giovedì 24 agosto 2023

"Everyman", Philip Roth

 

Nella parte ebraica di un cimitero disastrato del New Jersey, in una data non precisata, alcune persone sono raccolte attorno a una fossa. Dentro alla bara c'è un uomo morto due giorni prima durante un'operazione al cuore. A guardarla ci sono Randy e Lonny (i due figli avuti dalla prima moglie, presenti solo per obbligo), Nancy (la figlia avuta dalla seconda moglie, disperata per la perdita dell'amato padre), Phoebe (la madre di Nancy, colma di dispiacere, non solo per la morte dell'ex marito, ma anche per gli spiacevoli ricordi che lo avevano fatto diventare ex), il fratello dell'uomo (più anziano, ma che ha goduto di una salute migliore del minore per tutta la vita), la cognata e alcuni ex colleghi pubblicitari.

Philip Roth - che con questo romanzo del 2006 aveva vinto per la terza volta (un record) il Premio PEN/Faulkner per la narrativa - parte dalla morte del suo protagonista (di cui non ci svelerà mai il nome) per raccontarci la sua vita. Non una vita eccezionale, ma nemmeno una vita comune, non tanto per la tripletta di matrimoni (e successivi divorzi) e di figli, quanto per la sfilza di interventi che non rendono certo invidiabile l'esistenza del personaggio.
Una prima operazione all'ernia quando aveva appena 9 anni; a 34 peritonite con salvataggio in extremis; a 56 un primo intervento al cuore; e dai 65 alla morte ogni anno sotto ai ferri per liberare un'arteria, mettere il defibrillatore, aggiungere uno stent, fino all'ultima anestesia senza risveglio.

Un libro triste? Dipende dalla propria sensibilità o forse dalla paura che si ha (o non si ha) della morte. Il protagonista ne ha (Wikipedia informa che "il titolo è tratto da un anonimo morality play quattrocentesco, un classico della prima drammaturgia inglese, che ha per tema la chiamata di tutti i viventi alla morte"), ma soprattutto è stanco di finire ogni anno in sala operatoria, non tanto da agognare la fine, piuttosto arrabbiato per non essere una di quelle persone che godono di una salute di ferro, come suo fratello, che adora, ma verso il quale si ritrova rancoroso perché gli invidia l'aver ereditato la salute genitoriale.

Genitori che muoiono prima di lui e quando Roth mette il suo protagonista sulla loro tomba per la prima volta mi ha fatto piangere, non per i suoi personaggi, ma per quello che diceva di loro e che io ho riportato su mia madre e mio padre, che hanno smesso di vivere da un bel po', lei senza neppure avere il tempo per diventare vecchia.

"Non era mai stato difficile capire i suoi genitori. Erano una madre e un padre. Non avevano molti altri desideri."

Un libro grandioso (tranne per il disturbo che mi dà la copertina perché è così che io "vedo" senza gli occhiali, grazie al mio "meraviglioso" mix di astigmatismo, presbiopia e miopia...).
Un capolavoro di appena 123 pagine in cui Roth riesce a inserire la seconda Guerra Mondiale e l'attentato alle torri gemelle. Sentimenti di ogni tipo. Ma soprattutto fa capire a chi non c'è ancora arrivato cosa voglia dire invecchiare, ammalarsi, rallentare, sperimentare che ci sono sempre meno persone ancora in vita fra quelle che abbiamo conosciuto con la consapevolezza di essere un'altra foglia prossima a cadere.

"La vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro"

Eppure non è un libro triste: è un libro bellissimo.

Reading Challenge 2023, traccia annuale di maggio: libri le cui iniziali dei titoli compongono il proprio nome