lunedì 18 novembre 2024

"Un giorno solo", Felicia Yap

 

Newnham, nei pressi di Cambridge, 6 giugno 2015. E' mattina quando Claire e Mark Evans ascoltano alla radio la notizia che il corpo senza vita di una donna è stato ripescato dal fiume Cam, a poca distanza da casa loro. In quel momento il detective Hans Richardson, incaricato delle indagini, bussa alla loro porta: la vittima, Sophia Alyssa Ayling, nel suo diario ha scritto che lei e Mark erano amanti. Mark ammette di averla conosciuta due anni prima a un festival letterario, ma nega la relazione.
Il detective porta Mark alla centrale di polizia, deve muoversi in fretta, entro la fine della giornata deve chiudere il caso scoprendo chi ha ucciso Sophia, prima di dimenticare tutto.
Perché il mondo è diverso da quello che conosciamo.
Gli esseri umani hanno gravi limitazioni mnemoniche: al compimento del 
ventitreesimo anno la produzione della proteina della memoria a breve termine si interrompe per tutti ed è in quel momento che si scopre a quale categoria si appartiene: se alla maggioranza dei Mono oppure se si ha la fortuna di essere un Duo, persone la cui memoria funziona per i due giorni precedenti.
Claire è una Mono, Mark è un Duo e la differenza è abissale.

Che libro bizzarro.

Titolo originale "Yesterday", scritto nel 2017, è il primo romanzo di Felicia Yap 
(il secondo, "Future Perfect", del 2021 non è stato tradotto in italiano), nata in Malesia nel 1980 e trasferitasi in Inghilterra a vent'anni per completare gli studi.

Leggendo la trama pensavo fosse una delle tante storie che nel decennio passato avevano come protagonista una donna affetta da amnesia, ma mi sono bastate poche pagine per passare dal thriller alla fantascienza, con la popolazione mondiale divisa fra Mono e Duo (non viene data nessuna spiegazione di ciò, per cui è lecito pensare che la Yap abbia immaginato un mondo fatto così fin dalle origini), dove chi sostiene di poter ricordare tutto viene rinchiuso perché pazzo, con i Mono considerati inferiori e trattati di conseguenza ("Il mondo è già fin troppo pieno di stupidi Mono. Gran parte degli omicidi viene commessa dai Mono. I Mono creano già abbastanza problemi a noi Duo. Inquinano le zone residenziali"), mentre la minoranza dei Duo è l'unica ad avere diritto a coprire cariche di prestigio e di potere, cosa che li rende automaticamente più ricchi, creando barriere sociali simili a quelle del mondo reale (ma purtroppo il romanzo non si spinge ad analisi di questo tipo).

"C'era un conforto immenso nel non ricordare"

Entrambi i gruppi ogni sera annotano sui diari personali (in origine cartacei, poi digitali con l'invenzione degli iDiary nel 1998) i fatti salienti delle loro giornate. Ogni mattina devono rileggere con attenzione cosa hanno scritto perché queste informazioni dopo essere state lette sul proprio diario non vengono più dimenticate: "I fatti tornano immediatamente in mente perché le informazioni sono state trasferite nella parte del cervello che contiene i ricordi a lungo termine."

In pratica le persone non ricordano cosa è successo, ma ricordano cosa hanno scritto.

Su queste basi si capisce l'urgenza del detective di poter archiviare il caso prima che cambi il giorno: le 400 pagine del romanzo si svolgono interamente il 6 giugno del 1995, ma anche in un mondo di smemorati un thriller trova il modo di dare ampio spazio ai flashback, indispensabili per ricostruire il quadro generale.

La trama è senza dubbio molto originale, ma questo è purtroppo l'unico merito del libro. Con una scrittura mediocre i capitoli alternano le quattro voci narranti: marito, moglie, vittima e detective.

"Non c’è bisogno di annotare ogni cosa, perché ben poche delle esperienze quotidiane si innalzano al di sopra della banalità"

E il libro è pieno di banalità, di ripetizioni, di lungaggini e di dettagli irrilevanti, mentre un paio di spunti interessanti vengono lanciati e lasciati cadere senza essere sviluppati. Così come Claire nasce protagonista per poi cedere il ruolo alla vittima: non mi era mai successo di veder messo da parte il personaggio principale a metà della storia e forse anche questa è una trovata originale, ma a me non è piaciuta, come non mi è piaciuta Sophia, così arrogante, boriosa e sgarbata da non suscitare alcuna compassione, portando a pensare che chi l'ha buttata nel fiume avrebbe dovuto zavorrarne meglio il corpo.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda novembre: Malesia

venerdì 15 novembre 2024

"Ballo di famiglia", David Leavitt

 

Opera prima di David Leavitt, nato in Pennsylvania nel 1961, che pubblicò questa raccolta di nove racconti (la nuova edizione ne contiene anche un decimo) nel 1984, quando aveva 23 anni e da uno si era laureato a Yale in composizione creativa.

