venerdì 26 maggio 2023

"Il giardino delle delizie", Joyce Carol Oates

 

Arkansas, anni '20 del secolo scorso. I Walpole appartengono alla "feccia bianca": è così che gli americani benestanti definiscono quei braccianti agricoli che in comune con loro hanno solo il colore della pelle e che attraversano l'America rurale fermandosi quando riescono a trovare l'ennesimo lavoro temporaneo che gli permetterà di sfamare quelle che, immancabilmente, sono nidiate di figli.
Clara è la terzogenita di Carleton e dopo verranno altri fratelli e altre sorelle, ma lei sarà sempre la cocca di papà fino a una sera dei suoi 15 anni quando l'incontro casuale con Lowry cambierà per sempre la sua vita, prima strappandola alla sua famiglia, poi dandole Swan, suo figlio.

Come mi è già capitato di sottolineare, è assurdo che proprio con colossi come la Oates e Roth non stia seguendo l'ordine cronologico nel leggere le loro opere. Questo è il settimo romanzo della Oates che leggo, ma è il secondo che ha scritto, preceduto soltanto da "With Shuddering Fall", del 1964 e non tradotto in italiano.

"Il giardino delle delizie" è anche il primo titolo di quella viene definita "La grande epopea americana" (e che ne comprende altri tre, dedicati a classi sociali diverse: "I ricchi", "loro" e "Il paese delle meraviglie") e venne pubblicato nel 1967, ma quella che ho letto è la riscrittura che l'autrice fece nel 2002.

Nell'interessante postfazione specifica di non aver apportato sostanziali modifiche alla trama, ma di aver lavorato soltanto sulla voce data ai personaggi, senza però eliminarne nessuno e senza aggiungerne di nuovi.

Svela anche particolari curiosi, per esempio l'essersi ispirata alla figura del (mai conosciuto) nonno paterno per il personaggio di Carleton (gli ha dato anche lo stesso nome), un uomo violento che negli anni Venti abbandonò la famiglia, il considerare Swan un suo alter ego e l'essersi ispirata per la prima parte del libro a quella che è stata la sua infanzia trascorsa in una fattoria a Millersport, nell'Ohio.

Il libro è diviso in tre parti, ognuna delle quali intitolata a una delle tre figure maschili più importanti nella vita di Clara, che è l'indiscussa protagonista delle prime due, mentre nella terza è Swan a prendere possesso della scena.

Un romanzo "pieno di vita vera", come lo ha definito l'autrice, molto concentrato sui protagonisti - attraverso i quali ci vengono descritte le condizioni dei braccianti negli anni Trenta e Quaranta e successivamente i contrasti fra ricchi di campagna e ricchi di città con il disprezzo o le invidie di classe, a seconda dei vari punti di vita - ma mi è dispiaciuto non trovare quell'approfondimento di temi sociali e politici che tanto avevo apprezzato nelle altre letture: ecco perché considero importante leggere i libri seguendo la cronologia.

Quello che, invece, non manca sono le inclinazioni antispeciste della Oates, in cui mi ritrovo completamente.

"Perché la morte significava di più per le persone, più che per uno scoiattolo, un cane, un pollo? Alla fattoria, i polli venivano uccisi a mani nude: gli staccavano la testa con un movimento secco, di torsione, e alla faccenda veniva data la stessa importanza che aveva la pulitura del granturco. Perché per un uomo era diverso? Un uomo era diverso?"

E il suo prendere posizione contro la caccia e i cacciatori facendo dire ai suoi personaggi verità indiscutibili.

"In tutta franchezza, gli spargimenti di sangue non mi piacciono.
Così, per “sport”.
Dovrebbero starci i cacciatori sulla linea di tiro dei loro proiettili, tanto per vedere com’è.
"

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