domenica 30 luglio 2023

"Nudi e crudi", Alan Bennett


Londra, 15 febbraio di un anno non precisato. Sono circa trent'anni che Mrs e Mr Ransome vivono a Naseby Mansions, un palazzo edoardiano color vinaccia nei pressi di Regent’s Park. Lui avvocato, lei moglie: una coppia senza figli che ha trovato il proprio equilibrio in una routine noiosa e priva di slanci.
Lo scossone arriva quando, tornando a casa dopo aver trascorso la serata a teatro, trovano l'appartamento completamente ripulito: i ladri non si sono limitati a rubare gioielli, pellicce, televisori e le altre cose di valore. No, hanno fatto piazza pulita portando via ogni cosa, anche la moquette e lo scopino del WC. E ora cosa faranno i Ransome?

Scritto nel 1996, titolo originale "The Clothes They Stood Up In", è un romanzo breve (o racconto lungo) di appena 95 pagine, esattamente le stesse del famosissimo "La sovrana lettrice" che avevo letto nel 2017.

Un altro librino carino che non ho trovato esilarante come annunciato nella sinossi, ma divertente grazie al humor britannico di Bennett e a situazioni paradossali per le quali è facile sorridere, a patto di non pensare a chi nella realtà si ritrova a essere "nudo e crudo" perdendo tutto a causa di un crollo o di un incendio, magari senza poter beneficiare né di un'assicurazione né di un degno conto in banca.

Ma Rosemary e Maurice sono personaggi di fantasia e si può ridere delle loro disavventure a cuor leggero (realizzare solo dopo aver evacuato che i ladri si sono portati via anche la carta igienica non è piacevole...). Due personaggi volutamente piatti, ma mentre lui resta tale, lei procedendo con la lettura (che si conclude in un paio d'ore), riserva delle sorprese. Perché mentre il marito vede nel furto la possibilità di potersi dotare di un impianto stereo migliore di quello che aveva, la moglie nei tre mesi successivi (la storia abbraccia questo arco temporale) progressivamente si rende conto di quanto valore diamo agli oggetti materiali.

"La gente può fare a meno di tante cose; il problema è che non riesce a non andare a comprarle."

E così ci ritroviamo pieni di cose senza le quali ci sentiamo vuoti. Soprattutto compriamo per compensare le mancanze interiori, spesso incolmabili. Ed ecco la sorpresa di questo librino che nella sua brevità nasconde un notevole carico di amarezza (ma potrei averla percepita più forte di quanto non sia perché il vuoto della protagonista femminile è lo stesso mio) e spinge a riflettere sulla futilità del consumismo di cui tutti siamo bene o male vittime, più o meno consapevoli.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome

sabato 29 luglio 2023

"Occhi di acqua", Domingo Villar

 

Vigo (Galizia), 12 maggio di un anno non precisato. Gli occhi che, per quanto sono chiari, sembrano fatti d'acqua sono quelli di Luis Reigosa, 34enne musicista jazz. Ma quegli occhi sono sbarrati dal terrore quando il cadavere viene ritrovato nel suo lussuoso appartamento sull'isola di Toralla. Nella frenesia di un gioco erotico devono averlo convinto a farsi imbavagliare e legare al letto, per poi ucciderlo sadicamente provocandogli un dolore indicibile.
L'ispettore Leo Caldas si aggira per le stanze cercando ogni possibile dettaglio utile al caso, rendendosi conto dopo poche ore che un particolare lo ha colpito come un lampo, attraversando la sua mente, ma senza lasciare traccia e ora lui non riesce a ricordarlo e non sa se e quanto potrebbe essere importante per la risoluzione del caso.

Opera prima di questo autore galiziano che un ictus ha stroncato lo scorso anno ad appena 51 anni. Villar scriveva i suoi romanzi in galego e in castigliano e, purtroppo, ha scritto poco: soltanto tre gialli e una raccolta di racconti, "Algunos cuentos completos", pubblicata nel 2021 durante la pandemia. Quest'ultima non è ancora stata tradotta in italiano, mentre i gialli sono arrivati da noi, tutti editi da Ponte delle Grazie, senza seguire l'ordine cronologico.

Hanno tradotto per primo il secondo romanzo, "La spiaggia degli affogati", il titolo con cui Villar nel 2009 era arrivato al successo in Spagna, finendo con l'essere tradotto in molte lingue (da noi nel 2010). L'autore se l'era presa comoda pubblicando solo nel 2019 un altro romanzo, il suo terzo, "L'ultimo traghetto", uscito in Italia nel 2020, mentre l'anno successivo l'editore ha proposto una nuova edizione de "La spiaggia degli affogati". Poi Villar nel maggio del 2022 è morto e tre mesi dopo Ponte delle Grazie ha fatto finalmente uscire la traduzione del primo romanzo, questo.

La casa editrice forse non ama la precisione quanto me, ma la cosa grave è che i tre gialli di Villar costituiscono una serie con lo stesso protagonista,
 l'ispettore Leo Caldas, e se anche non ho ancora letto gli altri due e quindi non so quanto la lettura in ordine cronologico possa essere rilevante, per me questa approssimazione è comunque disturbante. Amazon addirittura indica "L'ultimo traghetto" come libro 1 di 2 e "La spiaggia degli affogati" come libro 2 di 2, invertendoli. Complimenti!

Credo che in questo caso seguire la datazione sia fondamentale: "Occhi di acqua" è un giallo breve (240 pagine) che era stato accolto tiepidamente dai lettori spagnoli. "La spiaggia degli affogati" sfiora le 500 pagine e ha dato la fama a Villar: è chiaro che il secondo titolo deve essere tutt'altra cosa.
Non che "Occhi di acqua" sia brutto, tutt'altro, mi ha ricordato Camilleri (che, non a caso, viene citato nel libro per il suo "Il cane di terracotta") per il protagonista, per l'ambientazione marinara e, soprattutto, per le indagini vecchio stile, basate su perlustrazioni e interrogatori, ma anche Faletti di "Io uccido", per la vittima e per il tipo di crimine.

Però sembra un lavoro di rodaggio, con un finale esplicativo, ma non del tutto appagante nel metodo con cui viene svelato il perché dell'omicidio di Reigosa e quel particolare che all'inizio fa dannare Caldas perché non riesce a ricordarlo, quando poi gli torna in mente si rivela un po' inutile ai fini del giallo, ma serve soltanto all'autore per inserire nella storia la partecipazione del suo protagonista a una trasmissione radiofonica, che immagino tornerà anche nei due romanzi successivi.

