Venerdì 13 gennaio 2012, mar Tirreno, 42° 21’ 55” latitudine nord, 10° 55’ 48” longitudine est, ore 21:45:07.
La Costa Concordia, come ogni venerdì sera, transita davanti all'isola del Giglio durante il suo viaggio verso il porto di Savona. Sarà l'ultima volta. Per compiere un inchino l'enorme nave viene fatta avvicinare troppo alla costa, talmente tanto da urtare il più piccolo degli scogli de Le Scole, a sud dell'isola. L'impatto provoca uno squarcio di 36 metri nello scafo e 32 vittime.
Dieci anni dopo Pablo Trincia, giornalista e autore televisivo, lancia il podcast dove racconta il naufragio e i fatti successivi. Dal podcast viene poi tratto questo libro. Curioso come io, che non ho mai ascoltato un podcast (non per disinteresse: li evito proprio perché temo di appassionarmici senza avere del tempo da dedicarvi), mi sia ritrovata a leggere contemporaneamente due libri (questo ed "Enigmi e misteri della storia") nati da podcast.
Con Polidoro avevo avvertito parecchio la sensazione di leggere un libro che in realtà non era un libro, ma una trascrizione - come quando molti anni fa ho letto il (pessimo) libro tratto dal (meraviglioso) film "Braveheart. Cuore impavido" - mentre "Romanzo di un naufragio" ha una scorrevolezza decisamente migliore.
La storia che racconta è tristemente nota.
Trincia, oltre a dare voce ad alcuni passeggeri, passa in rassegna i fatti di quel giorno basandosi sulle testimonianze, ma soprattutto sui dialoghi registrati dal Vdr, la "scatola nera" della nave, e su quanto emerso al processo.
Processo che nel 2017 condannò il comandante della nave a 16 anni e un mese di reclusione per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, naufragio e abbandono della nave (gli altri imputati hanno accettato il patteggiamento spuntando così pene minori).
In questo video di Rai2 due avvocati dell'ex comandante cercano di sminuire le responsabilità del loro assistito dicendo che non fu il solo a sbagliare, ad esempio vi furono due errori di comprensione da parte del timoniere indonesiano, mai portato a processo perché rientrò subito al suo Paese rendendosi irrintracciabile.
Ok.
Ma Francesco Schettino è un personaggio indifendibile.
Tralasciando la celebre telefonata fra lui e il capitano De Falco, dal libro di Trincia emerge (dalle registrazioni a bordo) come alla prima occasione, pochi minuti dopo l'impatto, Schettino facesse già il primo tentativo di scaricare la colpa su qualcun altro; come venticinque minuti dopo l'impatto, informato che sei generatori erano fuori uso e che i locali inferiori erano allagati, continuasse a non impartire gli ordini necessari per la sicurezza delle persone a bordo; come non contattò gli organi preposti per dare l'allarme; come mentì alla Capitaneria del Porto di Livorno dichiarando che si trattava di un black-out e ammettendo solo cinquanta minuti dopo la presenza di una falla, arrivando all'ordine di abbandonare la nave dopo più di un'ora dall'impatto.
Decisioni tutte sbagliate che rallentarono di molto le operazioni di soccorso.
Lo stesso Schettino quattro giorni dopo il naufragio aveva ammesso delle responsabilità, poi ritrattate al processo e nel suo libro dove accusa gli altri ufficiali e l'equipaggio, riconoscendosi il merito di aver salvato migliaia di vite con la manovra finale per spingere la nave verso la costa, quando in realtà il merito andava al vento di grecale.
Trincia ha fatto un ottimo lavoro, rendendo onore a chi si è distinto per coraggio salvando vite umane, nel caso di Giuseppe Girolamo, uno dei musicisti della nave, arrivando a sacrificare la propria.
Però ha esagerato citando il Titanic ben trentacinque volte, tracciando spesso similitudini che oggettivamente non ci sono.
Il disastro della Concordia non ha bisogno del Titanic per fare più sensazione.
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