
Dintorni di Dublino, un anno non precisato di inizio millennio. La famiglia Barnes: Dickie il padre, Imelda la madre, Cass e PJ i due figli della coppia, la ragazzina che si prepara ad abbandonare l'adolescenza, il più piccolo che sta per entrarci. Una famiglia più che benestante grazie all'attività di cui Dickie ha preso le redini dopo che il padre ha scelto di trascorrere il resto della vita a fare il pensionato in Portogallo. Gli equilibri si infrangono quando le due concessionarie Volkswagen, come il resto del mondo, vengono colpite dalla crisi economica di quegli anni.
Paul Murray, autore e sceneggiatore nato a Dublino nel 1975, ha all'attivo soltanto quattro romanzi scritti nell'arco di vent'anni. Questo (titolo originale "The bee sting", più calzante della traduzione italiana) è l'ultimo, pubblicato nel 2023 e arrivato in Italia soltanto all'inizio di quest'anno con grande clamore.
Un tomo di 664 pagine - di cui almeno duecento superflue - decisamente divisivo: osannato da tanti e criticato da molti, non ricordo di aver letto vie di mezzo e invece è proprio lì che si colloca il mio parere.
Non sono in grado di fare i paragoni necessari a contestare la vittoria del Premio Strega Europeo di quest'anno, né mi ha disturbata particolarmente l'uso (anzi, il non uso) della punteggiatura fatto da Murray per gran parte del libro. Non si tratta di un fiume incessante di parole, bensì di un testo strutturato in modo tale da rendere evidente la presenza di un punto alla fine di una frase anche se non è stato battuto, ma - se anche non mi ha creato problemi - è una scelta stilistica di cui non arrivo a capire la necessità.
Questi sono i due punti che principalmente hanno suscitato la disapprovazione dei molti sopra citati che capisco più dell'entusiasmo dei tanti, perché "Il giorno dell'ape" è un romanzone piacevole (per chi ama saghe familiari e simili), ma di puro intrattenimento, in linea con tantissimi altri da cui si distingue solo grazie a un finale che colpisce lasciando il segno.
Molti capitoli sono lunghi, certi lunghissimi, come i due che formano la prima parte, quella che ha Cass come protagonista, per me una brutta partenza che mi ha lasciata indifferente. Il mio interesse è aumentato con PJ, a cui è dedicato l'unico capitolo della seconda parte. La terza, quella che ha al centro Imelda, e la quinta, l'unica parte corale, sono quelle che mi sono piaciute di più, mentre la quarta, incentrata su Dickie, ha avuto degli alti e bassi.
Forse l'indifferenza inziale è stata causata dal non conoscere ancora i vari membri della famiglia perché mettere al centro delle parti soltanto uno di essi produce uno sviluppo a senso unico che solo procedendo con la lettura viene allargato fino a completarsi, scoprendo anche il passato dei coniugi Barnes. Un passato pesante basato su tematiche forti che fanno del romanzo un testo drammatico, portandomi a chiedermi dove sia l'umorismo annunciato nella sinossi ufficiale.
Un unico punto mi ha fatto sogghignare:
Molto belli i tanti messaggi ecologisti sparsi fra le pagine.
Dalle stelle alle stalle
Paul Murray, autore e sceneggiatore nato a Dublino nel 1975, ha all'attivo soltanto quattro romanzi scritti nell'arco di vent'anni. Questo (titolo originale "The bee sting", più calzante della traduzione italiana) è l'ultimo, pubblicato nel 2023 e arrivato in Italia soltanto all'inizio di quest'anno con grande clamore.
Un tomo di 664 pagine - di cui almeno duecento superflue - decisamente divisivo: osannato da tanti e criticato da molti, non ricordo di aver letto vie di mezzo e invece è proprio lì che si colloca il mio parere.
Non sono in grado di fare i paragoni necessari a contestare la vittoria del Premio Strega Europeo di quest'anno, né mi ha disturbata particolarmente l'uso (anzi, il non uso) della punteggiatura fatto da Murray per gran parte del libro. Non si tratta di un fiume incessante di parole, bensì di un testo strutturato in modo tale da rendere evidente la presenza di un punto alla fine di una frase anche se non è stato battuto, ma - se anche non mi ha creato problemi - è una scelta stilistica di cui non arrivo a capire la necessità.
Questi sono i due punti che principalmente hanno suscitato la disapprovazione dei molti sopra citati che capisco più dell'entusiasmo dei tanti, perché "Il giorno dell'ape" è un romanzone piacevole (per chi ama saghe familiari e simili), ma di puro intrattenimento, in linea con tantissimi altri da cui si distingue solo grazie a un finale che colpisce lasciando il segno.
Molti capitoli sono lunghi, certi lunghissimi, come i due che formano la prima parte, quella che ha Cass come protagonista, per me una brutta partenza che mi ha lasciata indifferente. Il mio interesse è aumentato con PJ, a cui è dedicato l'unico capitolo della seconda parte. La terza, quella che ha al centro Imelda, e la quinta, l'unica parte corale, sono quelle che mi sono piaciute di più, mentre la quarta, incentrata su Dickie, ha avuto degli alti e bassi.
Forse l'indifferenza inziale è stata causata dal non conoscere ancora i vari membri della famiglia perché mettere al centro delle parti soltanto uno di essi produce uno sviluppo a senso unico che solo procedendo con la lettura viene allargato fino a completarsi, scoprendo anche il passato dei coniugi Barnes. Un passato pesante basato su tematiche forti che fanno del romanzo un testo drammatico, portandomi a chiedermi dove sia l'umorismo annunciato nella sinossi ufficiale.
Un unico punto mi ha fatto sogghignare:
"La tua vecchia insegnante d’inglese, Miss Ogle, è in ospedale. Pare abbia avuto un incidente d’auto ma ne sia uscita indenne, per cui ha acceso una candela in camera per ringraziare la Madonna di averla salvata, le tende hanno preso fuoco e la casa è andata distrutta."
Molto belli i tanti messaggi ecologisti sparsi fra le pagine.
"Alzi la mano e chiedi se non è grottesco che i poeti continuino a scrivere di natura e non scrivano mai che lo spazio della natura si sta riducendo. A leggere queste poesie, viene da pensare che il mondo sia ancora zeppo di natura, come lo è sempre stato, anche se negli ultimi quarant’anni tantissimi animali e i loro ecosistemi sono stati spazzati via. Com’è possibile che i poeti non se ne siano accorti? Com’è possibile che non si siano accorti di quanto abbiamo distrutto? Non sono loro che piú di chiunque altro dovrebbero accorgersi delle cose?
Mi guardo attorno e vedo soltanto un mondo in rovina. Se le poesie dicessero la verità dovrebbero muoversi in un gigantesco cimitero o in una immane discarica. Il solo posto in cui si trova un po’ di natura sono le poesie, è una stronzata totale. Perfino le persone sensibili sono delle contaballe, dici.
No, non dici niente invece, te ne stai seduta in silenzio come al solito."
NB: la punteggiatura è opera di Murray, non l'ho aggiunta io ^^
Reading Challenge 2025, traccia annuale Cruciverba
