapporti condizionati e interrotti da due crimini; in secondo piano, ma meno importante solo di poco, il nucleo familiare. Questa volta ne abbiamo due e la seconda parte del libro racconta in terza persona la vita di Aaron, così diversa da quella di Krissie e di Ben, l'altro figlio dei Diehl. Esistenze che l'omicidio di Zoe cambia drasticamente e che in qualche modo finisce con unire per sempre.

"Morire è facile, molto più facile che vivere"

C'è anche una terza parte, quella più breve (due soli capitoli), quella chiarificatrice: il libro non è un giallo e non cerca nemmeno di esserlo, ma essendoci un omicidio è normale fare delle ipotesi. Io un'idea me l'ero fatta e sarebbe stata anche buona se questo fosse stato un thriller ed è proprio nell'attribuzione del delitto che risulta evidente (ma non ce n'era bisogno, lo era fin dal principio) che la Oates non ha mai pensato al libro come a un giallo.

Un romanzo molto bello, molto crudo, molto introspettivo. Volendo fare una scelta mi è piaciuto di più "Una famiglia americana" di cui in generale avevo preferito i personaggi e dove avevo tanto apprezzato le tematiche animaliste.

E, da odiosa precisina, devo fare un appunto all'autrice, all'editore, al traduttore o a non so chi. All'inizio della seconda parte si legge:

"11 febbraio 1983. E' un'accecante domenica mattina di neve"

Ed è il giorno in cui Aaron trova la madre morta, una data fondamentale, tutta la storia del libro ruota attorno a quel giorno. Peccato però che l'11 febbraio 1983 fosse un venerdì! Ma dare una controllata al calendario? Davvero autori e/o editori e/o traduttori pensano di non trovare nemmeno un lettore che vada a controllare i dettagli? Bè, almeno una c'è (e non credo proprio di essere la sola)!

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro scritto da un autore con due nomi propri

 

mercoledì 23 febbraio 2022

"Bestie", Magnus Mills

Nelle vicinanze di Perth (Scozia), anni 90. Immersa nella campagna scozzese c'è una ditta che si occupa di installare recinzioni da pascolo. Donald, il direttore, è un perfezionista e pretende dai suoi operai che i pali siano allineati al millimetro e i fili tesi al massimo.
E' quindi con grande disappunto che deve rimandare la sua squadra numero 3 da Mr McCrindle: i fili sono stati tirati male oppure non sono stati stretti a sufficienza, fatto sta che in una sola notte si sono già allentati.
Ne approfitta per affiancare a Tam e Richie il loro nuovo caposquadra, che non è scozzese, ma inglese, cosa che non farà piacere ai due scorbutici operai, ma Donald non ha alternative e poi il prossimo lavoro dovranno farlo proprio in Inghilterra, altra cosa su cui i due avranno da ridire, ma sono o non sono recintatori itineranti?

Si può scrivere un libro bellissimo raccontando soprattutto di pali da recinzione ben piantati e ben allineati? Magnus Mills - che dal 1979 al 1986 ha lavorato davvero come recintatore - c'è riuscito.
Ho comprato questa perla rara l'anno scorso sul sito del Libraccio senza conoscere l'autore, attratta dalla trama insolita (che svela più di quanto abbia fatto io).

Opera prima scritta nel 1998, "Bestie" è un concentrato di puro humor nero britannico: la voce narrante - il caposquadra di cui non ci verrà mai detto il nome - ci descrive le sue giornate lavorative in compagnia dei due operai scozzesi, due giovani uomini simbiotici, rozzi, ignoranti ed estremamente taciturni. Con loro si troverà a vivere ventiquattro ore su ventiquattro nel mezzo di in una campagna inglese piovosa, desolante e letargica, passando le ore di luce a costruire i recinti e quelle di buio all'interno della fatiscente roulotte messa a disposizione della ditta, trascorrendo le serate nel pub più vicino (anch'esso deprimente), seduti allineati e silenziosi, bevendo una pinta dietro l'altra. La birra è il solo scopo nella vita di Tam e Richie, la birra serale e le "paglie", che sono sempre un'ottima scusa per prendersi una pausa dal lavoro.

Il caposquadra, pur non brillando per doti particolari, al confronto con questi due esseri esasperatamente lenti e indolenti si eleva sotto a ogni aspetto, dal raziocinio all'igiene personale, e riuscirà ad adeguarsi all'andamento delle giornate "imposto" dagli scozzesi senza scendere mentalmente al loro livello.

Forse.

Perchè, ovviamente, il caposquadra, Tam e Richie fanno anche qualcos'altro oltre a piantare pali da recinzione: ogni tanto ammazzano qualcuno.

