giovedì 31 agosto 2023

"La spiaggia degli affogati", Domingo Villar

 

Panxón (Galizia), autunno inoltrato di un anno non precisato. La spiaggia più piccola del borgo, quella riparata dal Monteferro, si è guadagnata il triste appellativo di "spiaggia degli affogati" perché quando qualcuno muore in mare è molto probabile che le correnti finiscano col portare il cadavere a riva proprio in quel punto. E' esattamente quello che succede con Justo Castelo, 42 anni, pescatore del posto. Uomo taciturno e solitario, con un passato di tossicodipendenza, negli ultimi tempi era apparso insolitamente nervoso e aveva anche smesso di fischiettare, cosa che faceva meccanicamente, senza neanche rendersene conto. Il suo suicidio non sembra qualcosa di impensabile neppure per la sorella. Ma l'ispettore Leo Caldas nota subito un particolare stonato: le fascette che stringono i polsi del morto - espediente usato da chi sceglie di farla finita in mare per non correre il rischio di cambiare idea mettendosi a nuotare - sono state chiuse dalla parte dei mignoli, cosa che da solo non avrebbe potuto fare. A Caldas basta questo per decidere di non archiviare subito l'indagine e cominciare a scavare nella vita dell'uomo, una ricerca che presto lo porterà a un fatto accaduto dieci anni prima, quando Castelo insieme ad altri due pescatori si era salvato dal naufragio del peschereccio su cui lavorava.

Ed eccola la spiaggia degli affogati:


Scritto tre anni dopo "Occhi di acqua", opera prima di Villar che avevo letto il mese scorso, "La spiaggia degli affogati" è il romanzo che decretò il suo successo e in effetti è molto più maturo del precedente.

Un bel giallo dove il protagonista arriva a risolvere le dinamiche del presente soltanto dopo aver ricostruito i fatti del passato, ostacolato da omertà e superstizioni. Ho ritrovato il suo stile pacato, senza la truculenza che mi aveva ricordato "Io uccido" di Faletti, mentre ho di nuovo visto sorridere Camilleri fra le righe.

Indagini alla vecchia maniera anche in questo lungo romanzo (492 pagine), con intrecci ben calibrati e un finale che - pur non essendo sbalorditivo - regala comunque qualche colpo a sorpresa, cosa non facile data la cerchia ristretta di personaggi implicati nel crimine.

Villar anche questa volta prende posizione contro lo scempio causato dall'uomo con l'edilizia selvaggia.

"Era difficile immaginare che un tempo quella superficie fosse ricoperta dalla sabbia, che le dune di Gaifar si estendessero per centinaia e centinaia di metri verso l’interno. Quello era stato il paesaggio per secoli e secoli, fino a che qualcuno l’aveva dichiarato terreno edificabile e le dune, ricoperte dalla colata di cemento delle seconde case, erano state ridotte a un lembo di sabbia talmente stretto che in inverno spariva sommerso dall’alta marea."

A disturbarmi è stato il gran parlare di pesca, ma con un pescatore morto e l'ambientazione in un villaggio di pescatori non poteva essere altrimenti. Fortunatamente Villar ha inserito biasimo verso la razzia dell'uomo sul mare ("C’è poco pesce?" "E come potrebbe essercene? Il mare ha bisogno di tirare il fiato, come noi. Se non glielo lasciamo fare, non può riprodursi."), ma ha anche fatto parlare i suoi personaggi pescatori da pescatori e il suo ispettore come un amante del pesce nel piatto.

"Caldas aprì il sacchetto. C’era una mezza dozzina di branzini. Nelle branchie di alcuni palpitava ancora la vita."

Quanta tristezza in questa frase, quanto egoismo. Un branzino non è una lattuga. Non ci pensate che quella che viene definita freschezza quando si parla di alimenti animali significa che quell'animale è appena morto? E la morte non è forse l'esatto contrario della freschezza? Provate a pensare quanto sia ripugnante l'idea del cannibalismo: davvero vi basta che un essere vivente non abbia l'uso della parola per rendere la sua carne morta commestibile?!?

