giovedì 29 aprile 2021

"La madre segreta", Shalini Boland



Friern Barnet (nord di Londra), dicembre 2017. Si sta facendo sera, fa freddo e Tessa Markham, 36 anni, rientra a casa dopo aver passato il pomeriggio della domenica al cimitero, cosa che ormai fa da più di due anni. Ma questa volta c'è qualcuno ad aspettarla: un bambino di cinque o sei anni è seduto al tavolo della sua cucina, sta facendo un disegno e quando Tess entra le rivolge una domanda che la impietrisce: "Sei tu la mia nuova mamma?".
La donna telefona al marito, è vero che lui se n'è andato, ma il loro matrimonio non è finito e lei non ha nessun altro a cui rivolgersi. Insieme avvisano la polizia, ma sia Scott che gli agenti non le credono e sospettano che lei quel bambino lo abbia rapito.
Un incubo che diventa ancora più insopportabile quando la notizia arriva alla stampa e Tess si ritrova orde di giornalisti ad aspettarla notte e giorno sul vialetto di casa e fuori dai cancelli del centro di giardinaggio dove lavora.
Deve risolvere da sola il mistero del bambino comparso dal nulla nella sua cucina, è chiaro che qualcuno sta mentendo, ma chi e perchè?

Thriller psicologico che si legge molto velocemente non solo perchè è piuttosto breve (217 pagine a cui l'autrice è arrivata allungando un po' la broda), ma anche per la semplicità: della storia e della maniera in cui è scritto, un'accoppiata che - insieme all'astuzia di porre dei piccoli (ma proprio piccoli) acme quasi alla fine di ogni capitolo - dà l'impressione di essere un libro che prende.

Ma in realtà non riesce mai a diventare incalzante perchè è davvero povero di tutto: sfrutta il filone madre-figlio senza inventare nulla di originale e chi è abituato ai thriller (ma secondo me chiunque) capisce subito dove si andrà a parare e non si sbaglia. Gli amanti delle letture di genere sanno di rischiare il "già letto", cosa che a me disturba, ma solo fino a un certo punto (altrimenti non amerei tanto Mary Higgins Clark e non solo lei...).
In questo caso mi ha dato più fastidio la debolezza dei personaggi (che seguono tutti i possibili cliquè), la pochezza di contenuti sia nei dialoghi (molti veramente imbarazzanti per la loro stupidità)
che nei pensieri interiori della protagonista (è lei che racconta in prima persona, per cui non ce ne viene risparmiato mezzo) - che invece avrebbe potuto e dovuto essere molto profonda e approfondita - e la mancanza di impegno nel trovare meccanismi più verosimili per far quadrare gli eventi.

Credo che l'intenzione dell'autrice fosse quella di evidenziare i danni che può fare la gogna mediatica, ma la storia che ci ha costruito attorno non è abbastanza forte da giustificare tutto il cancan che descrive, per altro in maniera troppo superficiale.

Alla fin fine la frase che mi ha colpita di più dell'intero libro sono stati gli 8° definiti "temperatura tiepida": raggelante, direi.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia normale di aprile (un libro in cui vi è un segreto)

 

mercoledì 28 aprile 2021

"Alta fedeltà", Nick Hornby

Londra, anni '90. Rob Fleming ha una grandissima passione: la musica. Musica che ascolta (o che consuma, come dice il mio amico Filippo), non che suona. E assolutamente non musica commerciale.
Dopo aver lavorato per un po' come commesso in un negozio di dischi ed essersi divertito a fare il DJ al Groucho Club, da qualche anno è proprietario del Championship Vinyl. La vendita di dischi di nicchia non è quel tipo di lavoro che ti rende ricchi e sia la madre che la sua compagna sembrano considerarlo un mestiere di transizione prima dell'approdo a una professione "adulta". Ma Rob adulto lo è, ha 35 anni e - se anche non è soddisfatto dell'andamento del suo negozio - non sta pensando di cambiare. Non riesce nemmeno a stilare la classifica dei cinque lavori che gli piacerebbe fare! Mentre lui ama fare questo genere di classifiche: i cinque migliori libri, i cinque migliori film americani, i cinque migliori piatti...
Ed è da qui che si comincia, quando Laura lo lascia: ma rientrerà nella classifica delle cinque donne che lo hanno ferito di più?