"Territorio"
Quando Neil a 23 anni aveva fatto outing i genitori avevano detto la cosa più ovvia, ma mai scontata: "Vogliamo solo che tu sia felice". Ma adesso sta per arrivare Wayne e la madre, in attesa di conoscere per la prima volta un compagno del proprio figlio, si rende conto che per lei l'esperienza non sarà facile come l'aveva immaginata.

"Contando i mesi"
La signora Harrington ha il cancro. I medici le avevano dato sei mesi di vita e oggi, il 17 dicembre, sono passati.

"Bisogna mentire per vivere attraverso la morte, altrimenti si muore attraverso ciò che è rimasto della propria vita"

"Il cottage perduto"
La famiglia Dempson si ritrova, come ogni anno, a trascorrere le ultime due settimane di giugno nel piccolo cottage dove Lydia e Alex avevano trascorso la luna di miele ventisei anni prima. Ma questa volta per loro e per i tre figli sarà tutto diverso perché poco prima di Natale Alex ha chiesto il divorzio.

"Alieni"
Nina ha 11 anni ed è convinta di essere un'aliena mandata sulla Terra per studiare gli esseri umani, che presto verranno a riprenderla. Per questo guarda spesso il cielo.

"Danny in transito"
Danny ha cominciato a dare segni di squilibrio dopo la separazione dei suoi genitori, avvenuta dopo l'outing del padre.

"Ballo di famiglia"
Seth è il protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta. La madre ha organizzato una grande festa per il suo diploma, una rivincita, perché potrà sfoggiare la sua nuova casa, la sua nuova silhouette e il suo nuovo marito alla sua famiglia, soprattutto al suo ex marito. 

"Radiazioni"
Una madre di tre figli si sta sottoponendo alla radioterapia per sconfiggere il tumore che l'ha colpita, faticando per trovare dentro di sé il coraggio per continuare a combatterlo.

"E' incredibile come ci si può abituare anche ai cambiamenti più spaventosi col tempo, come si riesce a far fronte persino all'inimmaginabile"

"Da queste parti"
Gretchen, Carola, Jill: tre sorelle che si riuniscono alla morte del padre nella casa che lui aveva condiviso con la seconda moglie e che sarà teatro dello scambio di accuse e recriminazioni fra loro.

"Devota"
Nel racconto più lungo u
na ragazza e due ragazzi, amici dai tempi dell'università. Lei, innamorata di uno dei due e li ha visti diventare una coppia.

"Dieci minuti"
Il racconto conclusivo, inedito e brevissimo.
Una madre e un figlio si incontrano al parco dopo tre anni. Le autorità hanno concesso alla donna soltanto dieci minuti.

Non è stata una lettura facile. Proprio in un momento in cui avrei bisogno solo di letture di puro svago, mi è capitato in mano questo supplizio.
In ogni racconto c'è tanta omosessualità maschile, raccontata con naturalezza e delicatezza, com'è giusto che sia, ma ci sono soprattutto disagi familiari, di ogni genere e grado, e ovunque ci sono malattia o morte.

"La d
isperazione, il pessimismo e l'inquietudine fanno da sottofondo alla narrativa di David Leavitt", recita l'introduzione ed è proprio così. Mi piacerebbe leggere altro dell'autore, ma se queste sono le caratteristiche comuni in tutto ciò che ha scritto mi servirà una buona dose di coraggio per tornare da lui.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, autunno: Natale nel testo




mercoledì 13 novembre 2024

"L'incredibile storia di Soia e Tofu", Pallavi Aiyar

 

