sabato 30 maggio 2020

"Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare", Costanza Rizzacasa D'Orsogna


Milano, zona Brera, primavera. Milo è nato in un’aiuola, unico sopravvissuto della sua cucciolata. Qualcosa è andato storto durante la gravidanza o durante il parto, qualcosa che nell’arco di un mese si porta via anche la sua giovane mamma. Il micetto ha fame, ha freddo, ha paura… Piove, ma un ragazzo lo vede, si ferma, lo raccoglie, cerca mamma gatta e, non trovandola, lo porta a casa con lui. Lui ha già due gatti, ma ha anche una sorella che vive a Roma e pensa che lei potrà occuparsi del piccolo.
Nasce così il legame fra il gattino e l’autrice della storia…

Eccolo qui Milo:


Il librino aspettava da più di un anno nella mia libreria e solo adesso che mi sono decisa a leggerlo ho scoperto che si tratta di una storia vera e autobiografica: il ragazzo che nel 2013 ha salvato Milo a Milano è il fratello di Costanza Rizzacasa d’Orsogna. Ho anche appreso solo adesso che lei scrive sul “Corriere della Sera” e sull’inserto domenicale “La lettura”. E che è una grande animalista (un’animalista vegana, non di quelli che ti dicono di amare tanto gli animali e poi scopri che li amano anche nel piatto!).

Questa è la storia di Milo, un bel gattino disabile che mi ha tanto ricordato il mio Ronfino. Milo è affetto da ipoplasia cerebellare, mentre i problemi di Ronfino erano stati causati da un’otite non curata prima che lo trovassimo… o prima che lui trovasse noi piazzandosi davanti alla nostra edicola il 21 gennaio del 2001. Aveva il collo tutto storto e, come Milo, aveva problemi di equilibrio che compromettevano il salto, la corsa, ma anche il semplice camminare. Era buffissimo e intelligentissimo. Nei sei anni che ci ha regalato, fino all’8 gennaio 2007, perse prima l’udito e poi la vista per via del suo stato, adattandosi sempre in fretta alla sua nuova condizione.


La qualità della foto è pessima, ma l’ho scelta fra le tante perché rende evidente quanto Ronfino fosse adorabile!

Come è adorabile questo breve romanzo (o racconto lungo): scritto con uno stile semplice che lo rende una lettura perfetta per bambini e ragazzini, dà voce non solo al piccolo Milo, ma anche a tanti altri animali: il gabbiano Virgilio, lo scorpione G-Attila, la riccetta Giulia, il gatto privo di un occhietto Timone, la mucca Arianna e il suo vitellino Tobia, l’Astice senza una chela Cagliostro…

Ognuno di loro è un esempio di come sarebbe giusto (e meno ipocrita) rispettare tutti gli animali, non solo quelli “da compagnia”, ed evidenziano certe atrocità, dalla fine che fanno i crostacei quando vengono bolliti in pentola ancora vivi allo strazio di una mucca separata dal suo piccolo, come ben ricorda Arianna:

"Non ti faccio pietà? Quando leggi manzo sulle tue scatolette non sai che il manzo è un essere vivente come te? Che siamo noi? Ma davvero, oltre a tutto quello che patisco, mi merito lo scherno? Sai che al negozio di alimentari vendono la carne della linea Mucche Felici? Li chiamano prodotti cruelty-free, ma cruelty-free per chi? Come posso essere felice, io, sapendo che un giorno mi faranno a spezzatino?

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di maggio

venerdì 29 maggio 2020

"Non fa niente", Margherita Oggero


Berlino, 1933. Non si è stati baciati dalla fortuna se si è nati ebrei tedeschi nella prima parte del secolo scorso. A Esther è andata anche bene rispetto a milioni di altri perché, grazie alla saggezza e alla lungimiranza di suo padre per lo meno è viva. Ma è sola.
Provincia di Torino, anni ‘30. Rosanna, invece, è nata con una sola fortuna, quella di essere bellissima, ma quella dote per ora le ha portato più problemi che benefici.
Le due donne non hanno nulla in comune: diversa nazionalità, diversa età, diversa religione, diverso stato sociale, diverso tutto.
Bordighera (Imperia), giugno 1948. Nasce Andrea ed è lui che avranno in comune.

Romanzo meraviglioso, sicuramente il migliore fra i tredici che ho letto dell’autrice: mi erano piaciuti anche gli altri, ma questo ha un qualcosa in più. Intanto ha una struttura particolare: privo di capitoli, ma diviso in molteplici paragrafi brevi, se non brevissimi, in cui il periodo di riferimento cambia continuamente, una scelta che in mano a molti scrittori avrebbe generato il caos, invece la Oggero riesce a far andare il lettore avanti e indietro nel corso del tempo senza mai fargli perdere la rotta, né creando confusione.