Dettagli a parte, Villar - che  amava definirsi “un allegro pessimista” - mi ha regalato una lettura piacevole e mi ha fatto scoprire posti fantastici, come le tre isole che formano l'arcipelago Cíes:


E quella altrettanto bella di Toralla, rovinata dal mostro architettonico (giustamente condannato da Villar) dove viene ritrovato il cadavere di Reigosa:


Questo breve video evidenzia la straordinaria bellezza del posto e lo sfregio che l'uomo gli ha arrecato costruendo quell'orrore dove un appartamento può costare più di due milioni di euro.
Maledetti ricchi.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome

venerdì 28 luglio 2023

"Ragazze di città", Elin Wagner

 

Stoccolma, primi anni del secolo scorso. E' il 29 settembre quando Elisabeth, detta Pegg, arriva nella capitale. Dopo due giorni dovrà iniziare l'addestramento presso lo studio di un giudice distrettuale. E' stata fortunata a essere stata assunta senza referenze e con quei suoi 25 anni, che sono già troppi, perché di norma si preferisce avere impiegate più giovani e che vivono ancora con i genitori, per poterle pagare di meno. Elisabeth non ha una famiglia che la sostiene, ma ha Putte, il fratello di 13 anni, che essendo orfano e minore viene mantenuto dallo Stato, ma non sarà così per sempre e la vita a Stoccolma è costosa.
Elisabeth va a vivere insieme a Baby, Emmy ed Eva. E' stata quest'ultima a proporle di dividere la stanza con lei occupando il posto lasciato libero da un'altra ragazza che, sposandosi, ha potuto voltare pagina vestendo finalmente il ruolo di moglie a cui tutte ambiscono.
Ma davvero per le donne non c'è speranza di emancipazione?

Romanzo breve di appena 176 pagine, scritto nel 1908 (titolo originale "Norrtullsligan", tradotto da Google con "La lega delle dogane del nord"), è al momento l'unico tradotto in italiano di questa scrittrice svedese vissuta a cavallo fra il XIX e il XX secolo, che fu anche insegnante e giornalista, nonché femminista, ecologista e pacifista. Orfana di madre ad appena tre anni, si batté per l'emancipazione femminile, per i diritti civili, la pace, il voto alle donne e contro l'inquinamento ambientale: non c'è da stupirsi se il movimento di Greta Thunberg ne ha fatto una bandiera.

La leggerezza dello stile mi colpisce sempre positivamente in testi scritti più di un secolo fa, ma quello che sorprende in questo è soprattutto l'attualità dei temi: una sorpresa amara perché nei successivi 115 anni forse in Svezia tante cose sono cambiate, mentre l'Italia è ancora molto indietro.

"Non vi scandalizzate per l’ingiustizia commessa nei nostri confronti, quando veniamo pagate più o meno la metà per lo stesso lavoro?"

Anche il movimento MeToo ha rispolverato la Wagner per il modo in cui ha raccontato, attraverso personaggi come le quattro ragazze di questa storia, le lotte e le conquiste delle donne per l'indipendenza, sfidando gli abusi e superando gli ostacoli perpetrati e subiti non solo da parte degli uomini, ma anche da quelle donne ancorate a tradizioni e pregiudizi.

In "Ragazze di città" non c'è solo il femminismo dell'autrice. Emergono anche il biasimo e la lotta contro i divari sociali. Una frase in particolare porta inevitabilmente a chiedersi cosa sia cambiato per i braccianti di oggi:

Possiamo davvero parlare di uno standard di vita alto finché le arance e le albicocche che mettiamo in tavola grondano lacrime e miseria?

La Wagner ha lottato anche contro lo spreco delle risorse naturali e contro l'industrializzazione, cercando di far capire i benefici di un'agricoltura sostenibile e di una dieta vegetariana.
Leggere che qualcuno più di un secolo fa parlava già di produzione a chilometro zero battendosi contro i cibi raffinati fa riflettere.
E realizzare che l'impennata del peggioramento negli ultimi anni delle condizioni ambientali non porta né gli ottusi ad aprire gli occhi né i potenti a cambiare rotta, fa paura.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome

giovedì 27 luglio 2023

"Anime qualunque", Chiara Ferraris

 

Appennino Ligure, novembre 1833. Il Grand Tour per l'Europa di Lady Catherine e del suo seguito è soltanto all'inizio. Dopo aver attraversato la Francia e aver trascorso alcuni giorni a Torino, la sua carrozza viene coinvolta in un incidente nei pressi del Passo della Bocchetta. La sostituzione della ruota rotta potrebbe causare soltanto un giorno di ritardo nel viaggio verso Genova, ma la giovane aristocratica inglese viene folgorata dalla bellezza del panorama e decide di prolungare la sosta per poterlo dipingere. E anche perché Giovanni, il nuovo servitore che la assiste durante le sessioni di pittura, non è arrogante come le era apparso dopo il loro primo incontro-scontro.
Genova, giorni nostri. Serena è triste e svogliata. Fatica a riprendersi dal lutto per la morte del nipote dodicenne, ucciso ad aprile da un'auto pirata, e la stanchezza del suo matrimonio con Sergio rallenta la sua ripresa emotiva. Una crisi che, però, non basta a farle accettare la proposta di uno sconosciuto che il 6 dicembre la affianca in libreria e che, dopo averle messo una mano suo fianco, le sussurra "Se vuoi, ti aspetto in bagno". La sorpresa la porta a uscire con sdegno dal negozio, ma nei giorni e nelle settimane successive il pensiero per quell'uomo diventa un'ossessione, finché il 18 gennaio nella toilette della libreria ci andrà e non per lavarsi le mani.

Scritto lo scorso anno, "Anime qualunque" è il secondo romanzo di questa autrice genovese di cui ad aprile avevo letto l'opera prima, "L'impromissa".

I due romanzi hanno la stessa struttura alternando il passato e il presente. Anche questa volta la parte passata costituisce buoni tre quarti della storia rendendo quasi superflua quella del presente. E anche i due personaggi femminili del presente - la Agata de "L'impromissa" e la Serena di "Anime qualunque" - sono molto simili, direi due fotocopie: stessa fascia d'età, stesso matrimonio esaurito, stessa condizione sociale, stesso temperamento, stesse abitudini.

Per fortuna la Ferraris ci mette un po' più di fantasia con la protagonista del passato: la Alli del primo libro è l'opposto della Lady Catherine di questo, senza contare che - mentre di Alli veniva ripercorsa l'intera vita - Catherine la seguiamo solo dal novembre 1833 al febbraio dell'anno successivo, cioè durante il suo arrivo a Genova e nei mesi del soggiorno nella mia città.

"Genova è testarda.
Non si fa conquistare facilmente.
Non si fa stravolgere del tutto
."

