sabato 29 aprile 2023

"Non sposate quella donna!", Jenny Colgan



Londra, novembre di un anno alla fine del secolo scorso. Melanie, Francesca e Amanda hanno tutte 26 anni e si conoscono da quando ne avevano quattro. Mentre le prime due sono arrivate all'età adulta continuando a essere amiche per la pelle, il rapporto fra loro e Amanda è sempre stato caratterizzato da invidie, gelosie, dispetti e rancori. Se Mel si mantiene correggendo annunci pubblicitari e Fran continua a rincorrere il sogno di diventare un'attrice, Amanda vive nel glamour assoluto grazie al suo lavoro da PR. E il 21 dicembre si sposa! E non sposa un uomo qualunque, ma Fraser McConnald, un lord scozzese! Così Amanda avrà presto un marito, un titolo e perfino un castello. Poco importa se in realtà si tratta di un rudere, otterrà comunque quello che vuole, come sempre. A meno che qualcuno non boicotti quel matrimonio...

Quando inizio un rosa metto sempre in conto l'elevato rischio di leggere una scemata, ma questa storia va ben oltre.

Scritto nel 2000, titolo originale "Amanda's wedding", è l'opera prima di questa autrice di cui due anni fa avevo già letto "Appuntamento al Cupcake Café". La cosa imbarazzante è che prima di leggerlo avevo già comprato tutti i suoi libri tradotti in italiano, per cui tolti questi due me ne restano altri quattro ancora da leggere!

Gli undici anni trascorsi fra la pubblicazione di "Non sposate quella donna!" e "Appuntamento al Cupcake Café" hanno solo portato qualche miglioria nella scrittura, ma a livello di contenuti ogni situazione fa precipitare in un baratro.

La protagonista assoluta e voce narrante è Mel, uno dei personaggi più cretini e immaturi in cui mi sia mai imbattuta, ma la Colgan è stata equa elargendo idiozia a ognuno dei suoi personaggi. Ha abbinato le donne zerbino agli uomini soverchiatori e gli uomini sottomessi alle donne dittatrici in una profusione di infantilismo e malignità a cui si aggiunge l'abuso di alcool, immancabile in questi romanzetti, soprattutto se partoriti nel Regno Unito.

Il primo terzo abbondante è zeppo di refusi, che normalmente mi indispongono, ma che qui diventano un difetto molto relativo perché il problema è proprio alla base. La trama è così brutta da avermi fatto rimpiangere quelle storie melense che tante volte ho criticato. Le dinamiche sono demenziali. I dialoghi deliranti e spesso fuori contesto. Gli atteggiamenti adolescenziali. E a ciò si aggiunge un bullismo reiterato da parte di tutti nei confronti della coinquilina della protagonista vissuto come fonte di divertimento. 

L'opera prima di Isabel Allende è stato quel capolavoro de "La casa degli spiriti": ma Jenny Colgan non poteva pensarci quando sognava di fare la scrittrice e decidere di lasciare perdere?

Reading Challenge 2023, traccia annuale di marzo: un romanzo rosa

giovedì 27 aprile 2023

"Una stella senza luce", Alice Basso



Torino, settembre 1935. Sono trascorsi tre mesi da quando Anita ha iniziato a lavorare come dattilografa per la rivista "Saturnalia" e questo significa che ne mancano altrettanti allo scadere della condizione posta al suo fidanzato Corrado: permetterle di fare un'esperienza lavorativa di sei mesi prima del matrimonio. In lei non c'è traccia della gioia che ci si aspetterebbe di trovare in una giovane futura sposa, se già era poco convinta al momento del fidanzamento, dopo aver sperimentato l'ebbrezza che il lavoro a "Saturnalia" le regala - fra le traduzioni dei racconti gialli americani che il suo capo le detta e le loro indagini in incognito - lo è ancora meno.
A distrarla è il famoso regista Leo Luminari, tornato a Torino dopo una pausa quinquennale nella capitale e deciso a riportare il grande cinema sotto alla Mole. E vuole farlo con un film giallo, magari con protagonista quel John Dorcas Smith, su cui però Sebastiano e Anita non possono certo rischiare di attirare l'attenzione del fascio. E se quella di Luminari fosse solo una farsa? Se a Roma qualcuno avesse capito che quello che succede nei racconti di Dorcas Smith non è frutto della fantasia di uno scrittore americano, ma descrive fatti veramente accaduti a Torino? In quel caso Sebastiano e Anita rischierebbero qualcosa di ben più grave della censura fascista!

Scritto nel 2022, "Una stella senza luce" è la terza puntata della serie con protagonista Anita Bo dopo "Il morso della vipera" e "Il grido della rosa", che avevo letto a settembre dell'anno scorso. Un'altra letturina semplice semplice. Troppo semplice. Enormemente semplice. Alice Basso non sforna letteratura, ma ha comunque un modo di scrivere piacevole e sciolto, ha delle idee buone, è spiritosa (anche se con una frequenza esagerata) e non manca mai di inserire qua e là anche qualche spunto profondo, ma cade sempre nella struttura della storia, non prova mai di andare oltre al gialletto cercando di costruire una trama un po' più complessa ed efficace. Ed è un peccato. Questa volta si scende ancora più in basso, la trama gialla è proprio uno sciocco teatrino che fa solo da contorno al vero soggetto della storia, il cinema. Ma per quanto abbia apprezzato l'omaggio fatto dalla Basso alla sua Torino, città dov'è nato il cinema italiano, questo resta un giallo storico e come giallo è inconsistente. E la questione storica è proprio il vero punto dolente di questa serie perché se lo stile leggero dell'autrice ben si adattava al personaggio di Vani Sarca, che viveva in epoca attuale, con Anita Bo e la scelta di ambientare i romanzi nel 1935, quella stessa leggerezza disturba. Certo la Basso è accurata nell'inserire fatti realmente accaduti (qui cita la retata del 15 maggio 1935 che portò all'arresto di numerosi esponenti antifascisti del gruppo Giustizia e Libertà, fra cui Cesare Pavese, Carlo Levi, Giulio Einaudi e altri), ma è sempre tutto molto distante da quello che era il vivere quotidiano di quegli anni, la vita di Anita e degli altri personaggi scorre normalmente, con non pochi punti di frivolezza. A leggere questi libri sembra quasi che il ventennio fascista sia stato una favoletta, quando in realtà viverlo è stato ben altra cosa.