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro scritto nel Novecento

 

lunedì 21 febbraio 2022

"Ragazze mancine", Stefania Bertola


Parcheggio di un autogrill sulla A4 Torino - Milano, ore 17 circa di un pomeriggio di fine marzo 2013. Zarina è un bel labrador di 4 anni e in quel momento si trova, tutta spaesata, sul sedile posteriore di una Panda.
Franco Molteni, biellese, proprietario della "Ernesto Molteni cachemire", l'aveva regalata alla sua amante bielorussa, Svetlana, e Zarina era felice con lei. Ma adesso tutto è cambiato: la ditta di cachemire è fallita, si è scoperto che Franco ha truffato i soci e per questo lui e Svetlana sono scappati all'estero lasciandola nelle mani della rossa che adesso sta piangendo al volante della Panda.
E' Adele Brandi, 32 anni, e la sta portando al canile di Rho. Zarina sa che la donna non piange per questo, ma per se stessa, perchè il marito l'ha lasciata senza alcun preavviso dopo sette anni di matrimonio. Un matrimonio di interesse, ok, ma questo particolare rende ancora più tragica la sua situazione: tutto è stato pignorato dalla banca, villa, quadri, gioielli, conti correnti, facendo di Adele una donna povera. Dopo un mese anche sua madre si è stancata di ospitarla, quindi adesso non ha neppure più un posto dove dormire. Porterà il cane al canile, tanto a lei cani e bambini non sono mai piaciuti, e poi?
Ma mentre la donna piange e il cane è triste, una bionda con una bambina in braccio apre la portiera, si siede sul sedile del passeggero e implora Adele di partire.
E' Eva Fasano, 28 anni, che girava tranquillamente dentro all'autogrill quando una invasata si è messa a strillare cercando di strapparle dal collo il suo medaglione portafortuna!
Zarina osserva le due donne, a un certo punto capisce che parlano (anche) di lei. La macchina riparte, ma invece di proseguire per Milano imbocca la prima uscita e torna verso Torino: Eva ha fatto un patto con Adele, lei la ospita, ma Zarina resta con loro.

Dopo la scottante delusione di "Luna di Luxor" mi ci sono voluti più di due anni per tornare a leggere Stefania Bertola. E per tornare ad amarla.

In "Ragazze mancine" -  romanzo scritto nel 2013, 285 pagine suddivise in 68 capitoli titolati e non numerati - ho ritrovato il suo surreale umorismo che tanto mi piace e mi rilassa.
Mi sono divertita a raccontarne la trama facendo di Zarina il focus della storia, cosa che in realtà non è: le protagoniste sono, ovviamente, le due ragazze mancine, Eva e Adele.

Due donne separate anagraficamente da appena quattro anni, ma enormemente diverse tra loro per scelte di vita, maturità, responsabilità e valori.

Quello che all'apparenza può sembrare un romanzetto chick lit - e nelle sue sfumature lo è, fra colpi di fulmine, tradimenti attempati, medaglioni persi e ritrovati in spiaggia, nomi strampalati e parenti che spingono a considerare fortunato chi è nato orfano - può rivelare di essere molto di più se si ha voglia di soffermarsi sulla costruzione dei personaggi.
E dallo scontro povero vs ricco (o arricchito) Eva surclassa tutti gli altri (e non solo perchè riesce a salvare Zarina dal canile).

Una ragazza che ha solo una vaga idea su chi possa essere il padre di sua figlia e che vive ai limiti dell'indigenza grazie a lavori saltuari, ma con una dignità e un senso civico che, invece, non hanno mai neppure sfiorato Adele, che già da ragazzina aveva progettato di sposare un uomo ricco che le permettesse di vivere (bene) senza dover lavorare.
Ma la Bertola riesce a far apprezzare al lettore anche la sua seconda protagonista, issandola sul carro dei sensati e lasciando a terra madri che rubano l'eredità ai figli, mariti che tradiscono la moglie con la migliore amica di lei, mogli zerbino e cognate che intimano di non rivelare la parentela quando l'altra diventa povera.

Se non si è superficiali questo è un libro che dà molto su cui riflettere, ad esempio su come chi ha già molto o moltissimo non sia mai contento e voglia sempre di più, anche (e soprattutto) quello a cui non ha diritto.

Meravigliosa la Bertola, con le sue stoccate alla religione - fra un "Dio cammello" e un "Non va bene questa cosa del medaglione (portafortuna), Eva. E' come credere in Dio" - e le prese in giro ai libri simil Harmony (tema portante del suo esilarante "Romanzo rosa").

E mentre leggevo "Ragazze mancine" mi sono trovata a pensare che mi piacerebbe leggere un thriller scritto da lei: di questa storia potrei dire quello che tante volte ho scritto per i thriller, appunto. Gli intrecci sono tanti e vengono tutti ripresi incastrandosi perfettamente, basterebbe aggiungere un crimine, creare un movente, inserire un investigatore... Chissà se ci ha mai pensato.

