Tokyo, 11 maggio 1961. E’
sera quando due uomini entrano in un bar nei pressi della stazione
Kamata. Il giorno dopo gli altri avventori li ricorderanno come un
cinquantenne con un accento particolare e un trentenne vestito in
maniera trasandata. Questi sono i soli miseri indizi su cui
l'ispettore Eitarô Imanishi dovrà basare le sue indagini per
risalire all’identità del cadavere sfigurato rinvenuto all’alba
del 12 maggio all’interno della stazione e che lui sospetta possa
essere l’uomo dall’accento strano.
E, se ha ragione, allora
quello giovane è il suo assassino.
A sette mesi di distanza dalla lettura di “Tokyo Express” una traccia annuale della Reading Challenge mi ha riportata a scegliere dal mio Kindle un altro libro del “Simenon giapponese”. In rete ho trovato molti pareri contrari a questa definizione: io non mi pronuncio perché non ho mai letto nulla del vero Simenon, ma - supponendo che la somiglianza con Matsumoto non si riduca alla quantità di titoli sfornati dai due – dovrei decidermi a farlo.
Quest’altro
noir, scritto nello stesso anno in cui è ambientato, quindi tre anni
dopo “Tokyo Express”, ha suscitato in me le stesse sensazioni e
ora le stesse considerazioni: le indagini procedono con estrema
lentezza, con mezzi che sembrano essere antiquati anche per gli anni
‘60 e si basano su quelle casualità e coincidenze che di solito
trovo intollerabili, ma che in questo genere di romanzi stranamente
non mi disturbano allo stesso modo.
Viceversa
questa volta non ho apprezzato “un’arma del delitto” usata
(dico così per evitare spoiler, ma chi ha letto il libro capisce a
quale particolare mi riferisco), che sicuramente all’epoca sarà
risultata avveniristica, ma che adesso fa solo compassionevolmente
sorridere.
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia annuale "sei libri ambientati in sei capitali diverse"