lunedì 30 settembre 2024

"Il grande mare dei Sargassi", Jean Rhys

 

Chi ha letto "Jane Eyre" conosce Bertha, la prima moglie (creola) di Mr Rochester, la donna che lui porta in Inghilterra segregandola nella soffitta della sua magione dopo averla fatta dichiarare pazza.
Una figura inquietante, ma marginale, nel romanzo di Charlotte Bronte, mentre Jean Rhys (pseudonimo di Ella Gwendolen Rees Williams, nata in Dominica nel 1890 e morta nel Devon 89 anni dopo) ne fa la sua protagonista, raccontandone l'esistenza in questo che è a tutti gli effetti il prequel del grande classico inglese. 

La fa nascere in Giamaica negli anni Trenta dell'Ottocento e le dà un nome, Antoinette, facendo diventare quello di Bertha un'imposizione del marito. Le dà un cognome di nascita, Cosway, e le fa poi prendere quello del patrigno, Mason. Le dà una madre (pazza) e un fratellino (minorato mentale). E le dà una tenuta, a Coulibri.

Nella prima delle tre parti, tutte prive di capitoli (cosa che ha rallentato terribilmente il mio ritmo di lettura), l'autrice ci racconta la vita di Antoinette dalla nascita al matrimonio con l'inglese, che non viene mai nominato.

La seconda è la più lunga (nel mio Kindle è iniziata al 27% arrivando al 91 e mi è parsa infinita) ed è Rochester il protagonista, viene spiegato cosa lo ha portato al matrimonio con l'ereditiera e si concentra sull'ultima tappa del viaggio di nozze, iniziato in Giamaica fino all'approdo nella vecchia casa della madre di lei, immersa nella natura della Martinica.

Nella terza e ultima parte Antoinette diventa Bertha e vive reclusa in Inghilterra.

Un romanzo di cui ho sempre sentito parlare come di un capolavoro, ma che ho trovato terribilmente noioso.

Salvo la prima parte per le tematiche che tocca e che rendono indispensabile approfondire la storia della Giamaica, in particolare - per poter inquadrare al meglio il contesto della storia raccontata dalla Rhys - occorre sapere che questa si sviluppa negli anni immediatamente successivi all'abolizione della schiavitù (1834) e alla completa emancipazione degli schiavi (1838). Atti sacrosanti che però non ebbero l'effetto di dissipare l'odio fra gli ex schiavi e gli oppressori.

All'inizio il libro descrive le difficoltà della convivenza fra le varie etnie, dove non ci sono solo bianchi o neri, ma anche neri-bianchi e bianchi-neri. I creoli, o meticci che dir si voglia, come Antoinette.

"Era una canzone che parlava di una blatta bianca. Di me, insomma. Ci chiamano tutti così, noi che eravamo qua prima che la loro gente in Africa li vendesse ai mercanti di schiavi. E ho sentito delle donne inglesi che ci chiamavano negri bianchi. Così, in mezzo a voi, spesso mi domando chi sono e dov’è il mio paese e a quale luogo appartengo e addirittura perché sono nata."

Qualcosa che la Rhys - nata nei Caraibi da madre creola di origini scozzesi e da padre gallese e trasferitasi in Inghilterra a sedici anni - deve aver probabilmente sperimentato in prima persona.

Salvo anche la terza parte, perché breve e per l'atmosfera piacevolmente cupa.

E' di quella centrale che non riesco a salvare nulla: ripetitiva e onirica, le due principali caratteristiche che mi rendono pesante qualsiasi lettura e questa è stata per me un vero e proprio macigno.

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