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro con il titolo al plurale

 

giovedì 17 febbraio 2022

"Due omicidi diabolici", Raffaele Malavasi

Genova Pra', 28 maggio 2017. Sono passati solo pochi mesi da quelli che la stampa ha etichettato come "omicidi danteschi" quando Genova - "una città all'apparenza sonnolenta e immobile" - viene scossa da un altro brutale omicidio. All'interno del suo appartamento nell'estremo ponente cittadino viene trovato il cadavere di Teresa Tiraboschi: 48 anni, vedova da sei e senza figli, la donna si manteneva eseguendo lavori sartoriali per conto di tre negozi di abbigliamento, occupazione che la portava a uscire raramente e a condurre un'esistenza molto solitaria.
L'ispettore Manzi ha ben pochi spunti di indagine, eppure solo un odio profondo e personale può spiegare l'accanimento dell'assassino che ha preso a sassate la donna finendola con un colpo violento alla testa e che ha usato il suo sangue per tracciare un messaggio sul corpo.

Due mesi dopo "Tre cadaveri" sono tornata con piacere a leggere il mio concittadino che questa volta come scena del primo dei due omicidi del titolo ha scelto le mie zone.
L'appartamento della Tiraboschi si trova nella patria del basilico, Pra', il piccolo quartiere confinante con Pegli, dove abito io. Cita anche Sampierdarena, dove sono nata, e tutti i quartieri del litorale di ponente, ma - tolto il mio interesse personale - l'ambientazione del primo delitto è irrilevante ai fini della storia.
Molto più suggestiva quella del secondo, l'abbazia di Santo Stefano, in posizione centralissima, proprio sopra a via XX Settembre, l'arteria cittadina principale e via dello shopping, che chissà quanti turisti hanno attraversato senza guardare in su: ma Genova è una città verticale, qui bisogna per forza salire e scendere in continuazione e se non si guarda in alto si perde molto.

Nel romanzo ritroviamo tutti i personaggi di quello precedente, l'ispettore Manzi e l'intera squadra di polizia, la cronista Orietta Costa e gli altri giornalisti del "Secolo XIX" e, naturalmente, Goffredo "Red" Spada, il protagonista: la trama orizzontale che riguarda ciascuno di loro viene qui ripresa, proseguita e chiaramente lasciata in sospeso per il thriller successivo, "Sei sospetti per un delitto", che conto di leggere appena possibile.

Torna anche quel buffo modo che ha Malavasi di collegare i capitoli fra loro (fine capitolo: "...con la medicina improvvisata. Poi decise.", Inizio capitolo successivo: "Decise di imboccare via XX Settembre dall'inizio...") e il suo stile veloce e avvincente che fa del libro uno di quelli che ti chiamano per proseguire la lettura.

La storia gialla inizia e finisce nelle sue 441 pagine, ovviamente con la risoluzione dei due delitti, ed è intricata come quella del libro precedente, ma - pur prendendomi parecchio - mi ha convinta un po' meno.
Malavasi semina indizi davvero minimi, e questo va benissimo, non avrebbe senso in un thriller indirizzare con troppo anticipo il lettore sulla pista giusta, ma chi ne legge tanti sa bene che nessun particolare viene menzionato a caso. La sfida di questo genere di lettura è proprio quella di riuscire a raccogliere i vari punti che poi portano chi indaga e chi legge alla soluzione.
Ma è sul finale che mi è mancato qualcosa: i piccoli indizi vengono ripresi, tutti, ma non approfonditi. Per alcuni non ce ne sarebbe stato bisogno, ma per altri sì e questo crea un finale frettoloso. La storia ne avrebbe meritato uno più articolato, ma per gli standard Newton Compton temo che il libro fosse già fin troppo corposo così...

Un passaggio che da donna mi ha dato molto fastidio è quello in cui Malavasi fa indossare a Orietta Costa la sua biancheria più sexy e un tailleur provocante con la dichiarata intenzione di sfruttare la propria bellezza per riuscire a ottenere dal caporedattore un favore: brutto, evitabile e penalizzante per l'immagine di questa giornalista d'assalto, punta di diamante del quotidiano genovese.

Da genovese mi hanno fatto sorridere diverse cose, dalla presenza di telecamere di sorveglianza in via Cordanieri (per di più in un negozio di frutta e verdura!) a Manzi (romano de Roma) che si chiede come si faccia a mangiare la focaccia pucciandola nel cappuccino, perplessità che negli anni anch'io ho trovato in molti amici foresti... finchè non gliel'ho fatta assaggiare ^^

Invece la pensiamo allo stesso modo su "la strada sopraelevata, quel sinuoso serpente di cemento che alcuni genovesi, in modo incomprensibile, dichiaravano di amare": di sicuro non io!