Pechino, estate 2008. Soia - gattino rosso affetto da manie di protagonismo - e Tofu - micina nera timida e un po' fifona - sono nati in primavera all'interno dell'antica Città Imperiale, a poche settimane e a poche decine di metri di distanza. Lui, (incredibilmente) figlio unico, ha mosso i primi passi nello siheyuan della famiglia Xu, accudito dalla sua mamma. Lei è stata svezzata dentro a un bidone insieme a quattro fratelli.
Un giorno vengono portati via per essere consegnati a Mrs e Mr A, una coppia di stranieri arrivati da poco in città. Fra coccole, pranzetti prelibati e tanti posticini comodi e caldi dove dormire, i due maomi inizieranno subito ad apprezzare la loro nuova vita, senza dimenticare le proprie origini e consolandosi grazie al reciproco affetto. Finché a Soia viene proposto il ruolo di protagonista della pubblicità del nuovo, eccezionale cibo per gatti prodotto in Cina: e "qualcuno" finirà col montarsi la testa.

Pallavi Aiyar, scrittrice e giornalista indiana che ha vissuto per sei anni a Pechino, ha pubblicato "Chinese Whiskers" (unico suo titolo tradotto in italiano) nel 2010.

Un librino di 167 pagine con una copertina adorabile che non può non attrarre ogni amante dei gatti. Apparentemente una favoletta, raccontata da Soia e da Tofu che si alternano di capitolo in capitolo.

Due mici diversi nelle pellicce quanto nel temperamento.

Lui: il tipico gatto star, come lo erano il mio Gippi e il mio Gastone e come lo è la mia MuMù, vere e proprie primedonne, catalizzatori dell'attenzione di chiunque, quella dei loro umani e di ogni persona in visita, senza fare distinzioni fra parenti, amici, idraulici, antennisti e scocciatori vari.

Lei: esattamente l'opposto, capace di nascondersi per ore alla vista di chiunque non sia un suo umano, per poi diventare in assenza di estranei così affettuosa e presente da risultare perfino appiccicosa, esattamente come lo era la mia Fumetta e come è la mia Lunetta.

Ci sono tante cose carine nel libro, come lo stupore di Tofu quando vede per la prima volta un essere umano ("Niente zampe, niente baffi, niente coda") o la saggezza con cui la mamma descrive a Soia i limiti degli uomini ("Ai ren (gli esseri umani) piace parlare del tempo, quando piove esclamano "Piove!", benché sia piuttosto ovvio").

Apprezzabile anche la difesa degli animali:

"Quando le cose si mettono male, di solito i ren danno la colpa agli animali. L'anno scorso c'era un virus che dicevano venisse dai polli: è bastato che morisse un ren e hanno ammazzato quarantamila polli. Quando i ren hanno paura di un virus noi animali siamo nei guai"

Peccato che però l'autrice non si dimostri migliore di quelli che critica tanto:

"Come si fa a essere così crudeli con degli animali innocenti? Mi rifiuto di credere che non vedano la differenza tra uno zibetto che vive nei boschi e un cane o un gatto domestici"

Evidentemente per lei la crudeltà contro gli zibetti è lecita e io la gente che ragiona così non la sopporto.


La Aiyar tira molte stoccate alla Repubblica Popolare Cinese ("Il governo del suo paese non è esattamente noto per dire la verità") - come se l'India, soprattutto adesso, fosse un modello di democrazia - ma il racconto assume uno spessore inaspettato nella sua denuncia contro i divari e le disuguaglianze sociali perché ci sono tante, troppe persone che vivono da randagie, e non per scelta.


Reading Challenge 2024, traccia vagabonda novembre: India

domenica 10 novembre 2024

"Patrimonio. Una storia vera", Philip Roth

  

"Siamo in posa, in costume da bagno, un Roth dietro l'altro, sul prato antistante la pensione di Bradley Beach dove la nostra famiglia affittava una camera da letto con uso cucina ogni estate per un mese. É l'agosto 1937. Abbiamo quattro, nove e trentasei anni. Ci drizziamo verso il cielo formando una V, di cui i miei sandaletti sono la base appuntita e le spalle larghe di mio padre - tra le quali è perfettamente centrata la faccia furba da folletto di Sandy, - le due imponenti terminazioni della lettera. Sì, quella che spicca sulla foto è la V di Vittoria: di Vittoria, di Vacanza, di retta e distesa Verticalità! Eccola, la linea maschile, intatta e felice, in ascesa dalla nascita alla maturità!"