Reading Challenge 2023, traccia stagionale, estate: un libro nella cui sinossi ci sia la parola "spiaggia"

martedì 29 agosto 2023

"Affari di famiglia", Francesco Muzzopappa



Torino, anno non precisato. Le crisi economiche hanno la pessima abitudine di impoverire i poveri e di arricchire i ricchi, ma questa volta le cose vanno male anche per gli ultimi discendenti del più antico casato aristocratico torinese, i conti dal Pozzo della Cisterna. La matriarca Maria Vittoria, da tempo vedova del suo Amedeo, non si è più ripresa dalla crisi degli anni Novanta, vedendosi costretta non solo a vendere mobili e immobili per fare cassa, ma anche a ridimensionare drasticamente il suo tenore di vita. Se un tempo poteva avvalersi di una schiera di ben diciotto domestici, adesso le è rimasto solo il fido Orlando, suo maggiordomo personale da ventidue anni; la sontuosa dimora ha ormai un aspetto spettrale; il parco da rigoglioso è diventato stopposo; e anche in cucina il declino è ormai devastante, la povera (letteralmente) contessa ha addirittura dovuto dire addio alle deliziose frolle della pasticceria Baratti & Milano sostituendole con le Gocciole del supermercato...
Se resta a galla è solo grazie all'apparenza data dal blasone e al Koh-i-Noor, il diamante più prezioso e famoso del mondo, il cui possesso le assicura la benevolenza delle banche.
Ma cosa succede quando quel babbeo di suo figlio Emanuele regala la preziosa pietra a Ludmilla Coprova, sciacquetta televisiva per cui ha perso la testa (non il cervello, perché quello non lo ha mai avuto)?!?

Seconda opera di Muzzopappa che mi ha convinta decisamente meno del suo primo romanzo,
 "Una posizione scomoda", che avevo letto lo scorso anno.

Questo, pubblicato nel 2014, direi che è una chiara parodia dei Savoia, con Maria Vittoria, la voce narrante, "
simpatica" come Marina Doria (anche se l'autore, nell'intervista che chiude il libro, dichiara di essersi ispirato per il suo personaggio a una Virna Lisi stronza, ma se è vero non è proprio riuscito a ricalcarne la classe) e il figlio Emanuele "sveglio" come Emanuele Filiberto. Però il finto Emanuele - che la madre definisce "cretino" per ben quattordici volte - almeno è bellissimo.

Le parti più divertenti del libro sono legate proprio a lui, quando all'inizio la contessa ci racconta l'inettitudine del figlio attraverso i tanti insuccessi collezionati da quando era bambino ("G
li comprai un violino. Quando decise di smettere, gli scoiattoli tornarono finalmente a ripopolare il giardino della villa.") fino all'età adulta (impiegando undici anni per diventare architetto, facoltà scelta perché "da piccolo aveva una grande familiarità con i mattoncini Lego").
Ma quando entra in scena il diamante (che esiste davvero e lo si può ammirare nel museo della Torre di Londra, incastonato nella corona della moglie di re Giorgio VI) la trama diventa così paradossale da essere irritante, quanto meno per chi non ama particolarmente il genere umoristico.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome


sabato 26 agosto 2023

"Il sospetto", Fiona Barton

 

Southampton, 15 agosto 2014. Gli O’Connor non si danno pace: la figlia diciottenne, che da due settimane si trova in vacanza in Thailandia con un'amica, non ha telefonato e loro temono che possa esserle successo qualcosa. Alex sapeva che il 14 sarebbe arrivata la lettera con l'esito della sua domanda di ammissione all'università e si era tanto raccomandata con loro di non aprirla prima della sua telefonata, così avrebbero scoperto insieme se era stata accettata.
La denuncia di scomparsa arriva all'ispettore Bob Sparkes, che gira la notizia alla giornalista - e ormai amica - Kate Waters, sapendola alla ricerca di qualcosa da pubblicare sul "Daily Post". Ma non è solo la penuria di notizie a suscitare l'interesse della donna: anche suo figlio Jake si trova in Thailandia e lei non lo vede da due anni.
E' per questo che, quando il consolato inglese rende noto il ritrovamento di due cadaveri che potrebbero essere quelli di Alex e della sua amica, Kate parte immediatamente per Bangkok insieme alle due famiglie, non sapendo che dovrà presto abbandonare il caso come giornalista perché troppo coinvolta nella vicenda.

