sabato 7 dicembre 2019

"Il gatto che scoprì il Natale", Lili Hayward


Valle di Yensyul (Cornovaglia), giorni nostri. Enysyule è un cottage in granito vecchio di 500 anni da sempre conteso da due famiglie del posto, i ricchissimi Tremennor e gli umili Roscarrow. Thomasina Roscarrow, l’ultima anziana proprietaria, è morta da sei mesi lasciando all’agenzia immobiliare del paese il compito di dare in affitto il cottage con un vincolo particolare: l’affittuario non dovrà prendersi cura soltanto della casa, ma anche di Perrin, il gatto che la abita da sempre…

Perfetta new entry per la categoria “libri che di bello hanno solo la copertina”! Tanto bella quanto imprecisa nella versione italiana perchè Perrin è un gatto nero, non rosso, e anche per il titolo visto che di Natale ce n’è poco e Perrin non lo scopre. So che sono dettagli che danno fastidio solo ai precisini come me, ma alla Newton Compton sarebbe bastato non modificare la versione originale:

 
E avrei qualcosa da ridire anche sulla sinossi perché lascia sì intendere un legame fra passato e presente, ma se leggendola mi fosse stato chiaro che la “strana magia nell’aria” non era riferita all’atmosfera natalizia, ma alle visioni della protagonista non lo avrei certo inserito nella mia wish list.

Anche sorvolando sul fastidio che personalmente provo per queste tematiche, il romanzo è comunque una favoletta sempliciotta, con la ragazza dibattuta fra il figlio del proprietario del maniero del villaggio e il nipote del pescatore e che si affeziona immediatamente (e assurdamente) a una casa sporca, mal ridotta, priva di corrente elettrica e di acqua calda e che, soprattutto, ha affittato soltanto per un anno.

L’assenza di capitoli, che nella prima parte della lettura mi ha disturbata non poco, proseguendo è diventata l’unico particolare interessante, anche se un autore più capace avrebbe saputo creare meglio quella continuità che penso fosse l’obiettivo di questa scelta.

E la scrittura è in linea con la trama, banale e poco interessante, con troppe ripetizioni (Jess vede ben nove cose con la coda dell’occhio, Perrin raramente miagola, ma gnaula in continuazione, ecc…) ed espressioni usate, immagino, per fare scena, ma senza senso, come “un paio di gabbiani che si gridano oscenità” o “la ragazza malmenata dalle zampe della tempesta” e anche “la canzone che le riecheggia nella testa, come un filo pendente da un rocchetto di cotone”.

Estrosità dell’autrice o di chi ha tradotto, non ho modo di saperlo, di certo è stato molto più disturbante trovare un povero maiale allo spiedo nel gioioso elenco degli elementi della festa del paese, citato fra bancarelle, vin brulé, musicisti e lucine colorate.

Animali trattati al pari di oggetti.

E buon Natale :-/

Reading Challenge 2019: questo testo risponde alla Traccia di dicembre "un libro con la copertina rossa"