giovedì 2 settembre 2021

"Eredità", Vigdis Hjorth


Lillestrom, contea di Viken (Norvegia), 17 dicembre 2013. Un uomo di 85 anni cade dalle scale della sua grande casa mentre sta scendendo per andare ad aprire la porta agli idraulici. Muore il giorno dopo per le complicanze dovute alla caduta. Lascia una moglie, un figlio, tre figlie, alcune società, molti soldi e due ville al mare. E saranno queste due case, lasciate in eredità unicamente alle due figlie minori, a risvegliare i rancori del figlio maschio - che fin da piccolo ha sofferto per la scarsa considerazione del padre - e a ridare voce a tutte le angosce della primogenita, che da quel padre ha patito per ben altro e ben di più.

Quando gli avvenimenti di un libro possono essere raccontati in poche righe è evidente che la trama non è il suo punto di forza. "Eredità" è un romanzo fortemente introspettivo. Vincitore dei due massimi premi letterari norvegesi (il Norwegian Booksellers' Prize e il Norwegian Critics Prize), definito un romanzo di alta letteratura da "Altenposten" (l'equivalente norvegese del nostro Corriere della Sera) e osannato dalle principali testate mondiali (come riportato nella sinossi), io l'ho trovato di una pesantezza assoluta.

Iniziato il 16 agosto, sono riuscita a finirlo soltanto ieri sera: tutte le volte in cui avevo tempo per leggere era sempre un altro dei titoli in lettura a "chiamarmi" e negli ultimi giorni mi ci sono dedicata con impegno non per voglia o per interesse, ma per il bisogno di arrivare al termine e mettere fine a questo tormento.

Le 374 pagine sono divise in ben 139 capitoli, alcuni medi, pochi piuttosto lunghi e la maggior parte brevissimi, anche solo di poche righe. L'autrice attraverso la voce narrante - quella di Bergljot, la primogenita, critica e redattrice teatrale over 50, madre di tre figli adulti, nonna, figlia, sorella, ex moglie, compagna, amica, ecc - e con salti temporali a cui ho faticato un po' ad abituarmi, maschera dietro alla contesa ereditaria delle due case al mare il vero fulcro del romanzo, facilmente intuibile.

Relegare ai margini del raccontato il vero protagonista, cioè il dramma, è stata una scelta originale e per certi versi di effetto, però tutto quel gran parlare dell'eredità, ripetendo più e più volte le stesse questioni, l'ho trovato sfinente. E, proprio perchè ripetitivo, non ho apprezzato lo stile dell'autrice.

"Dissi loro che mi sentivo sollevata perchè adesso non temevo più nulla di sgradevole da parte di mio padre. Risposero che capivano bene cosa intendessi dire. Ammisi che il pensiero del funerale mi terrorizzava, risposero che capivano bene cosa intendessi dire. Dichiarai che temevo il peccato originale, risposero che capivano bene cosa intendessi dire"

Oppure...

"Lars era seduto nella sua poltrona preferita, quella rivolta verso il prato, il bosco e il fiume. Non stava leggendo i giornali, non stava fumando, guardava il prato, il bosco e il fiume"

Se proseguissi con gli esempi dovrei ricopiare quasi l'intero libro. Le ripetizioni non mi dispiacciono quando vengono usate come rafforzativo per sottolineare un concetto importante, ma quelle della Hjorth non le ho trovate utili alla prosa e l'abuso che ne ha fatto ha reso la lettura pesante e noiosa. Per me non è un bel modo di scrivere.

E i riferimenti a Jung e a Freud non sono stati sviluppati in modo da poter risultare interessanti a chi è ignorante come me nella materia in questione. I conflitti interiori di Bergljot sono quelli di una persona irrisolta, ma la ripetitività del testo finisce col produrre fastidio anzichè la dovuta comprensione. Ma ovviamente non è lei il personaggio peggiore: fra madre, padre, sorelle, fratello, compagno, amiche, amici, si salva solo Trofast, il cane!

"La vita degli uomini è paragonabile ai romanzi, pensai, quando hai letto molte pagine di un libro, anche se è noioso, ti chiedi come continuerà"

Mica vero, quando è noioso l'unica cosa che ti chiedi è: ma perchè non sono capace di abbandonare i libri che non mi piacciono?

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla terza traccia annuale, "sei libri, l'iniziale dei titoli deve formare la parola Austen"