Riesce a creare una sorta di “saga familiare” (fra virgolette perché in realtà non si narra di una sola famiglia) appassionante, arrivando ad abbracciare un arco temporale di quasi un secolo, concentrandosi principalmente negli anni fra il 1933 e il 1958, ma raccontando dettagliatamente anche quello che precede questo periodo attraverso i ricordi dei vari personaggi, mentre ciò che avviene dopo il ‘58 per arrivare alla conclusione nel ‘90 viene solo accennato, gli eventi scivolano via molto velocemente, forse un po’ troppo e questo è l’unico difetto del libro, che però non arriva ad offuscarne il valore perché la storia è ricca e bella così com’è e - se la Oggero ha ritenuto che non fosse il caso di inventare altri risvolti per riempire gli anni della mezza età delle due protagoniste - ha fatto bene.

Un’altra qualità è il modo in cui l’autrice racconta l’Italia e in parte anche l’Europa, dall’ascesa alla caduta del nazismo e del fascismo, la lotta partigiana, l’attentato a Togliatti, gli anni del dopoguerra, il successivo boom economico fino all’inizio e alla fine degli anni di piombo. Uno spaccato scritto con saggezza e manifesta conoscenza dell’argomento, al pari della Ferrante nella sua saga: ho apprezzato la diversa ottica fra nord e sud, Torino e Napoli (non Torino contro Napoli!), due grandi città raccontate da due grandi scrittrici che di quelle città sono figlie. Continuo solo a pensare che la Ferrante avrebbe dovuto trattare meglio Napoli, almeno come la Oggero ha trattato Torino.
  
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di maggio "scegli una casa editrice e leggi libri solo di quell'editore". Ho scelto Einaudi

giovedì 28 maggio 2020

"L'arte di correre", Haruki Murakami


Tokyo, autunno 1982. Haruki Murakami ha chiuso da circa un anno il Peter Cat, il jazz bar di cui era proprietario, per dedicarsi completamente alla scrittura quando – per contrastare i danni della sua nuova vita sedentaria – decide di cominciare a correre diventando non un semplice runner, ma un appassionato maratoneta.

"Se io corro ormai da più di vent’anni, in realtà è perché è un’azione consona alla mia natura. O per lo meno perché non è poi una fatica tremenda. Gli esseri umani trovano naturale perseverare nelle cose che amano, e in quelle che non amano no, sono fatti così. In questo la volontà avrà certo un suo ruolo, ma nessuno può continuare per molto tempo a fare qualcosa per cui non è portato, nemmeno se possiede una volontà di ferro, nemmeno se per carattere non tollera sconfitte

Fra l’estate del 2005 e l’autunno del 2006 Murakami scrive questo testo classificato come saggio, ma definito dall’autore come una sorta di diario e sono d’accordo con lui. Lo avevo comprato lo scorso anno approfittando di un’offerta e senza leggere la sinossi, scoprendo solo in seguito quanto il tema trattato fosse distante da me.

Questa simpatica vignetta spiega perfettamente il mio rapporto con la corsa!


Visto lo spessore dell’autore mi aspettavo però riflessioni profonde, spinte motivazionali applicabili anche ad altro, un incitamento alla tenacia, agli sforzi ripagati, ecc, invece l’argomento non viene trattato in questa chiave neppure riguardo al tema sportivo, è soltanto il resoconto degli allenamenti e delle gare che ha sostenuto, con qualche dettaglio tecnico poco interessante per chi non corre e immagino superfluo per chi lo fa. Un elenco cronologico di dove si è allenato, per quanto tempo, con quali risultati, ecc…

Ho apprezzato gli aneddoti di lui scrittore, ma sapere le motivazioni che lo hanno portato a correre, cosa pensa quando corre o cosa lo ha spinto dalla maratona al triathlon sinceramente non l’ho trovato stimolante e non solo a causa della mia pigrizia: impostare il lavoro in questo modo non è di aiuto a nessuno, né a chi ama la corsa, né a chi sta pensando di iniziare a correre, né a chi non prende neppure in considerazione di farlo.

E’ solo un parlare di se stesso incensandosi, con una palese (e insopportabile) falsa modestia, per altro adducendo imprevisti e inconvenienti (tutti causati da sue assurde disattenzioni, come “pulire” la maschera senza essersi lavato le mani dopo essersi spalmato il corpo di vaselina prima di una gara di triathlon!) per spiegare i propri insuccessi.

