lunedì 28 novembre 2022

"La casa sull'argine", Daniela Raimondi


Stellata (Ferrara). E' il 1799 quando una carovana di zingari transita per il piccolo borgo. Alcuni carri rimangono impantanati nel fango obbligando gli abitanti del posto e i gitani a una convivenza forzata che si prolunga prima a causa del maltempo e successivamente per un'epidemia di tifo. Un periodo sufficiente a far nascere l'amore per un'improbabile coppia: Giacomo Casadio, contadino taciturno e schivo di 45 anni, perde la testa per Viollca Toska, bella come i suoi 22 anni. L'anno successivo è già nato quello che avrebbe dovuto essere il primo figlio e che, invece, rimarrà l'unico, ma che basterà a dare il via a una saga familiare che arriverà fino ai giorni nostri.

Daniela Raimondi, classe 1956 e originaria della provincia di Mantova, aveva già scritto una decina di libri di poesie prima di pubblicare questo che è il suo primo, e per ora unico, romanzo. Amazon mi dice che era uscito il 24 agosto 2020 e i conti (mi) tornano: una settimana dopo iniziavo a leggere "Gli anni della leggerezza", il primo titolo dei Cazalet, e ricordo benissimo di come a fine ottobre, dopo aver terminato la serie, mi fossi messa a cercare altre saghe familiari inserendo "La casa sull'argine" in wish list.

L'ho poi ignorato per più di due anni perché il più delle volte non mi trovo a mio agio con lo stile di chi non è solo uno scrittore, ma anche (o principalmente) poeta. Invece la Raimondi mi ha conquistata sotto ogni punto di vista. E' uno di quei libri che mi è dispiaciuto aver finito ed era dall'estate che non mi succedeva.

Un difetto questo romanzo lo ha e risulta evidente facendo il confronto con la saga dei Cazalet: la Howard ha scritto cinque libri da 500/600 pagine l'uno per raccontare un periodo di appena 19 anni, la Raimondi ha racchiuso in un unico libro di 400 pagine circa due secoli e mezzo.
Peccato!
Per quanto la lettura sia stata lo stesso appagante, avrei tanto voluto avere da leggere almeno una trilogia. Invece qui gli sviluppi sono davvero molto rapidi, soprattutto nei primi capitoli dove in ognuno viene raccontata l'esistenza di una generazione con grossi salti temporali (1800, 1847, 1861, 1909...). E' solo dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale che il ritmo rallenta e alcuni dei personaggi presentati ci accompagnano fino al 2013, dove si conclude la storia.

Nonostante la Raimondi faccia riferimento a ogni evento storico di rilievo - le guerre di Indipendenza, l'Unità d'Italia, le emigrazioni di massa, la prima Guerra Mondiale (bellissima e straziante la descrizione delle condizioni nelle trincee che fa attraverso l'esperienza di Beppe Casadio), l'ascesa del fascismo, la seconda Guerra Mondiale e la lotta Partigiana, il '68 e gli anni di piombo, più sporadici accenni internazionali, da Pearl Harbor alla guerra in Vietnam allo sbarco dell'uomo sulla Luna - tutto, sempre a causa dell'aver limitato la saga a un unico volume, si traduce per lo più in accenni inconsistenti (ad esempio l'unità d'Italia viene relegata in un'unica frase: "Terminata la seconda guerra d’indipendenza e formatosi il Regno d’Italia, Achille Casadio tornò a vivere a Stellata."). Solo gli anni di piombo godono di un maggior approfondimento, ma qua ricorro a un altro importante confronto, quello con la tetralogia de "L'amica geniale": pochi capitoli di un libro di 400 pagine non possono essere particolareggiati come un intero libro ("Storia di chi fugge e di chi resta").

Ma il rimando maggiore lo faccio con Isabel Allende, e scusate se è poco! Credo sia stata una grande fonte di ispirazione per la Raimondi, per lo stile, per il modo di raccontare gli eventi attraverso i suoi personaggi e, soprattutto, per la "La casa degli spiriti", con quel realismo magico che normalmente non tollero e derido, ma che amo nei grandi autori.

Sperando che Daniela Raimondi stia lavorando a un altro romanzo bello come questo, chiudo con tre punti.

Una fotografia della bella Rocca Possente di Stellata:


Un ringraziamento per avermi risvegliato dei bei ricordi di mia madre con diverse canzoni citate, in particolare questa, uno dei suoi cavalli di battaglia (preciso: era così stonata da far sanguinare le orecchie... e cantava sempre!):

«Signorina Maccabei,
venga fuori, dica lei,
dove sono i Pirenei?»
«Professore, io non lo so, lo dica lei.»
E un appunto: la stazione ferroviaria di Genova si chiama Piazza Principe, non Porta Principe!! Ci teniamo ^^

Reading Challenge 2022, traccia di novembre: un libro di un editore che non hai letto a ottobre (Nord)

venerdì 25 novembre 2022

"Parrucchiere per signora", Irina Grekova

"Russia, anni Sessanta, un'austera donna si divide tra la cura dei figli e la professione di cibernetico. Porta da tre anni i capelli lunghi e decide di tagliarli."