Reading Challenge 2022, traccia bonus di febbraio: libri gialli o thriller

 

 

martedì 15 febbraio 2022

"La vedova allegra. Storia della ghigliottina", Antonio Castronuovo


"Come sola scusante del fatto che vado a toccare la sensibilità di chi legge, posso ricordare che un meccanismo simile alla ghigliottina si usa per trinciare i sigari toscani e forse anche in certe pratiche di macellazione di animali che ogni giorno giungono perfettamente decapitati sulle tavole di milioni di carnivori umani. Ciò non sminuisce ovviamente la pietà verso l'uomo, ma mi induce a rimarcare che la pietas tende ancora troppo a seguire una sola direzione.
E chi ha orrore della ghigliottina dovrebbe anche smettere di mangiare il pollo
"

Fra me e me mi stavo già lamentando per lo stile antiquato, quando Castronuovo con questo inaspettato passaggio della prefazione si è guadagnato tutta la mia stima.

Il saggio è stato scritto nel 2006 (ma io ho comprato l'edizione di Stampa Alternativa, collana Fiabesca, pubblicato tre anni dopo nel delizioso formato 17 x 12, carta di qualità e bellissimo font: mi piacerebbe leggere altri titoli di questa collana) e a detta dello stesso autore, "si può leggere come storia di un aspetto della pena di morte, come un modo di ripercorrere la Rivoluzione francese o come un saggio antropologico su un'epoca". Vero.

E' un testo completo e davvero molto interessante. Inizia descrivendo dettagliatamente il macchinario e la procedura, spiegando che si arrivò a sentire il bisogno di un mezzo diverso dai precedenti in seguito ai non pochi casi di errori/orrori avvenuti, ad esempio quello del conte di Chalais a cui venne staccata la testa solo dopo ben ventinove colpi di spada!

All'epoca non veniva nemmeno presa in considerazione l'idea di abolire la pena capitale e la decapitazione era un privilegio riservato all'aristocrazia. Per il popolo c'era la forca. E fino al 1787, quando Luigi XVI abolì la tortura, in caso di crimini enormi si finiva alla ruota, per i peccati mortali dello spirito sul rogo e i colpevoli di lesa maestà venivano squartati.

"La ghigliottina era la risposta alla richiesta di umanizzazione e uniformazione della pena, sopprimendo torture e supplizi e abolendo il privilegio nobiliare della spada."

Castronuovo ripercorre i passi della ghigliottina nella storia e nella letteratura (interessantissime le parti che rimandano a Cesare Beccaria e al suo "Dei delitti e delle pene", probabilmente la lettura che mi aveva più appassionata ai tempi della scuola), ricordando quanto scritto da Victor Hugo:

"Si può nutrire una certa indifferenza sulla pena di morte,  non pronunciarsi affatto, dire sì o no, fintanto che non si è vista coi propri occhi una ghigliottina"

Spiega molto bene le dinamiche che portarono alla Rivoluzione francese, rivoluzione a cui tutti dobbiamo molto: "Ha demolito l'ancien régime, ha eliminato i diritti (e i vantaggi) feudali, ha fondato la Repubblica, ha gettato le basi del suffragio universale e del parlamentarismo".
E altrettanto bene descrive il Regime del Terrore di Robespierre e quello che avvenne dopo la sua morte.

La ghigliottina, frutto e simbolo della Rivoluzione, venne proposta dal dottor Joseph-Ignace Guillotin (da qui, suo malgrado, il nome), progettata dal chirurgo Antoine Louis e fabbricata dell'Artigiano tedesco di clavicembali Tobias Schmidt.

Entrata in funzione nel 1792 venne mantenuta per ben 185 anni: il primo uomo a essere ghigliottinato fu Nicolas-Jacques Pelletier, a Parigi il 25 aprile 1792. L'ultimo Hamida Djandoubi a Marsiglia il 10 settembre 1977: praticamente ieri!
Mi fa molta impressione questa data così vicina e ancora di più sapere che fra il 1950 e il 1977 la Francia ha ghigliottinato ben ottanta persone.
Del resto - se in Italia la pena di morte venne abolita nel 1889, poi reintrodotta dai fascisti e quindi abolita definitivamente nel 1948 - la Francia ci è arrivata solo nel 2007, quando Chirac fece inserire l'abolizione nella Costituzione francese (ma nel 1981 Mitterand aveva promulgato un decreto che trasformava le sentenze capitali in ergastolo), ultimo Paese europeo ad averla abolita.

E del saggio di Castronuovo ho apprezzato moltissimo l'approfondimento storico: dato l'argomento sarebbe stato facile (e comodo) rimestare negli aspetti più macabri, ma pur descrivendo la procedura dal prelevamento in cella del condannato alla decapitazione, ha saputo farlo in modo misurato e intelligente.

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro con un sottotitolo

 

domenica 13 febbraio 2022

"Storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud", Costanza Rizzacasa d'Orsogna



Quasi due anni dopo aver letto "Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare" mi sono regalata il seguito, pubblicato a settembre dello scorso anno.

