In questo testo - uno dei più interessanti e appassionanti che abbia mai letto - il giornalista e pubblicista Giancarlo Costa analizza i maggiori disastri che nel secolo scorso hanno coinvolto navi e sommergibili.
Forse il titolo corretto avrebbe dovuto essere "Dal Titanic al Kursk" perchè l'autore segue l'ordine cronologico, ma per fortuna ci ha messo di mezzo l'Andrea Doria altrimenti me lo sarei perso: infatti il mese scorso mi sono imbattuta in questo libro cercando una biografia dell'ammiraglio, che devo ancora scegliere e comprare, ma questo ho voluto leggermelo subito.
La competenza di Costa in materia è più che evidente, ma non cade mai in quella boria che mi è capitato di trovare nella saggistica. Scrive bene e spiega bene: cosa non scontata, ma essenziale quando si affrontano argomenti che possono essere letti anche da chi è spinto solo da un interesse, senza avere nozioni specifiche. Come nel mio caso che di navi e sommergibili non so nulla, ma Costa - pur non semplificando nè lesinando sui termini di settore - è riuscito a rendermi la lettura agevole e più che comprensibile.
"Il mare cela una vecchia canaglia, scaltra e pericolosa"
Scritto nel 2000, il saggio dedica il primo capitolo al Titanic, naufragato al quarto giorno del viaggio inaugurale, il 15 aprile 1912, al largo di Terranova in seguito alla collisione con un iceberg. Costa approfondisce la storia di questa nave ben più (e ben più seriamente) di quanto abbiano fatto il film di Cameron del 1997 e i tanti romanzi che hanno usato il Titanic come ambientazione. Come per tutti gli altri disastri, ne racconta la storia e ne fornisce le caratteristiche, analizza le cause del disastro e quindi informa sulle successive inchieste.
Con i suoi 1.852 morti il naufragio del Titanic non è soltanto quello più famoso, ma anche quello che più rappresenta il divario fra i ceti sociali e le conseguenti ingiustizie.
Due anni dopo, il 29 maggio 1914, una nave norvegese a causa della nebbia speronò la Empress of Ireland nel golfo del fiume St Lawrence, in Canada, facendola affondare in appena 14 minuti con a bordo 1.477 fra passeggeri ed equipaggio. Ne morirono ben 1.012, ma la prima guerra mondiale, scoppiata dopo due mesi, si prese tutta la scena e questo impressionante naufragio non ha "goduto" della fama del Titanic.
1.198 morti nell'affondamento (18 minuti) del Lusitania, silurato dal sommergibile tedesco U-20 il 7 maggio 1915 al largo della punta meridionale dell'Irlanda.
Il Britannic era il transatlantico gemello dell'Olympic e del Titanic, trasformato in nave ospedale durante la guerra. Il 21 novembre 1916 mentre era in navigazione sul mar Egeo con 1.035 persone a bordo incappò in una mina navale tedesca. Affondò in 55 minuti, ma le lance furono sufficienti per tutti e morirono solo le trenta persone che senza aspettare l'ordine del comandante ne occuparono due lasciando la nave mentre era ancora in movimento, finendo per essere risucchiati dalle eliche parzialmente emerse a causa dell'inclinazione.
La Principessa Mafalda venne costruita nel cantiere di Riva Trigoso, era la nave più grande e più veloce a collegare la mia Genova a Buenos Aires. Usata come alloggio ufficiali durante la guerra, riprese le sue rotte al termine del conflitto, patendo gli anni di ferma in porto e la mancanza di manutenzione. Il deterioramento fu la causa dell'affondamento che avvenne in poco meno di sei ore a 85 miglia dalla costa del Brasile il 25 ottobre 1927. A bordo 1.250 persone fra passeggeri ed equipaggio. Ne morirono 314.
Morro Castle è il nome del forte che domina l'entrata del porto de L'Avana, nome che venne dato a una bella nave che offriva una crociera a quegli americani così ricchi da non aver patito la crisi del '29. Il susseguirsi degli eventi che si verificarono a bordo dal momento in cui la nave - il 5 settembre 1934 - salpò precipitosamente da Cuba per evitare l'uragano in arrivo potrebbero definirsi tragicomici se non fossero una storia vera che causò la morte di 159 persone.
Il capitolo successivo è dedicato ai sommergibili, i cui naufragi sono ancora più impressionanti di quelli delle navi.