Genova nel Risorgimento ha avuto la sua bella importanza, sono successe tante cose e la Ferraris trova il modo per raccontarle tutte facendo del romanzo un vero romanzo storico, rendendolo così interessante: senza la Carboneria, Mazzini, Ruffini, ecc, il libro sarebbe solo un romanzetto rosa con una doppia storia, una passata e una presente (infilandoci anche una discutibile applicazione all'amore della teoria dei corsi e ricorsi storici da parte di uno dei personaggi), ma a volte - come con la Barcellona de "La ragazza che guardava fuori" - anche Chiara Ferraris cade nell'effetto guida turistica (con più orgoglio e più passione rispetto a Lorena Franco), usando un quadro, un palazzo storico, l'angolo di una strada per raccontare qualcosa di Genova, senza però riuscire a integrare le descrizioni con i fatti raccontati e dando la sensazione di leggere una nota a parte:

"Proseguii verso via XXV Aprile fino a piazza De Ferrari, ex piazza San Domenico Chiodo, il cuore del centro di Genova. Rimirai la bellezza e la perfezione della fontana zampillante al centro e la targa in marmo bianco con la dicitura della piazza, sfiorai con lo sguardo il palazzo che fu dei De Ferrari e il Carlo Felice, il bellissimo teatro costruito da Carlo Barabino, una delle menti architettoniche più geniali del Risorgimento."

Per contro è brava a imitare i classici alla Austen (questo libro è perfetto per chi ama il genere), nello stile, nelle espressioni, nella caratterizzazione dei personaggi e nelle ambientazioni. 
Ma, a differenza delle eroine di quei classici, la Ferraris a un certo punto smorza l'atteggiamento di superiorità della sua protagonista del passato, le fa aprire gli occhi, la obbliga a guardarsi attorno, le fa capire di essere nata privilegiata, le fa vedere le ingiustizie del divario sociale e la porta a un cambiamento, senza limitarsi all'inutile segno della croce:

"Dove sta la giustizia, dove sta la misericordia, dove sta chi dovrebbe essere dalla parte dei poveri, dei mentecatti senza speranza? Volgevo lo sguardo ai vecchi con la pelle pustolosa, ai bambini che si graffiavano la faccia l’un l’altro per un pezzo di pane, alle donne con troppi figli sulle ginocchia e pochissimo latte in seno, ormai, agli ubriaconi che spendevano ogni moneta per annebbiarsi la mente, alla massa informe di derelitti che animavano la città e anch’io mi domandavo chi li difendesse, chi si occupasse di loro."

E questo è il tormentone del libro, il panorama dal Passo della Bocchetta:


Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome

martedì 25 luglio 2023

"La ragazza con la gonna in fiamme", Aimee Bender

 

Conoscevo l'autrice solo di nome per il suo romanzo del 2010, "L'inconfondibile tristezza della torta di limone", di cui un amico me ne aveva parlato sorprendentemente bene.
Aimee Bender è del 1969 come me e nel 1998, mentre io mi sposavo, lei pubblicava questa raccolta di racconti brevi, edita in Italia da Einaudi nel 2002 con il titolo "Grida il mio nome" e riproposta dodici anni dopo da minimum fax. L'anno scorso ho comprato quest'ultima edizione al Libraccio di Savona e alla prima occasione lascerò il libro in uno dei BookCrossing del mio quartiere: che non desideri conservarlo indica quanto poco mi sia piaciuta questa lettura.

Una lettura non adatta a chiunque, ma che immagino possa essere molto apprezzata da chi ama le storie non convenzionali, racconti che, come recita la sinossi, usano "la dimensione surreale e fantastica, a volte fiabesca, per rappresentare in maniera originale l'amore, il tradimento, il desiderio sessuale, le dinamiche familiari, l'amicizia".

Oppure, detto a modo mio, le situazioni che oscillano fra lo strampalato e l'assurdo. Ieri ho letto un passaggio a mia sorella: eravamo al telefono e arrivata al punto c'è stato un silenzio così prolungato che temevo si fosse chiusa la chiamata. Invece Marina era rimasta letteralmente senza parole. Sono/siamo esagerate? Giudicate pure, questo è l'incipit di uno dei racconti, "Marzapane":

"Una settimana dopo la morte di suo padre, mio padre si svegliò con un buco nella pancia. Non era un buchino piccolo, una leggera spaccatura nella pelle, era un buco grosso come un pallone da calcio che lo trapassava da una parte all'altra. Ora si poteva vedere quello che c'era dietro di lui, come fosse uno spioncino ingrandito."

Nel proseguimento della storia la figlia paragona il padre a un'enorme tavoletta del cesso fatta di carne.

Nessuno dei sedici racconti che compongono la raccolta può definirsi lineare. Sono tutti brevi, se non brevissimi (del resto il libro conta solo 172 pagine).

Nel primo raccontino, "La donna che ricordava", il ragazzo della voce narrante subisce un'involuzione trasformandosi prima in uno scimmione, poi in una tartaruga marina, quindi in una piccola salamandra.

In "Chiamami per nome" una ragazza ricca segue a casa un uomo conosciuto sulla metro.

In "Cosa hai lasciato in trincea" un soldato torna dalla guerra senza labbra.

Ne "La ciotola" una ciotola verde e bianca viene consegnata alla persona sbagliata (questo ha la particolarità di essere raccontato in seconda persona singolare).

In "Marzapane" una donna partorisce la propria madre (evidentemente il padre tavoletta da cesso di carne non era abbastanza per l'autrice).

"Si prega di fare silenzio" è il racconto che mi è piaciuto di più. E' ambientato in una biblioteca, per questo viene richiesto il silenzio. La bibliotecaria contrasta la notizia della morte del padre facendosi raggiungere nella stanza sul retro da un cliente, poi da un altro e un altro ancora, eccetera.

In "Senza pelle" Jill, la giovane direttrice di una struttura che accoglie ragazzini scappati di casa, è ebrea. Renny, un adolescente ospite del centro, disegna una svastica sulla testiera del letto.

"Fuga" racconta quella di una donna dal marito, che forse non si accorgerà nemmeno della sua scomparsa.

"Mimi ubriaca" ci porta in una classe del secondo anno delle superiori dove fra gli studenti ci sono un folletto e una sirena.

In "Abbatti questa ragazza" Susie, la voce narrante, vorrebbe abbattere come un albero una ragazza incrociata per strada a causa del suo ombelico scoperto.

Ne "La guaritrice" ci sono due ragazze mutanti, una ha mano fatta di fuoco, l'altra di ghiaccio. Una delle due ha il potere di guarire chi è malato.

In "Perdere" il ragazzo protagonista, rimasto orfano a otto anni, è in grado di ritrovare gli oggetti smarriti.

In "Eredità" una ragazza incinta viene mandata dai genitori da uno zio acquisito e gobbo che vive in un castello. Diventano amanti.

In "Sognare in polacco" una coppia di anziani, sposati da sessant'anni e sopravvissuti ai campi di concentramento, fanno gli stessi sogni, in polacco.