Ne sono passati tre dalla fine di quella storia, adesso Milo ne ha quattro (quello vero otto) e con la sua mamma umana ha lasciato la capitale trasferendosi a due passi dal mare, dove ha fatto subito amicizia con i gabbiani, sperando un giorno di poter rivedere il suo preferito, Virgilio.
Non sa che un altro pennuto sta per incrociare la sua strada regalandogli un'incredibile avventura: è il piccolo Hielito, un cucciolo di pinguino imperatore che i bracconieri hanno strappato ai genitori in Antartide per portarlo in Italia, perché ci sono uomini disposti a pagare bene per il solo gusto di possedere un animale esotico.
Hielito è riuscito a fuggire dal capannone in cui era recluso, salvando sé stesso e gli altri animali imprigionati, ma adesso bisogna riportarlo al Polo Sud.


Un altro delizioso librino, 128 pagine (arricchite dalle illustrazioni di Giacomo Baganara) che si leggono in un'ora o poco più e che l'autrice dedica "a tutti quelli che si sentono diversi". Perché Milo, a causa della ipoplasia cerebellare di cui soffre, non riesce a saltare come fanno tutti i gatti, cammina anche un po' storto, ma questo non lo rende inferiore ai suoi simili, solo tanto più speciale. E' attraverso il suo esempio che la Rizzacasa d'Orsogna lancia il giusto messaggio:

"Tu puoi fare tutto, se ci credi e se t'impegni"

Ma la storia è soprattutto una denuncia contro il male che noi uomini stiamo facendo al pianeta. La scelta del Polo Sud non è certo casuale: è da lì che la Terra sta lanciando il suo grido d'allarme maggiore, con i ghiacci che si sciolgono a velocità impressionante a causa del riscaldamento globale condannando all'estinzione gli animali che popolano questa regione. I cambiamenti climatici fanno perdere la rotta agli animali, che già muoiono per colpa dei rifiuti che buttiamo in mare mentre togliamo loro il cibo con la pesca intensiva.

«Certo, sembra brutto parlare così dei pesci, come se non fossero esseri viventi...»
«È la catena alimentare, Milo. Noi pinguini cacciamo solo quanto basta per sopravvivere, e altri animali cacciano noi per lo stesso motivo. Solo l’uomo uccide per il piacere di farlo.»

Non c'è solo il pinguino Hielito: c'è il condor Pasa, anch'esso a rischio di estinzione per la distruzione del suo habitat; ci sono il giaguaro Evita e l'alpaca Fernanda, che hanno sfidato la natura unendo le forze per cercare di salvare i loro cuccioli dal petting zoo; c'è la megattera Luis, bell'omaggio a Sepulveda da parte dell'autrice ("Mi chiamo Luis, come un grande scrittore che amava questi luoghi e noi balene. Canto per ricordarlo")...



...e c'è l'orca Garcìa, intrappolata in un parco di divertimenti, l'animale che mi ha commossa di più, forse perché ho ben presente quanto siano piccole le cosiddette "vasche oceaniche" dell'acquario di Genova!

"Gli uomini ci rapiscono, ci tengono prigionieri, ci sfruttano per far divertire il pubblico, e se ci rifiutiamo d’imparare i loro stupidi giochi ci lasciano senza cibo e ci fanno del male. Se poi reagiamo, ci sparano, e dicono che siamo stati noi, cattivi, ad attaccarli. Orche assassine, ci chiamano. Ma l’orca non attacca l’uomo, caccia solo per nutrirsi. Animali selvatici non vuol dire animali cattivi: vuol dire che dobbiamo vivere liberi."


Pensateci prima di pagare il biglietto di uno zoo, di un parco acquatico, di uno zoo safari, di un circo!!

"Gli animali non sono un divertimento, non sono cose. Gli animali selvatici devono vivere nel proprio habitat, ed entrare in contatto con l’uomo solo in situazioni di vera emergenza."

L'autrice ricorda anche la strage di koala in Australia a causa degli incendi e i tanti, troppi, animali da compagnia adottati durante il lockdown della primavera 2020 e abbandonati finita l'emergenza.

"Anche i canili, solitamente stracolmi, in quel periodo si erano svuotati, solo per tornare ad affollarsi di animali adottati e poi restituiti. E come doveva essere terribile per un cane o un gatto vissuti sempre in gabbia, trovare finalmente una casa, una famiglia, e poi da quella casa, da quella famiglia, essere sbattuti fuori. Alcuni non sopravvivevano al dolore."

Ma io purtroppo non condivido la fiducia che hanno gli animali creati da Costanza Rizzacasa d'Orsogna: "La nostra speranza sono le nuove generazioni degli umani".

Le persone veramente sensibili e attente alla questione ambientale e capaci di capire che gli animali non sono cose, ma esseri viventi, sono una minoranza. E se a certe latitudini sussiste ancora la necessità di certe scelte, per noi non ci sono scusanti.
Chi fa la raccolta differenziata, ma poi è ben contento di volare a Berlino spendendo 12.99€ o chi si commuove vedendo in televisione un animale terrorizzato con la pellicciotta bruciata, ma poi si compra le scarpe di vitello perché la comodità dei suoi piedi è più importante (e comunque il vitello se lo mangia) cosa può mai insegnare ai propri figli?