La foto in questione è, naturalmente, quella in copertina e merita di essere vista meglio:


Il protagonista del libro è Hermann Roth, morto nel 1989 a ottantasei anni per un tumore al cervello. Il figlio Philip due anni dopo pubblica "Patrimonio. Una storia vera", un memoir dove racconta la fase finale della vita del padre, partendo dalla diagnosi sbagliata fatta da un medico della Florida, dove il padre stava trascorrendo un periodo di vacanza a casa di un vecchio amico.
La perdita quasi totale della vista dall'occhio destro non era dovuta alla paralisi di Bell, ma - come riscontrato da successivi esami fatti in seguito alla comparsa di altri disturbi - era stata causata dal cancro, che agiva nella testa dell'uomo da almeno una decina d'anni.

Un romanzo biografico e autobiografico, estremamente intimo e riflessivo, che descrive le difficoltà e la sofferenza che accompagnano sempre la malattia e la consapevolezza di una vita giunta ormai all'epilogo.

In 187 pagine divise in sei capitoli, Roth - che all'epoca aveva 55 anni ed era già orfano di madre (era morta qualche anno prima, nel 1981) - commuove toccando con la condivisione del suo dolore tasti dolorosi per chi ha perso i propri genitori ben prima di lui.

Ma riesce anche a far divertire raccontando di un - decisamente non imperdibile - concertino di musica da camera suonato per il padre in Florida dai residenti della struttura dove soggiornava oppure descrivendo la maniacale - e non necessaria - avarizia che aveva caratterizzato alcune scelte del padre in tarda età o, ancora, ricordando l'imbarazzo provato durante una cena quando si era ritrovato a leggere la bozza di un libro scritto da un amico del padre, dietro insistenza del padre stesso che evidentemente non sapeva che l'amico aveva scritto un porno, nemmeno di buon livello.

Invece la scrittura di Roth, come sempre, incanta e con i rimandi alla situazione ebraica la storia personale diventa interessante anche dal punto di vista socio-culturale.

Toccante il suo ricordo di Primo Levi.

"Probabilmente il sopravvissuto il cui numero mi aveva fatto più impressione a vederlo era lo scrittore italiano Primo Levi. Nel 1986 ero andato a Torino a fargli una lunga intervista per il «New York Times», e nei quattro giorni passati insieme eravamo diventati misteriosamente amici intimi: così intimi che quando venne il momento di andar via Primo disse: «Non so quale di noi due è il fratello minore e quale il fratello maggiore», e ci abbracciammo con grande emozione come se quella potesse essere l'ultima volta che ci vedevamo. E fu proprio così. Avevamo parlato a lungo di Auschwitz, degli undici mesi che vi aveva passato quando era giovane e dei due libri che aveva scritto sui campi, e questo era stato il nocciolo dell'intervista. Essa venne pubblicata nella sezione domenicale del «Times» dedicata ai libri sei mesi giusti prima che Primo Levi si togliesse la vita gettandosi dall'alto della scala del palazzo di Torino dove abitava: la stessa scala le cui cinque rampe di gradini avevo salito pregustando il nuovo incontro ogni giorno che ero andato là per le nostre chiacchierate."


Intervista di cui non ho trovato il testo vero e proprio, ma solo due immagini degli articoli della traduzione pubblicata da "La Stampa": adesso devo solo trovare la forza visiva per riuscire a leggerla.

Reading Challenge 2024, traccia annuale Cocktail: un libro con lo sfondo di copertina bianco

martedì 5 novembre 2024

"Miele", Ian McEwan

 

"Mi chiamo Serena Frome (che fa rima con plume) e poco meno di quarant’anni fa mi mandarono in missione segreta per il British Security Service. Non ne sono tornata illesa. Mi scaricarono nel giro di diciotto mesi, dopo che ebbi screditato me e distrutto il mio amante, che pure non fu estraneo alla propria rovina."

E Serena, voce narrante del romanzo, ci racconta quell'anno e mezzo trascorso alle dipendenze dell'MI5 e, prima ancora, cosa (o, per meglio dire, chi) aveva portato nel 1972 una ragazza come lei - 21 anni, figlia maggiore di un vescovo anglicano, una laurea in matematica faticosamente ottenuta a Cambridge, disinteressata alla politica e poco attenta a quello che stava succedendo in Inghilterra, in Europa e nel mondo - a ingrassare le fila dei servizi segreti di sua Maestà, in principio come semplice segretaria e successivamente con un ruolo attivo nella cosiddetta operazione "Miele".