Ma la cosa grave, che mi ha davvero infastidita e delusa, è la superficialità con cui ha trattato la questione del riscaldamento globale. Poche righe (evitabili) in cui ha minimizzato il problema con un’ignoranza sorprendente e una pericolosità inquietante. Vorrei sapere se a distanza di una quindicina di anni, e con l’aggravarsi della situazione climatica, continua a considerare il riscaldamento globale solo un capro espiatorio utile a giustificare tutti i mali del mondo e a definirlo ancora simpaticamente “quel mascalzone”.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di maggio "scegli una casa editrice e leggi libri solo di quell'editore". Ho scelto Einaudi




lunedì 25 maggio 2020

"La ragazza dello Sputnik", Haruki Murakami


Tokyo, anni ‘90. E’ primavera quando le vite di Sumire e di Myu si incrociano. Invitate a un matrimonio, si ritrovano sedute allo stesso tavolo. Sumire ha 22 anni, studia all’università, veste in modo bizzarro, sogna di diventare una scrittrice e nel frattempo si perde nei libri scritti da altri. Parla lo spagnolo e questo incuriosisce Myu al punto da assumerla come segretaria perché lei importa vini dall’Europa e, se Sumire sa già lo spagnolo, non avrà difficoltà ad imparare anche l’italiano. E Sumire finisce con l’innamorarsi per la prima volta nella vita: non dell’amico coetaneo innamorato di lei (che è la voce narrante), ma proprio di Myu, che potrebbe quasi essere sua madre, che ha un marito e che da quattordici anni non riesce più ad amare nessuno.

Ecco qui il Murakami onirico di cui mi avevano parlato e che tanto temevo… Fino a poco più della metà il romanzo è bello e razionale, anche con una gradevole sfumatura gialla in sottofondo. Poi arriva il sogno e il mio conseguente smarrimento. Non è diventato un brutto libro, non può essere brutto un libro scritto così bene! Ma un libro piace se soddisfa determinati requisiti a livello personale e trovo difficile entusiasmarmi per una storia che mi lascia troppi punti interrogativi, che mischia il reale all’irreale, che alla fine non chiarisce cosa è successo davvero e cosa è stato solo immaginato, chi si è salvato e chi no.

Quindi il libro (o meglio, la seconda parte) non mi è piaciuto, ma mi è piaciuto leggerlo: perché ho ritrovato tutti gli aspetti che mi avevano già conquistata di Murakami, la sua grande introspezione, la pacatezza dei suoi personaggi e in generale la serenità che riesce a trasmettermi anche grazie a quella solitudine triste che per ora ho ritrovato in tutti gli autori giapponesi (pochi) che ho letto.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di maggio "scegli una casa editrice e leggi libri solo di quell'editore". Ho scelto Einaudi

sabato 23 maggio 2020

"L'anno della lepre", Arto Paasilinna


Sud della Finlandia, anni ‘70. Due uomini, un giornalista e un fotografo, stanno rientrando nella capitale dopo una giornata di lavoro fuori sede. L’uomo alla guida, il fotografo, accecato dal sole che sta tramontando non vede il giovane leprotto in mezzo alla strada e lo colpisce non facendone un dramma. Il giornalista seduto al suo fianco, invece, si preoccupa per la bestiola, scende dall’auto, la insegue, la raggiunge.
E non torna più indietro.

E’ il secondo libro di Paasilinna che leggo, il primo era stato “La fattoria dei malfattori” e “L’anno della lepre” sarà anche l’ultimo. Questo autore, tanto amato, non riesce proprio a convincermi.
Ho ritrovato tutti gli aspetti che mi avevano dato fastidio nella lettura dello scorso anno, ma questa volta senza rilevare aspetti positivi.

L’irritazione che provo per le situazioni surreali che descrive è potente, ma di poco conto: è il mio modo di essere – troppo quadrata, troppo razionale, troppo chiusa verso ciò che è strambo – a impedirmi di apprezzare l’umorismo di questo autore, che conquista tutti o quasi.
E indubbiamente mi manca una conoscenza, anche minima, della Finlandia, della sua storia, del suo popolo, ecc, indispensabili per poter cogliere l’essenza di ciò che Paasilinna vuole trasmettere. Da questo punto di vista ho trovato molto interessante la postfazione in cui Fabrizio Carbone parla dei dilemmi interiori tipici dei finlandesi e anche del loro amore per il paradosso, della passione per il surreale, ecc…

Non sono neppure sicura di aver colto correttamente la morale del libro e, in riferimento a quanto spiegato nella sinossi (“un viaggio iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di inseguirla”), riesco a condividerlo solo in linea teorica perché nella pratica quello che fa Kaarlo Vatanen, il quarantenne protagonista del libro, stanco della propria situazione matrimoniale e lavorativa, è scappare dai propri problemi anziché affrontarli e questo non mi sembra un gran messaggio da trasmettere, anche perché nella vita reale non si risolverebbe niente andando a rifugiarsi nelle foreste lapponi!