Rileggendo adesso la sinossi del libro mi domando cosa mi abbia spinta all'acquisto. Risposta che in realtà conosco: averlo trovato usato e in super offerta sul sito del Libraccio mentre cercavo proprio un librino da poco per ottenere la spedizione gratuita.

Una lettura veloce - sono solo 105 pagine nel formato A6 di Sellerio - e piuttosto inutile, a tratti anche irritante per me che, evidentemente, ho proprio un'incompatibilità nei confronti degli autori russi, che siano classici o (più o meno) contemporanei.

Elena Wentzel - nata a Tallin nel 1907 quando l'Estonia faceva ancora parte dell'Impero Russo - figlia di due insegnanti, è stata un 
personaggio di spicco dell'Unione Sovietica come docente e matematica, nonché dagli anni Settanta come scrittrice, firmando le sue opere con lo pseudonimo di Irina Grekova.

"Parrucchiere per signora" lo ha scritto nel 1962 e la storia si svolge proprio negli anni '60. La protagonista, 
Maria Vladimirovna Kovalëva, è una donna di mezza età, madre di due figli di venti e ventidue anni, tanto pigri da non svuotare neppure i posacenere traboccanti di cicche facendo così imbestialire la madre al rientro dal lavoro. Una sera di primavera, stufa di doversi arricciare i capelli ormai lunghi dopo tre anni di trascuratezza, va dal parrucchiere. La fila è lunga, ognuna delle donne in attesa vuole mettere la propria chioma nelle mani del parrucchiere. Solo Maria accetta che a farle taglio e permanente sia Vitalij, l'apprendista. La donna è molto soddisfatta del risultato, almeno fino al primo lavaggio, quando si rende conto che per gestire al meglio i "nuovi" capelli avrà bisogno di andare a farsi fare la piega ogni settimana. Il seguito ovviamente non lo racconto, ma se anche lo facessi non avrei molto da scrivere. E' una storia che descrive episodi del quotidiano della donna e del ragazzo, relativi soprattutto alle rispettive mansioni. Maria è la direttrice dell'Istituto dei Computers, e questo - fra le righe - è probabilmente l'aspetto più significativo del librino: un esempio di come nell'Unione Sovietica - un po' per ideologia, un po' per necessità (Victor Zaslavsky nella sua introduzione ricorda come gli effetti dei 25 milioni di morti patiti durante la Seconda Guerra mondiale crearono un enorme squilibrio fra il numero delle donne e degli uomini, così grande da trascinarsi fino agli anni Settanta) - la partecipazione femminile al mondo del lavoro fosse massiccia a ogni livello e in ogni ambito, anche in settori - dall'ingegneria alla chirurgia - dove ancora oggi (e chissà per quanti altri decenni ancora) anche nei più democratici degli Stati il dominio maschile è assoluto.

Reading Challenge 2022, traccia di novembre: un libro con la copertina flessibile

mercoledì 23 novembre 2022

"La cliente", Pierre Assouline

 

Parigi, metà anni Novanta. Un biografo è soprattutto un investigatore. E' per questo che la voce narrante del romanzo si reca ogni giorno agli Archivi di Stato per portare avanti una ricerca sullo scrittore di cui sta raccontando la vita.
Cerca una lettera del 1941, quella con cui qualcuno aveva denunciato la famiglia di quello scrittore obbligandoli a dimostrare entro quindici giorni di non essere ebrei.
Non è stato semplice per il biografo ottenere dal Ministero della Cultura l'autorizzazione necessaria per accedere agli Archivi francesi, per altro una concessione estremamente vincolante: può solo leggere. Niente fotografie, niente fotocopie, niente appunti. E non potrà parlare di quello che leggerà perché i documenti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale sono ancora segretati.
Meglio aspettare che siano tutti morti prima di divulgare il marcio di quegli anni...
Ma, fra le centinaia di lettere tutte simili, quella che attira la sua attenzione è datata 8 dicembre 1941 e a colpirlo è il nome della famiglia oggetto della denuncia: Fechner.
La famiglia di François Fechner, il marito della cugina di sua moglie, non solo un parente acquisito, ma un amico a cui è profondamente legato.
Per cui sa bene che alla fine della guerra l'unico dei Fechner a tornare vivo dai campi di sterminio era stato il padre di François.
Ed ora lui, il biografo, sa il nome della persona che nel 1941 li denunciò alla polizia preposta alla questione ebraica, di fatto condannandoli a morte: è una donna ed è ancora un'affezionata cliente dei pellicciai Fechner.

Pierre Assouline, nato in Marocco nel 1953 e trasferitosi in Francia da ragazzo, è scrittore, giornalista e biografo.
Questo romanzo, scritto nel 1998, è un'opera di fantasia fino a un certo punto. Perché - se i Fechner e i fatti qui raccontati sono stati inventati - negli anni dell'Occupazione francese di famiglie Fechner, deportate dopo essere state denunciate dei conoscenti, ce ne sono state tante.