Reading Challenge 2023, tracce di aprile: un libro scritto da una donna il cui cognome abbia un significato





lunedì 24 aprile 2023

"Il blogger", Patrick Brosi

 


Lago Titisee (Foresta Nera, 
Baden-Württemberg), 2 settembre 2013. Sono le quattro del pomeriggio e manca giusto un'ora al termine del servizio di noleggio barche quando un uomo sulla trentina si avvicina a Martin Sperber e chiede di poterne avere una. Non è certo la giornata ideale, il cielo plumbeo di solito allontana i turisti, senza contare che il giro del lago in barca attrae soprattutto coppie o famiglie con bambini, ma Martin non può rifiutare. Spera solo che il cliente rientri entro le diciassette per potersene andare a casa. Si tranquillizza quando lo vede remare vigorosamente verso il centro del lago, quindi va al chiosco a prendersi un caffè. E mentre se ne sta seduto dando le spalle al lago, confidando alla barista le sue perplessità verso quel cliente singolo che gli ha chiesto quale fosse la profondità massima per poi mettersi in bocca una pastiglia di Prozac, all'improvviso la vede aggrottare le sopracciglia prima di sentirle dire: "Martin, sulla barca non c'è nessuno".

Questo è quanto accade nelle due pagine di prologo, uno dei più brevi e dei più intriganti che abbia mai letto.

Patrick Brosi è uno sviluppatore di software nato nel 1987 vicino a Stoccarda, a Backnang, una cittadina a meno di duecento chilometri dal Titisee, immersa nel verde e piena di magnifici graticci che ha più o meno lo stesso un numero di abitanti del mio quartiere.
Di libri, a quanto mi risulta, ne ha scritto due, uno nel 2013, che non è stato tradotto in italiano, e questo, del 2015.

Lo avevo scoperto per caso e subito comprato per via dell'ambientazione, quel lago Titisee dove ho trascorso una meravigliosa giornata (era il 1° agosto del 2007, anno della mia prima vacanza tedesca con base a Friburgo), facendo prima il giro del lago in battello e poi l'intero giro a piedi.


E' un posto splendido (come tutta la zona) dove ci passerei un'intera vacanza, da pensionata anche un'intera estate.


Non mi stupisce che Brosi l'abbia scelto come fulcro della sua storia, una storia piuttosto complessa che coinvolge anche Basilea e, meno rilevanti, Friburgo, Berlino e Amburgo. Una storia di spionaggio industriale che strizza l'occhio al noir grazie alla figura del (bel) personaggio del comissario Nagel e decisamente thriller, fra omicidi cruenti, suicidi veri o presunti, pedinamenti, sparizioni, depistaggi e bei colpi di scena (uno mi ha addirittura strappato un piccolo applauso).

Un libro che avevo comprato anni fa e di cui continuavo a rimandare la lettura, in parte per il font (non propriamente piccolo, ma abbastanza per la mia vista, disagio aggravato dall'inchiostro grigino; per contro il volume ha una splendida apertura a 180°, cosa rara in un brossurato), ma soprattutto perché lo spionaggio è un genere che mi respinge, sia su carta che sullo schermo. Qui poi si tratta di industria farmaceutica e Brosi in alcuni passaggi scivola in ricostruzioni complottistiche che non ho gradito, ma l'intreccio è così ben riuscito e avvincente da avermi fatto amare il libro a prescindere.

Scritto prima che i blog venissero soppiantati da Instagram, la storia ha come protagonista apparente René Berger, blogger d'inchiesta (da qui il titolo), di cui nessuno aveva mai sentito parlare finché con i suoi post aveva reso pubblici i raggiri di una delle tre maggiori società farmaceutiche mondiali. 
Protagonista apparente perché quelli reali sono Marie Sommer, giovane stagista del "Berlin Post", e Andreas Nagel, commissario della polizia criminale di Friburgo.

I due si alternano nei capitoli del libro: Nagel è la colonna portante del presente, che inizia dal 2 settembre del prologo, mentre Marie lo è del passato recente, che parte dal 5 agosto.
La lettura procede con l'alternanza del passato e del presente, passato che ovviamente si avvicina sempre più al 2 settembre di partenza fino a combaciare, e Brosi - svelando particolari del passato nel presente - crea in chi legge tutta una serie di falsi paradossi temporali (falsi perché la successione degli eventi è molto lineare ed è solo la costruzione narrativa a dar vita a questa impressione) che rendono il libro molto originale e altrettanto bello (come il Titisee).


A volte Brosi se ne esce con frasi ridondanti ("Le sillabe guizzavano per la stanza come bagliori di luci su pitture rupestri") che sono inutili per la storia e lontanissime dal modo di pensare e di parlare dei personaggi, ma per non essere uno che scrive di mestiere ha tirato fuori un gran bel libro, che meriterebbe maggior notorietà.

Probabilmente un autore più profondo avrebbe dato spazio a considerazioni etiche che qui mancano del tutto, ma il libro vince con la sua dinamicità.

PS: il Titisee arriva a 40 mt di profondità.


Reading Challenge 2023, traccia di aprile: libri scritti da autori il cui cognome abbia un significato (brosi in islandese significa sorriso)

venerdì 21 aprile 2023

"La ragazza scomparsa", Angela Marsons

 

Black Country, marzo 2015. Charlie e Amy hanno nove anni e sono amiche per la pelle. Un legame che si è esteso anche alle rispettive mamme e, di conseguenza, ai due nuclei familiari: incontri quotidiani, serate in compagnia, vacanze condivise. E per le bambine stessa scuola e medesime attività extra scolastiche, fra cui il nuoto. E' all'uscita dal centro sportivo che vengono rapite e la madre di Charlie chiede che a occuparsi del caso sia la detective Kim Stone. Un incarico delicato soprattutto perché il doppio rapimento ha un precedente che risale al febbraio dell'anno prima quando altre due bambine erano state rapite e dopo tre giorni soltanto una era stata liberata.