Ne "L'anello" la donna di uno scassinatore, diventata sua complice, trova un anello di diamanti, se lo mette al dito e riceve sul posto la proposta di matrimonio.

L'ultimo racconto, quello che dà il titolo alla raccolta, ha per protagonista una ragazza, non è lei ad avere la gonna in fiamme, racconta soltanto l'episodio.

Ora. Ci sarà senz'altro chi troverà geniali certe uscite, mentre io leggendole mi sento presa in giro. Non sono fatta per il surreale, per l'onirico, ma ogni tanto ci cado. Pazienza. Di sicuro non avrò il coraggio di leggere altro dell'autrice.

L'oggetto libro, invece, è proprio bello: è il primo cartaceo minimun fax che leggo e ci sono andata molto d'accordo, nonostante font e interlinea fossero proprio al limite per non affaticarmi la vista, ma l'apertura a 180° con me vince sempre.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di aprile: otto libri della propria wish list



domenica 23 luglio 2023

"La ragazza che non sapeva", Marion Pauw

 

Amsterdam, 2011. Iris Kastelein, giovane avvocato 26enne e madre single del piccolo Aaron, ha approfittato di un soggiorno alle terme della madre per trasferirsi momentaneamente nella villetta in cui è cresciuta. Stando lì può anche occuparsi del grande acquario di acqua salata entrato in casa otto anni prima. Sarà la morte di King Kong - un pesce chirurgo blu con la coda gialla, il preferito di Aaron - a portarla a contattare la persona a cui la madre fa affidamento per preservare il delicato equilibrio dell'acquario, scoprendo l'esistenza di un diario dove sono stati annotati i dati relativi ai pesci, alla salinità dell'acqua, alla temperatura, eccetera. Un diario che dal 1990 al 2003 è stato minuziosamente compilato da R. Boelens.
Chiunque sia, ha lo stesso cognome della madre di Iris, che inspiegabilmente rifiuta di parlare dell'acquario con la figlia.
Ma investigare fa parte del lavoro di Iris e le basta cercare in rete per scoprire che quel Boelens è un certo Roy, da otto anni in galera per l'omicidio di Rosita, la sua giovane vicina di casa, e di Anna, la bambina di lei.

Marion Pauw, nata in Tasmania nel 1973 e immigrata nei Paesi Bassi all'età di sei anni, ha all'attivo ventitré romanzi, ma questo (il terzo che ha scritto, nel 2008) è l'unico a essere stato tradotto in italiano, probabilmente grazie al grande successo riscosso in patria e alla vittoria al Gouden Strop (che premia il miglior romanzo thriller/poliziesco olandese) l'anno successivo alla pubblicazione. Essendo passati tanti anni, suppongo che la Pauw sia stata dimenticata dagli editori italiani. Peccato perché "Daglicht" (titolo originale tradotto da Google in "Luce del giorno") - pur non essendo né strepitoso né particolare - è un buon thriller, indubbiamente di piacevole lettura per gli amanti del genere.

Le 304 pagine costituiscono la giusta lunghezza, la Pauw non ama il superfluo, lo si capisce anche dai ringraziamenti a fondo libro ("Grazie a tutte le persone meravigliose che hanno reso possibile La ragazza che non sapeva": e giù un breve elenco di nove nomi, senza tutte le consuete odiose leziosità sciorinate dalla maggior parte degli autori).
I 55 capitoli, in prevalenza brevi, si alternano fra Iris e Roy, entrambi voci narranti. La vicenda gialla è chiaramente un cold case (che amo), ma non ci sono flash back, il passato ci viene raccontato nel presente da Roy, a modo suo: perché Roy è autistico ed è impossibile non avere a cuore la sua sorte. 

L'autrice è brava nello spiegare i fatti facendo vivere le sensazioni del suo personaggio nel corso della sua vita, da bambino, da ragazzo e da adulto. Ma riesce anche a far immedesimare il lettore nelle difficoltà di chi si trova a dover gestire certe situazioni complesse.
Una tematica importante che dà una notevole profondità al libro, portandolo a un livello superiore rispetto ai tanti thriller in circolazione.

Reading Challenge 2023, traccia annuale aprile: otto libri della propria wish list


giovedì 20 luglio 2023

"Lettera a Berlino", Ian McEwan



Berlino, 1955. Léonard Marnham, inglese di Tottenham, ha 25 anni quando arriva a Berlino. In un'epoca in cui a quell'età si veniva (giustamente) considerati adulti, lui è ancora un ragazzo che non ha mai abbandonato il tetto familiare. Vergine, con pochi amici e pochi interessi, solo sul posto scopre che la sua esperienza con i telefoni servirà a quelli del blocco occidentale per le intercettazioni di quelli del blocco orientale, e che dovrà installare e riparare i registratori usati nel tunnel sotterraneo costruito dalla CIA e dal M16. Già da otto anni imperversa la Guerra Fredda e Berlino è una città occupata che in qualche modo è sopravvissuta e che cerca di rinascere.
Quella che probabilmente per Léonard sarebbe stata solo un'esperienza lavorativa viene subito trasformata dall'incontro con Maria Eckdorf. Lei lo aggancia alla prima uscita serale: è bionda, è bella, ha 30 anni ed è fresca di divorzio. Una donna che sa quanta paura e quanto male possano fare certi uomini, ma che proprio per questo riconosce subito la bontà in quel timido e inesperto ragazzo inglese.

"Con lui provò la sensazione meravigliosa di non aver paura di un uomo."

Il titolo originale, “The Innocent”, è stato mantenuto per il film del 1993, che dovrò assolutamente recuperare.
Il libro, pubblicato nel 1990, è il quarto romanzo scritto dall'autore e il quinto che leggo: Ian McEwan è uno dei pochi di cui recupero i titoli senza seguire l'ordine cronologico, libertà che mi prendo quando - per un motivo o per l'altro - non inizio dall'opera prima, finendo poi col zigzagare. Se preferisco leggere i libri in ordine di data non è solo per la mia mania per la precisione, ma soprattutto perché amo seguire la crescita di una penna. Allora forse non è casuale se gli autori con cui serpeggio sono Grandi Autori: Roth, Oates, Allende, McEwan... Sicuramente un libro può piacere più o meno di un altro, ma con certe firme il livello oscilla fra l'alto e l'altissimo, a prescindere da quanto fossero giovani o maturi nel momento in cui lo hanno scritto.

La cosa incredibile con McEwan è che siano passati più di tre anni dall'ultimo libro letto, "La ballata di Adam Henry", che all'epoca era il mio preferito e continua a esserlo, nonostante "Lettera a Berlino" sia stato una piacevolissima sorpresa. Dall'ambientazione e dal periodo temevo una spy-story (genere agli ultimi posti del mio indice di gradimento/interesse), ma questo aspetto della vicenda fa solo da contorno ed è molto sfumato.

