sabato 24 settembre 2022

"Non sono un assassino", Francesco Caringella

 

Nardò (Lecce), 3 dicembre 2014. Non sono nemmeno le otto del mattino quando Francesco Prencipe, quarantacinquenne capo della Squadra mobile di Bari, raggiunge la villa di Giovanni Mastropaolo, suo coetaneo, giudice e amico fraterno. Giovanni lo ha convocato con una telefonata giunta all'alba, deve fargli una domanda, quattro parole che necessitano soltanto di un "sì" o di un "no" come risposta, ma prima deve raccontargli una storia.
E' dal giornale radio che poche ore dopo Francesco apprende la notizia della morte di Giovanni: la donna di servizio lo ha trovato riverso sulla scrivania della villa di Nardò. Un unico colpo sparato a bruciapelo in mezzo agli occhi, nessun segno di effrazione.
Due giorni dopo Francesco viene sottoposto a sei ore di interrogatorio e dopo altri due per lui si aprono le porte del carcere di Potenza. La PM Paola Maralfa, detta "il molosso", è convinta di avere prove schiaccianti contro di lui, prove che Francesco dovrà ribaltare per riconquistare la libertà.

Diverse cose accomunano Francesco Caringella e Gianrico Carofiglio: la città natale (Bari), l'età (1965 vs 1961), il titolo di studio (laurea in giurisprudenza), la carriera in Magistratura, l'esperienza politica (esperto giuridico durante il governo Berlusconi II vs senatore per il Partito Democratico) e l'essere scrittori.

Quello che non hanno in comune sono le capacità.
Per via della preparazione e delle esperienze dei due autori il confronto è automatico (non solo frutto della concomitanza di lettura, come mi era successo una decina di giorni fa con Alice Basso), ma per me la partita può chiudersi sul nascere per mercy rule.

"Non sono un assassino", scritto nel 2014, è il secondo romanzo di Caringella (il primo, "Il colore del vetro", precedente di due anni, 
credo sia fuori catalogo, non sono riuscita a trovarlo). Classificato come thriller da Amazon e da IBS, è invece un giallo giudiziario. Già dal primo brevissimo capitolo il lettore sa che andrà a leggere di un processo:

"Bene, se l’indagato non ha nulla da aggiungere, per me può bastare, sentenziò il sostituto procuratore. La sua voce mi graffiò come un’unghia avvelenata.
L’interrogatorio era finito.
La battaglia per riconquistare la libertà era appena iniziata."

Naturalmente viene ricostruita la vicenda che porta al procedimento contro il protagonista, ma essendo lui la voce narrante, oltre a offrire un unico punto di vista, priva il giallo di tutta la parte relativa all'indagine riducendosi all'istruttoria processuale. A tratti sembra la sceneggiatura di una puntata di Perry Mason, anche per via di un notevole anacronismo nei dialoghi.

La storia ha più di un punto debole e diversi particolari non vengono approfonditi come sarebbe stato giusto fare (magari limando certe lungaggini descrittive), uno stile semplice in mezzo al quale le frequenti impennate ridondanti risultano davvero sgradevoli (errore in cui non dovrebbe mai cadere chi scrive per professione), un finale non prevedibile, ma personalmente poco gradito e un protagonista che, in cima a tutto il resto, è il fulcro della manifesta inferiorità cui accennavo sopra rispetto a Carofiglio: Prencipe è presuntuoso e narcisista; Guerrieri e Fenoglio sono personaggi di tutt'altro spessore e carisma.

Carofiglio non avrebbe mai messo al centro di un suo romanzo una figura del genere, probabilmente non avrebbe mai nemmeno raccontato una storia simile.
A crearmi non poco disagio è l'impressione che Prencipe sia un personaggio odioso per me, non per chi lo ha creato.

Reading Challenge 2022, traccia di settembre: un libro con delle foglie in copertina