Scritto nel 2015 (come "Il gioco del male"), "La ragazza scomparsa" è la terza puntata della serie con protagonista Kim Stone. Titolo fuorviante, visto che scompaiono delle bambine, non una ragazza, ma un altro thriller estremamente avvincente, ogni volta che dovevo riporlo perché avevo esaurito il tempo dedicato alla lettura l'ho fatto con grande dispiacere e ho già riservato alla quarta puntata della serie una traccia della Reading Challenge, chiaro segno di quanto la Marsons - dopo una partenza un po' incerta con "Urla nel silenzio" - mi abbia conquistata.

Le 382 pagine del libro si dividono in 113 capitoli (più prologo) brevi o brevissimi, particolare che come sempre dà una grande spinta alla lettura. Il ritmo incalzante e i tanti piccoli colpi di scena danno al thriller tutta quella suspense che si spera sempre di trovare in questo genere di libri.

Quindi storia coinvolgente, ben scritta e ben sviluppata. Ma non è certo un thriller perfetto. La Marsons non è una che si complica la vita e se può risolvere una questione con una coincidenza, un'esagerazione (da Kim Stone a RoboCop è un attimo!) o con un qualcosa di assolutamente improbabile, li butta dentro senza sforzarsi di creare sviluppi più logici e funzionali. La velocità di lettura tende a nascondere le pecche, più che altro le si immagazzina pensando che andando avanti ci sarà qualche sviluppo che darà loro un senso, come succede con molti thriller. Questa volta no e vorrei poter spiegare a cosa mi riferisco, ma sarebbero spoiler. Come nel precedente romanzo, anche questa volta ho trovato debole il modo in cui Kim arriva all'intuizione finale e la figura della veggente è davvero superflua ed evitabile, non serve a nulla e lede la coerenza della protagonista, ma tutti questi fattori negativi vengono surclassati dal modo in cui la Marsons riesce a rapire i suoi lettori.

Reading Challenge 2023, traccia di aprile: libri scritti da donne



martedì 18 aprile 2023

"Horrorstör", Grady Hendrix



Cleveland (Ohio), primo giovedì di giugno di un anno non specificato. Sono le 7.30 del mattino e i dipendenti dell'ipermercato Orsk di Cuyahoga County sarebbero pronti per iniziare a lavorare... se solo riuscissero a entrare! Nel meccanismo, solitamente perfetto, qualcosa si è inceppato: la porta di accesso del personale è bloccata e la scala mobile riservata al pubblico scorre al contrario. Nulla che i tecnici non possano risolvere e, infatti, la giornata comincia, anche se in ritardo. Ma da qualche settimana stanno succedendo altre stranezze: agli addetti alle vendite continuano ad arrivare SMS con una sola parola nel messaggio: AIUTO. E al mattino c'è sempre qualcosa che non va: un divano sporco, qualcosa di rotto, un disordine che alla chiusura non c'era. E le telecamere di sorveglianza non rilevano alcuna anomalia.
Per il vicedirettore Basil - che onora l'azienda come un dio - tutto ciò è inaccettabile e, deciso a far luce sull'enigma, arruola Amy e Ruth Ann (solo perché nessun altro dipendente ha accettato): loro tre passeranno un'intera notte dentro all'immenso negozio, organizzeranno dei turni di ronda e troveranno il vandalo! E invece al primo giro di perlustrazione quelli che trovano sono due colleghi: hanno avuto la stessa idea, però loro solo lì per dare la caccia ai fantasmi.

"Orsk: la tua vita, il tuo stile, i nostri mobili"

Gli Orsk sono l'equivalente americano di Ikea: ne imitano i nomi, lo stile, la progettazione, la struttura, la disposizione, lo spirito. Sono soltanto più economici. E non esistono nella realtà.

Lo statunitense Grady Hendrix - autore, giornalista e sceneggiatore, con diversi romanzi all'attivo - se li è inventati nel 2014 facendo ruotare attorno al negozio 
#00108 di Cuyahoga County il suo "Horrorstör".

Un prodotto assolutamente geniale: nonostante come libro riesco a giudicarlo, molto magnanimamente, una boiata colossale (ma è quello che penso dei vari filmetti horror di serie B che un tempo mi ostinavo a guadare finché mi sono fatta un po' più furba e ora li evito, con qualche sporadica ricaduta), sono affascinata dalla sua originalità e mi dispiace averne comprato la versione digitale. Al prossimo giro in libreria lo cercherò per sfogliarlo e vedere se ha anche la carta patinata, oltre a presentarsi come un catalogo Ikea, a cominciare dalla splendida copertina.

Chiaramente sul Kindle non si gode della bellezza dell'oggetto che ho visto cercando le immagini in rete, ma Hendrix riesce a trasmettere la sensazione di girovagare all'interno dell'Orsk/Ikea, spostandosi (per trentun volte!) sul "sentiero brillante e luminoso" insieme ai personaggi, osservando mobili (di cui ci vengono fornite immagini e schede tecniche) e suppellettili di vario genere.

Poi inizia la parte horror dove l'autore deve essere arrivato dopo aver esaurito tutta la fantasia (oppure pensando di aver già dato abbastanza con il confezionamento), limitandosi ad attingere a una filmografia di genere (scadente e parecchio datata), senza poter godere della facilità con cui sullo schermo si riesce a generare uno scatto di spavento anche solo con un rumore improvviso.
E l'ambientazione - che è il punto forte del libro - in chiave horror diventa penalizzante perché un ipermercato infestato non può reggere il confronto con una vecchia casa di legno.

Ma a deludermi non è stato tanto l'horror (da cui mi aspettavo quel poco che ho avuto) quanto la mancata promessa della sinossi che descrive il libro "
una satira del consumismo e della natura degradata del lavoro nella nuova economia del XXI secolo".
No.
Qui Hendrix (o chi per esso) ha mirato decisamente troppo in alto. Questi grandi contenuti si riducono a un unico attacco alla società odierna (
"La gente viene qui tutto il giorno solo per passare il tempo, mangiare polpette, lasciare i figli nel Playland, navigare in internet e bere caffè."), ma nelle restanti 264 pagine non c'è nulla di significativo e creare due personaggi che vivono il proprio lavoro in modo opposto è inutile se chi scrive non aggiunge riflessioni serie in proposito, senza contare che essere un addetto alle vendite può piacere o meno, ma di sicuro non è un lavoro degradante.

