Terzo
volume della tetralogia di Elena Ferrante che
nell’incipit ci riporta al 2010 - il presente di tutta la narrazione –
nella casa torinese di
Elena Greco dove la donna sta
scrivendo la storia di Lila, ma questa volta
soprattutto la sua. Ripensa
al loro ultimo incontro, avvenuto cinque anni prima, e da lì fa un
ulteriore balzo indietro, andando a riprendere il
racconto dove lo aveva
lasciato.
Le
due amiche vivono ormai lontane, una è rimasta a Napoli, l’altra
si è trasferita a Firenze. Le telefonate non seguono un ritmo
costante, gli incontri sono rarissimi. La distanza accentua
maggiormente le differenze fra loro e non cancella (anzi) i rancori e
i complessi di inferiorità che Elena da
sempre cova
nei confronti di Lila. Un’amicizia
malata e sbagliata, forse da entrambe le parti.
Più ancora che nel libro precedente, Elena è la protagonista. Di lei, essendo la voce narrante,
sappiamo tutto quello che fa, quello
che pensa, quello che ama, quello che odia, quello che sogna. Lila
compare qua e là,
apprendiamo per sommi capi
gli avvenimenti pratici della sua vita, ma dei
suoi reali stati d’animo sappiamo poco e quel poco si basa in gran
parte sulle supposizioni di Lenù.
E’
un
peccato perché il libro racconta il
“tempo
di mezzo”, anni importanti nella vita di ogni persona e
che
nella vicenda coincidono con anni ancora più importanti per l’Italia
e per il mondo:
i moti del ‘68,
gli
anni di piombo, lo
scandalo Lockheed,
le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, la
seconda ondata
femminista.
Vista
l’importanza dei temi, l’età adulta e il coinvolgimento di
Elena, la politica – che nei primi due volumi veniva raccontata
bene, ma attraverso gli occhi di due bambine, prima, e di due
ragazze, dopo – qui diventa la vera protagonista della storia
facendo di questo il libro più interessante e profondo dei tre.
E’
proprio brava la Ferrante. Tramite le vicissitudini e i pensieri
dei suoi personaggi racconta le
condizioni e lo sfruttamento della classe operaia, le
lotte per riuscire a ottenere un trattamento dignitoso, e
non
solo dal punto di vista economico, cose
come straordinari e
ferie
retribuiti,
mutua,
ecc, che oggi tendiamo a dare per scontate
senza pensare che qualcuno le ha ottenute per noi pagando anche con la vita.
Stesso
discorso per le importanti riflessioni sull’emancipazione
femminile,
in famiglia, sul posto di lavoro, ovunque.
Eppure,
se io ho la fortuna di provare pena per chi negli anni ‘60 era
costretto a lavorare con le dita delle mani lacerate per non perdere
quel posto mal pagato e rabbia perché all’epoca era “normale”
che il capo reparto molestasse e abusasse delle sue subalterne, il
vero orrore è che certe situazioni di sfruttamento persistono nel
2019. Anche
in Italia.
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Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo
collego a "Non ditelo allo scrittore" perchè
entrambi scritti da una donna