La storia si sviluppa fra il 1955 e il 1956 e ha Léonard il protagonista assoluto. Pur basandosi su fatti reali (CIA e M16 hanno davvero costruito un tunnel che penetrava nella zona controllata dai russi e che fu attivo per quasi un anno, era l'Operazione Oro. Nel libro compaiono William Harvey, l'agente responsabile del progetto, e George Blake, di cui non specifico il ruolo perché sarebbe uno spoiler), non c'è un vero approfondimento di quello che è il suo lavoro durante i mesi trascorsi in Germania (e meno male, sarebbe stato noiosissimo), piuttosto McEwan si occupa dei suoi rapporti con gli altri (pochi) personaggi citati.
Il confronto fra Léonard e Bob Glass (che nel film è interpretato da Anthony Hopkins), l'americano a cui deve fare riferimento, è in realtà il confronto fra gli Stati Uniti e il resto del mondo, fra chi si crede e si comporta come il padrone della Terra perché potente e chi si ritiene più importante per il prestigio storico.
Peccato che nessuno sia a casa propria, ma a dieci anni dalla fine della guerra la Germania aveva ancora molti conti da pagare e fa riflettere, in positivo, pensare a cos'è la Berlino di oggi, una città emblema di libertà e possibilità per tanti giovani.

Più rilevante è la relazione di Léonard e Maria, da un lato la tenera inesperienza di lui, il cercare di capire e di farsi capire reso difficile dal timore di esporsi, dall'altro la maturità di lei frenata dal già vissuto.

"Per Maria, che aveva alle spalle la liberazione di Berlino e un matrimonio con Otto Eckdorf, qualunque dimostrazione di vulnerabilità da parte di un uomo significava la possibilità di un approccio."

Ma "Lettera a Berlino" non è nemmeno una semplice storia d'amore: è un noir che non ti aspetti e sicuramente non mi sarei mai aspettata un McEwan così cruento.

Splendido l'ultimo capitolo.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome

domenica 16 luglio 2023

"La ragazza del convenience store", Sayaka Murata

 

Tokyo, primo maggio 1998. Keiko Furukura sbagliando strada si ritrova a camminare in una zona dove non era mai stata. E, prima di arrivare a una fermata della metro, quello che si trova davanti è un locale luminoso in pieno allestimento. Un cartello annuncia la prossima apertura dello SmileMart, ma c'è anche scritto "Cercasi personale!". Lei ha 18 anni, frequenta il primo anno di università e sta giusto cercando un lavoretto.
Maggio 2016. Sono trascorsi diciotto anni, Keiko ne ha quindi 36, è ancora nubile e lavora sempre allo SmileMart. Una situazione che genera preoccupazione e imbarazzo per i genitori, la sorella e le poche amiche retaggio di gioventù perché i part-time nei konbini vanno bene per i giovani studenti a cui fa piacere guadagnare qualche soldo oppure per le donne sposate che possono arrotondare il bilancio familiare senza smettere di essere delle casalinghe. E comunque si tratta sempre di esperienze marginali fatte prima di entrare nel vero mondo del lavoro o di temporanee parentesi prima di riprendere a dedicarsi a tempo pieno al proprio marito e ai propri figli. E' inconcepibile lavorarci per diciotto anni, interrompendo gli studi e senza neppure sposarsi.
Eppure Keiko nella routine di quel lavoro e nelle sue regole ha trovato la sua dimensione.

"Konbini Ningen", che il traduttore di Google mi traduce con un tristissimo "Minimarket umano", è il decimo romanzo scritto (nel 2016) da questa autrice giapponese classe 1975 e il primo a essere stato tradotto in italiano. Era il 2018, l'anno prima avevo letto "Norwegian Wood. Tokyo Blues" scoprendo grazie a Murakami (e alla mia prima Reading Challenge) che un certo tipo di letteratura giapponese poteva piacermi e anche parecchio. Credo di aver comprato quasi subito il romanzo della Murata e in questi cinque anni tantissime volte sono stata lì lì per leggerlo, finendo sempre col preferirgli altri titoli. Colpa di un paio di persone che me ne avevano parlato stroncandolo, mentre a me è piaciuto, seppur con un po' di scetticismo.

E' un romanzo breve (176 pagine) che (non solo per quello) si lascia leggere in fretta (e questo non è una cosa che - in base alla mia ancora limitata esperienza - si possa dire di molti romanzi giapponesi!). Lo stile è snello e semplice, in linea con la protagonista che è anche la voce narrante. E che non è propriamente una persona "normale" ed è da questo suo modo d'essere che nasce la mia perplessità.

Il libro - che denuncia il tradizionalismo della società giapponese, classista e sessista - critica pesantemente quell'omologazione verso cui vengono spinti i giapponesi anche in epoca moderna con un insieme di regole imposte dalla società che davvero fanno pensare - come sostiene Shiraha, il secondo personaggio della storia in ordine di importanza - che non sia cambiato nulla dalla preistoria. Se questa sia un'esagerazione o se sia vero io non lo so, ma questa storia inno all'anticonformismo avrebbe avuto bisogno di una protagonista diversa da Keiko, una persona per la quale non sposarsi e continuare a lavorare in un konbini per molti anni fossero davvero delle scelte e non delle conseguenze.

Keiko sembra essere affetta da una qualche forma di sociopatia (anche se gli psicologi infantili non ravvisano nulla di anomalo in lei). Ho una laurea in psichiatria? Ovviamente no e mai mi permetterei un'affermazione del genere nei confronti di una persona reale, ma Keiko è opera di fantasia e se la Murata costruisce per lei un'infanzia dove all'asilo la fa rimanere indifferente quando assiste alla morte di un uccellino proponendo, mentre le altre bambine piangono, di mangiarlo a cena, alle elementari le fa prendere a badilate due bambini che si stanno azzuffando perché secondo lei è il modo più spiccio per mettere in pratica le urla generali che chiedono di farli smettere e successivamente - quando capisce cosa gli altri si aspettano da lei - la porta ad adeguarsi prima parlando il meno possibile e poi, da adulta, imitando i comportamenti altrui evitando ogni iniziativa personale, credo non ci si possa stupire se poi io -  lettrice - arrivo a considerarla una squilibrata.

Se quello che il libro racconta è vero - e la Murata in gioventù ha lavorato in un konbini - non mi preoccuperei tanto dell'età o dello stato sociale dei commessi, quanto dei diktat a cui sono costretti, non facendo mai aspettare il cliente, accogliendolo con un sonoro "Irasshaimase!", servendolo e accontentandolo in ogni richiesta e poi ringraziandolo a oltranza, ripetendo dall'inizio alla fine del processo di vendita frasi di cortesia che i dipendenti devono considerare come formule sacre, con tanto di giuramento a inizio turno:

"Giuriamo di offrire al cliente il miglior servizio possibile, così che possa apprezzare e tornare sempre al nostro konbini!"

