lunedì 16 settembre 2024

"Il traghettatore", William Peter Blatty

 

New York, anni Novanta, inizio giugno. Elsewhere è un edificio in pietra grigia a pianta rettangolare, con tetti spioventi e merlature che ricordano quelle degli antichi castelli. A renderla particolare è il luogo in cui è stata costruita, nel 1937: su un isolotto al centro del fiume Hudson. A renderla invendibile, invece, è la sua fama di casa infestata.
Joan Freebord, 34 anni, brillante agente immobiliare, allettata dalla prospettiva di una provvigione a sei zeri, accetta l'incarico di riabilitarla. Trascorrerà cinque giorni nella casa con un professore esperto di fenomeni paranormali, una sensitiva e un amico scrittore: i primi due dovranno appurare che non ci sono fantasmi, quindi il terzo dovrà scrivere un reportage che - grazie al prestigio datogli dal Pulitzer - non temerà smentite.
Ma il piano di Joan inizierà a vacillare già dalla prima sera...

"L'esorcista", letto da ragazza, è in assoluto il libro che più mi ha spaventata: nonostante avessi già visto il film più di una volta, in alcuni passaggi era riuscito a terrorizzarmi e non esagero.

"Il traghettatore", scritto da Blatty nel 2009, non si avvicina neppure lontanamente al livello dell'altro, ma un po' di strizza qua e là me l'ha messa eccome.

Ne rimandavo la lettura da anni per "colpa" di mia sorella, che lo aveva trovato così noioso da riuscire a finirlo con fatica, e credo sia anche merito suo se invece a me è piaciuto: come quando una persona ci viene descritta in maniera talmente negativa che poi, faccia a faccia, non ci sembra tanto male.

Il libro di difetti ne ha e non sono di poco conto.

In particolare non ha nulla di originale, ma scrivere un horror incentrato su una casa infestata senza inscenare sedute spiritiche, rumore di passi, presenze evanescenti e colpi sui muri lo definirei più impossibile che difficile. Ovviamente non mancano il temporale e l'isolamento totale.

Anche lo stile ha parecchie criticità con personaggi un po' troppo stereotipati, dialoghi superficiali e spesso banali, e descrizioni più adatte a un romance che a un horror ("Calda e misteriosa, come un prato pieno di fiori scuri, una voce roca galleggiò nella stanza accompagnata dal soffio di un’emozione indefinita, simile all’eco di un’estate di grazia perduta da troppo tempo.").

E poi c'è il finale, che ricorda moltissimo quello di un celebre (e meraviglioso) film (che non cito per evitare lo spoiler), ma se a mente fredda mi rendo contro che non ha nulla di strabiliante, a caldo mi ha conquistata e, non avendolo intuito in precedenza, ho potuto gustarmi pienamente la sorpresa. 

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