Per Fiona Barton scrivere romanzi è forse più un passatempo che una vera professione: il primo - "La vedova" - lo ha scritto nl 2016, a 59 anni, dopo aver abbandonato la carriera di reporter di nera scegliendo la Francia per la sua nuova vita da pensionata. Mi era piaciuto molto, al pari del secondo - "Il bambino" - uscito due anni dopo. Io li avevo letti in rapida successione nell'agosto e nel settembre del 2019, anno di pubblicazione de "Il sospetto" (che attualmente risulta essere l'ultimo titolo dell'autrice). A farmi passare la voglia di leggerlo subito era stata la stroncatura della mia amica Lorena: secondo lei non era bello come i due precedenti, ma non sono d'accordo.

Non è un thriller perfetto, o meglio, il punto debole è la clamorosa coincidenza subito svelata nella sinossi: quante possibilità ci sono che, in una città di dieci milioni di abitanti e di non so quante migliaia di turisti, le strade delle due ragazze inglesi vadano a incrociarsi con quella del figlio della giornalista che ha annunciato in patria la loro scomparsa?!?
Zero virgola, a essere generosi...

Ma, sorvolando su questo particolare (non da poco), la lettura è molto coinvolgente. Le trecento pagine sono divise in due parti e in più di ottanta brevi capitoli, tutti numerati e datati, dove si alternano le voci dei vari personaggi: la giornalista (l'unica a narrare in prima persona), l'ispettore, Alex e sua madre. 
Come nei due precedenti romanzi, la Barton usa piani temporali diversi, questa volta molto ravvicinati fra loro, un filone inizia il 27 luglio (quando le due ragazze arrivano a Bangkok), l'altro il 15 agosto (quando i genitori di Alex contattano la polizia).

Nonostante abbia capito il colpo di scena principale ben prima di arrivarci, ogni volta che dovevo separarmi dal libro perché non avevo più tempo per leggerlo è stata una sofferenza,  avrei voluto continuare e quando c'è questo genere di rapimento anch'io - che sono tignosa - riesco a mettere in secondo piano il fastidio generato dalla coincidenza sopracitata.

Notevole (perché arriva da un'ex reporter) il ribaltamento di ruoli che l'autrice fa vivere alla sua protagonista, che da giornalista senza scrupoli - pronta a calpestare il dolore altrui per un titolo a nove colonne - qual era nel primo romanzo e dopo essersi mitigata nel secondo, qui si ritrova all'improvviso dall'altra parte della barricata scoprendo quanto sia estenuante sostenere anche l'attenzione molesta dei media in un frangente già complesso della propria vita.

Inoltre il libro merita di essere letto anche per gli interrogativi che pone: cosa saremmo disposti a fare per proteggere i nostri figli? Lo faremmo nonostante tutto? E quanto li conosciamo? Ma, soprattutto (dico io), se i figli ignorano certi valori la colpa è della società o delle famiglie?

Reading Challenge 2023, traccia stagionale, estate: un libro nella cui sinossi ci sia la parola "vacanza/e"


giovedì 24 agosto 2023

"Everyman", Philip Roth

 

Nella parte ebraica di un cimitero disastrato del New Jersey, in una data non precisata, alcune persone sono raccolte attorno a una fossa. Dentro alla bara c'è un uomo morto due giorni prima durante un'operazione al cuore. A guardarla ci sono Randy e Lonny (i due figli avuti dalla prima moglie, presenti solo per obbligo), Nancy (la figlia avuta dalla seconda moglie, disperata per la perdita dell'amato padre), Phoebe (la madre di Nancy, colma di dispiacere, non solo per la morte dell'ex marito, ma anche per gli spiacevoli ricordi che lo avevano fatto diventare ex), il fratello dell'uomo (più anziano, ma che ha goduto di una salute migliore del minore per tutta la vita), la cognata e alcuni ex colleghi pubblicitari.