Scritto nel 2012 (l'anno in cui la protagonista racconta la sua storia), titolo originale "Sweet Tooth", era nella mia wish list come tutti i romanzi di McEwan che devo ancora leggere, ma mi respingeva perché dalla trama (che sconsiglio di leggere immediatamente prima di iniziare il libro perché ne fa un riassunto quasi completo) l'avevo inquadrato come una spy story e lo spionaggio è un genere che non solo non mi interessa (come il fantasy) e che non mi piace (come la fantascienza), ma che proprio mi irrita.

In "Miele" di spionaggio ce n'è, ma - infarcito com'è di accenni più o meno dettagliati a 
fatti realmente accaduti - ci sono soprattutto la politica e la geopolitica dell'epoca: la guerra fredda ("A quei tempi, per i politici e le redazioni di gran parte dei quotidiani occidentali, soffermarsi sulle iniquità del sistema sovietico era ordinaria amministrazione"), la crisi economica, la guerra in Vietnam ("Il conflitto era di una brutalità spietata nonché chiaramente fallimentare"), il Watergate, il Medio Oriente, il terrorismo ("Il terrorismo avrebbe dovuto prendersela con loro perché gli Stati Uniti iniziassero a capire qualcosa") e questi sono argomenti che mi interessano. McEwan fornisce un'ottima visione di cosa sono stati gli anni Settanta, non solo in Inghilterra.

Ci sono anche tanti libri e tantissimi autori citati, con analisi anche approfondite e molto interessanti. Non solo: Tom Haley, il personaggio al centro dell'operazione "Miele", è un aspirante scrittore con all'attivo alcuni racconti e un romanzo breve, lavori che McEwan riassume e racconta creando più volte l'effetto libro nel libro, che amo.

E c'è l'amore. O meglio, gli amori vissuti e raccontati da Serena. Soprattutto su questi c'è l'immensa bravura dell'autore nel dare voce a un personaggio femminile: se mi avessero messo in mano questo libro privo della copertina chiedendomi di indovinare chi lo avesse scritto avrei risposto senza indugio Elena Ferrante!

E poi c'è l'ultimo capitolo che racconta qualcosa di totalmente inaspettato e - soprattutto quando si legge tanto - un libro che riesce a stupire diventa commovente.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, autunno: ombrello nel testo


venerdì 1 novembre 2024

Reading Challenge: tracce di novembre

   


TRACCE MENSILI


Libere:
  • libri dove si svolge una festa o un ballo
  • libri con lo sfondo di copertina nero
  • libri cartacei fotografati vicino a una pianta

Traccia gioco di società: Indovina chi, libri dove compaiano una persona con gli occhiali, una con i capelli bianchi, una con un cappello, un uomo con i baffi o una donna con i capelli corti


Traccia vagabonda:
  • India: L'incredibile storia di Soia e Tofu, Pallavi Aiyar (1 punto)
  • Malesia: Un giorno solo, Felicia Yap (4 punti)


I miei punti di novembre: 5



mercoledì 30 ottobre 2024

"La vittima sbagliata", Helen Fields

 

Edimburgo, inizio luglio di un anno non precisato.

"C'erano posti peggiori per morire, ma ben pochi modi più terrificanti"

Il luogo è The Meadows, idilliaco parco nel cuore della città. E a morirci è Sim Thorburn, 21 anni, operatore sociale: il ragazzo viene sbudellato in pieno giorno durante un festival musicale, circondato da centinaia di persone, senza che nessuno si accorga dell'aggressione.
La notte stessa, Helen Lott, 46 anni, operatrice nel ramo delle cure palliative, viene uccisa brutalmente all'interno della sua abitazione.
Il primo caso viene assegnato all'ispettore Luc Callanach, il secondo alla detective Ava Turner, ben contenti di non dover lavorare a stretto contatto dopo il raffreddarsi dei loro rapporti.
Trascorrono tre settimane quando nel corso della stessa giornata altre due persone vengono uccise.
Né Ava né Luc hanno trovato una pista da seguire e sarà il
 blogger Lance Proudfoot a far notare a Callanach che su un muro vicino alla camera mortuaria qualcuno ha scritto in stampatello la professione della terza vittima. Un dettaglio che diventa interessante quando dagli esami emerge che il graffito è stato fatto prima dell'omicidio.