Da qualche anno mi sono abituata a leggere sempre due libri contemporaneamente, a volte sono tre e raramente sono stati quattro. Ma non mi era mai successo di leggere insieme due libri dello stesso autore ed è stata un'esperienza particolare e piacevole.

Questo Nick Hornby lo ha scritto nel 1995, cioè tre anni dopo "Febbre a 90°", quindi quando aveva 38 anni. Un libro generazionale che può essere apprezzato al massimo da chi gli anni '90 li ha vissuti in un'età più o meno simile a quella dell'autore e del protagonista. Io ho dodici anni meno di Hornby, ma ho adorato questo romanzo, pur non ritrovandomici affatto perchè la musica - a differenza del calcio - non è una mia passione. A me piacciono De Andrè,  Fossati, Guccini, Bennato, "gente" così, e nel libro non viene citato nessuno dei grandi cantautori italiani. La mia ignoranza circa la musica straniera è abissale e nel libro ho riconosciuto solo una metà dei cantanti o gruppi citati (quelli notissimi) e giusto due o tre brani (idem).

Non mi ci sono ritrovata direttamente anche perchè non sono un uomo/eterno ragazzo inglese, insicuro, lagnosetto e un po' opportunista, ma indirettamente ci ho ritrovato tanti dei miei amici di quegli anni, marito (all'epoca fidanzato) compreso, quando andando in centro (e spesso ci si andava tutti i giorni) era obbligatorio fare tappa da Disco Club, a due passi dalla stazione Brignole, negozio storico di Genova che continua a esistere e a resistere tuttora grazie al suo carismatico proprietario.

Anche a Fabio piaceva creare delle cassette personalizzate. Per me ne aveva fatte quattro e solo quando ci siamo messi insieme, dopo due anni e mezzo di amicizia, mi aveva svelato la mole di studio che c'era dietro alla scelta dei brani, che nelle sue intenzioni sarebbero state dichiarazioni d'amore, cosa che io non avevo minimamente capito.
Una cassetta l'avevo addirittura battezzata "il sonno": la ascoltavo quando tornavamo a Genova dopo aver seguito la Samp in trasferta in giro per l'Italia o per l'Europa. Aveva scelto dei brani talmente lenti che non sono mai arrivata a sentire il quarto, immancabilmente mi addormentavo a metà della terza canzone, "Il portiere di notte" cantata da Ruggeri, bellissimo pezzo e splendida interpretazione, ma l'effetto era sempre letargico! Povero Fabio ^^

Anche se non conosco le canzoni citate, ho idea che le cassette ideate da Rob siano più briose, cosa che anche il libro riesce a essere nonostante sia anche particolarmente malinconico e Rob, pur essendo l'incarnazione della pigrizia fisica, mentale e affettiva, riesce a essere un bel personaggio, anche se credo che mi sia piaciuto così tanto perchè già dopo poche pagine - complici lo humor inglese e il mestiere analogo - me lo sono immaginato come l'adorabile Hugh Grant di "Notting Hill".

Adesso mi sembra incredibile di essere arrivata a 51 anni senza aver mai letto Hornby: devo assolutamente recuperare tutti gli altri suoi titoli!

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di aprile (l'autore  è nat0 il 17 aprile 1957)


 

lunedì 26 aprile 2021

"Febbre a 90°", Nick Hornby

 
Londra, 14 settembre 1968. Nick Hornby ha poco più di 11 anni quando mette piede per la prima volta sugli spalti di Highbury, lo stadio in cui l'Arsenal gioca le partite casalinghe.
Non sa che quella partita - usata dal padre per riempire un sabato pomeriggio da trascorrere con il figlio nel difficile ruolo di genitore fresco di divorzio - trasformerà la sua esistenza.
Perchè nella vita si può cambiare tutto - stato civile, religione, sesso, ideologia politica, cittadinanza e, ancora, amici, lavoro, hobby, casa, auto, ecc, ecc, ecc - ma quando ti innamori di una squadra di calcio è per sempre.
E io lo so bene.

L'autore in questo saggio autobiografico, che è anche romanzo di formazione, racconta la sua vita condizionata dalle partite e dall'andamento dei Gunners: le descrizioni di gol e partite, i ricordi di calciatori e allenatori, i suoi stati d'animo e le sue follie.