Philip Roth - che con questo romanzo del 2006 aveva vinto per la terza volta (un record) il Premio PEN/Faulkner per la narrativa - parte dalla morte del suo protagonista (di cui non ci svelerà mai il nome) per raccontarci la sua vita. Non una vita eccezionale, ma nemmeno una vita comune, non tanto per la tripletta di matrimoni (e successivi divorzi) e di figli, quanto per la sfilza di interventi che non rendono certo invidiabile l'esistenza del personaggio.
Una prima operazione all'ernia quando aveva appena 9 anni; a 34 peritonite con salvataggio in extremis; a 56 un primo intervento al cuore; e dai 65 alla morte ogni anno sotto ai ferri per liberare un'arteria, mettere il defibrillatore, aggiungere uno stent, fino all'ultima anestesia senza risveglio.

Un libro triste? Dipende dalla propria sensibilità o forse dalla paura che si ha (o non si ha) della morte. Il protagonista ne ha (Wikipedia informa che "il titolo è tratto da un anonimo morality play quattrocentesco, un classico della prima drammaturgia inglese, che ha per tema la chiamata di tutti i viventi alla morte"), ma soprattutto è stanco di finire ogni anno in sala operatoria, non tanto da agognare la fine, piuttosto arrabbiato per non essere una di quelle persone che godono di una salute di ferro, come suo fratello, che adora, ma verso il quale si ritrova rancoroso perché gli invidia l'aver ereditato la salute genitoriale.

Genitori che muoiono prima di lui e quando Roth mette il suo protagonista sulla loro tomba per la prima volta mi ha fatto piangere, non per i suoi personaggi, ma per quello che diceva di loro e che io ho riportato su mia madre e mio padre, che hanno smesso di vivere da un bel po', lei senza neppure avere il tempo per diventare vecchia.

"Non era mai stato difficile capire i suoi genitori. Erano una madre e un padre. Non avevano molti altri desideri."

Un libro grandioso (tranne per il disturbo che mi dà la copertina perché è così che io "vedo" senza gli occhiali, grazie al mio "meraviglioso" mix di astigmatismo, presbiopia e miopia...).
Un capolavoro di appena 123 pagine in cui Roth riesce a inserire la seconda Guerra Mondiale e l'attentato alle torri gemelle. Sentimenti di ogni tipo. Ma soprattutto fa capire a chi non c'è ancora arrivato cosa voglia dire invecchiare, ammalarsi, rallentare, sperimentare che ci sono sempre meno persone ancora in vita fra quelle che abbiamo conosciuto con la consapevolezza di essere un'altra foglia prossima a cadere.

"La vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro"

Eppure non è un libro triste: è un libro bellissimo.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome

lunedì 21 agosto 2023

"Dio di illusioni", Donna Tartt

 

Vermont (Stati Uniti). E' una domenica pomeriggio di aprile di un anno non precisato quando il 24enne Edmund (Bunny) Corcoran muore precipitando da un burrone. Ed è Richard Papen, sei anni dopo, a raccontarci questa storia, dicendoci subito che non si era trattato di un incidente, ma che Bunny era stato spinto intenzionalmente da qualcuno. E che in cima al dirupo c'era anche lui, insieme a Francis, a Henry e ai gemelli, Camilla e Charles.
Quegli stessi ragazzi da cui era rimasto subito affascinato quando l'autunno precedente era arrivato al Hampden Collage, vicino ad Albany, un istituto fondato nel 1895 e specializzato in materie umanistiche.
E, dopo il prologo, Richard inizia il suo racconto da lì, cioè da quando 
Julian Morrow - l'unico docente di greco antico - aveva accettato di fare di lui il suo sesto studente: un privilegio o una condanna?

Secondo mattoncino che ho scelto di leggere in vacanza, alternandolo a "La notte, il sonno, la morte e le stelle".
Opera prima che Donna Tartt (come Zadie Smith con "Denti bianchi") scrisse quando era una studentessa universitaria, proprio nel Vermont. Pubblicato nel 1992, fu un caso letterario degli anni Novanta, ma - se c'è un libro su cui scommetterei circa la possibilità che verrà letto con gusto anche fra duecento anni - è questo.

Dall'omicidio e dai perché e per come di esso deriva la classificazione come thriller (per Amazon) e come giallo (per IBS), due generi troppo limitati per tutto quello che la Tartt ha costruito. La trama è piuttosto semplice, Bunny viene ucciso dai suoi stessi amici/compagni e attraverso Richard scopriamo cosa li ha portati a questo gesto estremo e le eventuali conseguenze. Ma Richard è un narratore inaffidabile e il lettore intuisce, o proprio si accorge, di aspetti che lui non nota o a cui non dà il necessario valore.