Il 9 giugno 1931 il Poseidon stava compiendo delle esercitazioni al largo delle coste cinesi con 53 uomini a bordo quando avvenne una collisione con un mezzo di superficie. Si inabissò raggiungendo una profondità di 42 metri e imbarcando acqua. Vi furono solo 5 sopravvissuti.
Il 1° giugno 1939 a bordo del Thetis c'era un vero e proprio ricevimento inaugurale con, oltre all'equipaggio, più di cinquanta persone fra tecnici, osservatori militari, operai specializzati civili e due camerieri! Appena il sottomarino lasciò gli ormeggi fu subito chiaro che qualcosa non funzionava come avrebbe dovuto ostacolando i comandi di immersione. Durante le verifiche iniziò a imbarcare acqua affondando sul fondale di 53 metri con una forte inclinazione di prua. Morirono 99 persone, anche a causa dell'incapacità di usare la campana di soccorso.
Campana che solo pochi giorni prima, il 23 maggio, aveva permesso di recuperare i 33 superstiti del sommergibile Squalus inabissato a causa di un'avaria durante un'esercitazione di immersione rapida. Per i 26 uomini rimasti a poppa non vi fu nulla da fare.
Il 17 giugno 1940 venne dato ordine al Lancastria di imbarcare il maggior numero possibile di inglesi per riportarli in patria e metterli al sicuro dalla guerra. Su una nave che avrebbe potuto trasportare al massimo 3.000 persone ne salirono infinitamente di più, tanto che si parla di un numero di vittime compreso fra le 4.500 e le 7.000 con un numero di superstiti di circa 2.500!
La nave venne bombardata dagli aerei tedeschi e andò a fondo di prua in un fondale di 26 metri spargendo attorno a sè 1.400 tonnellate di nafta che impedirono di salvarsi a chi cercò di abbandonarla a nuoto. Fu il peggior disastro marittimo della storia inglese. Gli atti della commissione d'inchiesta sono secretati fino al 2040.
La storia dell'Indianapolis, l'incrociatore affondato nella notte fra il 28 e il 29 luglio 1945 dopo aver trasportato in gran segreto la bomba atomica, è diventata famosa per tutti dopo essere stata ricordata da Spielberg nel film "Lo squalo".
La nave venne colpita da due siluri lanciati dal sommergibile giapponese I-58. Priva di prua, affondò in 12 minuti trascinando con sè circa 300 uomini dell'equipaggio, mentre gli altri 900 finirono in mare. I soccorsi arrivarono soltanto quattro giorni dopo e solo grazie a un avvistamento casuale: la loro missione era talmente segreta che nessuno diede l'allarme neanche quando non arrivò a Guam il giorno previsto.
I superstiti furono soltanto 317: Costa precisa che probabilmente venne esagerata la questione degli attacchi degli squali e che la maggior parte dei marinai morì per altre cause (stanchezza, mancanza di sonno, ferite, ecc), ma resta il fatto che 56 corpi recuperati erano stati mutilati dai morsi degli squali.
Quello che il film non racconta, e che non sapevo, è che il comandante dell'Indianapolis, Charles Butler McVay divenne il capro espiatorio usato dai vertici della marina per coprire le loro colpe. Venne addirittura portato davanti alla corte marziale e giudicato colpevole contro ogni evidenza del contrario. Morì suicida nel 1968 e il suo nome venne riabilitato soltanto nel 2000 con un decreto firmato da Clinton.
Sei mesi prima dell'Indianapolis, nella notte fra il 30 e il 31 gennaio 1945, a naufragare nel mar Baltico fu il transatlantico Wilhem Gustloff. Impegnata nella manovra di evacuazione della Germania invasa dagli alleati, salpò dal porto polacco di Gotenhafen (l'attuale Gdynia) con oltre 10.000 passeggeri a bordo: la Germania non aveva mai fatto distinzione fra civili e militari nemici e ora toccava a loro essere ripagati alla stessa maniera. Il Gustloff venne colpito da tre siluri lanciati dal sommergibile russo S-13 affondando in 50 minuti. Sopravvissero appena 996 persone.
Dieci giorni dopo toccò alla Steuben e ad aprile alla Goya: le vittime dei tre affondamenti, quasi tutti fra i civili, furono quasi 20.000.