Ma sono gli animali a rendere insormontabile il muro fra me e questo autore. Penso che la maggior parte delle persone ricordi questo libro anche, o soprattutto, per il bel legame che si crea fra l’uomo in fuga e il leprotto selvatico che riesce ad addomesticare, e in effetti le descrizioni di questo rapporto sono proprio tenere e carine.
Ma io non posso nè voglio sorvolare sul corvo e sull'orso, episodi totalmente inconciliabili con quanto di giusto l'autore aveva scritto poco prima:

"Devo fermare questa orrenda caccia, si disse Vatanen, ma non vedeva come. Ma com'era possibile che esistesse gente di quella risma? Che gusto ci si prova a essere così feroci, perchè l'uomo si degrada in modo così crudele?

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia vagabonda di aprile "un libro ambientato in Finlandia"



venerdì 22 maggio 2020

"Dopo la tempesta", Linda Castillo


Painters Mill (Ohio), 29 agosto 1985. Sally Ferman ha nove anni e tanta voglia di dimostrarsi coraggiosa, e quindi interessante, agli occhi delle sue amichette. Si è intrufolata nel vecchio fienile della fattoria dei vicini, che sono Amish ed è per questo che si sorprende nel sentire tre uomini litigare furiosamente: gli Amish sono sempre così pacati, così rispettosi, così silenziosi… Ma anche se è solo una bambina sa riconoscere una lite violenta e quella lo è. Per fortuna i tre non l’hanno vista e lei può continuare a spiare di nascosto, finché uno di loro cade dal parapetto del grande fienile direttamente nel sottostante recinto dei maiali. Sally non riesce più a guardare e scappa a casa.
Primavera 2015. Un tornado si abbatte su Painters Mill uccidendo un paio di persone e lasciando una scia di feriti e di danni. Ai boy scout viene assegnato il compito di ripulire un vecchio fienile e basta un attimo per trasformare il loro scarso entusiasmo in sete di avventura quando capiscono che quello che hanno trovato non è una strana pietra, ma un teschio.

Con la nona puntata della serie Linda Castillo torna a uno dei miei amati cold case. Una storia ben costruita che segue tutta l’indagine poliziesca di Kate Burkholder, che contemporaneamente si trova al centro di una denuncia professionale per un’altra situazione causata dalla tempesta e coinvolta in qualcosa di importante a livello personale.

Fra tutti i romanzi e i racconti finora letti, questo è quello che ho preferito perché mi è proprio piaciuta la storia portante, ma anche perché più si procede e meno vengono ripetuti gli avvenimenti passati della coppia di protagonisti, cosa che avevo trovato esasperante nei precedenti titoli.

A non migliorare è, invece, la precisione temporale. Come in “Tracce dal passato”, c’è una data precisa per il cold case, il 1985, e più volte viene detto che sono trascorsi trent’anni, cosa che ci porta al 2015, data congrua alla corretta cronologia fra i libri. Ma la Castillo (o chi ha tradotto?) sbaglia facendo dire a Kate che ha 33 anni: siccome aveva già collocato la sua data di nascita al 1978, il dato anagrafico porterebbe il presente a un impossibile 2011!
Ora, io sarò sicuramente un’odiosa precisina, ma scrivendo una lunga serie di libri con la stessa protagonista dovrebbe essere logico, ma anche rispettoso nei confronti di chi legge, prestare molta attenzione a ogni dettaglio e la cronologia non è certo un particolare di poco conto.

Infine da animalista ho notato in due punti l’inserimento di commenti pietistici nei confronti degli animali. Nei libri della Castillo non ci sono mai animali domestici, solo animali da allevamento, “le bestie”. Anche i cavalli, che normalmente godono di riguardi particolari agli occhi di tutti, qui hanno il solo lo scopo di essere utili per trainare i calessi o altro. Descrizioni purtroppo in linea con i contesti rurali descritti.
Ho avuto la netta impressione che quei due commenti siano stati messi lì per placare qualche critica ricevuta in proposito negli Stati Uniti o chissà per quale altro motivo, ma resta il fatto che sono due palesi forzature, non sentite, non credibili e su cui avrei molto da ribattere.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di maggio, lo collego a "Il segreto nascosto" perchè scritti dalla stessa autrice


giovedì 21 maggio 2020

"Il libraio che imbrogliò l'Inghilterra", Roald Dahl


Non conoscevo questo autore inglese, famoso soprattutto per la sua produzione di romanzi per bambini. Per gli adulti ha scritto soltanto due romanzi e svariate raccolte di racconti. Questo librino di appena 85 pagine ne contiene due di pari lunghezza.