Assouline non fa nessuno sconto a quei francesi che - spesso più per opportunismo che per reale convinzione - hanno scelto di schierarsi dalla parte del Male.

"Se si fosse trattato soltanto di odio, sarebbe stato semplice. Ma quando il male si esprime in tutta la sua banalità, quando appare profondamente quotidiano, la ragione depone le armi. Perché, con l'Occupazione, la politica non c'entra più. Per quattro anni ogni momento è stato il momento della verità, quello che rivela la parte di umano o di disumano di ciascuno di noi"

La citazione in copertina rimanda a "Dora Bruder", un paragone calzante per l'argomento trattato, ma solo per quello: qui non c'è ombra del distacco che avevo riscontrato in Patrick Modiano.

In questo bel libro, piuttosto breve (168 pagine), il Male trasuda, ogni scoperta del biografo accresce lo sconcerto suo e del lettore. Capire come la malvagità possa raggiungere un simile livello in un essere umano gli diventa priorità assoluta e noi scopriamo insieme a lui la verità, arrivando a uno dei finali più amari e desolanti che mi siano mai capitati fra le mani.

Un finale carico di un significato che non passerà mai di moda, non finché la guerra continuerà a essere considerata un'opzione valida per risolvere un problema.

"La guerra? Quelli che se la ricordano farebbero meglio a dimenticarla, ma quelli che l'hanno dimenticata ci guadagnerebbero a ricordarsene."

Reading Challenge 2022, traccia bonus di novembre: libri cartacei

lunedì 21 novembre 2022

"Primo amore e altri affanni", Harold Brodkey

 

Harold Brodkey, scrittore e giornalista americano, nasce nel 1930 e muore nel 1996, lasciando al mondo quattro raccolte di racconti e due romanzi.
"Primo amore e altri affanni" è la prima delle quattro raccolte. Pubblicata nel 1958, comprende racconti scritti fra il '54 e il '57 apparsi in precedenza sul "New Yorker".

Quanti racconti sono? La sinossi dice dieci, ma nella mia versione digitale ce ne sono soltanto nove.
Non mi arrabbio e non indago perché dei nove che ho letto non me ne è piaciuto nessuno, per cui non faccio un dramma dell'inspiegabile mancanza del decimo.

Dei nove superstiti, quattro sono un po' più lunghi (lunghi relativamente, visto che il cartaceo è di appena 173 pagine totali).

I primi tre hanno lo stesso protagonista, la voce narrante di cui non viene detto il nome (in seguito ho letto che sono parzialmente autobiografici).

Ne "Lo stato di grazia" ripensa all'estate del 1943, quando aveva 13 anni, viveva a St. Louis e contribuiva al precario bilancio familiare facendo il bambinaio di Edward, un bambino di sette.

"Primo amore e altri affanni" è il racconto più lungo e forse è per questo che è stato scelto per intitolare la raccolta. Siamo sempre a St. Louis, la voce narrante ha 16 anni e scopre l'amore, mentre la madre spinge la sorella maggiore a sfruttare la sua bellezza per sposare un ragazzo ricco.

"La lite" è quella che avviene nel 1948 a Bordeaux fra la voce narrante e un compagno di università durante la loro vacanza estiva in Europa. Dopo quasi due mesi di peregrinare in bicicletta fra i due scoppia l'insofferenza reciproca.

"Educazione sentimentale" ha come protagonista una giovane coppia. Lei è Caroline Hedges di Baltimora, lui Elgin Smith, di St. Louis. Si conoscono ad Harvard, in settembre. Lui la nota perché tanto graziosa, ma è convinto di poter mirare solo a ragazze brutte come lui, e invece...

E' probabile che Elgin Smith sia la voce narrante dei primi tre racconti, ma non ne sono sicura.

St. Louis e la crescita del personaggio potrebbero rendere ovvia la cosa, ma non viene detto chiaramente, come invece accade negli ultimi cinque racconti - "Allo specchio", "Laura", "Trio per voci gentili", "Pastorale" e "La Dama Bruna dei Sonetti" - tutti molto brevi, che descrivono momenti diversi della vita della protagonista, Laura, che in "Allo specchio" conosciamo diciannovenne mentre si sta preparando per uscire con Henry, che quella sera le farà conoscere sua madre. Ma in realtà Laura ha già in testa Martin, nonostante sia meno ricco dell'altro. Nei racconti successivi Laura è moglie e madre, la storia arriva fino ai suoi 28 anni.

Quello che meno mi è piaciuto di questi racconti (oltre a degli spaghetti con cetrioli, il piatto preferito della figlia di Laura, una delle combinazioni culinarie più disgustose che riesca a immaginare!) sono proprio le figure femminili, Laura in particolare, che sembrano voler rappresentare ciò che Brodkey sintetizza in una frase: "Il guaio di essere donna".