E a un certo punto compare una scritta - 
"Il lavoro libera"- volutamente troppo simile a quella di Auschwitz, senza alcun rispetto per chi sotto a quell'insegna c'è passato davvero, solo una volta, senza riuscire a tornare indietro.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di marzo: un libro horror

venerdì 14 aprile 2023

"L'ultimo amore di Baba Dunja", Alina Bronsky



Černovo (Russia), estate di un anno recente. Baba Dunja ha più di ottant'anni. Ne aveva circa cinquanta quando, il 26 aprile 1986, nella vicinissima Chernobyl era avvenuto il più grande disastro nucleare della storia. Poi, dopo due giorni di relativa calma, era partito un frenetico piano di evacuazione e anche lei aveva dovuto lasciare la sua città.
Ma adesso è tornata.
Lei è stata la prima e per questo è diventata famosa. Ha ripreso possesso della sua casa e lì coltiva il suo orto e va avanti con la sua vita. Ogni tanto raggiunge la città abitabile più vicina, fa provviste per lei e per le (poche) altre persone che hanno seguito il suo esempio scegliendo di vivere nella zona morta, ma soprattutto ritira la posta, le lettere e i pacchi che la figlia Irina le spedisce dalla Germania. Nessuno consegna la posta a Černovo, ogni tanto si vedono solo dei tecnici che, protetti dalle loro tute bianche, fanno prelievi. Con loro c'è anche una dottoressa che insiste per visitarli. Ma nessun altro si azzarda, nelle città vicine rifiutano perfino di seppellire chi è stato contaminato dalle radiazioni di Chernobyl, perché anche da cadaveri continuano a essere pericolosi.
A Černovo sono in pochi e tutti anziani. E' per questo che Baba Dunja si sorprende quando un uomo arriva con una bambina, che deve essere per forza sana, ma non lo resterà per molto se dovrà bere l'acqua del pozzo come fanno loro.

Alina Bronsky è uno pseudonimo. L'autrice è nata nella Russia centrale, a duemila e rotti chilometri da Chernobyl, più di quanti ce ne siano fra Chernobyl e Genova (in linea d'aria sono 1.755). Cresciuta in Germania, dove vive tutt'ora, scrive i suoi romanzi in tedesco, ma ha dichiarato di non aver perso il suo legame con la Russia.
Classe 1978, aveva 8 anni al momento del disastro. Io poco più di 16 e ricordo bene le paure e, in certi casi, il panico che aveva creato nonostante la distanza.
L'atrocità vissuta da chi si trovava nelle zone colpite deve essere stata un qualcosa che nessun film, libro o serie TV possono arrivare a rappresentare.

"L'ultimo amore di Baba Dunja" non ha questo scopo, ma qua e là semina particolari che danno una chiara immagine della devastazione di questo territorio, dove ci sono molti più insetti e ragni perché ci sono pochi uccelli, dove gli uccelli maschi - sopravvissuti in numero ben maggiore rispetto alle femmine - devono cantare a squarciagola per cercare di aggiudicarsi una compagna, dove ci sono pochi topi perché non ci sono più persone a produrre rifiuti...

Ho scoperto il libro grazie a Teresa del canale YouTube Bee Book a Lula: lei ha una predilezione per i protagonisti anziani e Baba Dunja è indubbiamente un bel personaggio, un'ex infermiera coriacea che ha dovuto fare i conti con una vita dura, che nel presente ha raggiunto quella fase della vita in cui il giudizio degli altri conta meno che mai e che non scende a compromessi con l'ovest, neppure per fare quel viaggio che le permetterebbe di conoscere la nipote Laura, che non ha mai visto, ma che ama con tutta se stessa.
In una situazione surreale, Baba Dunja vive serenamente, felice di essere tornata a casa dopo un lungo allontanamento forzato che non racconta, ma di cui se ne percepisce la pena.

E' un romanzo breve (176 pagine) che si legge velocemente in un paio di giorni, da cui forse mi aspettavo qualcosa di più, ma che porta indubbiamente a riflettere su quanto male facciamo al pianeta che ci accoglie.

"Prima o poi questo posto dimenticherà quello che gli è stato fatto? Fra cento, duecento anni?"
No Baba Dunja: in realtà per essere nuovamente abitabile dall'uomo dovranno passarne da tremila ai ventimila!!
Reading Challenge 2023, tracce di aprile: un libro con una donna in copertina e scritto da una donna

mercoledì 12 aprile 2023

"L'impromissa", Chiara Ferraris

 

Genova, un anno recente non precisato. Sono passati alcuni mesi dalla morte della madre e per Agata è arrivato il momento di tornare nella casa dove è cresciuta, ormai vuota di presenze umane, ma più che mai carica di ricordi. Mentre compie la dolorosa cernita, decidendo cosa vuole conservare, regalare o buttare, spunta fuori un quaderno che non aveva mai visto. In alto, nella prima pagina, un nome: Alice Lantieri.
Era la sua prozia, Alli, che lei ha conosciuto solo attraverso i racconti di sua madre, dei suoi zii, di suo nonno, perché è morta prima che lei nascesse.
E Agata trova altri nove quaderni uguali al primo, pagine e pagine in cui la zia ha raccontato tutta la sua vita. Diari pieni di sorprese per Agata, diari che svelano segreti di famiglia che forse nessuno conosce, a cominciare dal più incredibile: Alice non era una Lantieri.

Impromissa è una parola dialettale che significa promessa sposa e il dialetto in questione è il mio, il genovese, come è genovese l'autrice, di cui questo è il romanzo d'esordio, scritto nel 2019. In rete ho trovato una sua breve intervista di cui riporto questo passaggio:

"Nel romanzo affronto temi a me molto cari, come la famiglia, la Resistenza partigiana, ma soprattutto l’amore. Volevo una storia che facesse battere il cuore."