Il primo è quello che dà il titolo alla mini raccolta. Siamo a Londra e Mr Buggage, in collaborazione con miss Muriel Tottle – sua assistente nonché amante - usa la grande libreria specializzata in libri antichi di cui è proprietario come copertura per la sua principale attività, quella redditizia quanto illecita…

Per il secondo racconto, “Lo scrittore automatico”, l’ambientazione si sposta negli Stati Uniti. Il protagonista è Adolph Knipe, un giovane uomo dall’aspetto trascurato, ma geniale. Il merito dell’invenzione del più grande calcolatore automatico appena prodotto dalla ditta per cui lavora è in gran parte sua. Allora perchè non costruirne uno analogo, ma capace di sfornare racconti e romanzi? In questo modo potrebbe realizzare il suo sogno di diventare uno scrittore di successo… Per riuscirci deve solo convincere il suo capo, Mr Bohlen, che grazie a quel macchinario potranno fare piazza pulita di tutti gli scrittori in circolazione guadagnando migliaia e migliaia di dollari.

Due storielle divertenti, raccontate (bene) in maniera semplice e un po’ burlesca, che a mio avviso avrebbero potuto tranquillamente rientrare fra i racconti per l’infanzia proprio per il modo in cui sono scritti, ma – mentre il primo racconta la truffa messa in atto dai due viscidi personaggi e il modo in cui vengono scoperti i loro imbrogli – il secondo è leggero solo in apparenza. Una chiara denuncia verso un’editoria che pubblica di tutto, senza selezionare qualità e originalità, l'importante è che si venda.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di maggio, lo collego a "Rosemary's baby" perchè entrambi gli autori sono uomini


martedì 19 maggio 2020

"Rosemary's baby", Ira Levin


New York (USA), agosto 1965. Rosemary ha 24 anni e tanti piccoli e banali sogni borghesi: raggiungere una certa agiatezza economica grazie al lavoro di attore del marito Guy, avere tre figli da lui e arredare il loro nido prendendo ispirazione dalle riviste patinate. Sono appena riusciti ad affittare l’appartamento 7E nel Bramford, un palazzone in stile vittoriano che ben rappresenta quel prestigio sociale a cui la coppia ambisce. Nell’arco di appena due mesi tutto prende slancio: la carriera di Guy all’improvviso decolla e Rosemary aspetta il loro primo bambino. I sogni sembrano realizzarsi, un idillio disturbato soltanto dai forti dolori che non danno tregua a Rosemary e dall’invadenza dei due anziani vicini di casa…

Raramente mi capita di leggere un libro dopo aver già visto film o serie TV. Questo è uno di quei casi, ma avendo visto il film quando avevo meno di dieci anni non ricordavo nulla, se non il terrore provato per via di una culla nera! Un altro regalo di mia sorella, l’unica che ho, quindi la stessa che mi aveva fatto vedere “La mummia” quando avevo 4 anni e che mi leggeva Edgar Allan Poe quando ne avevo 7…

La storia è comunque arcinota, motivo per cui non mi decidevo a leggere il libro pur avendolo inserito in wish list da molti anni. Il suo momento è arrivato per la traccia della Reading Challenge che richiede un testo con una casa in copertina. Oltre ad aver letto il libro, ieri sera ho anche riguardato il film. Quest’ultimo mi ha in parte delusa perché, fortunatamente, non mi ha terrorizzata come quando ero bambina. Molto fedele al libro, ma non altrettanto (piacevolmente) macabro nè claustrofobico. Inoltre nel film non vengono espressi i vari ragionamenti che portano Rosemary prima a dubitare di tutti e poi alla constatazione di come i suoi timori siano fondati. Sarebbe bastato farle esprimere ad alta voce i propri pensieri nei tanti momenti in cui è da sola: non facendolo il film sorvola su dettagli importanti, piccoli ingranaggi che insieme creano lo sviluppo della storia.

E’ soprattutto per questo che anche questo libro, come succede quasi sempre, è più bello del film. Mi ha colpito molto anche per lo stile moderno con cui è scritto: scenari e dialoghi rispecchiano gli anni ‘60 in cui è ambientato, ma è scritto così bene e in  modo così scorrevole da essere invecchiato benissimo.

Un altro autore da aggiungere al lungo elenco di quelli di cui intendo recuperare altri titoli.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di maggio "un libro con una casa in copertina"


giovedì 14 maggio 2020

"Benedizione", Kent Haruf


Holt (Colorado), inizio estate. Dad Lewis ha 77 anni quando gli viene diagnosticato un cancro incurabile. Sa che entro settembre morirà e lo sanno anche la moglie Mary e la figlia Lorraine, tornata a Holt per trascorrere insieme al padre l’ultimo capitolo della sua vita. Cosa che invece non fa Frank, il figlio scappato di casa tanti anni prima. E' il più grande rammarico di Dad, quel figlio che non ha saputo accettare e che ha perso…

Ultimo romanzo della trilogia di Holt che inspiegabilmente è stato il primo ad essere tradotto e pubblicato in Italia. Non riesco a capacitarmi di una scelta editoriale così assurda e se fossi stata fra quelli che si sono trovati a leggere per primo il terzo libro della trilogia mi sarei arrabbiata tantissimo, non solo per una questione di ordine logico, ma anche perché in “Benedizione” si accenna ai fratelli McPheron con un clamoroso spoiler se letto prima!