Certo negli anni '50, americani e non solo, era consueto aspirare a "sistemare" la propria figlia con il classico "buon partito" per garantire non solo a lei, ma all'intera famiglia, una vita più agiata, ma l'immagine di queste donne frivole e vanitose, ben contente di fare le belle statuine parcheggiate in un angolo mi ha reso questa lettura ben poco romantica e molto affannosa, trasmettendomi principalmente una grande inquietudine e senza mai riuscire a catturare veramente il mio interesse.

Che poi i racconti siano scritti in maniera impeccabile è certo ed è il motivo per cui non escludo di leggere in futuro altro di Brodkey, forse i due romanzi, per il suo stile, ma anche per l'ammirazione che provo nei suoi confronti per aver parlato nel quotidiano di cui era redattore della sua omosessualità e della sua malattia, in quegli anni Novanta, quando il mondo era pieno di esseri meschini e ignoranti convinti che se stavi morendo di Aids era per colpa delle tue scelte sessuali e per questo non avevi il diritto di stupirti né tanto meno quello di venire rispettato.

Reading Challenge 2022, traccia di novembre: una raccolta di racconti


sabato 19 novembre 2022

"I quaderni botanici di Madame Lucie", Melissa Da Costa


Auvergne, 9 luglio di un anno recente. Amande Luzin ha appena compiuto trent'anni e da diciotto giorni è vedova: un incidente stradale ha stroncato la vita del marito, altrettanto giovane, e quella della loro bambina, che avrebbe dovuto nascere in agosto.
Come è possibile sopravvivere a un simile strazio? L'unica cosa che Amande riesce a fare è scappare dalla loro città, Lione, e affittare una casetta di sessanta metri quadri nel cuore dell'Auvergne, lontana da tutto e da tutti, chiudersi dentro e non far entrare niente e nessuno, neppure la luce.
Finché la vita torna a bussare alla sua porta: prima nelle sembianze di un gatto randagio grigio e spelacchiato, che alla fine dell'estate cerca un po' di calore; poi nelle vesti della dinamica Julie Hugues, a cui non si può non aprire la porta perché quella casa era di sua madre e lei è la nuova proprietaria; infine sotto forma di carta, quella dei minuziosi diari in cui Madame Lucie annotava tutto ciò che riguardava la cura dell'orto. Un orto che era già stato un'ancora di salvezza per l'anziana donna quando aveva perso il marito e che può rivelarsi altrettanto utile anche per Amande.

E' passato poco più di un mese dalla lettura di "Tutto il blu del cielo" e il secondo romanzo (scritto nel 2020) di Melissa - mai una gioia - Da Costa ha risposto a una delle tracce di novembre.

Sinceramente non so se avrò voglia di leggere anche il terzo quando lo scriverà e la motivazione è spiegata con quello che ho scritto fra il suo nome e il suo cognome: se nell'altro romanzo conoscevamo Émile nel momento in cui scopriva di essere condannato a morte da un'impietosa malattia, apprendendo poi anche il tragico passato di Joanne, la co-protagonista, in questo l'asticella di drammaticità rimane alzata al massimo con la prematura morte di un trentaduenne, una neonata partorita morta e tutta la conseguente devastazione non solo della giovane vedova, ma anche dei genitori e del fratello di lui.
Considerando la quantità di libri esistenti e l'impossibilità di leggere tutto ciò che vorrei, preferirei evitare una terza storia così drammatica.

Certo la letteratura è piena zeppa di protagonisti ancora più sfortunati di questi, senza dimenticare romanzi e saggi che raccontano fatti realmente accaduti, con conseguente aggravio, ma le storie della Da Costa - dove il dramma viene usato con lo scopo di spingere alla rinascita - mi creano disagio e fastidio. Una sensazione latente durante la lettura di "Tutto il blu del cielo" e che questa volta è esplosa.

Forse è successo perché li ho letti a breve distanza o forse non ho digerito l'idolatria al pino sacro e i banchetti per la luna piena, ma in un modo o nell'altro tutta la positività che l'autrice cerca di trasmettere su di me ottiene il risultato opposto.

Mi piacerebbe leggere un suo romanzo beandomi dell'immersione totale nella natura che lei riesce a trasmettere e della sua capacità di descrivere zone rurali della Francia, così diverse dalla solita Parigi, ma altrettanto splendide, se non di più. Ma un romanzo dove nessuno muore e nessuno soffre.
Soprattutto non un manuale di auto-aiuto spacciato per narrativa.

Reading Challenge 2022, traccia di novembre: un libro ambientato principalmente in una casa o in un castello


 

giovedì 17 novembre 2022

"Insegnami la tempesta", Emanuela Canepa

 

Roma, 19 marzo 2000. E' il giorno in cui Emma, appena ventiduenne, partorisce Matilde. Al suo fianco non c'è il padre biologico, ma il ragazzo che sposandola l'ha salvata dalle apparenze, così care ai suoi rigidi genitori, e in fondo anche a lei. E non c'è Irene, l'amica che sei mesi prima è scappata dalla città senza aiutarla come aveva promesso di fare.
Città di Castello, estate 2018. Emma aspetta che le venga aperto il cancello del monastero delle Clarisse. E' da lì che la sera prima l'ha chiamata Irene, dopo diciotto anni di silenzio. Ed è lì che si è rifugiata Matilde, quella figlia con cui non è mai riuscita a instaurare un rapporto convenzionale, con cui anche quando era solo una bambina un semplice abbraccio fra loro risultava innaturale e con cui adesso non riesce più a parlare.

