mercoledì 29 gennaio 2025

"Bucaneve", Mélissa Da Costa

 

Lione, autunno 2008. Ambre Miller ha vent'anni e pensa di non essere mai stata amata. Non dalla sua famiglia, dove non c'è condivisione, non c'è dialogo, non c'è affetto. E non da Philippe, il quarantenne di cui da un anno è l'amante e che non ha nessuna intenzione di lasciare moglie e figli per lei. E' lui a trovarla immersa nella vasca da bagno con le vene dei polsi tagliate. Ed è sempre lui a procurarle un lavoro stagionale come cameriera all'hôtel restaurant Les Mélèzes di Arvieux, sulle Alpi francesi. Ambre accetta per mancanza di alternative, non è riuscita a farla finita, ma non sa cosa farsene della vita. E dover fare i conti con l'euforia dei nuovi colleghi complica ulteriormente il suo fragile stato emotivo.  

"Ti ci dovrai abituare. La vita di noi stagionali è così... Siamo una famiglia, si finisce sempre per aver bisogno gli uni degli altri. Non è un difetto. E' normale. Forse hai pensato che fosse difficile venire qui, ma lo sarà ancora di più andare via. Vedrai. Saremo diventati tutti una piccola parte del tuo universo"

Così le ha detto Tim una sera dopo averla sorpresa a piangere in bagno, ma lei non gli crede: i sei mesi successivi a chi daranno ragione?

Ovviamente a lui e non sto facendo spoiler: si sa che i libri della Da Costa sono un inno alla rinascita, un tripudio di buoni sentimenti, un invito a non perdere mai la speranza. E "Je revenais des autres" non fa eccezione (per una volta approvo il cambio di titolo dell'edizione italiana e come Rizzoli abbia colto la metafora fra la protagonista e il fiore che sboccia d'inverno).

Traccheggiante

Scritto nel 2016 e autopubblicato su Amazon passando inosservato, è stato poi riproposto dalla casa editrice Le Livre de poche nel 2021, dopo il successo riscosso da "Tutto il blu del cielo" e "I quaderni botanici di Madame Lucie", letti nel 2022.

Ho affrontato questa terza lettura aspettandomi il peggio del peggio avendone sempre sentito parlare malissimo, soprattutto per il paragone con i due titoli precedenti, ma personalmente non ho riscontrato chissà quali differenze: quelli non sono dei capolavori e questo non è da buttare. Sono sullo stesso livello sotto a ogni aspetto: stile di scrittura, caratterizzazione dei personaggi, dialoghi e tematiche pesanti che vengono trattate con una serenità piuttosto irreale, ma che si adatta al genere di messaggio che l'autrice vuole trasmettere.

Le carenze di affetto spingono Ambre verso una vita balorda quando è ancora troppo giovane per poter capire certi meccanismi e per essere in grado di riconoscere di essere più fortunata di tanti altri. Quando arriva in montagna dopo il tentato suicidio smette di essere la protagonista assoluta e il romanzo diventa corale, vengono ricostruite le vite degli altri personaggi fra i quali spiccano una ragazza madre e un giovane omosessuale che danno modo all'autrice di trattare altri argomenti di rilievo con un po' troppa superficialità, proponendo un cambio di rotta che può appagare solo bigotti e perbenisti e con un finale che avrei trovato deludente, perché falsamente conclusivo, se non avessi saputo che c'è un seguito ("All'incrocio dei nostri destini").

E l'immersione nella natura resta il punto di forza dei romanzi della Da Costa. Questa è la bella Arvieux:


E questo è il Lac de Roue, poco distante:


Reading Challenge 2025, traccia annuale Scarabeo