E’ passato un numero imprecisato di anni dalle vicende di "Canto della pianura" e di “Crepuscolo”. Se in "Crepuscolo" avevo riscontrato il Kent Haruf più amaro, qui ho trovato quello più triste. In un’ambientazione più cittadina che rurale rispetto agli altri romanzi, è anche quello meno corale con un indiscusso protagonista.

Dad Lewis è un uomo d’altri tempi, preciso, metodico, affidabile. Ma anche inflessibile e moralista.

Al pari degli abitanti di Holt, puntuali a presentarsi in chiesa ogni domenica, ma non disposti ad accettare quel reverendo cacciato da Denver per aver osato difendere i diritti degli omosessuali e che ora, nella loro cittadina, predica addirittura il porgere l’altra guancia e l’amore verso il prossimo, nemici compresi. E cosa importa che sia scritto nel vangelo?

Ah, la meravigliosa ipocrisia cristiana…

Ma il reverendo Lyle e la sua famiglia sono solo alcuni dei personaggi che ruotano attorno a Dad. C’è Berta May, la vicina di casa dei Lewis che dopo aver perso la figlia per un tumore al seno si occupa della nipotina Alice. Ci sono le parrocchiane Willa e Alene Johnson, madre e figlia, una vedova, l’altra amante. E ci sono i "fantasmi" di Clayton e della moglie, che affiorano dai ricordi di Dad vecchi di quarant’anni...

Haruf, con la sua abituale e immensa bravura, costruisce un passato e un presente per ciascuno di loro creando figure con uno spessore che il più delle volte gli scrittori non sono capaci di dare neppure ai loro protagonisti.

Un libro triste, dicevo. Pur non avendo provato buoni sentimenti nei confronti dell’integerrimo Dad Lewis, non ho potuto fare a meno di commuovermi per la sua fine. Solo chi ha perso una persona amata per il cancro può descrivere quei momenti come ha fatto Haruf. E solo chi ha vissuto un lutto del genere può ritrovarsi nella sua ricostruzione dell’evento e io mi ci sono ritrovata più di quanto avrei voluto.

Magistrale l’insegnamento che si trae non solo da questo terzo volume, ma dall’intera trilogia: vale davvero la pena non cedere all’indulgenza? Rovinare la vita agli altri e a se stessi? Ma, soprattutto, chi ha il diritto di giudicare le scelte altrui, senza per altro sapere nulla di quello che ha vissuto e provato un’altra persona, sia essa figlio, genitore, amico o semplice conoscente?

Ovviamente nessuno, ma lo fanno in troppi.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia annuale "una trilogia" (3° volume)

martedì 12 maggio 2020

"On fire", Sylvia Day


Lion's Bay (Stati Uniti). Darcy Michaels è ispettrice antincendi nella placida cittadina sul mare in cui è nata e cresciuta. Un posto dove tutti si conoscono e dove si è consumato solo un crimine violento, tre anni prima. E’ anche per questo che la comunità è sconvolta dai tre incendi dolosi registrati nelle ultime settimane. In rapida successione sono andati in fumo tre posti cari a Darcy: la scuola di ballo che aveva frequentato da giovane insieme alla gemella Danielle, poi il rifugio per animali e infine il negozio di dolciumi. Per fermare il piromane non si fa remore a chiedere aiuto ai federali e le basterà scambiare uno sguardo con l'agente Jared Cameron per capire che il quarto incendio è appena scoppiato, ma in mezzo alle gambe di entrambi…

Per esigenze di Reading Challenge mi serviva un breve romanzo edito da Fanucci da abbinare all’ultimo racconto letto della Castillo e, schivando la mole di fantascienza pubblicata dall’editore, la mia scelta è caduta su questo librino erotico senza pretese.

Non avevo grandi aspettative ed è probabilmente per questo che è successo il contrario rispetto a quando le ho alte e resto delusa: dovendo tradurre il giudizio in stelline non posso darne più di due (si tratta comunque di livello Harmony), ma tutto sommato è stata una lettura leggera, divertente e a suo modo piacevole.

Intanto mi ha sorpresa la trama che, per quanto sbrigativa, c’è e non è male: la stessa storia nelle mani di un giallista di professione - quindi ben sviluppata (qui i crimini fanno da sfondo fornendo il pretesto per far incontrare i due protagonisti), con un serio approfondimento dei vari passaggi (l’autrice alla fine fa incastrare tutti i pezzi, però lì butta un po’ lì senza sprecarsi in spiegazioni) e con un maggior sforzo per portare lui a capire che lei è in pericolo senza farglielo avvertire grazie al rizzarsi dei peli sulla nuca – il sopraccitato giallista professionista avrebbe potuto tranquillamente tirare fuori un thriller di 350 pagine in linea con tanti altri che ho letto.