Ho sempre pensato che il bimbetto ritratto in copertina fosse Hornby da piccolo, per cui è stato piuttosto deludente scoprire che in realtà ha cominciato a tifare Arsenal soltanto a 11 anni.
E il libro in generale mi è piaciuto, sì, ma non tanto quanto mi sarei aspettata. Mi ci sono ritrovata solo fino a un certo punto,
il tifo inglese è diverso da quello italiano, non solo per il fenomeno hooligans (che nel libro viene doverosamente condannato, ma descritto piuttosto superficialmente). In Inghilterra le donne in curva scarseggiano e manca l'aspetto coreografico delle nostre gradinate, cioè quel tifo organizzato di cui ho fatto parte per anni fin dall'adolescenza, un ambiente che mi ha formato come persona e che (nel bene e nel male) mi ha resa quella che sono, senza contare che in gradinata ho conosciuto mio marito e a distanza di decenni, anche se ormai siamo tutti over 50, i legami più forti li ho con gli amici conosciuti ai tempi del mio attivismo ultrà (e non sono neppure tutti sampdoriani nè di squadre ai tempi gemellate con noi).

Nick Hornby appartiene a una tipologia di tifoso diversa dalla mia e di pazzie per la mia Samp ne ho fatto un bel po' più di lui.


E' un libro che consiglierei solo a chi è tifoso: per quanto sia scritto benissimo, credo possa coinvolgere davvero solo chi è in grado di apprezzarlo e capirlo. Per la mia amica Chiara, la persona meno interessata al calcio che conosco (una delle pochissime, fra l'altro, perchè quando si ha una grande passione è normale socializzare e interagire con chi la condivide), leggere "Febbre a 90°" sarebbe un'autentica tortura!

Viceversa - seppur col diverso approccio di cui sopra - per me si è trattato di leggere tutte cose vissute personalmente: l'agitazione prepartita, la sensazione di trionfo per i risultati positivi, il dolore (vero) per quelli negativi...
Un suo incubo ricorrente era quello di sognare di andare allo stadio ritrovandosi nella direzione opposta: io, invece, mi svegliavo tutta agitata perchè nel sogno arrivavo ai cancelli dello stadio e scoprivo di aver dimenticato a casa l'abbonamento!

Io e Hornby discordiamo sulle partite in trasferta, lui  dice di non essersi mai divertito per il troppo nervosismo, mentre per me erano (al passato, perchè dal '96 l'edicola ha reso impossibile tutto) il massimo del piacere, l'organizzazione che durava tutta la settimana, il viaggio e poi l'orgoglio di arrivare in un'altra città con al collo la sciarpa blucerchiata, tanto più grande a Lecce in 49 che non a Milano in ventimila.

Ma siamo d'accordo su molti altri aspetti: che le squadre appartengono più ai tifosi che a presidenti, allenatori e giocatori (loro sono solo di passaggio, noi no), che non si può essere tifosi e contemporaneamente avere spirito sportivo e che essere tifoso non c'entra nulla con il bel calcio e con le vittorie (quelli che nella vita si sono limitati a scegliere la squadra vincente non li prendo neppure in considerazione).

Non mi è piaciuto come ha minimizzato l'abitudine che i tifosi inglesi avevano di caricare quelli avversari: se la tragedia di Sheffield è stata causata dalla pessima organizzazione, all'Heysel quella altrettanto disastrosa dei belgi è stata solo una concausa e scrivere di "alcuni ragazzini stupidi che avevano alzato un po' il gomito" è stato uno scivolone bello grosso da parte di Hornby, mentre ho apprezzato la sua pesante critica a razzismo e antisemitismo sugli spalti.

E' stata una lettura che mi ha portato via molti più giorni di quanto immaginassi visto il tema e le sole 269 pagine perchè mi ha spinta a cercare su You Tube gli highlights delle tante partite citate, almeno una per ogni capitolo, tutte con la data di riferimento e, siccome anch'io ho buona memoria calcistica e una vagonata di ricordi, già che c'ero ne ho rivisto alcuni delle nostre giocate in contemporanea.

E anche la Samp fa parte del libro, prima indirettamente grazie a Liam Brady, che dopo Arsenal e Juve giocò due anni anche da noi (l'irlandese aveva la pretesa che noi ragazzini ci mettessimo in fila per avere il suo autografo alla fine degli allenamenti a Bogliasco!), e poi citata due volte per via dell'apprezzamento di Hornby al nostro mitico Attilio Lombardo.