Questo è il secondo romanzo scritto (nel 2020) da Emanuela Canepa, che per via del cognome pensavo fosse genovese, mentre è nata a Roma, nel 1967.
Con il primo, "L'animale femmina", ha vinto il Premio Calvino nel 2017. Cerco sempre di leggere i libri seguendo l'ordine cronologico, ma questa volta ho fatto un'eccezione per "colpa" della Reading Challenge: una traccia di novembre chiede la lettura di un libro con una o più candele in copertina e fra i tanti titoli nella mia wish list ho trovato solo questa candelina.

Sicuramente recupererò "L'animale femmina", perché - per quanto "Insegnami la tempesta" (titolo orribile: non attrae e non ha rimandi alla storia che racconta) sia stata una lettura controversa per me - è stata piacevole, questo principalmente grazie allo stile di scrittura dell'autrice e alla sua grande capacità di costruire tutta la vicenda andando a ritroso.
Vicenda che non mi ha convinta del tutto o forse è l'aver avuto un legame con mia madre profondamente diverso da quello che (non) c'è fra Matilde ed Emma a rendermi impossibile capire davvero quello che Emanuela Canepa intendeva trasmettere.

Non riesco a immaginare un distacco, una freddezza così profondi fra una madre e una figlia, un tale livello di non conoscenza reciproca, di mancanza di dialogo.

E non sono sicura di aver interpretato la figura di Emma come era nelle intenzioni dell'autrice, ma è a lei che io attribuisco le colpe, una donna anaffettiva, non solo nei confronti della figlia, ma anche del marito, tanto disponibile e paziente da risultare inverosimile in un contesto reale.
Una donna che per diciotto anni ha scaricato sull'amica di allora la colpa per le conseguenze della sua incapacità di agire da sola.
Una donna che soffre di gelosia vedendo la figlia più affezionata al patrigno, senza mai assumersi la responsabilità delle sue mancanze.
Una donna che vive la sua condizione di madre come una condanna, un baratro per i suoi sogni di gioventù, un sacrificio continuo.
Una donna che della figlia pensa: "Quindi è questo l’individuo egoista che ho cresciuto. Quello per cui continuo a pagare." senza mai accennare a un'autocritica.

Senza mai pensare che Matilde non le aveva chiesto di nascere.

Reading Challenge 2022, traccia di novembre: un libro con una o più candele in copertina


domenica 13 novembre 2022

"Undicesimo: fuma. Storia efferata di delitti e sigarette", Antoine Laurain

 

Il 10 gennaio 2005 è il giorno in cui in Italia è entrata in vigore la legge 3/2003 (art. 51: “tutela della salute dei non fumatori") che vieta il fumo nei luoghi pubblici chiusi. Io all'epoca avevo appena compiuto 36 anni e da 19 fumavo quasi due pacchetti di sigarette al giorno (togliendo il "quasi" quando ero allo stadio a vedere la Samp). Fumavo anche in edicola e i mesi da quel gennaio al successivo agosto sono stati fra i più tormentati della mia vita. Potevo fumare solo sulla soglia del negozio, di fretta e non riuscendo mai a godermi la sigaretta. Ero ancora più nervosa e irascibile del solito, tanto che verso maggio, per la prima volta in vita mia, avevo iniziato a prendere in considerazione l'eventualità di smettere. Avevo quindi aspettato le ferie estive, giusto per evitare il rischio di ammazzare qualcuno, e una domenica sera avevo fumato quella che sarebbe diventata la mia ultima sigaretta. Per tre settimane avevo patito vere e proprie crisi di astinenza, con sudori freddi e tremori, ma alla fine il fisico si era liberato dalla dipendenza dalla nicotina. "Undicesimo: fuma" è l'ultimo dei romanzi di Laurain tradotti in italiano che mi rimaneva da leggere (gli altri sono "La donna dal taccuino rosso", "Rapsodia francese" e "Il cappello di Mitterand") e ho raccontato perché ho smesso di fumare per spiegare la mia sorpresa davanti all'incipit del libro.

La vita di Fabrice Valentine, protagonista e voce narrante di questo romanzo scritto nel 2008, si sconquassa quando in Francia (nel 2007) entra in vigore la legge analoga alla nostra.