Questi scenari da invasati mi hanno reso la lettura divertente in un modo probabilmente offensivo verso questa storia che vuole raccontare il rifiuto all'omologazione, ma è la scarsa conoscenza dell'universo giapponese a rendermi di difficile comprensione certi ragionamenti, fra cui quello cardine del giudicare anormale lavorare in un konbini da adulti, questo a prescindere dalla sanità psicologica dei commessi. Sarà perché con la mia edicola sono anch'io un'addetta alle vendite, ma non ci vedo nulla di biasimabile nel lavorare dietro a un banco, neppure a 53 anni. E mi sfugge il considerare part-time un lavoro svolto dalle 9 alle 17 per cinque giorni alla settimana come mi chiedo se davvero lì dentro ai commessi venga chiesto di urlare a squarciagola le promozioni!

E io che ho sempre pensato ai giapponesi come a un popolo adorabilmente silenzioso...

Reading Challenge 2023, traccia annuale di aprile: otto libri della propria wish list

venerdì 14 luglio 2023

"La ragazza della porta accanto", Jack Ketchum


"Il dolore non è solo una questione di male fisico, di un corpo allarmato che si lamenta dell'invasione che la carne sta subendo.
Il dolore può agire dall'interno. Intendo dire che qualche volta il dolore lo vedi."

E David, 12 anni, in quell'estate del 1958 lo vedrà, eccome, il dolore.

E' giugno e il New Jersey è ancora una zona rurale fatta di casette indipendenti, dove le porte non vengono mai chiuse a chiave perché tutti si conoscono e i ragazzini possono anche stare via tutto il giorno, andando a casa uno dell'altro, giocando nei giardini o andando al torrente, senza che nessuno si preoccupi per loro. David e i suoi amici stanno crescendo, a ritmi diversi, ma tutti, chi più chi meno, cominciano a considerare le femmine in modo diverso.
David guarda soprattutto Megan Loughlin, anche se è grande, ha ben due anni più di lui, ma è bellissima, con quella carnagione chiara e i lunghi capelli rossi. E poi vive proprio nella casa accanto alla sua: lei e Susan, la sorella minore, sono le nipoti di Ruth Chandler, che ha accettato di occuparsi di loro dopo che le due ragazzine sono rimaste orfane a causa di un brutto incidente che ha ucciso i loro genitori e lasciato sui loro corpi pesanti cicatrici.
Ruth ha già tre figli suoi a cui badare e deve farlo da sola, da quando quell'idiota irlandese figlio di puttana di suo marito l'ha lasciata. E ora ci sono due bocche in più da sfamare, oltretutto di due ragazze. E le ragazze sono stupide. Sono facili. Lei lo sa. Ma non poteva tirarsi indietro, la sola alternativa per quelle due sarebbe stata l'orfanotrofio. Sarebbe stato forse meglio?

Sì.

Un aggettivo per questo romanzo? Atroce. Ogni parola che il vocabolario dà per questo termine descrive perfettamente la storia che racconta: "Suscita raccapriccio e pena indicibile. Straziante oltre ogni immaginazione. Tormentosamente angoscioso".

Dallas Mayr, nato nel New Jersey, classe 1946, ha scelto uno pseudonimo - Jack Ketchum - che è un chiaro riferimento al soprannome che in Inghilterra ai tempi delle impiccagioni veniva usato per il boia: 
Jack Ketch. E come Jack Ketchum ha pubblicato una trentina di romanzi horror, tutti usciti in edizione economica, pochissimi tradotti in italiano. Questo, scritto nel 1989, è arrivato da noi solo vent'anni dopo in seguito all'uscita dell'omonimo film, nel 2007.

A rendere atroce questa storia è che Mayr ha romanzato qualcosa di realmente accaduto nel 1965 in Indiana. Se prima del romanzo non avessi letto la pagina dove Wikipedia descrive la terribile fine di Sylvia Likens, sicuramente tutto quello che Megan subisce mi avrebbe impressionata, ma non sconvolta.
Il prossimo libro che avevo in programma era "Le verità sepolte" della Marsons, mi serve un titolo che inizi con la L per la traccia annuale di maggio, ma stamattina ho deciso di sostituirlo con uno di McEwan: non me la sento di avere subito a che fare con altra violenza e credo che questo renda l'idea di quanto Mayr abbia colpito duramente.

Le vicende non sono del tutto identiche, ma la sostanza sì: delle ragazzine - una reale e una inventata - diventate senza colpa l'oggetto del gioco malato di donne - una reale e una inventata - dalla personalità deviata e capaci di coinvolgere (in quelle che per loro erano punizioni atte alla redenzione) i propri figli e alcuni dei loro amici.

L'autore usa uno di questi amici come voce narrante, fornendoci con questa scelta una visione parziale, perché David vede tanto, ma non vede tutto. Il presente è il 1987 e David racconta i fatti dell'estate dei suoi dodici anni quando ne ha quarantuno, senza che l'età adulta possa aiutarlo a dare un senso a tutto lo strazio cui ha assistito, prendendone anche parte.

Un romanzo atroce, ma anche atrocemente bello. Sicuramente non per tutti: è bene sapere cosa si sta per leggere prima di farlo, soprattutto essere consapevoli che è esistita una Sylvia che ha davvero subito tutta quell'assurda malvagità.

 Reading Challenge 2023, traccia annuale di aprile: otto libri della propria wish list



martedì 11 luglio 2023

"Denti bianchi", Zadie Smith

 

Londra, primissimo mattino del 1° gennaio 1975. Archibald Jones avrebbe potuto morire quel giorno: era quello il suo intento quando si era sistemato a bordo dell'auto che aveva parcheggiato in Cricklewood Brodway. Il tubo di scappamento collegato a quello dell'aspirapolvere stava facendo il suo lavoro e mentre perdeva conoscenza non poteva immaginare di aver commesso un piccolo errore: quello di aver parcheggiato proprio davanti alla macelleria halal di proprietà di Mo Hussein-Ishmael, che - oltre ai piccioni - mal sopportava chi parcheggiava nell'area di scarico riservata al suo negozio e proprio quando stava per ricevere una consegna.
Una svista, da parte di Archie, che gli aveva permesso di essere salvato e di conoscere di lì a poche ore quella che sei settimane dopo sarebbe diventata la sua seconda moglie: Clara Bowden, che con i suoi 19 anni era più giovane di lui di ben ventotto, grosso modo la stessa differenza di età che caratterizzava il matrimonio del suo amico Samad Iqbal con Alsana.
Avere la moglie giamaicana e il migliore amico bengalese non è cosa comune, ma neppure così rara quando si vive in una città come Londra che già negli anni Settanta era fra le più multiculturali al mondo.