Le strade di Samp e Arsenal si sono incrociate tre anni dopo l'uscita del libro, nella semifinale di Coppa delle Coppe 1994-95, in cui ci eliminarono ai rigori (per poi perdere la finale con il Saragozza).


Invece (dopo che entrambe vincemmo lo scudetto nel maggio '91) dalla Coppa dei Campioni 1991-92 loro uscirono agli ottavi contro il Benfica e fummo noi a perdere la finale contro il Barcellona, proprio a Wembley, il ricordo calcistico più doloroso per noi sampdoriani, soprattutto perchè consapevoli dell'irripetibilità dell'evento, ma a distanza di quasi trent'anni l'amarezza di quel giorno si è stemperata lasciandoci fieri di aver vissuto qualcosa di unico, "sensazioni che non capiranno mai" (cit.).


Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di aprile (l'autore è nato il 17 aprile 1957)



 

martedì 20 aprile 2021

"Phobia", Wulf Dorn


Londra, notte fra il 3 e il 4 dicembre, giorni nostri. Harvey Bridgewater ha sei anni e viene svegliato da un rumore. La mamma, Sarah, scende solo per poter tranquillizzare il figlio: sono soli, suo marito Stephen è in viaggio di lavoro, la casa - che lui stesso ha costruito - è grande, bella e sicura, dotata di un valido sistema d'allarme, ma da quando Harvey ha sognato un grosso cane nero che si aggirava nella loro cucina è diventato molto timoroso, meglio scendere per rassicurarlo.
Non sa che quel momento rappresenterà l'inizio di un incubo reale: in cucina c'è un uomo, ha il volto sfigurato dalle cicatrici, indossa gli abiti di Stephen e si comporta e parla con Sarah come se fosse suo marito. La situazione è così paradossalmente tranquilla che Sarah riesce a salire in camera, nascondere il suo bambino, calarsi dalla finestra raggiungendo l'abitazione dei vicini e da lì chiamare la polizia. Ma quando arrivano le volanti l'uomo è scomparso e l'investigatore minimizza, teorizzando un allontanamento volontario del marito di Sarah e intuendo in lei un disagio di tipo nervoso.
Sarah ha un'unica possibilità per riuscire a capire cosa sia successo a Stephen: chiedere aiuto a Mark, psichiatra e suo amico d'infanzia, appena arrivato a Londra per assistere a un funerale.

Che Mark Behrendt fosse il protagonista de "La psichiatra", primo romanzo di Dorn, da me letto nel 2015, proprio non lo ricordavo e l'ho scoperto solo dalla postfazione alla fine del libro.
Poco male, il ruolo di aiutante che ha Mark in "Phobia" avrebbe potuto svolgerlo chiunque. Più che per l'aiuto dato a Sarah, è servito all'autore per inserire un'altra storia all'interno di quella portante.

Quest'ultima mi è abbastanza piaciuta: decisamente troppo moralaggiante per i miei gusti, ma comunque una vicenda gialla di cui, tassello dopo tassello, si scoprono cause e passaggi, fino ad arrivare alla conclusione.

Lo spin off relativo a Mark, invece, l'ho apprezzato solo in parte: bene raccontare gli sviluppi della sua vita ai lettori più attenti di me che ancora si ricordavano di lui dal primo libro, male (nel senso di superfluo) il finale aperto che lo riguarda. Perchè non li amo, meno che mai quando sto per abbandonare un autore.

Così, finito il libro, ho letto le trame dei successivi tre romanzi scritti da Dorn per vedere se compariva il nome di Mark: non c'è, ma questo non vuol dire nulla perchè non viene citato nemmeno nella sinossi de "La psichiatra". Allora ho pensato di leggere le recensioni dei tre romanzi su Amazon e IBS per vedere se qualche utente ne parlava, ma poi mi sono fermata rendendomi conto che, se anche Dorn ha dato un seguito al suo personaggio, non mi interessa sapere cosa gli succederà.

Quindi con "Phobia" saluto definitivamente Wulf Dorn, nonostante questo libro non sia certo peggiore degli altri, anzi, dei cinque che ho letto è sicuramente quello con lo stile migliore, con una forma più matura, tanto da avermi dato l'impressione che fosse stato scritto da un'altra persona, ma per rispetto alla mia età preferisco investire il mio tempo su autori maggiormente in linea con il mio gusto e meno sopravvalutati.