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro con almeno cinque colori in copertina

 

venerdì 11 febbraio 2022

"L'intestino felice", Giulia Enders

Se l'intestino è felice noi tendiamo a non accorgercene nemmeno: lo diamo per scontato, stiamo bene e basta. Viceversa se l'intestino non è felice ce ne accorgiamo immediatamente per tutti i disagi che ci causa. E se l'intestino è malato possiamo stare molto male, possiamo anche morire, com'è successo a mia madre nel 1998: tumore all'intestino diagnosticato in ritardo, non ha avuto scampo.

Ma questo saggio fa solo un piccolo accenno al cancro, concentrandosi invece sul sistema digestivo. Ad attrarmi era stata una delle tre promesse fatte nella sinossi: "Scopriremo perchè ingrassiamo, perchè ci vengono le allergie e perchè siamo tutti sempre più colpiti da intolleranze alimentari".
Io non ho allergie nè soffro di intolleranze, però ingrasso. Non ho mai pensato che dipendesse dal mio intestino, ingrasso perchè non brucio tutte le calorie che ingurgito, però, sì, in alcuni casi i batteri intestinali possono far ingrassare una persona. Così dice il libro, anche se dei tre temi questo viene sviluppato ben poco.

In generale tutto è un po' superficiale. Giulia Enders è la ragazza con il faccino simpatico che ci sorride in copertina. Classe 1990, ha pubblicato il saggio nel 2014, quindi appena ventiquattrenne e fresca di studi, non esattamente un premio Nobel, ma le va riconosciuto il coraggio per l'intraprendenza.
Per capire quanto sia valido questo testo servirebbe la recensione di qualcuno con i mezzi per giudicare seriamente quanto afferma, quindi non certo io, ma a me ha dato l'impressione di essere un compitino ben fatto, cioè che la Enders abbia condensato quanto appreso durante i suoi studi cercando di spiegare concetti difficili in parole facili.
Ma la materia è davvero dura per chi deve i propri fondamenti di medicina a "E.R." (io): finchè ha spiegato i legami fra cervello e intestino e come quest'ultimo possa influire sulla salute e sul benessere delle persone o ha trattato questioni come "Mi siedo correttamente sul water?, mi ha incuriosita e sono riuscita a seguirla abbastanza agevolmente, ma appena si è addentrata sul funzionamento dell'intestino la faccenda - fra molecole dello zucchero, enzimi, catene glucidiche, aminoacidi, ecc - si è complicata un bel po'.
Mi aspettavo qualcosa di simile alle riviste di Riza, quindi un testo divulgativo e guidato (fai questo e ottieni quello), invece la Enders si addentra in nozioni per me enormemente complesse, ad esempio le differenze fra organismi amebici, striscianti e unicellulari con orifizi buccali.

La cosa particolare è che i termini  medici sono affiancati a uno stile di scrittura forzatamente divertente, come se si stesse rivolgendo a dei bambini, impressione rafforzata dai titoli di alcuni capitoli ("Come funziona la cacca e perchè vale la pena domandarselo") e dall'inserimento nel testo di (orribili) vignette, opera della sorella Jill.




Essendo tedesca nei suoi esempi si riferisce soprattutto alla Germania, citando spesso i crauti, spiegando perchè un terzo dei tedeschi è intollerante al fruttosio, ecc, ma - oltre a scoprire cose che proprio non sapevo (che l'80% del nostro sistema immunitario si trova nell'intestino, che la saliva è sangue filtrato e che se lo stomaco fosse collegato centralmente con l'esofago e ridessimo dopo aver mangiato ci ritroveremmo a vomitare come Regan de "L'esorcista") - la parte relativa alle intolleranze alimentari è quella che ho trovato più interessante.

"Oggi la globalizzazione e il trasporto aereo garantiscono un’offerta di frutta un tempo impensabile. D’inverno troviamo ananas tropicali accanto a fragole fresche provenienti dalle serre olandesi e qualche fico secco del Marocco. Quella che oggi definiamo intolleranza alimentare forse è solo la reazione di un corpo perfettamente normale che nel corso di una sola generazione ha dovuto adattarsi a un’alimentazione mai sperimentata nel corso dei milioni di anni precedenti."

E così se circa trent'anni fa una persona su dieci era allergica a qualcosa, oggi lo è una su tre. Non solo, più sono alti gli standard igienici di un Paese e più sono diffuse le allergie e le malattie autoimmuni.

Alla fine quello che emerge - sulla pelle dei miliardi di topi da laboratorio che ogni giorno muoiono per noi - è che gli alimenti amici dell'intestino sono quelli vegetali, non certo quelli animali.