Quando affronto grandi autori guardo con affetto al mio diploma di analista contabile chiedendomi se possa bastare. Di sicuro non sarò mai in grado di fare grandi analisi, né di grandi libri, né di piccoli libri, ma in fondo mi basta riuscire a leggerli e provare a capirli.
"Denti bianchi" - considerato la linea di demarcazione fra la letteratura del Novecento e quella degli anni duemila - si lascia leggere più facilmente di quanto temessi e, tra l'altro, non sembra neppure lungo come invece è (552 pagine).

Soprattutto non sembra essere stato scritto da una ragazza poco più che ventenne, l'età che Zadie Smith aveva quando lo scrisse. Pubblicato nel 2000, era entrato nel mirino degli editori già da tre anni, quando la Smith, studentessa a Cambridge, li aveva stuzzicati con degli stralci scatenando la lotta all'accaparramento dei diritti. Non male....

L'autrice, che adesso viaggia verso i 48 anni, è poi diventata una delle firme più autorevoli della letteratura inglese e mondiale, pur non avendo prodotto un gran numero di titoli: cinque romanzi, quattro saggi, un'opera teatrale e molti racconti.

Nata da padre inglese e da madre giamaicana e cresciuta in un quartiere multiculturale a nord ovest di Londra, in questo romanzo familiare fa quello che forse dovrebbe fare ogni scrittore, raccontare qualcosa che si conosce.

Non posso dire di averlo trovato esilarante come me lo avevano descritto, probabilmente perché gran parte dello humor deriva da situazioni esagerate che caratterialmente mal sopporto (esempio: la coppia di bengalesi che, se in disaccordo, si mena in giardino, con immancabile vittoria della moglie).

Viceversa leggendolo ho capito perché James Wood, critico letterario inglese, proprio riferendosi a questo libro usò per la prima volta il termine realismo isterico:
 lo stile della Smith è davvero molto particolare, riesce a far convivere nello stesso testo (spesso anche nella stessa frase) delle assurdità (nelle situazioni, nei comportamenti dei personaggi o altro) con un profondo realismo (delle stesse situazioni, dei comportamenti o altro).
Una cosa difficile da spiegare a chi non ha letto il libro e sicuramente ci vuole molta bravura per scrivere oltre 500 pagine in questo modo. Uno
 stile che sembra una giostra, non in senso negativo, ma che è un po' troppo per una persona barbosamente lineare come me (tra l'altro temevo questa "cosa" del realismo isterico perché sapevo che il termine era stato poi usato per descrivere altri autori, fra cui David Foster Wallace, che - meschinetto - continuo a citare in negativo per l'unico suo libro che ho letto e detestato, "Una cosa divertente che non farò mai più": per il prestigio con cui viene ricordato dovrei proprio decidermi a leggerne almeno un altro).

Quello che avrei apprezzato (perché sono cose che mi piace leggere) è un maggior approfondimento nella ricostruzione storica e mi sarei aspettata più critica perché gli immigrati protagonisti della storia sono frutto del colonialismo britannico: ci sta che non tutti siano rancorosi come me - che penso sempre con gran fastidio all'assedio e alla brevissima occupazione che la mia Genova subì da parte della marina britannica nel 1814 - ma negli anni Settanta non erano certo passati più di due secoli dall'indipendenza dell'India...

Però ha fatto bene la Smith a concentrarsi sul "presente": fra virgolette, intanto perché si tratta di un libro che ha quasi un quarto di secolo, ma anche perché abbraccia diversi decenni che si alternano con salti temporali molto ben costruiti. La storia inizia nella prima metà degli anni Settanta, ma poi ci viene raccontata la nascita dell'amicizia fra i due protagonisti durante la Seconda Guerra Mondiale, quindi si torna al 1974 e da lì si va avanti, con gli anni Ottanta che diventano grandi protagonisti e proseguendo con gli inizi degli anni Novanta, con la crescita dei figli delle due coppie e l'inserimento di una terza famiglia, gli inglesissimi, intellettualissimi e borghesissimi Chalfen.

Una storia lunga fatta di contrasti: etnici, religiosi, sociali, culturali, generazionali, morali. C'è tutto, direi che manca solo il calcio e per una città come Londra, soprattutto di quegli anni, un paio di personaggi tifosi non ci sarebbero stati affatto male.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome

domenica 9 luglio 2023

"La ragazza che guardava fuori", Lorena Franco

 

Barcellona, lunedì 8 giugno 2015. Andrea Fernández ha 33 anni e nessun motivo per essere felice: il figlio tanto desiderato non arriva, il matrimonio con Nico sta andando a rotoli, il romanzo noir che sta cercando di scrivere da molti anni non ha mai superato le prime dieci pagine. Lasciare il buio appartamento in calle Santa Ana per trasferirsi in una villetta all'estrema periferia della città non ha cambiato nulla e dover ospitare Victor - il fratello di Nico, tornato in Spagna dopo aver vissuto negli Stati Uniti per quindici anni - ha reso le giornate di Andrea ancora più lunghe e difficili. Il cognato è un estraneo, si erano visti soltanto due volte senza piacersi, e Nico passa sempre meno tempo in casa. Andrea ha soltanto tre fonti di conforto: l'alcool, gli psicofarmaci e la finestra, da cui può spiare quello che fanno gli altri abitanti della via.

Per far capire il rapporto che ho avuto con questo libro basterebbe dire che sia ieri sera che l'altro ieri sera mi sono addormentata mentre lo stavo leggendo! Ed è un thriller!! Ed ero alle battute finali, quindi al massimo dell'acme!!!

Invece non basta perché la Reading Challenge richiede recensioni un po' più approfondite. E poi ho sempre voglia di parlare dei libri che non mi sono piaciuti, soprattutto quando leggo recensioni a cinque stelle su Amazon e IBS che mi portano a chiedermi se abbiamo letto tutti la stessa cosa (domanda legittima nel caso un tal Michele che giustifica le sue cinque stelline scrivendo: "Finalmente un thriller italiano degno di essere letto e amato").
Certo, i gusti sono personali e ci mancherebbe, ma per sorvolare su difetti grossi e oggettivi ci vuole una generosità molto lontana da me.

Lorena Franco, classe 1983, è una bellissima modella e attrice spagnola, nonché una prolifica scrittrice: dal 2015 a oggi ha pubblicato ben 27 titoli. "Ella lo sabe" (titolo originale che a fine lettura risulta più accattivante della versione italiana), uscito nel 2017, è il suo primo thriller. Da noi ne hanno tradotto soltanto un altro, "La donna della porta accanto", già cancellato dalla mia wish list.