Un passaggio del libro mi ha fatto sorridere, quando Dorn porta Sarah (editor di professione) a pensare:

"Era come uno di quei sogni nel sogno che ogni tanto le capitava di leggere in qualche manoscritto e che ogni volta sottolineava aggiungendo il commento: non credibile"

Ma Dorn davvero non immagina quanti "non credibile" andrebbero apposti sui suoi romanzi?

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di aprile (l'autore  è nat0 il 20 aprile 1969)


 

domenica 18 aprile 2021

"Il club di Meryl Streep", Mia March



Boothbay Harbor (Maine), estate 2012. Lolly Weller ha 52 anni ed è vedova da 15. Era la notte di capodanno quando un ubriaco al volante aveva causato la morte non solo di suo marito Ted, ma anche di sua sorella Allie e di suo cognato. Così, all'improvviso, si era ritrovata a dover crescere da sola la sua bambina di dieci anni, Kat, e anche le due nipoti, June e Isabel, di 13 e 16 anni. Una convivenza difficile fatta di dolore, di rimpianti e di risentimenti.
Kat, una volta cresciuta, era rimasta ad aiutare la madre nella gestione della locanda di famiglia, mentre June e Isabel se ne erano andate alla prima occasione, tornando nel Maine controvoglia solo per le festività.
Ma adesso devono farlo in estate: Lolly le ha convocate, deve dire una cosa importante a tutte e tre e non può aspettare il prossimo raduno di famiglia.

Libro che avevo comprato
usato sul sito del Libraccio, scegliendolo fra quelli in super offerta perchè mi mancavano meno di 2€ per avere le spese gratuite e questo costava giusto quella cifra.

Tutto sommato è stato una piacevole sorpresa. Una lettura di intrattenimento estremamente lieve,
rosa all'ennesima potenza: l'autrice arriva a rendere ovattati e languidi anche temi pesanti e tristi, ma lo stile è fluido e piacevole, senza contare che mi ha risparmiato tutte quelle descrizioni stucchevoli che tanto mi urtano in questo genere di narrativa e già solo per questo merita il mio elogio e il mio rispetto.

E mi ha permesso di scoprire con Google immagini una cittadina veramente carina:


Certo tutto ruota attorno alle condizioni sentimentali delle quattro protagoniste: sembra che nella vita esista solo l'amore e che legami familiari, vincoli di amicizia, situazione lavorativa e patrimoniale siano solo dettagli da poco e che la sola cosa importante sia il dio amore, a cui si deve inchinare perfino la salute, ma era quello che mi aspettavo, mi sarei stupita del contrario.

Nei ringraziamenti finali l'autrice definisce questo romanzo un omaggio alla sua attrice preferita, ovviamente Meryl Streep: le "serate cinema" organizzate nella locanda sono il pretesto per far parlare i personaggi delle esperienze vissute o subite anche da loro, passioni, tradimenti, ma anche rapporti genitori-figli. Peccato che di ogni film (
I ponti di Madison County, Il diavolo veste Prada, Mamma mia!, Prossima fermata paradiso, Kramer contro Kramer, Cartoline dall'inferno, E' complicato, Julie & Julia) venga fatto uno spoiler clamoroso, raccontando nel dettaglio il finale di tutti. Non sono un'amante del cinema, l'innegabile bravura della Streep mi lascia totalmente indifferente, ma di sicuro - se mai in futuro mi fosse venuto in mente di vedere uno di questi film (ho visto solo i primi due e di Kramer contro Kramer ho letto il libro quando ero ragazza) - Mia March mi ha tolto anche quell'ipotetico interesse che ancora non avevo.

Invece mi spiace che non abbiano tradotto in italiano il suo secondo, e ultimo, romanzo, uscito un anno dopo questo
, "Finding Colin Firth", perchè di lui l'ultima cosa che posso dire è che mi lasci indifferente...


Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia alfa/editore di aprile (libri di autori il cui cognome inizia per M ed editi da Piemme)

 

mercoledì 14 aprile 2021

"La spinta", Ashley Audrain



Vigilia di Natale. Una madre e una figlia si guardano, ma non sono insieme, due vetri le separano: quello del finestrino della macchina in cui è seduta la prima e quello della finestra della casa da cui la seconda la osserva.
Dubbi da una parte, senso di rivalsa dall'altra: non è il tipico rapporto madre-figlia, non ci sono quell'amore e quella complicità che ci si aspetterebbe.
Colpa di una madre inadeguata, forse visionaria?
Blythe ha una lunga storia da raccontare, una storia che inizia nel 1939 con la nascita di Etta, sua nonna.

"L'esordio internazionale più atteso dell'anno. Uscita contemporanea in 34 paesi": così recita la fascetta che Rizzoli ha apposto su questo libro, probabilmente esagerando un po' su questa presunta attesa, ma un lancio su così vasta scala è indicativo di come gli editori fossero consapevoli di avere in mano un gran bel libro.

Un thriller psicologico che, pur sfruttando caratteristiche già ampiamente abusate dalla letteratura di genere (il racconto sviluppato su piani temporali diversi con i frequenti flashback della protagonista e il rapporto madre-figli), riesce a distinguersi.

Un libro cupo, che tratta il tema della maternità in maniera straziante per chi, come me, non ha scelto di non essere madre e si trova a leggere degli aberranti comportamenti di donne che i figli se li sono "ritrovati" senza averli voluti, frutto della fantasia dell'autrice, ma riconducibili a tante, troppe storie di reale cronaca nera.

Un libro crudo nelle sue precise descrizioni del parto e delle difficoltà degli inizi, quel (possibile) rovescio della medaglia che nessuno sembra essere disposto a raccontare o a ricordare.

Un libro avvincente, di quelli che - avendone il tempo - si lascia leggere tutto d'un fiato grazie alla sua dinamicità: tanti capitoli brevi, scrittura fluida, bravura nell'instillare dubbi che inevitabilmente spinge a voler sapere cos'è successo e cosa succederà.

Un libro intrigante, che porta chi legge a cambiare più volte opinione sui personaggi fino a creare qualche turbamento perchè esiste un livello di malvagità che nessuno vorrebbe mai prendere in considerazione.

Un libro intelligente. Proprio un gran bel libro.


Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia cascata di aprile (un libro con una porta in copertina)


lunedì 12 aprile 2021

"Il gatto che voleva salvare i libri", Sosuke Natsukawa

Natsuki Rintaro è un adolescente hikikomori. Già orfano, una decina di giorni prima del Natale di un anno non precisato gli muore anche il nonno lasciandogli in eredità la sua libreria dell'usato, che naviga in cattive acque a causa della grave crisi dell'editoria.
Mentre Rintaro si sta preparando per l'imminente trasloco a casa della zia, compare nel negozio un "cliente" speciale: Tora, gatto soriano parlante con gli occhi color di giada (particolare impossibile da tralasciare, dato che viene ripetuto 19 volte in appena 180 pagine...). I libri stanno scomparendo e Tora ha bisogno dell'aiuto del ragazzo per bloccare il disastro. Per farlo devono avventurarsi dentro a dei labirinti (quattro) a cui si accede in fondo al corridoio della libreria Natsuki...

Se avessi visto questo libro sugli scaffali di Feltrinelli (dove tristemente non metto piede da un anno e mezzo) mi avrebbe senz'altro colpita per la copertina, che trovo bellissima. Ma non sarei arrivata nemmeno a leggere tutta la sinossi prima di riporlo capendo che proprio non era il mio genere. Ed è questo che ho pensato quando è stato votato come traccia Gold di aprile dalla maggioranza degli altri partecipanti alla Reading Challenge (io avevo votato per l'ultimo romanzo di Ilaria Tuti, ma la lotta contro un libro che parlava di libri con tanto di gatto parlante protagonista sarebbe stata persa in partenza per chiunque).

Una trama talmente lontana dal mio interesse che se solo il libro avesse avuto 100 pagine in più
non l'avrei mai preso in considerazione, ma l'avidità mi ha fregata: 5 punti sicuri per un libro così breve erano troppo ghiotti. Peccato che ciascuna delle 180 pagine sia stata pesante come un macigno (l'unica sadica consolazione è che in tutta la challenge è stato apprezzato solo da due o tre persone, comprese quelle che lo avevano sciaguratamente votato!).

