domenica 11 dicembre 2022

"Lo schiaccianoci", Ernst T. A. Hoffmann

 

Ho sempre trovato i soldatini schiaccianoci di una bruttezza e di un'antipatia angoscianti.
Se ho ceduto alla settima traccia dell'avvento della Reading Challenge, che chiedeva proprio la lettura di questa favoletta, è stato solo per il piacevole ricordo che mi hanno lasciato le "Considerazioni filosofiche del gatto Murr" (che avevo letto a gennaio dello scorso anno) e per il legame che sento di avere con Hoffmann, di cui ho già scritto in quella recensione.

Gli Schiaccianoci nascono in Germania ed esistono due leggende, entrambe risalenti alla fine del 1600 e legate alla stessa zona, quella dei Monti Metalliferi (Erzgebirge) nella Sassonia meridionale.

Una delle due è quasi più fiabesca della fiaba stessa: il "c'era una volta" riguarda un uomo - tanto ricco quanto solo a causa del suo pessimo carattere - che trascorreva i Natali a rompere le noci raccolte nei suoi boschi. Invecchiando aveva promesso una ricompensa per chi fosse riuscito a inventare un attrezzo capace di alleviargli lo sforzo. Vinse un contadino producendo un soldatino intarsiato nel legno e dotato di un meccanismo che gli permetteva di frantumare i gusci di noce schiacciandoli con la mascella. L'invenzione fece breccia nel cuore dell'uomo che diventò un benefattore per l'intero paese.

L'altra leggenda racconta che gli abitanti del posto costruirono un gigantesco soldatino di legno a rappresentanza della loro ribellione per l'inasprimento delle tasse: questa versione è molto più realistica e dà allo Schiaccianoci una bella immagine di simbolo di protesta. La preferisco a quella di illusorio portafortuna che in epoca moderna è stata attribuita a questi oggetti, che hanno perso anche la loro funzione di schiaccianoci, diventando solo l'ennesimo decoro natalizio nelle case e nei negozi.

Sia come sia, Hoffmann per primo (parliamo del 1816, mentre "La storia di uno schiaccianoci" di Alexandre Dumas padre è del 1845, che però ebbe molto più successo ed è a Dumas che Čajkovskij si ispirò per il suo balletto nel 1892) ha costruito attorno a lui questa storia, il cui titolo completo è "Lo schiaccianoci e il re dei topi".

Appena 112 pagine nella mia edizione, che iniziano la sera del 24 dicembre quando Fritz e Marie, i figli del Consigliere Stahlbaum, fremono cercando di immaginare quali regali li aspettano sotto l'albero allestito in salotto, dove non hanno avuto il permesso di entrare per tutto il giorno. In particolare si chiedono cosa porterà per loro il padrino Drosselmeier.

Ovviamente sotto l'albero c'è uno Schiaccianoci, il protagonista, che dopo questa lettura non mi è diventato più simpatico e a cui ho preferito di gran lunga il personaggio di Frau Mauserinks.
Il finale a misura di bambino, 
con il classico "e vissero felici e contenti", mi ha molto delusa perché non in linea con l'Hoffmann che conoscevo per il gatto Murr (scritto quattro anni dopo).

Ma del resto a me le favole non piacevano neppure quando ero piccola, figuriamoci adesso.

Certo ho apprezzato la morale, concordo sul fatto che il gradimento di un regalo non dipenda dalla sua grandezza o dal suo valore, a patto di non essere una persona avida che usa il soldo come bilancino e io non sono così. Ma - ahimè - non sono neppure un cuore tenero da "basta il pensiero". Ho risolto la questione smettendo di fare regali e chiedendo di non riceverne. Triste? Forse, ma non più del farli per obbligo e del dover indossare la maschera della riconoscenza all'apertura di un dono mentre nella testa volano i vaffa...

Reading Challenge 2022, traccia dell'avvento di dicembre: leggere "Lo schiaccianoci"