Di Helen Fields, autrice inglese mia coetanea (1969), cinque anni fa avevo già letto 
"Resti perfetti", che mi era piaciuto molto. Questo, titolo originale "Perfect Prey", è il secondo romanzo della serie di sette che ha per protagonista l'ispettore Callanach e la sciagurata Newton Compton non ha tradotto i cinque libri successivi! E dubito che mai lo farà essendo ormai una serie "vecchia" ("La vittima sbagliata" è del 2017) ed essendo passata alla traduzione dei primi due titoli (per ora gli unici) di un'altra serie della Fields, con una protagonista femminile, successiva a questa.

Avrei potuto capire la scelta di non tradurre più un autore di fronte a vendite non soddisfacenti, ma interrompere una serie per passare a un'altra lo trovo illogico e irrispettoso nei confronti dei lettori.

Mi sarebbe piaciuto andare avanti perché - sorvolando su qualche leziosità di troppo, che contrasta con certe scene raccapriccianti, che caratterizzavano anche il libro precedente - entrambi i thriller sono molto coinvolgenti, ricchi di dettagli, vengono raccontati nel modo giusto e hanno un ritmo che tiene viva l'attenzione.
Non ci sono colpi di scena memorabili: la storia - che gravita attorno al mondo del deep web - è di quelle in cui il lettore spesso sa più cose degli investigatori, ma la Fields riesce a mantenere un interesse costante per tutte le quasi 4oo pagine e non è poco.

Come in "Resti umani", anche questa storia gialla è autoconclusiva, ma la trama orizzontale che riguarda i personaggi rimane aperta per il libro successivo, che purtroppo non potrò mai leggere.

Reading Challenge 2024, traccia annuale Shopping: agenzia di viaggio

lunedì 28 ottobre 2024

"Passeggiate nei prati dell'eternità", Valeria Paniccia

 

"Un cimitero è sempre un labirinto dove bisogna accettare di perdersi, perché è solo così che se ne scoprono i tesori"

Scritto nel 2013 da Valeria Paniccia, autrice e produttrice televisiva marchigiana, "Passeggiate nei prati dell'eternità" nasce come trasmissione televisiva ("Extraterreni") per poi diventare libro. Mi sarebbe piaciuto vedere il programma per godere delle immagini, quelle che mancano su carta. Una grave pecca condivisa con le opere di Mariana Enriquez e di 
Claudia Vannucci.

Per fortuna abbiamo il web: ho cercato ogni singola tomba citata, trovando anche tutti gli approfondimenti che mancano nel testo, che nel complesso è piuttosto deludente.

Se si vogliono conoscere storia, caratteristiche, dettagli e curiosità dei vari cimiteri si apprende molto di più leggendo le pagine relative su Wikipedia o cercando approfondimenti su blog e siti vari, dove ci sono post completi e molto belli.
Cosa che non si può certo dire di questo libro.
Manca nella Paniccia una vera passione per i cimiteri e questo fa sì che non siano i protagonisti, ma solo un pretesto estroso per parlare di letteratura, scienza, politica, musica, storia, teatro, cinema, danza e non va bene perché non è quello che si cerca acquistando un libro di questo tipo.
Il turismo cimiteriale, citato all'inizio, si perde nella moltitudine di aneddoti, citazioni e divagazioni, spesso neppure collegate ai morti di cui si parla.

Il viaggio comincia a Venezia, con il San Michele in Isola, cimitero napoleonico attivo dal 1837 con la particolarità, che lo rende unico, di occupare un'intera isola della laguna.
Guida: Massimo Cacciari.


Curiosa la tomba di Helenio Herrera, con l'urna a forma di Coppa dei Campioni:


Seconda tappa, l'Acattolico di Roma (Testaccio), sorto nel 1716 per rispondere all'esigenza di avere un posto dove seppellire i tanti stranieri non cattolici (e di alta estrazione sociale ed economica) che si erano stabiliti in città nel Settecento; in precedenza venivano sepolti a Muro Torto con prostitute, attori e suicidi.
Guida: Margherita Hack.


La statua più celebre è L'angelo del dolore, scolpita da William Story che vi riposa con la moglie.


La terza tappa mi ha portata a casa, al cimitero Monumentale di Staglieno, attivo dal 1851.
Guida: Oreste De Fornari (un giornalista mai sentito, scelta a dir poco deludente).


In principio, però, l'autrice ricorda la visita fatta nel 2004 con José Saramago, quando il suo racconto "Reflusso" venne messo in scena nel cimitero dalla compagnia del Teatro dell'Archivolto (che per me, che sono di Sampierdarena dove si trova, sarà per sempre il Modena ♥).