Valentine ha cinquant'anni, fuma da quando ne aveva 17 (come me), è sposato con Sidonie, da cui ha avuto una figlia, Emma, e riveste un ruolo da quadro alla HBC Conseils. Amo l'umorismo di Laurain e ha iniziato subito a farmi ridere costruendo per Fabrice e Sidonie un primo incontro esilarante. Lei - che successivamente diventerà redattore capo di una rivista di arte contemporanea - è responsabile dell'allestimento di una mostra. Lui, che ha la mia stessa considerazione per l'arte moderna ("Latta, bronzo, plastica e vetro: mi sembrava tutta roba sottratta a una discarica e raffazzonata alla meno peggio") vi è stato trascinato da un collega. E' quando spegne una sigaretta in quello che a tutti gli effetti è un posacenere - già bello pieno di cenere, per altro - che un grido femminile lo blocca: il posacenere era un'opera d'arte e la cenere che conteneva non era il prodotto di altre sigarette fumate, ma le ceneri della madre dell'artista. Io non ho mai fatto gaffe di questo tipo e, soprattutto, non sono diventata una serial killer dopo aver smesso di fumare, che è quello che invece succede a Valentine: su insistenza di Sidonie, ricorre all'ipnosi per togliersi il vizio, ma qualcosa va decisamente storto... A sorpresa ho trovato
un po' di Genova anche in questo libro, nella figura di Renzo Piano, citato con il suo Centre Pompidou (per me orribile).
Come negli altri romanzi di Laurain che ho letto, la storia è ambientata a Parigi, sua città natale, e nonostante gli omicidi non è un giallo. E' una storia abbastanza surreale, abbastanza divertente, abbastanza coinvolgente. Scritta molto bene e molto introspettiva.
"Quando si comincia una carriera di fumatore non si è in sostanza che l'assassino di se stessi"
Le sigarette possono sembrare le assolute protagoniste perché citate in ogni pagina, ma è la vita di Valentine a esserlo e Laurain - raccontando il suo presente e il suo passato - esplora ogni tipo di rapporto, Valentine figlio, Valentine marito, Valentine padre, Valentine amico, Valentine dipendente, Valentine collega, Valentine uomo. Un personaggio che racchiude tutte le sfaccettature di una persona normale, sia in positivo che in negativo, con in più una vera e propria ossessione per il fumo, una dipendenza psicologica che io non credo di aver mai avuto e forse è (anche) per questo che non ho mai ammazzato nessuno. Almeno finora.

Reading Challenge 2022, traccia bonus di novembre: libri cartacei


giovedì 10 novembre 2022

Reading Challenge 2023


Sono ufficialmente aperte le iscrizioni alla Reading Challenge 2023: anche quest'anno Claudia è riuscita a inventarsi un nuovo meccanismo, la fantasia di questa ragazza non ha limiti!

Torneranno le tracce annuali, ci sarà la novità assoluta delle tracce stagionali e ci saranno anche tre tracce diverse ogni mese.

Cliccando qui o nel banner in alto troverete il link del regolamento sul blog di Claudia e se decidete di iscrivervi e vi va di farla con me chiedete di essere inseriti nella mia casata, l'Ordine della Fenice.


Ci tengo a sottolineare che, nonostante il gran numero di tracce, la Challenge è molto libera, c'è chi legge un centinaio di libri all'anno come me, chi ne legge molti di più, chi molti di meno: nessuno giudica, nessuno critica, nessuno obbliga.

C'è chi detesta queste sfide, spesso sostenendo di non voler essere condizionato nella scelta di cosa leggere. In realtà la Challenge di Claudia è talmente aperta che basta avere una buona scorta di libri ancora da leggere (e se si ama farlo è impossibile non averla...) e/o una wish list di libri che si vorrebbero comprare che raramente ci si trova a dover cercare altro, ma lo scopo delle RC è anche quello di uscire dalla propria confort zone ed è una cosa che può soltanto arricchirci. 

L'attesa delle nuove tracce l'ultimo giorno del mese e la conseguente ricerca dei libri adatti sono fra le cose che più amo fare, a un livello che non avrei mai creduto possibile prima di appassionarmi a questo "gioco".

martedì 8 novembre 2022

"Cemetery safari", Claudia Vannucci

 

Claudia Vannucci, livornese classe 1981, è la blogger di Viaggi verde acido, che comprende la rubrica "Cemetery safari" dalla quale è nato questo libro, pubblicato nel 2019.

E' inevitabile per me fare il confronto con "Qualcuno cammina sulla tua tomba. I miei viaggi nei cimiteri" di Mariana Enriquez, che incredibilmente la Vannucci non cita nella sezione del blog dove elenca i libri dedicati ai cimiteri.

La grande differenza fra i due libri è che - mentre l'interesse della Enriquez riguarda davvero i cimiteri, la loro rilevanza storica, paesaggistica, le loro particolarità, eccetera - quello della Vannucci si focalizza su tombe celebri e/o curiose.
Anche per questo, però, è una lettura ricca di aneddoti (che non cito, altrimenti non avrebbe più senso leggere il libro), anche sulle città (o cittadine) dove si trovano i vari cimiteri che ha visitato.

La Vannucci ha scritto il libro rivolgendosi a un unico lettore (sistema narrativo che non sopporto) e ha scelto di non parlare dei cimiteri italiani, per cui - mentre la Enriquez apriva il libro con il Cimitero Monumentale di Staglieno perché il suo amore per i cimiteri era nato proprio a Genova - lei inizia dall'Oak Hill, cioè dal cimitero de "Antologia di Spoon River", lettura fatta nell'estate dei suoi 12 anni che ha dato il via al suo interesse.