Costa cita l'affermazione dello storico navale tedesco Heinz Schon, sopravvissuto del Gustloff:
"Noi eravamo gli invasori. Noi abbiamo attaccato la Polonia. Noi abbiamo scatenato la guerra"
Più onesto di quelli che ora vorrebbero far passare i nostri partigiani per terroristi!
Il caso dello Champollion fu davvero particolare. La nave salpò da Marsiglia il 15 dicembre 1952 diretta a Beirut con a bordo 111 passeggeri e 120 membri dell'equipaggio. Una settimana dopo, in dirittura d'arrivo, il disastro: in plancia si accorsero di aver scambiato, a causa della nebbia, le luci dell'aeroporto con quelle del faro che segnalava l'ingresso del porto solo dopo aver urtato gli scogli. La nave si incagliò a 200 metri dalla riva in posizione parallela rispetto alla spiaggia, rischiando il capovolgimento. Vento e onde ostacolarono le operazioni di salvataggio. La nave si spezzò in due. Il giorno dopo 72 persone si gettarono in mare per raggiungere la riva a nuoto, ma solo in 57 ce la fecero. Gli altri naufraghi vennero salvati da due fratelli abilissimi piloti del porto di Beirut che dovettero fare avanti e indietro con la pilotina per sette volte prima di riuscire ad evacuare la nave.
E arriviamo all'Andrea Doria. Costruita nei cantieri della Ansaldo di Sestri Ponente, cioè a pochi chilometri da casa mia, era la nave più moderna e sicura della sua epoca.
Poteva trasportare 1.290 passeggeri e 575 membri dell'equipaggio. Le 16 lance potevano contenere oltre 2.000 persone, quindi un numero superiore alla capienza della nave. Era dotata di radar, bussola giroscopica, aria condizionata. Definita come una "galleria d'arte galleggiante", era anche stata progettata in modo tale da non poter inclinarsi per più di 15°.
Il viaggio inaugurale, Genova-New York, avvenne il 14 gennaio 1953. Il 17 luglio di tre anni dopo l'Andrea Doria lasciò per l'ultima volta la mia città. Alle 23.15 del giorno 20, in prossimità del faro di Nantucket, la motonave Stockolm entrò con la sua punta rinforzata (perchè progettata per navigare fra i ghiacci nordici) sul fianco di dritta della nave genovese causando una falla gigantesca. Alle 2.45 tutti i superstiti erano stati evacuati grazie alle numerose imbarcazioni che risposero all'SOS. Alle 10.09 l'Andrea Doria si inabissò.
Morirono 49 persone, più 3 passeggeri della Stockolm. Le due compagnie raggiunsero un accordo stragiudiziale impedendo di arrivare a una conclusione certa dei fatti, fatti che Costa elenca e spiega perfettamente mettendo in luce le mancanze non solo delle persone coinvolte direttamente, ma anche quelle dell'intero sistema che antepone, ad esempio, il risparmio di denaro ottenuto grazie al rispetto degli orari anche quando la situazione in mare è tale da mettere a rischio la sicurezza.
Il Thresher era un sommergibile nucleare d'attacco, il primo ad essere dotato di un sistema di computer digitale. Il 10 aprile del 1963, dopo un giorno di prove di immersione e di emersione al largo di Boston, scomparve con il suo equipaggio di 129 persone dopo aver segnalato di avere qualche problema.
Quello della petroliera Torrey Canyon, che il 18 marzo 1967 andò a sbattere negli scogli al largo della Cornovaglia spezzandosi in due e riversando in mare tonnellate di greggio, fu il primo dei disastri ecologici più gravi avvenuti, oltre 1.300 dal 1955 al 2010.
Invece quello del Dona Paz fu il più grave incidente marittimo avvenuto in tempo di pace. Il 20 dicembre 1987 un numero di persone spropositato (4.341 secondo la stima più accurata, per difetto) si imbarcò su un traghetto omologato per 1.500 passeggeri. Venne investito da una petroliera che viaggiava a luci spente e che prese fuoco trasmettendo l'incendio al traghetto. Si salvarono soltanto 23 uomini e 2 donne. I cadaveri recuperati erano stato quasi tutti mutilati dagli squali.
Altra petroliera, altro disastro ambientale: quello che ebbe per protagonista la Exxon Valdez la quale, pur riversando in mare una quantità di greggio inferiore rispetto ad altri casi, causò il maggior danno ecologico per gli effetti su animali, ambiente e natura. Avvenne in Alaska nella notte fra il 23 e il 24 marzo 1989. La nave era da poco salpata da Alyeska diretta in California con a bordo appena venti uomini dell'equipaggio e oltre duecento milioni di litri di greggio.
Le cause dell'incidente, ben spiegate da Costa e tutte imputabili a quelle che l'autore definisce magnanimamente "una serie di superficialità a bordo", sono raccapriccianti e portarono la nave a urtare le rocce, incagliandosi e riversando in mare milioni di greggio.
"Solo due anni prima il consorzio delle compagnie petrolifere americane aveva stabilito che nello stretto non c'era alcun pericolo per l'ambiente"
Dice bene Costa quando afferma che "gli animali furono quelli che, come al solito, pagarono nel modo più duro l'insensibilità degli uomini". Le stime più ottimistiche del disastro conteggiano la morte di 250.000 uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 250 aquile, 22 orche, miliardi di uova di salmone e di aringhe. Undici anni fa, quando è stato scritto il libro, nessuna specie era ancora tornata alla quantità precedente al disastro.
L'Achille Lauro è nota soprattutto per il sequestro del 1985 da parte dei palestinesi, ma non sapevo dell'imbarazzante collezione di incidenti che ne scandirono l'esistenza:
- 1964: esplosione a bordo con conseguente incendio durante i lavori di ristrutturazione
- 1971: speronò un peschereccio napoletano, una vittima
- 1972: incendio
- 1975: speronò una piccola nave libanese, una vittima
- 1981: incendio, tre vittime, passeggeri che presi dal panico si gettarono in mare annegando
- 1982: sequestro a Tenerife per il mancato pagamento dei diritti portuali
- 1985: il sequestro, una vittima
- 1986: incagliamento nel porto di Alessandria
- 30 novembre 1994: l'ultimo incendio che ne causò l'affondamento al largo della Somalia.
La Estonia era una nave traghetto di quelle con i portelloni che si aprono vicino alla linea di galleggiamento per permettere un veloce imbarco e sbarco dei veicoli.
Varata nel 1980, fu protagonista di tre incagliamenti e di due speronamenti. Affondò in appena 34 minuti la notte del 27 settembre 1994 con circa 900 persone a bordo fra passeggeri ed equipaggio. I superstiti furono appena 132 e le cause del naufragio non vennero mai chiarite: tutte le tre nazioni coinvolte (Svezia, Finalandia ed Estonia) avevano interesse a insabbiare e manipolare le inchieste successive e lo hanno fatto.
L'ultimo capitolo è quello dedicato al Kursk, il sottomarino nucleare russo inabissatosi la mattina del 12 agosto 2000 durante un'esercitazione nel mare di Barents. Una vicenda che ricordo bene, non solo perchè è la più recente, ma anche per l'impressione che fece e per l'angoscia che suscitò. Divenne la tomba di tutti i 107 membri dell'equipaggio e solo grazie ai messaggi ritrovati nelle tasche di alcuni di essi si seppe che la maggior parte morì nell'esplosione causata da uno dei siluri e che 23 di loro riuscirono a rifugiarsi momentaneamente nel compartimento 9 dove morirono probabilmente per intossicazione da monossido di carbonio.
Molto, molto interessanti e del tutto condivisibili le considerazioni di Costa sull'assurdità di Russia, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, ecc, nel continuare a spendere somme enormi per la costruzione e il mantenimento di sottomarini nucleari.
"Ammiragli e generali sono convinti che questi war games unitamente alle loro insulse manovre siano una necessità, ma i parenti dell'equipaggio del Kursk e di tutti gli altri sottomarini che non sono più riemersi, no"
Il libro presenta una quarantina di fotografie in bianco e nero, ma è quel tipo di lettura per la quale è bello perdersi facendo ricerche in rete (ad esempio ho avuto modo di scoprire dei fari stupendi). E' davvero un peccato che sia ormai fuori catalogo, io ho avuto la fortuna di trovarlo sul sito del Libraccio a poco più di 10€, ma è una lettura che può essere davvero appagante per chiunque sia interessato all'argomento. Se lo siete, dategli la caccia (cacciare libri è entusiasmante e non uccide nessuno!).