Reykjavik (Islanda), inizio autunno 2007. Una donna di 78 anni già da un decennio si è organizzata per la vecchiaia: si è trasferita in un appartamento più piccolo nel quartiere di Lindargata, selezionando fra mobilio e oggetti solo le cose a lei più care. Vedova da tempo, con figli e nipoti non particolarmente presenti nella sua vita, si è creata una routine fatta di piccole abitudini confortanti, dalla colazione a base di flakaka con burro e formaggio a qualche serata trascorsa al bar bevendo un bicchierino di gin. Ma quello che fa sempre più spesso è osservare il mondo attraverso il doppio vetro della sua finestra.
Molti denigrano Wikipedia, ma per me rappresenta spesso una rapida e utile fonte di informazioni. Di Halldora Thoroddsen, mancata a luglio dell'anno scorso, mi dice che era una scrittrice versatile: ha pubblicato quattro raccolte di poesie, una di racconti, una microstoria e due romanzi, il primo dei quali è stato "Doppio vetro".
Scritto nel 2015, vincitore del premio per la letteratura femminile islandese nel 2016 e del Premio letterario dell'Unione Europea l'anno successivo, è stato tradotto in italiano nel 2019 e all'epoca lo avevo inserito nella mia wish list dopo aver letto una recensione sulla news letters (se non ricordo male) de "Il libraio", dove veniva paragonato a "Le nostre anime di notte", che ho tanto amato.
Il confronto non regge. Il libro di Kent Haruf è vivo, questo è un libro stanco dove la promessa fatta nella sinossi ("...ci immergiamo in un'avventura sentimentale che raramente trova voce in letteratura") non viene mantenuta: c'è, sì, un incontro fra la protagonista e un suo quasi coetaneo - Sverrir, un ex chirurgo di 75 anni, divorziato e vegetariano ("Un giorno lo sono diventato, di punto in bianco. Sento che mi fa meglio") - c'è un risveglio dei sensi e ritorna la voglia di realizzare dei progetti comuni in una fase della vita in cui si è soliti pensare soltanto che sta per finire ("Nessuno si aspetta mai che costruiamo un nido sull'orlo della fossa"), ma il tutto è troppo marginale, ridotto a una manciata di (belle) frasi ("L'unica cosa che non ha età è l'amore: colora ogni fase, anche se le sfumature cambiano con gli anni") e di situazioni.
Forse il libro è troppo breve. Anche quello di Haruf, con le sue 170 pagine, lo è, ma credo che Iperborea abbia usato un font grande per il cartaceo di "Doppio vetro" perchè ho impiegato circa un'ora per leggerlo (sul Kindle): io sono lenta, 106 pagine in un'ora non riesco a leggerle e alla fine mi è rimasta una sensazione di inappagamento dovuta proprio a una mancanza di approfondimento.
L'autrice scriveva indubbiamente bene, ma in mezzo ad alcune belle metafore - come quella della vita coniugale vista come una barca costruita dalla coppia, una barca che fende le onde del mare, a volte in alto mare - tutto è stato solo abbozzato e quello che ne viene fuori è un piccolo volume cupo che parla soprattutto di morte, evidenziando il decadimento della vecchiaia.
Manca del tutto la speranza che Haruf era riuscito a dare all'autunno della vita.