"Ormai è dimostrato che la soia protegge dal cancro alla prostata, dall’angiopatia e dai problemi alle ossa. Più del 50 per cento degli asiatici ne trae giovamento, ma solo il 25/30 per cento della popolazione occidentale. E la spiegazione non è da ricercarsi nelle differenze genetiche, bensì a livello di flora batterica intestinale. Alcuni microbi si trovano più facilmente negli intestini asiatici che ricavano da tofu e compagnia bella le sostanze più salutari."

E un onnivoro prima di sfottere un vegano perchè, a suo dire, mangia del cibo di merda dovrebbe leggersi il capitolo sulla salmonellosi: avete presente un boomerang? Ecco.

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro con una parte del corpo umano nel titolo

 

giovedì 10 febbraio 2022

"Jane Eyre", Charlotte Bronte

Lancashire (Inghilterra), Ottocento. Jane Eyre è una bimba di dieci anni che - rimasta orfana da neonata - vive  nella villa di Gateshead con i cugini Reed e la zia acquisita, in perenne lotta con loro, trattata come una serva e non come una parente. Tutto ciò finisce un 19 gennaio, quando Jane viene mandata a Lowood, pensionato per bambine orfane e/o disagiate. Vi rimarrà per sei anni come alunna e due come insegnante, finchè diciottenne accetterà un posto da istitutrice a Thornfield, di proprietà di Mr Rochester...

E Mr Rochester è il motivo per cui mi sono decisa a leggere questo tomo infinito (720 pagine), spinta dalla mia amica Lorena che mi ha regalato il romanzo omonimo scritto da Sarah Shoemaker, che lei ha adorato. Ma leggere quello senza sapere nulla di Jane Eyre (non ho mai visto neppure una delle innumerevoli trasposizioni cinematografiche o televisive) non avrebbe avuto senso, così di fronte a una traccia adatta mi sono decisa ad affrontarlo.

Non amo i classici, meno che mai quelli di questo tipo, ma il mio disagio è stato inferiore a quello temuto: il romanzo si perde spesso in inutili lungaggini, ma lo stile semplice lascia scorrere velocemente le pagine (nonostante certe siano davvero noiose).
L'ho preferito di gran lunga a "Cime tempestose" dell'altra Bronte e ai quattro romanzi della Austen che ho letto e ho apprezzato molto le parti in cui l'autrice punta il dito contro l'ipocrisia religiosa ("Si son vedute persone degne di ogni rispetto ridotte alla miseria come me e se siete cristiana, non potete considerare la povertà come un delitto."), si fa portavoce dei diritti delle donne ("Sono ciechi gli uomini quando assicurano che le donne debbono limitarsi a far puddings, a far calze, a sonare il pianoforte e a ricamare.") e dei ceti sociali inferiori ("Non devo dimenticare che queste villanelle, rozzamente vestite, sono di carne e di sangue come le discendenti di nobili famiglie, e che i germi della perfezione, della purezza e della intelligenza esistono in loro come nelle altre."), davvero tanta roba per quell'epoca!

Ma oltre a questo c'è poco. Una storia banale, dove i due sviluppi fondamentali sono frutto di gigantesche coincidenze, con una Cenerentola di protagonista tutta virtù e innocenza che ha una zia acquisita e dei cugini al posto della matrigna e delle sorellastre, e un uomo che ha più del doppio dei suoi anni, brutto, dispotico e volubile al posto del bel principe azzurro.

Tutto è antiquato, gli accadimenti, le situazioni, le reazioni, i dialoghi e i pensieri. Ovvio, è stato scritto nel 1847, ma avere presente questa data non è stato un motivo sufficiente a farmi trovare interessante quello che ho letto e mi risulta difficile capire come una ragazza o una donna di oggi possano sognare su questo genere di storie.

Soprattutto per me è un mistero il presunto fascino di Edward Rochester, spero di capirlo quando leggerò il libro della Shoemaker incentrato su di lui, forse mi sono sfuggiti dettagli e ho mal interpretato il personaggio. Per ora sfrutto la meravigliosa espressione napoletana "omm' e merda" per sintetizzare il mio pensiero su di lui.

PS: cercando informazioni sui luoghi (non citati) in cui è ambientato il romanzo sono capitata nel sito The Reader's Guide to Charlotte Bronte's "Jane Eyre", che ha soddisfatto le curiosità che avevo.

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio:  un libro con un nome proprio di persona nel titolo

 

 

lunedì 7 febbraio 2022

"Aperto tutta la notte", David Trueba

Madrid, estate 1986. Quella dei Belitre all'apparenza sembrerebbe una famiglia normale, giusto un po' numerosa: una madre, un padre e sei figli maschi di età compresa fra i 9 e i 28 anni, tutti raccolti sotto allo stesso tetto. Tetto che per fortuna è diventato improvvisamente più spazioso: infatti li incontriamo all'inizio dell'estate durante il trasloco da un appartamento di periferia a una insperata palazzina di due piani, con tanto di giardino e solaio mansardato, nel pieno centro della capitale, ereditata dalla nonna paterna che da 17 anni non ha più voglia di alzarsi dal proprio letto - figurarsi di cambiare casa! - e che quindi l'ha ceduta volentieri a figlio, nuora e nipoti.
Ma i Belitre sono una famiglia di squilibrati, nonni compresi.