Sosuke Natsukawa nella vita fa il medico e questo è il suo secondo romanzo, il primo tradotto nella nostra lingua. Nel mio caso mi rendo conto che il giudizio negativo è parzialmente influenzato dalle similitudini con la Gold di marzo, "La biblioteca di mezzanotte", un'altra favoletta (e questo del gatto andrebbe proprio classificato nella narrativa per ragazzi) con riflessioni che è impossibile non condividere quando si amano i libri e la lettura (i libri vanno condivisi, i libri vanno assaporati e assimilati, i libri sono troppo preziosi per essere classificati come beni di consumo, i libri sono potenti), ma a cui principalmente manca la scorrevolezza del libro di Matt Haig: la ripetitività e la flemma che negli altri autori giapponesi ho sempre definito come rilassanti, con Natsukawa raggiungono livelli da frantumare i testicoli anche a chi non li ha, come la sottoscritta.

E penso non sia il caso di aggiungere altro.

Reading Challenge 2021: questo testo è la traccia gold di aprile

 

venerdì 9 aprile 2021

"La collina dei conigli", Richard Adams


Sandlefor, Hampshire (Inghilterra). Una ditta di Newbury Berkshire ha vinto l'appalto per la costruzione dell'ennesimo centro residenziale. Nè a loro, nè ai proprietari del terreno, nè a chi andrà ad abitarci interessa sapere se quel posto sia già popolato da qualcuno, men che meno se si tratta di conigli: l'uomo fa e disfa, le altre specie della Terra possono solo subire. E quando arrivano con le ruspe sembra pure che si divertano a gassificare le tane dei poveri animali, che non hanno scampo.
E dire che Quintilio ci aveva provato ad avvisare i suoi compagni del disastro imminente. Lui non era in grado di leggere i cartelli che erano stati piantati sul prato, ma lui sapeva, "sentiva", che bisognava andarsene e in fretta.
Ma quanto affidamento si può fare su un piccolo coniglio che ha paura anche degli insetti? Così solo suo fratello Moscardo e pochi altri gli hanno dato retta, hanno abbandonato la conigliera natia appena in tempo e si sono messi in marcia per raggiungere quella collina fra Kingsclere e Sydmonton dove Quintilio è sicuro che debbano andare.

Un libro che entra nel cuore e che ho letto su suggerimento di Stefania, mia compagna di casata nella Reading Challenge.

L'autore, all'epoca un impiegato statale inglese, si era inventato le vicende dei conigli come favola della buonanotte per le figlie che, una volta cresciute, lo hanno convinto a sviluppare il racconto facendone un romanzo. Ci sono volute tredici bocciature da parte degli editori prima che qualcuno si rendesse conto della beltà di questa storia, pubblicandola nel 1972.

Un libro per ragazzi di quelli che, secondo me, è bene leggere da adulti, quando l'età permette di riconoscere e apprezzare pienamente il significato e l'importanza di quello che si sta leggendo.

Una celebrazione della libertà e dell'unità, anche se personalmente preferisco pensare a Quintilio,
Moscardo, Mirtillo, Ramolaccio, Nicchio, Parruccone, Argento, Dente di Leone, Ghianda, Smerlotto, Lampo, Campanula, Ribes, Pungitopo, Cedrina, Bosso, Sagginella, ecc, ecc, ecc, senza alcun rimando a noi umani, che nella storia veniamo descritti per quello che siamo:

"Quanto male c'è al mondo. E' dagli uomini che viene. Tutti gli altri elil fanno quello che devono fare e Frits li spinge come spinge noi. Vivono su questa terra e hanno bisogno di nutrirsi. Gli uomini, invece, non sono contenti finchè non hanno rovinato la terra e distrutto gli animali"

"Gli animali non si comportano come gli uomini. Se devono battersi, si battono. Se devono uccidere, uccidono. Ma non usano la loro intelligenza per trovar la maniera di arrecar danni alle altre creature, di avvelenar loro la vita. Essi hanno dignità"

Adams ha descritto meravigliosamente degli animali meravigliosi. Ha dato loro una lingua (il lapino, che fra un hrududù e una hraka deve aver divertito parecchio le sue bambine) e delle divinità (di cui avrei fatto a meno), ma non li ha umanizzati alla Disney, ha dato loro una tana (non una casa), li ha vestiti solo della loro pelliccia (non di abiti) e ha descritto quelle che sono le reali abitudini dei conigli selvatici, dando loro la capacità di ragionare, interagire, amare, soffrire, ma questo non è umanizzare, non abbiamo l'esclusiva dei sentimenti e degli stati d'animo.