A me, che romantica non sono, la Ferraris è riuscita a far battere il cuore per il contesto storico in cui si svolge la maggior parte del romanzo: le 392 pagine che lo compongono sono divise in undici lunghi capitoli (più l'epilogo) in cui si alternano le parti (brevi) del presente di Agata a quelle più sostanziose e rilevanti in cui legge i diari di Alice e quindi dove anche noi lettori scopriamo la vita di quella che è la protagonista del libro.

L'avvicendamento di piani temporali diversi mi affascina sempre: in questo caso serve a dare un tocco di originalità (la scoperta dei quaderni, prima, e dei vari segreti che svelano, poi), senza Agata il romanzo sarebbe stato una saga familiare come tante, ma avrebbe funzionato lo stesso.

Particolare l'ambientazione: nonostante la Liguria sia la regione italiana con la maggior percentuale di territorio boschivo (ben il 72%), per me (e non credo di essere un'eccezione) si traduce con mare.

Alcuni personaggi del romanzo nascono a Genova, ci vivono, ci lavorano, ma la maggior parte degli eventi che racconta si svolgono in un imprecisato (che peccato!) paesino dell'entroterra o, ancor più specificamente, in quella che la Ferraris chiama la fattoria dei Lantieri. Avendo sempre pensato alle fattorie come a degli spazi molto estesi e pianeggianti mi ha fatto un po' sorridere l'uso di questo termine associato a un territorio irto e stretto come il nostro, ma i Lantieri coltivano i campi e hanno qualche animale, per cui fattoria sia.

Il libro è principalmente una storia d'amore, tutta da scoprire insieme ad Agata mentre legge i diari della prozia. Ma offre anche uno spaccato dell'Italia del ventennio fascista e della guerra e qui la storia dei Lentieri diventa simile a quella della mia famiglia: io non ho origini contadine, i miei genitori, i miei nonni e tutti gli altri parenti vivevano in città, ma anche la mia era una famiglia partigiana e il loro attivismo si è svolto proprio nella Valpolcevera raccontata dalla Ferraris. Per cui quando descrive Alice intenta ad ascoltare il messaggio radio all'indomani della liberazione della città durante la notte fra il 23 e il 24 aprile 1945 per me non si è trattato di leggere un'opera di fantasia e basta.

Popolo genovese esulta.
L'insurrezione, la tua insurrezione, è vinta.
Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d'esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo.
Genova è libera.
Viva il popolo genovese, viva l'Italia.

Reading Challenge 2023, tracce di marzo: un libro con una donna in copertina e scritto da una donna




lunedì 10 aprile 2023

"Dammi mille baci", Eva Cantarella

 

"Dammi mille baci, e poi cento, e poi ancora altri mille"

Così recita una poesia di Catullo per Lesbia: ma gli antichi romani non erano romantici, bensì prepotenti, arroganti e predatori, nei confronti delle donne o dei ragazzi. Questo a causa dell'educazione da dominanti che ricevevano e che si estendeva anche all'amore e, ovviamente, al sesso.

Due anni fa avevo letto un altro saggio di Eva Cantarella, "Come uccidere il padre. Genitori e figli da Roma a oggi", trovandolo molto difficile, ben al di fuori dalla mia portata. Se "Dammi mille baci" non fosse stato l'unico titolo, fra i tanti che ho, di adattabile alla traccia della Reading Challenge "Un libro che dedichi a una persona che ami" non so quando e se avrei trovato il coraggio per leggerlo, ma questa volta non ho avuto problemi, forse perché l'argomento lo rende maggiormente divulgativo.

Scritto nel 2009, è diviso in tre parti.

Nella prima l'autrice descrive come i romani si baciassero in modo diverso a seconda delle circostanze (ad esempio c'erano baci funebri, baci di congedo, eccetera) e come fosse un'abitudine per gli uomini baciare sulla bocca le matrone della famiglia, ma non si trattava di baci erotici, bensì di controllo: alle donne era vietato bere vino e un marito poteva addirittura uccidere la propria moglie dopo averla sorpresa nel locale in cui venivano conservate le anfore (come antica romana avrei avuto vita breve...).

Procedendo - e sempre tenendo presente come la storia dei romani sia interrotta da una linea di censura segnata dalla nascita e dalla diffusione del cristianesimo - l'autrice affronta le loro abitudini nei confronti del sesso, evidenziando gli eventuali cambiamenti avvenuti dopo la nascita dell'Impero.

"Non erano severi e moralisti come si pensa e non erano uguali a noi, non provavano gli stessi sentimenti che proviamo noi, non amavano come noi, non soffrivano come noi.
Non è vero che nulla è cambiato.
Tutti quelli che hanno vissuto nel passato erano diversi da noi anche nel modo di provare emozioni e sentimenti."

Nell'antica Roma i figli venivano istruiti dai genitori: al padre spettavano le questioni politiche, alla madre la trasmissione dell'orgoglio di essere romano.
Fin da piccoli ai romani veniva insegnato a essere dei dominatori. In quanto cittadini romani dovevano sottomettere il mondo e questo si estendeva anche al sesso. Una simile mentalità sfociava in vanteria e si traduceva in quella che la Cantarella definisce "virilità da stupro".

Nella seconda parte, la più sostanziosa, l'autrice spiega come e perché i romani classificassero i diversi tipi di amori in tre categorie: gli amori dovuti (coniugale, genitoriale, figliale), quelli possibili e quelli proibiti.

"La famiglia romana non era una famiglia felice."

I matrimoni venivano combinati dalle famiglie ed erano considerati un dovere civico, quelli d'amore erano estremamente rari: partendo da qui la Cantarella, facendo un'analisi della natura e della struttura della famiglia romana, con il padre-padrone al vertice, riprende velocemente i temi trattati ne "Come uccidere il padre" e sottolinea come - in una società che vedeva nella castità una delle massime virtù femminili - la prostituzione (presente già dalla fondazione di Roma) venisse considerata una professione socialmente utile perché evitava di mettere a repentaglio la virtù di donne sposate con altri.

L'autrice approfondisce il tema, spiega chi si prostituiva e perché, chi usufruiva di queste prestazioni e perché, sottolineando come gli uomini fossero attratti dai ragazzi solo fino al momento in cui spuntava loro la barba: "Quando i peli avevano coperto le loro cosce e il loro viso non era più morbido, i ragazzi non piacevano più".
Oggi parleremmo di pedofilia.