La Day scrive in maniera molto semplice, con il protagonista maschile cade in tutti gli stereotipi (datati) che si possono immaginare: bello quanto scontroso, sensuale quanto sgarbato, irresistibile ma selettivo, che preso dalla passione chiude la porta con un calcio e sposta un tavolino con una pedata. Ma che poi in ventiquattro ore si innamora come un pesce lesso manifestando una tenerezza insospettabile, pur non perdendo un grammo della sua maschia virilità, ovviamente.

Per contro, però, riconosco all’autrice il merito di non avergli affiancato una protagonista mammoletta capace solo di strisciare ai piedi del bel tenebroso: certo anche lei cede immediatamente ai sentimenti, però la Day la dota di un’emancipazione professionale e sessuale pari a quella dell’uomo e non credo sia tanto comune nei romanzi rosa o erotici.

Questo è decisamente poco rosa e molto erotico: le scene di sesso fra i due occupano interi capitoli e, sorvolando su certe descrizioni così antiquate da risultare ridicole (Darcy è uno schianto, lui ha addominali rocciosi, ecc), ho trovato quello che spesso manca nella letteratura di genere, cioè scene di sesso raccontate da qualcuno che ha davvero sperimentato quel tipo di coinvolgimento mentale e quelle sensazioni fisiche.

E brava Sylvia Day!

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di maggio

sabato 9 maggio 2020

"Il giardiniere", Natasha Preston


Long Thorpe (Inghilterra), sabato 24 luglio 2010. Summer Robinson è una bella ragazzina di 16 anni, innamoratissima del suo Lewis con cui fa coppia fissa da 18 mesi. Quella sera però escono separatamente e Summer viene rapita e segregata in una villetta non lontana dalla cittadina in cui vive.
Il suo sequestratore ha trasformato lo scantinato in un piccolo appartamento dove regnano ordine e pulizia. A occuparsene sono altre tre ragazze sue prigioniere da tempo, Rose, Poppy e Violet, i suoi fiori…
Un mazzo a cui lui aggiunge il quarto: Lily, cioè Summer.

Un altro thriller che mi ha molto delusa (mi chiedo se dovrei smetterla di considerarlo il mio genere preferito…) e che forse lo avrebbe fatto un po’ meno se fosse stato classificato per quello che è: uno Young Adult. In questo modo avrei saputo cosa aspettarmi, cioè una storia raccontata al 95% dal punto di vista di due adolescenti (il restante 5% è quello dello psicopatico) in modo pesantemente ripetitivo. L’autrice tratta episodi gravi - il rapimento, la reclusione, gli omicidi, l’angoscia di Lewis e dei familiari di Summer - ripetendo sempre gli stessi dialoghi, gli stessi pensieri, gli stessi ricordi, spesso usando proprio le stesse frasi, senza coinvolgere e suscitando grandi sbuffi di noia al posto della sperata tensione.

Non ho letto molti Young Adult, ma un paio erano scritti bene, questo no: oltre allo stile scarso e al lessico troppo elementare, anche la storia è mal costruita e mal raccontata, basata su situazioni inverosimili rese ancora più surreali dall’aver fatto dei ragazzi i protagonisti assoluti, relegando così i genitori a un ruolo di disperati di serie B rispetto a Lewis (grande rispetto per gli amori giovanili, ma non è accettabile). Per lo stesso motivo manca tutta la parte dell’indagine poliziesca, con questo ragazzetto che investiga e agisce da sceriffo rendendo la lettura ancora meno credibile e più irritante.

"Il giardiniere” è un perfetto esempio di come chiunque possa leggere un libro e di come pochi ne sappiano scrivere uno!
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di maggio

venerdì 8 maggio 2020

"Il segreto nascosto", Linda Castillo


Painters Mill (Ohio). E’ notte quando una neonata viene abbandonata davanti alla casa di Troyer, l’anziano vescovo degli Amish. La scelta spinge il capo della polizia Kate Burkholder a ipotizzare che anche la madre della piccola sia Amish, come sa bene i rigidi dettami religiosi certo non li esentano da crimini e “peccati”.
Questa volta non c’è nessun caso di omicidio da risolvere, ma Kate non si risparmia con le indagini, sorprendendosi per gli stati d’animo che suscita in lei la bambina…

L’ottava puntata della saga è un altro racconto, il secondo dopo “Persa nel tempo”, e ben più breve, appena 43 pagine. Una lettura comunque piacevole, in linea con la scorrevolezza di tutta la serie. Una storia per certi aspetti triste, priva di un’indagine vera e propria e che suppongo sia servita all’autrice per far approdare la sua protagonista a una futura maternità, o per lo meno al prenderne in considerazione l’eventualità…

Vedremo, la saga continua e io continuo a leggerla (sempre con piacere).