Facendo base a Chicago, dove ha dei parenti, ha percorso da sola le 260 miglia per arrivare a Lewistown e appena ho letto la descrizione che fa di quelle strade di campagna, "strette e screpolate, affiancate da fossi, ricoperte da una lastra continua di ghiaccio e infestate dagli animali più pericolosi d'America. Cioè i cervi." ho capito che con l'autrice ho ben poco in comune, a parte l'interesse per i cimiteri:

"Questi mammiferi cornuti, tanto grossi quanto tonti, sono tanti, sono ovunque e hanno il brutto vizio di apparire in mezzo alla strada all'improvviso e rimanere immobili finché non vengono investiti. Gli incidenti con i cervi sono più comuni e più pericolosi di quanto si pensi."

Eh sì, sono veramente tonti i cervi, si ostinano ad abitare in una zona rurale e non solo non capiscono di dover stare alla larga dalle strade che l'uomo ha costruito per suo uso e consumo, ma quando le attraversano (non riescono proprio a trovare un sistema per evitare di farlo, sono davvero animali stupidi, eh?!?) hanno anche la pessima abitudine di spaventarsi a morte (letteralmente) quando si vedono arrivare contro un mostro di ferro, magari un enorme pick-up, non riuscendo a muovere più un muscolo finché non vengono travolti!

Non contenta, poco dopo aggiunge:

"Quando ho raccontato al signor Bob del mio odio e del mio desiderio di vendetta nei confronti dei cervi, mi ha preparato una cena a base di salsicce e costolette di cervo. Quando gli ho detto che mi sarebbe piaciuto vedere un procione, Bob mi ha risposto che se ne investivamo uno me lo avrebbe fatto assaggiare."

Uno sfoggio di superficialità e di ignoranza che ho fatto fatica ad archiviare.
Ho proseguito la lettura solo perché non abbandono mai i libri iniziati e perché ero comunque curiosa di leggerlo e - per quanto la mia opinione sull'autrice non sia migliorata - la lettura è stata interessante, anche se non paragonabile al libro della Enriquez.

Il grande difetto di entrambi è la totale mancanza di fotografie, che anche questa volta ho voluto inserire nella mia recensione.

Ecco quindi l'Oak Hill di Lewistown (Illinois), il cimitero di Spoon River:


Sempre in Illinois, ma a Springfield, c'è l'Oak Ridge Cemetery, con l'orribile mausoleo di Lincoln:


Il suo assassino, John Wilkes Booth, è invece sepolto a Baltimora (Maryland), nel Green Mount Cemetery:


Sempre a Baltimora, ma nel Westminster Burial Ground, è sepolto Edgar Allan Poe:


Di Charleston (South Carolina), gran bella cittadina, la Vannucci parla di tre cimiteri. L'Unitarian Church Cemetery:


Il St. Philips Cemetery:


E il Magnolia Cemetery:


Il Colonial Park Cemetery di Savannah (Georgia) è l'unico presente anche nel libro della Enriquez:


Il King's Chapel Burying Ground, del 1630, a Boston (Massachusetts) è il cimitero più antico degli Stati Uniti:


E, sempre a Boston, la Vannucci ha visitato anche l'Old Granary Burying Ground:


A Macon (Georgia) è stata al Rose Hill Cemetery:



Il Forest Lawn Memorial Park di Los Angeles, vicino all'Hollywood Sign, ospita moltissime celebrità:


Così come l'Hollywood Forever Cemetery, che già dal nome è tutto un programma...


Il Greenwood Cemetery si trova a Renton, vicino a Seattle (stato di Washington) ha uno spazio nel libro per via della tomba di Jimi Hendrix:


Come il Lake View Cemetery viene citato per le tombe di Bruce e di Brandon Lee. Quest'ultimo è un perfetto esempio della differenza fra questo libro e quello della Enriquez. E' un cimitero-giardino spettacolare:


L'ultimo motivo per cui lo visiterei sono le tombe dei due attori:


Dell'Oakwood Annex Cemetery di Montgomery (Alabama), ne parla per la tomba (terrificante, con tanto di erba sintetica, definita giustamente tamarra dall'autrice) di un cantante country, Hank Williams, morto nel 1953:


Il Laurel Hill Cemetery di Philadelphia (Pennsylvania) è enorme, variegato e per lo più decisamente pacchiano. Il confronto con le opere d'arte di Staglieno e questa lapide a forma di microfono (il morto era un commentatore televisivo di baseball) è imbarazzante.


Le isole San Juan, che fanno parte dello stato di Washington, sono un paradiso incontaminato per la flora e per la fauna. A deturparlo sull'isola principale, che dà il nome all'arcipelago, c'è un mausoleo privato immerso nel bosco, quello della famiglia McMillin:


La Vannucci torna quindi a raccontare di due cimiteri di Chicago (avendo lì dei parenti è anche normale che abbia avuto più tempo per visitarli). Uno è il Woodlawn Cemetery con la zona chiamata Showmen's Rest in cui sono sepolte quasi un centinaio di persone morte nel 1918 in un incidente ferroviario. Erano circensi in viaggio da una città all'altra e chi ha voluto rappresentarli non si è fatto mancare l'occasione di sfruttare un elefante anche nella morte.