Il saggio descrive le abissali differenze fra ciò che era consentito alle donne (solo il sesso coniugale) rispetto agli uomini, parla dell'emancipazione femminile (vissuta dagli uomini come un pericolo sociale), di ciò che cambiò nel passaggio dalla Repubblica all’Impero, a cui si aggiunse la diffusione dell’etica sessuale cristiana.
Parla di contraccezione, di aborto, dell'abbandono dei neonati, della preoccupazione per il calo demografico. Di come e perché a Roma fossero difficili i rapporti fra i sessi e i motivi per cui gli uomini temevano le donne e di come cominciò la persecuzione contro gli omosessuali nonostante fra i primi quindici imperatori romani solo uno, Claudio, fosse eterosessuale.

Da notare che l'omosessualità femminile già in epoca pagana veniva considerata una mostruosità: per noi nessuna chance neanche su quel fronte...

Nella terza parte vengono raccontate dieci storie d'amore: Enea e Didone, Cleopatra e Cesare, Cleopatra e Antonio, Messalina e Silio, eccetera.

Un saggio interessante, che mi sprona a leggere anche "L'amore è un dio" sugli antichi Greci.

Penoso riscontrare come a duemila anni di distanza non sia ancora stata raggiunta una reale parità di genere né una piena libertà sessuale, di come ci sia ancora chi si permette di biasimare scelte personali altrui e di quanta voce in capitolo abbiano ancora i culti religiosi.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di febbraio: un libro che dedichi a una persona che ami

venerdì 7 aprile 2023

"Nel paese delle fiabe", Saverio Simonelli

 

Passaggi di dogana è una bella collana della Giulio Perrone Editore dove alle città o nazioni trattate viene associato un loro personaggio illustre. Inutile dire che nella mia wish list c'è "La Genova di De André", ma non è il solo.

L'accoppiata di questo è data dai fratelli Grimm con la Deutsche Märchenstraße, la strada delle fiabe, ed eccola qui, 664 chilometri con 70 luoghi di interesse:


Tratto dal documentario "Sulla strada dei Grimm", realizzato in coproduzione con il Goethe-Institut, "Nel paese delle fiabe" si propone di essere una via di mezzo fra un diario di viaggio e una guida, senza riuscire a essere né uno né l'altro perché manca proprio il richiamo turistico. O forse è mancato a me che amo la Germania per le sue bellezze naturali e architettoniche. E che un po' posso dire di conoscere avendole dedicato le vacanze estive dal 2007 al 2012 compresi (precedute da mesi di studi capillari): da qui la delusione provata trovando - per un'area vasta di cui ho visitato soltanto Gottinga - qualche cenno vago e spesso non rilevante.

Che tutto sia solo accennato lo si capisce già dal numero delle pagine (144) e dal fatto che dei 70 punti di sosta della strada delle fiabe ne vengano citati pochissimi.

Il viaggio inizia da Francoforte: direi inspiegabilmente perché la prima tappa (o l'ultima, dipende da dove la si affronta) della strada delle fiabe è Hanau, in Assia, dove Jacob (l'austero) e Wilhelm (il poetico) Grimm nacquero, rispettivamente nel 1785 e 1786 (morendo poi a Berlino nel 1863 e 1859, a 78 e 73 anni), per cui Francoforte qui è di troppo, ma ci sono stata e posso mettere una foto scattata nel 2010:


Invece è con questo monumento, costruito alla fine dell'800 grazie all'autotassazione della cittadinanza, che Hanau ricorda i suoi celebri figli:


Simonelli ripercorre la vita dei due a partire dal 1808, anno in cui i Grimm, laureati in Giurisprudenza a Marburg, si affacciarono alla scena culturale tedesca, iniziando quattro anni più tardi a lavorare sulle fiabe, cosa che continuarono a fare per quasi mezzo secolo, sempre in coppia.

Man mano che si procede l'autore parla più delle fiabe che di loro, facendo di tutte quelle citate spoiler clamorosi, almeno per me che - non avendo amato il genere neppure da bambina - conoscevo giusto le più famose, "Biancaneve", "Cappuccetto rosso" e "Pollicino", più qualche altra solo per il titolo (ma voi lo sapevate che i musicanti non arrivarono mai a Brema?!? E che la bella addormentata si chiamasse Rosaspina? Io no).

"La fiaba rappresenta una mentalità popolare e popolana che crede più nell'astuzia che nell'intelligenza, che capovolge le gerarchie sociali, che inventa la rivincita dei piccoli e furbi sui potenti baciati dalla fortuna e da rassicuranti eredità."

Come dicevo, i posti citati sono davvero pochi.

Abbiamo Alsfeld:


 Hannoversch Münden:


Kassel, nel cui museo dedicato ai due fratelli è conservata la copia originale delle "Fiabe per bambini e del focolare", patrimonio dell'umanità dall'UNESCO dal 2006:


Marburg, che nei miei "anni tedeschi" avevo preso più volte in considerazione come base per una vacanza finendo poi sempre col bocciarla esattamente per il motivo per cui Wilhelm Grimm se ne lamentava nelle lettere scritte a Jacob quando questi era a Parigi: "Questa città è tutta una scala". E ancora: "Credo ci siano più scale per le strade che nelle abitazioni. In una qualsiasi di queste case ci si può entrare dal tetto".
Capirai... qui a Genova c'è chi ha sfruttato la verticalità della città per fare del tetto piatto il parcheggio condominiale!


Con un bel salto (si cambia anche Land, passando dall'Assia alla Bassa Sassonia) si arriva a Gottinga, dove sono stata nel 2009:


A Brema, punto di arrivo, Simonelli dedica uno spazio abbastanza ampio, spiegando perché i Grimm l'avessero scelta come destinazione dei quattro musicanti e, da lì, il rapporto della città con la musica, non dimenticando il suo piccolo quartiere medievale, lo Schnoor:


Il libro si conclude con l'autore in volo verso l'Italia, mentre osserva dall'alto la Germania.