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di maggio, lo collego a "Il libraio che imbrogliò l'Inghilterra" perchè entrambi gli autori sono anglofoni


giovedì 7 maggio 2020

"Crepuscolo", Kent Haruf


Holt (Colorado), un altro inizio autunno. Sono passati due anni dalle vicende raccontate in “Canto della pianura”. Victoria Roubideaux ne ha quindi 19 e la ritroviamo mentre sta per trasferirsi a Fort Collins insieme alla piccola Katie per poter frequentare l’università. Il legame fra lei e i fratelli McPheron è diventato indissolubile da ambo le parti, al pari di quello che unisce tanti veri nonni ai veri nipoti e viceversa…

E’ stato un piacere ritrovarli, sia loro che qualche altro personaggio già apparso nel primo volume della trilogia, perché mi sembrava di aver letto che i tre romanzi avevano in comune solo la cittadina di Holt.

Ai nuclei noti se ne aggiungono tre nuovi: DJ Kephart, un ragazzino di 11 anni che vive con l’anziano nonno; la trentenne Mary Wells e le sue due bambine, loro vicine di casa; e i dolcissimi fratellini Wallace, Joy Rae e Richie, figli di una coppia di disadattati.

Una Holt degradata, ben diversa dalla cittadina di villette a schiera di “Le nostre anime di notte”. Un intreccio di situazioni atipiche e problematiche con l’Haruf più amaro che abbia letto finora: sono ben pochi gli spunti lieti o positivi che emergono dal libro, i drammi la fanno da padroni, vicende che coinvolgono facendo provare rabbia, istinto di protezione verso i piccoli indifesi, maltrattati o “semplicemente” troppo soli. Ma anche tenerezza verso gli anziani e autentico dispiacere per un lutto.

Di nuovo mi colpisce come questo autore riesca ad appassionare e coinvolgere. Il modo in cui rendeva vivi i suoi personaggi, senza sforzo, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mentre è una capacità che pochissimi scrittori hanno.

Per fortuna NN Editore ha appena pubblicato l’unico suo romanzo che non era ancora stato tradotto in italiano, “La strada di casa”. Scritto nel 1990 e ambientato, come tutti gli altri, nell’immaginaria Holt, si pone quindi (per chi ha la fortuna di dover ancora leggere le sue meravigliose opere) dopo “Vincoli: alle origini di Holt” e prima della trilogia. Io lo recupererò dopo "Benedizione".
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia annuale "una trilogia" (2° volume)

lunedì 4 maggio 2020

"Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare", Luis Sepùlveda


Kengah è un giovane gabbiano argentato femmina che, con il suo stormo, sta migrando dal mare del Nord verso il golfo di Biscaglia. Sorvolando la foce dell’Elba gli uccelli si buttano in mare su un banco di aringhe. Un tuffo, due tuffi, tre tuffi… Kengah non sente il segnale d’allarme e l’onda nera la travolge. Il petrolio le offusca la vista e impregna le sue penne, le ali diventano pesanti come pietre ed è con la forza della disperazione che riesce ad arrivare sopra al porto di Amburgo, precipitando sul balcone della casa in cui vive Zorba, un gattone nero di cinque anni. E’ a lui che Kengah affida l’uovo che sta per deporre facendogli promettere tre cose: Zorba dovrà covare l’uovo, non dovrà mangiare il piccolo quando sarà nato e dovrà insegnargli a volare quando verrà il momento…

Quando a marzo ho letto “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa” e “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà” Sepùlveda era già in ospedale contagiato dal virus che lo ha ucciso lo scorso 16 aprile. Una morte per la quale ho provato un autentico dispiacere, cosa che mi è capitata con pochissimi personaggi famosi.

Non mi risulta che fosse vegano, né vegetariano, ma era comunque uno dei pochissimi autori in cui ritrovavo quel rispetto e quell’ammirazione per gli animali indispensabili per farmi provare altrettanto rispetto e ammirazione nei confronti delle persone.
Sepùlveda faceva parlare non solo gli animali, ma anche la Terra, impossibile leggerlo e non vergognarsi per tutto il male che noi uomini facciamo al pianeta e il fatto che a ucciderlo sia stata proprio l’ennesima pandemia causata dall’(ab)uso che facciamo degli animali rende la sua fine ancora più tragica e inaccettabile.

Anche questo breve romanzo è una perla da leggere e non dimenticare. Oltre alla denuncia contro l’inquinamento e contro lo sfruttamento degli animali negli acquari e nei circhi, c’è l'incitamento al non arrendersi alle difficoltà, al credere in se stessi e – messaggio per me ben più importante e bello – c’è la rappresentazione della parità, del riuscire ad amare e aiutare un altro essere vivente, seppur diverso da noi.

Venti giorni fa il mondo ha perso “qualcosa” di veramente importante.

  
Reading Challenge 2020: traccia gold del mese di maggio