L'altro è il Graceland Cemetery, quello principale di Chicago, un meraviglioso cimitero giardino. L'autrice racconta particolari bizzarri di più tombe.


E qui si chiude la lunga sezione dedicata ai cimiteri degli Stati Uniti che occupa il 52% del libro. Una scelta comprensibile se si va a caccia di stranezze, non condivisibile se si sostiene di essere interessati agli aspetti storici e artistici dei cimiteri, settori in cui quelli europei offrono molto di più.

La Vannucci inizia il tour europeo dopo aver spiegato come dal 1804 con l'Editto di Saint Cloud si smise di costruire i cimiteri nei centri abitati o addirittura all'interno delle chiese, come succedeva in Italia (tema caro a Carlo Maria Cipolla in "Miasmi e umori").

Il primo cimitero del Vecchio Continente di cui leggiamo è quello di Zale, a Lubiana (Slovenia), un buon esempio della superficialità di questo libro. La Vannucci lo definisce un mix fra un cimitero monumentale (cosa che decisamente è) e cimitero giardino, dilungandosi sul modo in cui le tombe sono state trasformate in piccoli giardini dai parenti dei defunti, mentre non fa neppure un accenno al Cimitero Militare degli Italiani, la sezione dove riposano oltre cinquemila soldati italiani morti durante la Grande Guerra.


Il libro ci porta quindi in Spagna, al Cementerio General di Valencia, cimitero monumentale in stile neoclassico:


Un breve, e un po' troppo spiritoso, accenno al Cimitero degli Innocenti (raccontato in maniera ben diversa dalla Enriquez), funge da introduzione al Père-Lachaise, il cimitero entro le mura più grande di Parigi e il più visitato al mondo. Un cimitero storico davvero magnifico, costruito nel 1804, frutto dell'Editto di Saint Cloud:


Fra le tombe citate nel libro ci sono quella di Wilde, davvero orribile...


...e quella di Eloisa e Abelardo, vissuti nell'anno mille. Le salme vennero spostate al Père-Lachaise nel 1817 insieme ad altri personaggi storici francesi. Dei due ho la biografia della Pernoud ancora da leggere.


Il vecchio cimitero ebraico di Praga è forse il più suggestivo fra quelli citati nel libro. Le ridotte dimensioni e il fatto che fosse l'unico posto in cui gli ebrei potevano essere sepolti hanno generato un cimitero stratificato affascinante quanto decadente:


Splendido anche il Greyfriars kirkyard, posto nella parte meridionale di Edimburgo all'interno della città vecchia:


La Vannucci prende spunto dai furti di cadaveri messi in atto nel cimitero all'inizio del 1800 (i ladri rivendevano i corpi alla locale università di medicina) per raccontare di due libri dell'epoca rilegati in pelle umana e dal cagnolino Bobby, che vegliò la tomba del suo padrone defunto per ben quattordici anni, per parlare brevemente dei cimiteri per animali.

Fra i tanti cimiteri storici di Londra la Vannucci sceglie di parlare di Highgate, tanto romantico quanto infestato (le storie di fantasmi la attraggono più di quanto avrei detto dopo aver letto all'inizio del testo che non era interessata all'aspetto gotico dei cimiteri), splendidamente incolto e vittoriano, dove (tra gli altri) riposa anche Karl Marx.


E cita gli altrettanto belli Abney Park:


Nunhead:


Tower Hamlets:


E Brompton:


Cita anche due graveyards londinesi, piccoli cimiteri posti vicino a una chiesa. Quello della St Pancras, che non è un cimitero vero e proprio, ma un "parcheggio" di lapidi:


E quello della St Mary Magdalene, deturpato dal mausoleo voluto dall'esploratore Burton:


La breve sezione del libro dedicata all'Europa si chiude con il Glasnevin Cemetery, dove viene anche citata la mia Genova perché è qui che morì il fondatore del cimitero, Daniel O'Connell, il cui corpo è sepolto nel cimitero monumentale di Dublino, tranne il cuore, inumato a Roma.


La sezione dell'Africa avrebbe potuto evitarla visto che non parla di nessun cimitero, ma di un'unica tomba, quella di uno scozzese sepolto a Solitarie, in Namibia. La Vannucci racconta la storia dell'uomo, sicuramente originale, ma del tutto fuori contesto.

Anche nella parte finale dedicata all'Asia il saggio diventa un diario di viaggio, ma almeno descrive due cimiteri, quello dell'isola di Cebu, nelle Filippine:


E quello di Taitung a Taiwan (parla anche di quello di Dulan, di cui però non ho trovato immagini):


Infine il libro si conclude con una interessante appendice sul significato dei simboli nei cimiteri.

Reading Challenge 2022, traccia di novembre: un libro con in copertina qualcosa legato ai defunti