Oltre alla scrittura (cupa e lenta in maniera straordinaria),  all'ambientazione (in questo college stile vecchia Inghilterra) e, soprattutto, al modo in cui la Tartt riesce a calamitarci sulle parole di Richard dandoci in ogni pagina l'impressione che stia parlando proprio a noi, come unici ascoltatori, la forza del romanzo è il fascino di ogni personaggio, tutti detestabili, i cinque ragazzi ricchi (solo Richard costituisce un'eccezione) - ognuno alle prese con dipendenze da alcool e/o farmaci a vari livelli e che, potendoselo permettere (il rovescio della medaglia dell'avere tanti soldi, per di più senza averli guadagnati), finiscono per degenerare - e il loro professore, superiore alle regole dell'istituto (quando puoi permetterti di lavorare gratis evidentemente puoi considerarti esente dai vincoli) e venerato dai suoi studenti ("
Non potrei mai riuscire a far comprendere al rettore che c’è una divinità, tra di noi").

E' lui che, direi inconsapevolmente, li porta a un limite estremo instillando in loro la convinzione di essere immortali, aiutato da quell'arroganza che spesso va a braccetto con la gioventù e a cui non tutti hanno la fortuna di sopravvivere riuscendo a superare quella fase arrivando a capire quanto sia fasulla senza aver fatto troppi danni.

Quello che mi è mancato leggendo questo romanzo sono stati gli studi classici. Una volta capito che il dio delle illusioni del titolo è Dionisio ho dovuto approfondire parecchio per capirci qualcosa. E non solo. Io non so nulla sul peso e sulla perdita dell'io, non conosco i fatti legati a Palinuro nell'Eneide, non ho le basi per capire il paragone che viene fatto fra due personaggi del libro e Pluto e Persefone.

E' per questo che al 21 del mese ho letto soltanto due libri. E non c'entra la mole di entrambi. Le 832 pagine della Oates sono tante, ma mi sono scorse davanti agli occhi in maniera appagante e piacevole, mentre sulle 622 della Tartt ho dovuto sudare.

Mi sono stupita ieri mattina scoprendo che una cliente diplomata al classico con il massimo dei voti non conosceva né libro né autrice: sono sicura che se a scuola avessi studiato il greco (possibilmente amandolo) "Dio di illusioni" mi avrebbe fatto venire voglia di riprendere in mano le versioni, come mi è capitato di leggere in una recensione.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di giugno: un libro in cui muore qualcuno

giovedì 17 agosto 2023

"La notte, il sonno, la morte e le stelle", Joyce Carol Oates

 


"Anima, è l’ora tua, per il libero volo nell’ineffabile,
Via dai libri, dall’arte, il giorno cancellato, la lezione finita,
Tutta ne emergi, e in silenzio scruti, considerando i temi che più ami,
La notte, il sonno, la morte e le stelle."

Walt Whitman

Hammond (Stato di New York), 18 ottobre 2010. Il 67enne John Earle “Whitey” McClaren sta rientrando a casa dopo un pranzo di lavoro quando, lungo la statale, nota qualcosa che lo porta a fermarsi intimando ai due agenti di polizia di smettere di colpire il giovane di colore steso al suolo. Editore e pubblicitario di successo, sa di essere "un nome" per gli abitanti della cittadina, di cui è stato anche sindaco. Whitey non ha neppure pensato che - essendo passati 25 anni dai due mandati - il suo volto non è poi così noto come lui pensa. E neppure l'età e la pelle bianca lo salvano dall'ira dei due poliziotti che - dopo aver massacrato il dottor Azim Murthy, reo di non essere caucasico - si avventano sull'anziano, colpendolo con calci, pugni e diversi colpi di taser. Saranno questi a mandare in coma Whitey che, dopo una decina di giorni di ricovero, non uscirà vivo dall'ospedale.
E quando finisce la sua storia, inizia quella delle vedova e dei cinque figli della coppia.