In quell'occasione Saramago disse di Staglieno:

"Non si sente la morte, ma l'opera dei vivi. In queste sculture, c'è un accanito tentativo d'immortalità - il sogno di pietra di questi monumenti è sconfiggere la morte"

Hemingway lo definì una delle meraviglie del mondo e chi lo ha visitato non può dargli torto.


Quarta tappa, il Père-Lachaise di Parigi, in attività dal 1804 e 
intitolato a un frate libertino, confidente di Luigi XIV, che andava a riposarsi nel parco dove poi sarebbe sorto il cimitero.
Guida: Giorgio Albertazzi.


Una delle tombe più curiose è quella del professore belga Fernand Arbelot.


Quinta tappa, il cimitero Monumentale di Torino, attivo dal 1829.
Guide: Piero Chiambretti, il giornalista sportivo Gian Paolo Ormezzano e don Luigi Ciotti.


Torino, città di morte e di mistero, si dice. Anche per questo mi aspettavo molto e sono rimasta delusa. Molte delle tombe citate sono semplici lapidi a muro.

Fra i tanti lì sepolti quello che più di tutti ci tengo a ricordare è Primo Levi, a cui invece l'autrice ha dato davvero poco spazio rispetto ad altri personaggi meno meritevoli e poco rilevanti.


La Paniccia accenna poi ai chilometri di sotterranei che si sviluppano sotto al cimitero. Molto suggestiva una foto trovata su web, ma un paio di video visti successivamente su YouTube mi hanno svelato che a essere inquietanti sono soprattutto l'incuria e il degrado.


Sesta tappa, il cimitero Monumentale di Milano, inaugurato dal 1866. Dieci anni dopo è qui che divenne attivo il primo forno crematorio italiano.
Guide: Gae Aulenti e Luca Doninelli.


A leggere i nomi citati sembra di fare un giro in libreria: Feltrinelli, Mondadori, Sonzogno, Hoepli...
In generale, "la fiera delle vanità", come dice la Aulenti, e ha ragione, le tombe delle grandi famiglie milanesi sono autocelebrative, "una dimostrazione di potere", e molte sono terribili, come l'edicola del costruttore edile Gaetano Besenzanica:


O quella del nobile Leopoldo Pier d'Houy:


O quella dei Campari, dove si arriva addirittura a una rappresentazione dell'ultima cena con figure che hanno dimensioni più grandi del reale!
Ma questi ricconi lo sanno che almeno da morti siamo tutti uguali?



Settima tappa, la Certosa di Bologna, cimitero in stile neoclassico attivo dal 1801 costruito su una necropoli etrusca.
Guida Pupi Avati.


Nessuna delle tombe citate mi ha particolarmente colpita, bellissimi invece i chiostri, fra cui il chiostro III:


Il chiostro VII:


E il chiostro delle madonne, dove si trova il più antico fra la ventina di ossari del cimitero, ricavato dalla cisterna d'acqua del monastero trecentesco:


Il capitolo si chiude con Lucio Dalla, a cui l'autrice dedica appena una frase: "Lucio Dalla riposa nel campo 1971. Sembra il verso di una sua canzone."


Ottava tappa, il cimitero Novodevičij di Mosca, inaugurato nel 1898.
Guida Demetrio Volcic.


L'autrice descrive il funerale ortodosso, diverso da quelli a cui siamo abituati in Italia: le bare sono aperte perché chi muore deve vedere per l'ultima volta il cielo. Dopo trentacinque giorni parenti e amici si ritrovano sulla tomba per parlare del defunto mangiando uova e bevendo vodka. Il rito si chiama trisna.

Qui le tombe citate sono davvero particolari e uniche (ho trovato un sito russo che ne pubblica ben sessantanove). Una delle più famose è quella dell'attore e clown Yuri Nikulin e del suo cane Fyodor, che gli sopravvisse di quattro anni:


Ben più piccolo e più trascurato, ma molto suggestivo, il cimitero di Peredelkino, a venticinque chilometri da Mosca, dove nel 1932 Stalin concretizzò l'idea di Maksim Gorkij di una residenza letteraria ampliandola con quello che divenne il "Villaggio degli scrittori".


Nona tappa, Napoli.
Guida Toni Servillo.

Un capitolo piuttosto breve e confuso in cui l'autrice alterna parti legate al Monumentale di Poggioreale (Napoli), consacrato nel 1937...