Paradossalmente la parte che ho amato di più è quella che dedica non a questa, ma a un'altra strada tematica, la Fachwerkstraße, cioè la strada delle mie adorate case a graticcio, che si snoda per 2.800 chilometri toccando Bassa Sassonia, Sassonia-Anhalt, Turingia, Assia, Baden-Wurttemberg e Baviera: basta la visione di quelle casette con travatura a vista per essere catapultati nel Medioevo. O in una fiaba...

Ma in definitiva il libro è molto diverso da quello che mi aspettavo ed è complesso, non tanto nel linguaggio, ma per le considerazioni filologiche di cui l'autore è maestro. Chiedermi, come Simonelli fa ed esorta a fare, se la fiaba vive o sopravvive è l'ultima domanda che mi farei e le sue analisi, indubbiamente accurate, più che interessarmi hanno finito col respingermi.

Riporto come esempio un passaggio descrittivo di Hansel e Gretel:

"E' un mondo immenso e grande come un gigante perché non ne vediamo mai i confini. La topografia non esiste e qualsiasi indicazione è un'iperbole. Loro, i personaggi, sono catapultati là in mezzo come se davvero piovessero direttamente dal cielo. Attraversano la scena come foglie d'autunno ma, invece di cadere, sembra vadano a finire da un'altra parte, nel paese del per sempre. E' quindi un libro d'aria, di meravigliosa inconsistenza visto da quaggiù, ma onnipresente nel panorama dei desideri. Come le nuvole."

Per chi volesse fare della Strada delle Fiabe un itinerario per una prossima vacanza consiglio la lettura del post che gli ha dedicato il mio amico Wolfgang Pruscha nel suo sito, Viaggio in Germania, sempre bello e accurato.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di marzo: un libro su favole o miti


mercoledì 5 aprile 2023

"L'animale morente", Philip Roth

 

Dopo "Lamento di Portnoy", ecco un altro grande monologo di Philip Roth. Scritto nel 2001, quindi trentadue anni dopo, è lungo poco più della metà rispetto al precedente (114 pagine vs 220). 
Non che ci sia un collegamento fra i due titoli: l'associazione la faccio io perché mi affascina come Roth riesca a costruire libri grandiosi dando voce a un solo personaggio.

La voce narrante in questo caso è quella di David Kepesh e qui mi domando: com'è possibile che una persona (io) che si è guadagnata il soprannome di "odiosa precisina" e che ama mettere tutto in fila e procedere con ordine - ordine che nel caso dei libri si traduce nel leggerli seguendo quello cronologico con cui sono stati scritti - proprio con i due scrittori di maggior pregio che legge (Roth e Oates) non abbia seguito questa abitudine pescando, invece, dalle loro bibliografie senza nessuna logica e senza documentarsi in precedenza riguardo a eventuali collegamenti?

Per fortuna con la Oates ho scoperto prima di leggerli che "Il giardino delle delizie", "I ricchi", "Loro" e "Il paese delle meraviglie" fanno parte di quella che viene definita la grande epopea americana, ma con Roth - dopo aver già fatto danni con la sua trilogia americana partendo dall'ultimo - ho di nuovo sbagliato: "L'animale morente" è il terzo libro con David Kepesh, per cui avrei dovuto leggere prima "Il seno" e "Il professore di desiderio", e mi bastano i titoli per capire che il collegamento fra i tre c'è e non deve essere da poco.

David Kepesh è un professore universitario impegnato da anni in un unico corso, un grande seminario di critica letteraria per laureandi. Ama il suo ruolo, ama il sesso, ama il seno delle donne. Grazie al suo carisma, al suo aspetto e alla notorietà che gli deriva dall'apparire in un programma televisivo come critico culturale, fra i partecipanti al suo corso la percentuale femminile supera sempre di gran lunga quella maschile. Con la calma che solo le persone molto sicure di sé riescono a mantenere, David aspetta sempre la fine del corso per avvicinarsi alla ragazza che più gli interessa ed è per questo che ogni anno organizza una festa per i suoi studenti.

"E' il sesso a sconvolgere le nostre vite, solitamente ordinate."

Nel 1992 la prescelta è Consuela Castillo, statuaria bellezza cubana con - come avrà modo di constatare - il seno più bello che abbia mai visto. La differenza di età sembra essere irrilevante sia per lei (che ha 24 anni) sia per lui (che ne ha 62).

Quello che succede tra loro ce lo racconta il libro, dove il presente si riduce a un paio d'ore o giù di lì di un qualunque giorno dell'anno 2000: recentemente (e non solo) ho letto libri dove l'ambientazione aveva un ruolo primario nella storia, per il contesto sociale che andava a creare o per l'atmosfera cupa data dal clima e dall'isolamento o per altro. Qui no. Roth prende il suo protagonista e lo fa parlare con qualcuno, che siano faccia a faccia o al telefono lo scopriamo alla fine, ma è irrilevante, così come lo è sapere (altra cosa che scopriamo alla fine) dove si trovino queste due persone, se a casa di uno dei due, in un bar, per strada o altrove.

Non c'è neppure dialogo: Kepesh parla, l'altro ascolta (ecco perché ho pensato a "Lamento di Portnoy"...) e solo alla fine scopriamo perché otto anni dopo averla conosciuta stia raccontando a un'altra persona di Consuela e a quel punto Roth riesce a fare male descrivendo una situazione esclusivamente femminile in un modo così reale e doloroso che rende difficile vedere in lui la misoginia che i più gli hanno attribuito.

Personalmente arrivata in fondo ero così colpita da perdonargli anche l'avermi raccontato una delle pratiche sessuali più disgustose che abbia mai letto.