"Molti uomini dicono di godersi l'inverno, ma ciò che in realtà si godono è il sentirsi al riparo da esso. Per loro non c'è mancanza di cibo, d'inverno, hanno case riscaldate e indumenti caldi. L'inverno non può nuocere, quindi accresce il loro senso di sicurezza, di ingegnosità. Per gli uccelli e gli animali - come per la gente povera - l'inverno è altra cosa. I conigli, al pari di tutti gli animali selvatici, patiscono il freddo e gli stenti"

L'unica parte stonata è quella della battaglia, dove ha usato strategie umane quando sarebbe stato più bello e più logico descrivere quelle dei conigli selvatici che - nel bisogno (e ad armi pari!!) - sanno essere fieri combattenti.
 
"Mi accontenterei d'un qualsiasi greppo asciutto, basta che ci sia un po' d'erba, d'intorno, e non ci siano uomini col fucile"

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla prima traccia annuale, "dieci libri a scelta da leggere entro la fine dell'anno"
 

 

mercoledì 7 aprile 2021

"Il mio cuore cattivo", Wulf Dorn

Ulfingen (Germania), estate 2012. Doro (Dorothea) non ha ancora 17 anni, ma ha già un passato carico di problemi e di dolore. A giugno dell'anno precedente era salita nella cameretta di Kai, il suo terribile fratellino di un anno e mezzo, trovandolo morto nel suo lettino. Da quel momento niente era più andato bene: il divorzio dei suoi genitori, il trasferimento della madre e, soprattutto, il suo prolungato ricovero in un ospedale psichiatrico. Perchè vedeva Kai inseguirla accusandola di avergli fatto qualcosa, qualcosa che però lei proprio non ricordava.
E non lo ricorda ancora, a distanza di più di un anno, ma le allucinazioni sono sparite, ha potuto concludere l'anno scolastico e ora ha raggiunto la madre nel villaggio svevo dove si è stabilita.
Ma la speranza di un nuovo inizio dura pochissimo: un temporale notturno, la porta del capanno che sbatte in giardino, lei che scende per chiuderlo e l'incontro con un ragazzo ferito che la prega di aiutarlo, per poi sparire prima dell'arrivo della polizia e dell'ambulanza. Nessuno le crede e tutto precipita quando, grazie a una fotografia, scopre che il ragazzo del giardino è lo stesso che si era suicidato il giorno in cui lei era arrivata a Ulfingen...

Dopo essersi riscattato con "Follia profonda", con questo quarto romanzo Wulf Dorn torna a deludermi, ancor più che con "La psichiatra" e "Il superstite". Ho deciso di concedergli
ancora una possibilità leggendo anche "Phobia", principalmente perchè l'ho già comprato, ma sono già pronta a dirgli addio per sempre.

Il problema principale è che non mi piace il suo modo di scrivere, dettaglio non da poco. Trovo il suo stile a tratti ripetitivo, ma soprattutto molto adolescenziale, caratteristica che in questo caso - dove la voce narrante è quella della protagonista ragazzina - emerge prepotentemente e fastidiosamente. Un thriller psicologico, con insopportabili derive verso il fantasy (molto utili all'autore per dare un "senso" agli sviluppi narrativi), che andrebbe catalogato come young adult leggermente gotico: con questa classificazione di genere avrei saputo cosa aspettarmi e la storia, coi suoi eccessi strampalati e inverosimili, non mi avrebbe disturbato come invece ha fatto.

Questo perchè, se con le letture precedenti mi ero trovata a pensare che Dorn aveva avuto delle buone idee sfruttandole malissimo, qui non c'è neppure un buon punto di partenza e mancando la correlazione fra i due punti principali si perde lo scopo di averli inseriti nello stesso libro. In più si arriva facilmente a capire il chi, il perchè e il come prima di quello che dovrebbe essere il colpo di scena rivelatore, la cosa peggiore che possa succedere leggendo un thriller.

In definitiva il fatto che questa volta il t
itolo originale, "Mein böses Herz", sia stato tradotto fedelmente è l'unico aspetto positivo che riesco a trovare nel libro.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di aprile (l'autore  è nat0 il 20 aprile 1969)