Chi, come me, ha amato "Una famiglia americana" non deve farsi intimorire dalla mole di questo romanzo, ma ringraziare la Oates per averci regalato una storia bella quasi quanto quella. Io, che preferisco i romanzi brevi ai mattoni, ho aspettato le ferie per affrontarlo: 832 pagine non sono uno scherzo, ma quando questa mattina ho letto l'ultima mi è dispiaciuto che non ce ne fossero altre.

La storia si sviluppa in un modo molto diverso da quello che mi aspettavo e dalla direzione che la vicenda sembra prendere nella prima (corposa) parte. La Oates esordisce con tutta la tragicità dell'aggressione subita dal protagonista (che resta tale nonostante la morte) e il solo difetto del libro è quello di non spiegare perché un ex sindaco repubblicano - un uomo le cui idee vengono più volte esplicitate durante la lettura ("Nelle dispute tra cittadini e dipartimento, si era sempre schierato dalla parte di quest’ultimo, persino quando era legittimo presumere che le forze dell’ordine avessero commesso atti illeciti e violazioni di diritti civili. Il loro è un compito gravoso. Sono costretti a prendere decisioni delicate. Rischiano la vita. Non serve a niente giudicare con il senno di poi i nostri valorosi tutori dell’ordine. Erano queste le parole di Whitey, alla lettera. Accompagnate da quella sua seriosa espressione al limite dell’arcigno. Da buon politico, difendere la linea anche negando l’evidenza. Prendevi una posizione pubblica e la mantenevi strenuamente. Prendevi una posizione che ti procurava forza, approfittando della forza di un alleato che eri disposto a proteggere e sostenere a prescindere che lo meritasse o meno, così come un giorno, per il principio del do ut des, il tuo alleato avrebbe protetto e sostenuto te, a prescindere che lo meritassi o meno.") - abbia deciso di intervenire nel pestaggio di un uomo di colore (che lui considerava "una minaccia per la maggioranza bianca") da parte di due agenti bianchi (quel tipo di poliziotti che chiamava "ragazzi, teste calde" e per cui "trovava sempre giustificazioni").

Particolare non da poco, ma l'antefatto, la doppia aggressione, apre il libro a considerazioni sul razzismo e sull'abuso di potere che è impossibile non condividere.
Dopo la morte di Whitey il libro sembra prendere la strada della causa giudiziale che avevo immaginato. Invece non si avvicina neppure al tribunale. Il libro non è un giallo, né un legal-thriller. E' la storia di una famiglia e dei suoi componenti, con un padre e marito accentratore che morendo manda in frantumi quegli equilibri soprattutto apparenti.

A essere fragili sono specialmente i rapporti fra fratelli e sorelle. I cinque figli McClaren - Thom, Beverly, Lorene, Sophia e Virgil, scodellati dalla coppia in una decina d'anni - sono pieni di quell'acredine che forse si genera quando scatta la competizione nell'essere il preferito di mamma e papà. I due più giovani sono una blanda eccezione, ma la loro (relativa) unione sembra essere generata più dal bisogno di coalizzarsi per far fronte ai tre maggiori che da un reale sentimento.

Sono comunque tutti figli adulti e i dettagli delle loro vite, raccontati nel corso dei vari capitoli (tanti, da brevissimi a lunghissimi, in pieno stile Oates), compongono man mano l'anagrafica e il passato di ognuno, come a formare un puzzle.

E poi c'è Jessalyn, la vedova 61 enne, una donna a cui non è mai pesato vivere un passo indietro rispetto al marito ricoprendo i ruoli di "moglie di" e "madre di". Riuscirà a farcela? Imparerà a essere semplicemente Jessalyn?
E' lei che genera la vena romantica non certo secondaria nel libro, al limite dall'essere disturbante (per me), non perché stucchevole (la Oates è la Oates), ma perché troppo precoce nei tempi.