Reading Challenge 2023, traccia di aprile: libri con una donna in copertina

lunedì 3 aprile 2023

"Quando l'imperatore era un dio", Julie Otsuka

 


Questo è uno dei manifesti che verso la fine dell'aprile del 1942 vennero affissi nei luoghi pubblici degli Stati Uniti. A Berkeley la donna di cui il libro racconta dopo averlo letto inizia a seguirne le istruzioni. Ha 41 anni ed è sposata da quindici. Il marito è stato arrestato l'indomani dell'attacco di Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, come nemico e traditore, accuse che è irrilevante dimostrare perché una colpa la ha ed è sufficiente: è giapponese. Come lo è sua moglie e come vengono considerati i loro due figli, una bambina di 10 anni e un bambino di 7, nonostante siano nati in America e non sappiano neppure una parola di giapponese.
La donna ora deve preparare loro e sé stessa all'evacuazione e alla deportazione. Non sa dove li porteranno, ma sa che deve liberare la casa e preparare un bagaglio leggero. La conosciamo mentre seppellisce l'argenteria e l'anziano cane, che ha preferito uccidere privandolo della possibilità di riuscire a cavarsela da solo. Al pappagallo ha aperto la gabbia, invece il gatto lo ha lasciato ai vicini.
A settembre, dopo aver trascorso quattro mesi nel centro di raccolta dell'ippodromo Tanforan, a sud di San Francisco, per i tre inizia un lungo viaggio in treno verso il confine nord occidentale del Nevada, per poi proseguire in pullman fino alla destinazione finale, Topaz, nello Utah, dove rimarranno ad aspettare la fine della guerra.

"A Topaz si fermò. La bambina guardò fuori dal finestrino e vide centinaia di baracche rivestite di carta catramata sotto il sole cocente. Vide pali del telefono e recinzioni di filo spinato. Vide soldati. E tutto ciò che vide, lo vide attraverso una nuvola di sottile polvere bianca che un tempo formava il letto di un lago salato."
Scritto nel 2002, questo è il primo dei (soli) tre romanzi brevi scritti da Julie Otsuka, nata in California nel 1962, ma di origini giapponesi.
Il mese scorso avevo letto "Venivamo tutte per mare", scritto nove anni dopo, ma che - raccontando delle donne giapponesi trasferitesi negli Stati Uniti nei primi decenni del secolo scorso in seguito a matrimoni per procura - narra fatti precedenti a questa storia che inizia con Pearl Harbor e termina nei mesi immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra mondiale.

Ancora più breve dell'altro (133 pagine vs 144), dice comunque molto. Della famiglia giapponese non ci vengono detti i nomi, ma in cinque capitoli - i primi tre narrati in terza persona, gli ultimi due in prima, dal bambino e dal padre - ci viene raccontato tutto il disagio. l'umiliazione, la paura e le incertezze di queste persone diventate nell'arco di una notte il nemico, anche chi aveva sette anni, erano nato in America e non sapeva nulla del Giappone.

"Ci guardavamo allo specchio e non eravamo contenti di quello che vedevamo: capelli neri, pelle gialla, occhi a mandorla. Il volto crudele del nemico."
Per quanto gli americani si ostinassero a chiamarli residenti, il Topaz War Relocation Center era un campo di concentramento. Certo al confronto dei campi di sterminio nazisti si può dire che queste persone siano state fortunate, per non parlare degli abitanti di Hiroshima e Nagasaki. E non va dimenticato che all'esercito giapponese si imputa l'uccisione di un numero impressionante di persone che secondo alcune stime arriva a dieci milioni.

Queste sono le guerre, nessuno è buono, ma non ci siamo ancora stancati di farle. Quando dei civili vengono identificati con un numero e privati della libertà poco importa se il centro viene chiamato di concentramento o di internamento: il comportamento degli americani nei confronti dei civili giapponesi (o di origine giapponese) residenti negli Stati Uniti è stato inumano e inutilmente crudele e questo libro lo descrive benissimo.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di gennaio: libri a scelta, la somma delle pagine deve dare 2023 (questo ne ha 133)



sabato 1 aprile 2023

Reading Challenge: le tracce di aprile

  


TRACCE DA COLLEGARE

A - Uno o più libri con una donna in copertina
B - Uno o più libri scritti da una donna
C - Uno o più libri scritti da autori il cui cognome abbia un significato

A:
  • L'animale morente, Philip Roth (1 punto)
A+B:
  • L'ultimo amore di Baba Dunja, Alina Bronsky (1 punto)
B:
  • La ragazza scomparsa, Angela Marsons (3 punti)
B+C:
  • Una stella senza luce, Alice Basso (4 punti)
C:
  • Il blogger, Patrick Brosi (4 punti + 1 punto foto)

Traccia annuale 01. Libri a scelta, la somma delle pagine deve dare 2023 (20 punti + 1 punto foto)
  • Breve storia della vita privata, Bill Bryson 
  • Mrs March. La moglie dello scrittore, Virginia Feito 
  • Non lasciarmi sola, Nancy Tucker 
  • Ho fatto la spia, Joyce Carol Oates 
  • Il silenzio di mia madre, Lauren Westwood 
  • Quando l'imperatore era un dio, Julie Otsuka 

Traccia annuale 02. My Self: cinque libri, uno per ogni categoria (13 punti + 1 punto foto)
  • Un libro ambientato nel tuo decennio di nascita
    Funny girl, Nick Hornby 
  • Un libro ambientato nella tua regione
    L'impromissa, Chiara Ferraris 
  • Un libro con in copertina il tuo colore preferito: blu(cerchiato)
    Vinto Visto Vissuto, Marco Benvenuto
  • Un libro dove uno dei personaggi ha il tuo nome o soprannome
    La metà del cuore, Viola Shipman 
  • Un libro che dedichi a una persona che ami
    Dammi mille baci, Eva Cantarella 

I miei punti di aprile = 48


   TRACCE STAGIONALI

Primavera:
  • Un libro dove c'è un giardiniere
  • Un libro dove c'è un fiorista
  • Un libro dove c'è un pasticciere
  • Un libro dove c'è un dottore


TRACCE ANNUALI

03. Arcobaleno Mini: cinque libri, uno per ogni categoria
  • Giallo: un libro con un detective protagonista (anche dilettante)
    Le notti senza sonno, Gian Andrea Cerone
  • Rosa: un romanzo rosa
    Non sposate quella donna!, Jenny Colgan
  • Verde: un libro d'avventura
  • Blu: un libro su favole o miti
    Nel paese delle fiabe, Saverio Simonelli
  • Nero: un horror
    Horrorstör, Grady Hendrix
04. Wish List: otto libri della propria wish list