...ad altre relative al cimitero di Santa Maria del Popolo, comunemente chiamato 366 fosse, che venne edificato nel 1762, un secolo dopo rispetto alla costruzione della chiesa di Santa Maria del Pianto. Nel 1865 il cimitero si sviluppò e prese il nome della chiesa.


E' il capitolo dove si parla meno di cimiteri, sembra uscito da un testo su teatro e cinema, con la descrizione di intere scene di film e rappresentazioni di Totò e di De Filippo.

Invece per il cimitero delle Fontanelle (Rione Sanità) solo un misero accenno.


Decima tappa, cimitero delle Porte Sante di Firenze, inaugurato nel 1848, si trova sul colle di San Miniato all'interno della Fortezza di San Miniato e di fianco alla basilica romanica da cui prende il nome.
Guide: Giovanni Sartori, Gabriele Lavia e il monaco Padre Bernardo.


Qui riposano Collodi, Spadolini, Cecchi Gori... ma Macchiavelli, Michelangelo, Galilei, Foscolo, Rossini e Alfieri sono nella basilica di Santa Croce. Si perdono un panorama grandioso.


Undicesima e ultima tappa, Hollywood Forever di Los Angeles, fondato nel 1899 come Hollywood Cemetery, rinominato Hollywood Memorial Park nel 1939 per prendere il nome attuale nel 1998.
Guida Gabriele Muccino.


"Luogo idilliaco. O grottesco. O un luna park." si chiede l'autrice, ma poi lei e Muccino parlano esclusivamente di film, registi e attori. Avrebbero potuto incontrarsi negli studi della Paramount, senza scomodare i defunti.

Le ultime due pagine del capitolo e del libro sono dedicate a un altro cimitero di Los Angeles, il Forest Lawn.


Poco più di un elenco di nomi delle celebrità che ospita, cominciando da Michael Jackson, Liz Taylor, Hunphrey Bogart, Spencer Tracy, Clark Gable e tanti altri.

Reading Challenge 2024, traccia di ottobre: libri in cui almeno una scena si svolge in un cimitero

sabato 26 ottobre 2024

"Verso la bellezza", David Foenkinos

 

"Cari tutti,
sono profondamente dispiaciuto per la preoccupazione che vi ho dato. Gli ultimi giorni sono stati talmente frenetici che non ho potuto rispondere ai vostri messaggi. State tranquilli, va tutto bene. Ho solo deciso di partire per un lungo viaggio. Come sapete, è da tempo che sogno di scrivere un romanzo, e così mi sono preso un anno sabbatico e me ne sono andato. So che avrei potuto fare una festa d’addio, ma è stato tutto così veloce. Non me ne vogliate, ma per portare a termine il progetto ho bisogno di isolarmi dal mondo. Sarò senza telefono. Mi farò vivo via mail.
Vi voglio bene,
Antoine"

E' questo il messaggio che Antoine Duris, 37 anni, docente all'Accademia di Belle Arti di Lione, scrive a familiari, amici e colleghi. Tutti pensano che abbia avuto bisogno di allontanarsi per superare la fine della relazione con Lousie. Nessuno sa che si è stabilito a Parigi andando a lavorare come guardasala al museo d’Orsay. Soprattutto nessuno sa cosa lo ha spinto a farlo, un malessere profondo che non ha nulla a che vedere con l'amore infranto.

E' il quinto romanzo che leggo di Foenkinos, ben quattro quest'anno: diventa così l'autore di cui ho letto più titoli nel corso del 2024 e difficilmente verrà superato. E' curioso perché, pur apprezzandolo, non è il mio scrittore preferito.

Le "Due sorelle" lo avevo trovato migliore rispetto ai precedenti, ma questo (scritto nel 2018) lo supera, è splendido e credo proprio che entrerà nella mia top ten dei libri più belli dell'anno.

All'inizio è quasi noioso, il linea con il protagonista, un uomo piuttosto banale che non riesce a rassegnarsi alla perdita della compagna che lo ha lasciato dopo sette anni senza farsi remore. A Parigi la sua esistenza diventa ulteriormente piatta, ma l'ultimo capitolo della prima parte segna la svolta e il libro cambia marcia in un crescendo di drammaticità, inaspettata e sconvolgente, con Antoine che lascia il posto di protagonista a un altro personaggio a cui è impossibile non affezionarsi.

Non voglio dire di più, è un libro che va letto e amato.

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