Il breve prologo - simile a troppi altri thriller (una ragazza è imprigionata in un luogo freddo e buio, c'è un odore nauseabondo e lei sa che il Mostro sta per tornare) - viene presto dimenticato con il primo capitolo, l'unico lungo, dove l'autrice cerca di far conoscere la sua protagonista, mischiando il presente (giugno 2015) al recente passato, risalente a due anni prima (l'8 giugno è infatti il secondo anniversario del trasferimento della coppia dal centro alla periferia di Barcellona). Ma la Franco gestisce male i piani temporali, cosa di cui deve essersi resa conto perché da circa metà libro in poi i passaggi fra passato e presente vengono sostituiti da una narrazione lineare dove i personaggi raccontano banalmente i fatti accaduti.

Personaggi che non legano il lettore al libro, sono tutti astiosi e disturbanti, come lo è in generale la storia. Personaggi che sono pochi e che si alternano nei vari capitoli, tutti scrupolosamente datati, cosa che amo, a patto che non vengano fatti errori e qui non mancano (ad esempio il 17 giugno succede qualcosa di rilevante e subito dopo due personaggi - uno il 22 giugno e l'altro il 23 - dicono che sono passate due settimane da quel momento).

La scrittura è davvero semplice, se non addirittura povera, abbonda di espressioni che bisognerebbe smettere di usare dalla quinta elementare ("la frittata era fatta", "chi va piano, va sano e va lontano", "mi darò alla macchia", "uccel di bosco", "sotto mentite spoglie", "quel che è fatto, è fatto" e altre ancora, anche ripetute: "come se niente fosse" viene usato ben undici volte!): un campionario che indispone trovare nel lavoro di uno scrittore professionista a cui abbiamo dato i nostri soldi per poter leggere la sua opera.

Ma le ripetizioni sono costanti anche nei concetti, i fatti vengono descritti e ripresi più volte finendo per soffocare i colpi di scena ed è un peccato perché se la storia fosse stata raccontata meglio alleggerendola delle tante parti inutili, avrebbero fatto segnare al thriller qualche buon punto, anche se quello che racconta è davvero esagerato: va bene che nella fiction tutto può succedere, ma se non si scrive un fantasy, un romanzo di fantascienza o una favola per bambini, bisogna essere in grado di mantenere una certa logica, che qua manca e quando la Franco fa dire a uno dei suoi personaggi che si tratta di un "piano machiavellico" mi ha fatto un po' tenerezza perché sottintende una trama intelligente e proprio non lo è.

E poi ci sono Zafón e Barcellona: non avere letto "L'ombra del vento", che per Andrea è una sorta di Bibbia, mi ha fatto perdere il piacere dei tanti rimandi al libro.
Discorso analogo per la città, che non ho mai visitato e che per me rappresenta la squadra contro cui la mia Samp ha perso ben due finali di coppe europee...

Ma non sono stati gli strali calcistici a farmi risultare pesante tutto lo spazio che la Franco dedica alla sua città: apprezzo sempre tanto l'attaccamento di un autore al suo territorio e i libri dove l'ambientazione è protagonista, ma qui mancano l'orgoglio e la passione, ci sono solo tanti elenchi di luoghi da visitare, posti dove mangiare, attività commerciali dove comprare, eccetera, simili alle descrizioni delle brochure comunali, che interrompono la storia in maniera forzata e fastidiosa:

"Passeggiano per i dintorni di plaça Reial, godendosi l’atmosfera creata dai piccoli bar con i tavolini all’aperto e dai tanti locali notturni. Probabilmente non sospettano neppure quanta storia c’è intorno a loro. Qui è come se il tempo si fosse fermato. Nessuno fa caso all’erboristeria del Diciannovesimo secolo in calle del Vidre, la via che collega la piazza a calle Ferran; né probabilmente sanno che dentro c’è una fontana dove un tempo si allevavano le sanguisughe per i salassi. Forse non immaginano neppure che i due lampioni a sei braccia, disposte ad altezze diverse come rami di un albero, sono stati disegnati da un giovane Gaudí, incaricato dall’Ayuntamiento di progettare lampioni a gas per tutta Barcellona. Ne restano solo quattro: i due di plaça Reial e quelli del pla de Palau, con sole tre braccia. I turisti passeranno da queste parti senza sospettare nulla di tutto questo. Alcuni si soffermeranno a prendere un caffè accanto a me e Nico, poi faranno un giro per la Rambla, “la via più allegra del mondo”, come la chiamava il poeta Federico García Lorca."

492 pagine: less is more!

Reading Challenge 2023, traccia annuale di aprile: otto libri della propria wish list

sabato 1 luglio 2023

Reading Challenge: le tracce di luglio

   


TRACCE DA COLLEGARE


A - 
Uno o più libri ricevuti per posta
B - Uno o più libri con titoli composti da almeno quattro parole
C - Uno o più libri scritti da autori famosi, ma che non hai mai letto



Traccia annuale 04. Wish List: otto libri della propria wish list (25 punti + 1 punto foto)
  • La ragazza francese, Lexie Elliott
  • La ragazza tatuata, Joyce Carol Oates
  • La ragazza della palude, Delia Owens
  • La ragazza che guardava fuori, Lorena Franco
  • La ragazza della porta accanto, Jack Ketchum
  • La ragazza del convenience store, Sayaka Murata
  • La ragazza che non sapeva, Marion Pauw
  • La ragazza con la gonna in fiamme, Aimee Bender

I miei punti di luglio = 26



      TRACCE STAGIONALI


Estate: 
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola spiaggia
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola costa
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola hotel
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola crociera
  • un libro nella cui sinossi ci sia la parola vacanza


TRACCE ANNUALI


05. 
Libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome
  • Lettera a Berlino, Ian McEwan (264 pagine)
  • Occhi di acqua, Domingo Villar (240 pagine)
  • Ragazze di città, Elin Wagner (176 pagine)
  • E
  • Denti bianchi, Zadie Smith (552 pagine)
  • Anime qualunque, Chiara Ferraris (328 pagine)
  • Nudi e crudi, Alan Bennett (95 pagine)
  • A

06. Disney World: cinque libri, uno per ogni categoria
  • Grimilde: un libro in cui muore qualcuno
  • Stregatto: un libro in cui è presente un enigma, un puzzle o un labirinto
  • Flounder: un libro con dell'acqua in copertina
  • Mushu: un libro ambientato in Asia
  • Rapunzel: un libro con più di 400 pagine

07. Torniamo a scuola: cinque libri, uno per ogni materia
  • italiano: un libro di un autore italiano
  • lingue: un libro con il titolo scritto interamente in una lingua straniera
  • storia: un romanzo o saggio storico o una biografia di un personaggio storico
  • geografia: un libro che nel titolo abbia il nome di un paese, città, stato o continente oppure un elemento fisico naturale
  • matematica: un libro che nel titolo abbia almeno un numero, ordinale o cardinale