Stephen Leibman bussa alla porta della casa sede di una sorellanza nell'Indiana. Uccide nove ragazze con un coltello da caccia. Unica sopravvissuta: Lisa Milner.
Quattro anni dopo Calvin Whitmer uccide cinque persone con un trapano in un motel di Tampa, in Florida. Unica sopravvissuta: Samantha Boyd.
Otto anni dopo Joe Hannen uccide cinque studenti universitari con un coltello da cucina in un rifugio sui Poconos, in Pennsylvania. Unica sopravvissuta: Quincy Carpenter.
New York, inizio autunno di un anno non precisato. Sono trascorsi dieci anni dalla strage di Pine Cottage e Quincy ha voltato pagina, almeno all'apparenza. Adesso ha 29 anni, cura un blog di pasticceria e vive con il suo compagno Jeff a due passi da Central Park. Nella sua mente c'è un vuoto di un'ora: di quella notte al rifugio non ricorda nulla dal momento in cui aveva visto la sua amica Joelle uscire dal bosco orrendamente ferita fino a quando, anch'essa ferita, era riuscita ad arrivare alla strada buttandosi fra le braccia del poliziotto che le stava andando incontro. Quell'uomo era Coop. Dopo non hanno mai perso i contatti, così è da lui che viene a sapere che Lisa si è uccisa tagliandosi le vene.
Le 117 pagine lette tutte d'un fiato ieri sera (e per me sono tante) per concludere il libro e scoprire come sarebbe andato a finire mi dicono che sarei un'ingrata se ora lo criticassi, ma - nonostante a un certo punto la storia mi abbia presa tantissimo, come ci si aspetta da ogni thriller e come, invece, spesso non accade - non posso parlarne come di un romanzo perfetto perché non lo è.
Scritto nel 2017, opera prima di Riley Sager, statunitense classe 1974, fra i capitoli ambientati nel presente (con Quincy come voce narrante) ne inserisce alcuni dedicati alla notte della strage nel rifugio (fatti descritti in terza persona), ricostruendo man mano le rispettive dinamiche (non sempre convincenti) diventando così un doppio thriller perché il mistero avvolge sia il passato che l'oggi.
Sager non approfondisce la sindrome del sopravvissuto, come era logico aspettarsi, aggiungendo invece aspetti superflui: si sarebbe potuto fare a meno di almeno un centinaio delle sue 432 pagine eliminando alcuni risvolti che non sono utili alla vicenda vera e propria. In particolare non c'era alcun bisogno di trasformare Quincy e Samantha in guerriere della notte, con espressioni come "Dacci dentro, tigre", un buon esempio di quello che è il maggior difetto del libro: i dialoghi. Un livello davvero basso, più adatto a un Young Adult che a un romanzo destinato a un target diverso.
Ma sono proprio i personaggi, col loro modo di ragionare e di comportarsi, ad avere spesso tendenze adolescenziali abbastanza disturbanti, che finiscono col penalizzare fortemente il libro, nonostante abbia più suspense di tanti altri thriller in circolazione e per questo leggerò ancora Sager, sperando di trovare una maggiore maturità nei suoi titoli successivi.
Turismo di immagini, la bellezza delle Pocono Mountains:
Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, primavera: vittima nel testo
Quattro anni dopo Calvin Whitmer uccide cinque persone con un trapano in un motel di Tampa, in Florida. Unica sopravvissuta: Samantha Boyd.
Otto anni dopo Joe Hannen uccide cinque studenti universitari con un coltello da cucina in un rifugio sui Poconos, in Pennsylvania. Unica sopravvissuta: Quincy Carpenter.
New York, inizio autunno di un anno non precisato. Sono trascorsi dieci anni dalla strage di Pine Cottage e Quincy ha voltato pagina, almeno all'apparenza. Adesso ha 29 anni, cura un blog di pasticceria e vive con il suo compagno Jeff a due passi da Central Park. Nella sua mente c'è un vuoto di un'ora: di quella notte al rifugio non ricorda nulla dal momento in cui aveva visto la sua amica Joelle uscire dal bosco orrendamente ferita fino a quando, anch'essa ferita, era riuscita ad arrivare alla strada buttandosi fra le braccia del poliziotto che le stava andando incontro. Quell'uomo era Coop. Dopo non hanno mai perso i contatti, così è da lui che viene a sapere che Lisa si è uccisa tagliandosi le vene.
Le 117 pagine lette tutte d'un fiato ieri sera (e per me sono tante) per concludere il libro e scoprire come sarebbe andato a finire mi dicono che sarei un'ingrata se ora lo criticassi, ma - nonostante a un certo punto la storia mi abbia presa tantissimo, come ci si aspetta da ogni thriller e come, invece, spesso non accade - non posso parlarne come di un romanzo perfetto perché non lo è.
Scritto nel 2017, opera prima di Riley Sager, statunitense classe 1974, fra i capitoli ambientati nel presente (con Quincy come voce narrante) ne inserisce alcuni dedicati alla notte della strage nel rifugio (fatti descritti in terza persona), ricostruendo man mano le rispettive dinamiche (non sempre convincenti) diventando così un doppio thriller perché il mistero avvolge sia il passato che l'oggi.
Sager non approfondisce la sindrome del sopravvissuto, come era logico aspettarsi, aggiungendo invece aspetti superflui: si sarebbe potuto fare a meno di almeno un centinaio delle sue 432 pagine eliminando alcuni risvolti che non sono utili alla vicenda vera e propria. In particolare non c'era alcun bisogno di trasformare Quincy e Samantha in guerriere della notte, con espressioni come "Dacci dentro, tigre", un buon esempio di quello che è il maggior difetto del libro: i dialoghi. Un livello davvero basso, più adatto a un Young Adult che a un romanzo destinato a un target diverso.
Ma sono proprio i personaggi, col loro modo di ragionare e di comportarsi, ad avere spesso tendenze adolescenziali abbastanza disturbanti, che finiscono col penalizzare fortemente il libro, nonostante abbia più suspense di tanti altri thriller in circolazione e per questo leggerò ancora Sager, sperando di trovare una maggiore maturità nei suoi titoli successivi.
Turismo di immagini, la bellezza delle Pocono Mountains: