Europa centrale, inizio marzo 1943. La guerra imperversa, la fame annienta. Una coppia non più giovane, ma nemmeno vecchia, vive in un bosco. Lui viene impiegato dagli invasori per i lavori definiti "di pubblica utilità", lei passa le giornate raccogliendo fascine di rami e rametti nei dintorni della loro capanna. E ogni giorno corre per riuscire a veder transitare i treni. Non ne ha mai visti altri, non può fare paragoni. Il marito le ha detto che sono treni merci e lei vorrebbe sapere cosa trasportano, magari quel cibo di cui hanno tanto bisogno. Quello che vede spuntare dall'unica finestrella di ogni vagone sono delle mani, mani che ogni tanto le lanciano dei biglietti, ma lei non sa leggere, non capisce quali messaggi le vengono affidati. Finchè un giorno una mano lascia cadere sulla neve un fagotto e dentro lei trova quello che ha sempre sognato di avere, la merce più preziosa di tutte.
Nessuna parola scritta sull'Olocausto è sprecata e più aumentano gli anni che ci separano dalla seconda Guerra Mondiale più bisogna stare attenti a non dimenticare.
Fatta questa doverosa premessa, la mia opinione su questo librino si può riassumere in tre lettere: mah.
IBS mi informa che l'autore è un drammaturgo, sceneggiatore e scrittore francese. E nel suo scritto si riconosce uno stile diverso, non so se definirlo teatrale, ma comunque particolare e che si distacca dalla narrativa tradizionale.
L'impronta è quella di una fiaba:
Nessuna parola scritta sull'Olocausto è sprecata e più aumentano gli anni che ci separano dalla seconda Guerra Mondiale più bisogna stare attenti a non dimenticare.
Fatta questa doverosa premessa, la mia opinione su questo librino si può riassumere in tre lettere: mah.
IBS mi informa che l'autore è un drammaturgo, sceneggiatore e scrittore francese. E nel suo scritto si riconosce uno stile diverso, non so se definirlo teatrale, ma comunque particolare e che si distacca dalla narrativa tradizionale.
L'impronta è quella di una fiaba:
"C'era una volta, in un grande bosco, una povera boscaiola e un povero boscaiolo..."
La storia inizia così e prosegue con il tono lento e delicato che hanno le favole per bambini, boscaiolo e boscaiola sono sempre preceduti dall'aggettivo povera/o, gli ebrei non vengono mai espressamente citati ("la razza maledetta, quelli senza cuore che hanno ucciso Dio e che hanno voluto la guerra") e neppure i nazisti (i crucchi).
Esistono molti testi migliori di questo per spiegare la Shoah a un bambino e comunque non è a loro che Grumberg si rivolge.
Classe 1939, come mia madre che gli ultimi anni della guerra se li ricordava bene nonostante li avesse vissuti quando era una piccola bambina, e sono sicura che anche lui - figlio e nipote di deportati nei campi di sterminio - non abbia dimenticato.
Come Modiano per "Dora Bruder", anche Grumberg parte da una flebile traccia (un annuncio su un vecchio quotidiano per il primo, i nomi di una famiglia e le date di nascita e di deportazione trovate sul Memoriale della deportazione degli ebrei di Francia per il secondo) e vi costruisce attorno una storia.
E se in Modiano mi era pesato il distacco che avevo percepito, qui ho trovato troppa leggerezza.
L'Olocausto è una storia che bisogna continuare a raccontare, ma non può trasformarsi in una fiaba, neppure se scritta bene.
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Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia compleanno di luglio (l'autore è nato il 26 luglio 1939)