La memoria è il mio più grande vanto e ricordo sempre se un libro è entrato nella mia wish list dopo averlo visto fra le novità di IBS o dopo averne letto o ascoltato una buona recensione e in questo caso ricordo bene dove o da chi. Ma questa volta no, quindi penso che sia stato uno di quegli acquisti scelti quasi a caso sul sito del Libraccio (il libro viene da lì) che mi capita di fare quando mi mancano due o tre euro per arrivare alle spese di spedizione gratuite. Se è andata così, è stata una scelta fortunata, altrimenti mi spiace non ricordare chi dovrei ringraziare per il suggerimento.

David Trueba è un regista, sceneggiatore e scrittore spagnolo mio coetaneo (quindi classe '69) e questo è stato il suo primo romanzo, risalente al 1995. Ne ha scritto altri sei, di cui quattro già tradotti in italiano (mancano gli ultimi due, del 2019 e 2021, speriamo bene...) che voglio senz'altro leggere.

"Aperto tutta la notte" non è un capolavoro letterario, ma l'ho adorato, più per lo stile che per le storie che racconta (quella generale e quelle individuali) ed è riuscito a farmi ridere di cuore in più occasioni perché racconta un certo tipo di situazioni per me esilaranti, ad esempio le imprese di nonno (poeta) Abelardo che, sulla spinta della sua esaltata devozione a Dio con cui crede di poter parlare, colpisce senza riguardi cose o persone per lui disturbanti con il suo bastone da passeggio oppure la fantastica nonna Alma, dal passato libertino, sboccata e grande fumatrice di pipa.

Le pagine sono solo 222 a causa dello stramaledetto font usato da Feltrinelli per i libri di questa collana, che non ha alcun rispetto per le talpe come me, e sono divise in 21 capitoli, ognuno dei quali ospita (quasi sempre) tutti i personaggi: mi è piaciuto moltissimo il modo in cui Trueba passa da una situazione a un'altra riuscendo a dare un'incredibile sensazione di dinamismo.

Di ogni personaggio ne tratteggia la personalità e attraverso un narratore esterno (un amico di uno dei ragazzi Belitre) racconta di loro i fatti funzionali all'estate in cui si svolge tutto il romanzo.
E di positivo succede ben poco: sembra di leggere un testo umoristico per com'è stato scritto, ma scremando i fatti da ironia e comicità emergono svariati drammi, più o meno gravi, dalla crisi di mezza età che colpisce il padre ("Come si può pretendere che qualcuno sia felice il giorno del suo cinquantesimo compleanno? Si può forse esigere un simile esercizio di cinismo?") alla serietà di malattie complesse (la sindrome di Latimer di cui è affetto uno dei figli), dalla violenza sulle donne al bullismo, passando per rimedi paradossali quanto tragici e arrivando a un finale inaspettato, che stronca di botto l'allegria lasciando del libro un (bel) ricordo dolce amaro: un finale da gran sceneggiatore.

"Casa: l'unico posto aperto tutta la notte"
Ambrose Bierce ("Dizionario del diavolo")

Reading Challenge 2022, traccia di febbraio: un libro con delle posate in copertina

 

martedì 1 febbraio 2022

Reading Challenge: le tracce di febbraio


Primo gruppo (un solo libro per traccia):

  • Un libro con almeno cinque colori in copertina
    "Storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud", Costanza Rizzacasa d'Orsogna (1 punto)
  • Un libro con delle posate in copertina
    "Aperto tutta la notte", David Trueba (2 punti)

  • Un libro con una parte del corpo umano nel titolo
    "L'intestino felice", Giulia Enders (2 punti)

  • Un libro con il titolo al plurale
    "Ragazze mancine", Stefania Bertola (2 punti)
  • Un libro con un nome proprio di persona nel titolo
    "Jane Eyre", Charlotte Bronte (7 punti)

Secondo gruppo (un solo libro per traccia, solo se si sono letti i cinque libri delle tracce del primo gruppo):

  • Un libro con un orologio in copertina
  • Un libro con un sottotitolo
    "La vedova allegra. Storia della ghigliottina", Antonio Castronuovo (3 punti)
  • Un libro scritto da un autore con due nomi propri
    "Uccellino del paradiso", Joyce Carol Oates (6 punti)
  • Un libro con lo sfondo di un unico colore
    "Sorprendimi!", Sophie Kinsella (4 punti)
  • Un libro scritto nel Novecento
    "Bestie", Magnus Mills (3 punti)

Traccia bonus (uno o più libri): 
libri gialli/thriller

  • "Due omicidi diabolici", Raffaele Malavasi (4 punti)
 
I miei punti = 34


Iscrizioni sempre aperte QUI
Casata: L'ordine della fenice