Ben più apprezzabile l'aver fatto di Sophia una ricercatrice, mestiere che la ragazza abbandona dicendo alla madre “Non riuscivo più a torturare e uccidere animali" e che permette alla Oates di descrivere il terrore delle cavie da laboratorio:

"Intere pareti di gabbiette. Spaventati, tremanti piccoli roditori. Squittio nervoso. Alcuni esemplari sono gonfi e spelacchiati, alcuni anoressici, rinsecchiti. Certi appaiono robusti, persino sovreccitati. Quasi tutti gli altri sono indeboliti. I piccoli corpi di alcuni sono pieni di tumori che forse si sono ridotti, forse no.
Piccoli roditori, inoculati con diverse varianti di cellule tumorali. Per fasi successive nei roditori vengono iniettati composti farmaceutici “antitumorali” e, nel corso del tempo, per fasi accuratamente calibrate, le cavie vengono dissezionate in modo da accertare se i tumori che invadono i loro piccoli corpi si sono ridotti. Se compaiono effetti collaterali – (ovvio che compaiano effetti collaterali) – questi vengono debitamente registrati. Il progetto Lumex consiste in una complicatissima sequenza di esperimenti sovrapposti che negli anni impiegherà migliaia di animali da laboratorio."

Invece il tacchino sacrificato per il Ringraziamento entra in scena già morto.

"Brianna stava guardando il tacchino “bio” da sette chili e quattro come se fosse un cadavere umano. Allevato in modo che gli venisse il petto grande, il corpo di conseguenza deforme. Ormai i tacchini per il Ringraziamento subivano tecniche di allevamento così grottesche, a beneficio degli americani che prediligevano la carne bianca, che le povere bestie facevano fatica a camminare e i più grossi, dal peso di quasi dieci chili, non ci riuscivano proprio.
Pelle bianca e viscida, tutta ricoperta di puntini, Beverly e Brianna rabbrividirono entrambe al solo toccarla. E quell’odore. Carne bagnata, morta. Carne un tempo viva, e adesso no."

E cuocendo resta carne morta, aggiungo io. La cottura la rende masticabile, più digeribile, ne evita la putrefazione, ma resta quello che è, carne morta e ve la mangiate.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di giugno: un libro con più di 400 pagine

martedì 1 agosto 2023

Reading Challenge: le tracce di agosto

    


TRACCE DA COLLEGARE

A - Uno o più libri che abbiano nel titolo il nome di un lavoro o di un posto di lavoro
B - Uno o più libri con protagonista femminile
C - Uno o più libri narrati da almeno due punti di vista


Traccia annuale 05. Libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome (20 punti + 1 punto foto)
  • Lettera a Berlino, Ian McEwan
  • Occhi di acqua, Domingo Villar
  • Ragazze di città, Elin Wagner
  • Everyman, Philip Roth
  • Denti bianchi, Zadie Smith
  • Anime qualunque, Chiara Ferraris
  • Nudi e crudi, Alan Bennett
  • Affari di famiglia, Francesco Muzzopappa

I miei punti di agosto = 21



      TRACCE STAGIONALI


Estate: 
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola spiaggia
    La spiaggia degli affogati, Domingo Villar (492 pagine)
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola costa
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola hotel
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola crociera
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola vacanza
    Il sospetto, Fiona Barton (300 pagine)


TRACCE ANNUALI


06. Disney World: cinque libri, uno per ogni categoria
  • Grimilde: un libro in cui muore qualcuno
    Dio di illusioni, Donna Tartt (622 pagine)
  • Stregatto: un libro in cui è presente un enigma, un puzzle o un labirinto
  • Flounder: un libro con dell'acqua in copertina
  • Mushu: un libro ambientato in Asia
  • Rapunzel: un libro con più di 400 pagine
    La notte, il sonno, la morte e le stelle, Joyce Carol Oates (832 pagine)

07. Torniamo a scuola: cinque libri, uno per ogni materia
  • italiano: un libro di un autore italiano
  • lingue: un libro con il titolo scritto interamente in una lingua straniera
  • storia: un romanzo o saggio storico o una biografia di un personaggio storico
  • geografia: un libro che nel titolo abbia il nome di un paese, città, stato o continente oppure un elemento fisico naturale
  • matematica: un libro che nel titolo abbia almeno un numero, ordinale o cardinale

08. Nomi, cose, città: cinque libri, nel titolo, in copertina o nel testo devono comparire (e devono iniziare con la O di Ordine):
  • un nome
  • un oggetto
  • una città
  • un animale
  • un alimento