domenica 27 ottobre 2019

"Storia della bambina perduta", Elena Ferrante


Quarto e, ahimè, ultimo volume della tetralogia di Elena Ferrante che qui racconta gli anni della maturità e della vecchiaia, partendo dal 1976 arrivando al 2010, cioè all'incipit del primo romanzo, quando Elena comincia a scrivere la sua storia e quella di Lila dopo aver saputo della sparizione dell’amica dal figlio di questa, andando poi anche leggermente oltre e l’epilogo di questa saga è splendidamente… geniale!
 
Un finale che mi ha appagata tanto da spazzare via la tristezza che provavo mentre mi avvicinavo alla fine, ben sapendo che questi personaggi dopo più di 1.700 pagine lette nell’arco di un mese e mezzo avrebbero lasciato un grosso senso di vuoto in me.

Con il ritorno di Elena a Napoli i contatti fra le due donne riprendono la costanza del passato, con i soliti alti e bassi, i soliti contrasti, e la loro “amicizia” (che scrivo fra virgolette perché l’idea che ho io di amicizia non può raggiungere il livello di conflittualità che sicuramente fa parte di Elena e probabilmente anche di Lila) è protagonista come non era mai stata veramente nei tre volumi precedenti.

Anche in questo la Ferrante, raccontandoli attraverso il modo in cui i suoi personaggi li hanno vissuti, non dimentica nessun evento epocale, nazionale e non, dai terremoti del Friuli e dell’Irpinia a Chernobyl fino all’11 settembre. La piaga dell’eroina, l’AIDS. E, di nuovo, ancora tanta politica, la crisi del capitalismo, le Brigate Rosse e il sequestro Moro, la strage di Bologna, la corruzione del pentapartito, mani pulite e l’ascesa di Berlusconi.
Spesso solo degli accenni, ma capaci di spingere a riflessioni profonde su cosa sia davvero cambiato - o meno - in Italia nell’arco dei sessant’anni successivi alla fine della guerra.

Trattandosi dell’ultima puntata le considerazioni si estendono all’intera opera, per me meravigliosa. Oltre all’epilogo, trovo geniale la struttura, l’essere andati a ritroso partendo da una telefonata avvenuta nel presente.

Avrei forse preferito (ma questo sempre) l’uso della terza persona: un narratore esterno permette all’autore di fornire più punti di vista arricchendo la storia, mentre il fatto che ricordi e opinioni siano solo di Elena mi ha lasciato un senso di “incompletezza” per quanto riguarda il personaggio di Lila, indubbiamente il mio preferito.

Ma torno all’uso delle virgolette (e ce ne vorrebbero milioni) per incompletezza perché la descrizione dei personaggi è il grande capolavoro della Ferrante. Sono tanti, a partire dai vari nuclei familiari del rione, ventaglio che si allarga a livello cittadino nel secondo volume e nazionale nel terzo, per tornare al rione nel quarto. Tutti i personaggi seguono il loro percorso, crescono, maturano, invecchiano, alcuni muoiono, e la Ferrante li descrive così bene da farli diventare più reali di quanto non siano i nostri veri vicini di casa e conoscenti.

E’ Napoli a uscire con le ossa rotte da questa tetralogia. Ho avuto l’impressione che l’autrice si sia resa conto in extremis di essere stata troppo dura nei confronti della sua città dedicandole sul finale due capitoli in cui ha cercato di recuperare qualcosa attraverso gli occhi di una delle figlie di Elena che all'improvviso veste i panni da turista. Un po’ poco per una Napoli sicuramente più violenta e corrotta di tante altre città italiane, ma non certo il male del mondo e con oggettivi pregi, non solo artistici e territoriali, a cui la Ferrante non dà il giusto merito.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo collego a "Storia di chi fugge e di chi resta" perchè editi dalla stessa casa editrice (e/o)