domenica 20 ottobre 2019

"Storia di chi fugge e di chi resta", Elena Ferrante


Terzo volume della tetralogia di Elena Ferrante che nell’incipit ci riporta al 2010 - il presente di tutta la narrazione – nella casa torinese di Elena Greco dove la donna sta scrivendo la storia di Lila, ma questa volta soprattutto la sua. Ripensa al loro ultimo incontro, avvenuto cinque anni prima, e da lì fa un ulteriore balzo indietro, andando a riprendere il racconto dove lo aveva lasciato.
Le due amiche vivono ormai lontane, una è rimasta a Napoli, l’altra si è trasferita a Firenze. Le telefonate non seguono un ritmo costante, gli incontri sono rarissimi. La distanza accentua maggiormente le differenze fra loro e non cancella (anzi) i rancori e i complessi di inferiorità che Elena da sempre cova nei confronti di Lila. Un’amicizia malata e sbagliata, forse da entrambe le parti.

Più ancora che nel libro precedente, Elena è la protagonista. Di lei, essendo la voce narrante, sappiamo tutto quello che fa, quello che pensa, quello che ama, quello che odia, quello che sogna. Lila compare qua e là, apprendiamo per sommi capi gli avvenimenti pratici della sua vita, ma dei suoi reali stati d’animo sappiamo poco e quel poco si basa in gran parte sulle supposizioni di Lenù.

E’ un peccato perché il libro racconta il “tempo di mezzo”, anni importanti nella vita di ogni persona e che nella vicenda coincidono con anni ancora più importanti per l’Italia e per il mondo: i moti del ‘68, gli anni di piombo, lo scandalo Lockheed, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, la seconda ondata femminista.

Vista l’importanza dei temi, l’età adulta e il coinvolgimento di Elena, la politica – che nei primi due volumi veniva raccontata bene, ma attraverso gli occhi di due bambine, prima, e di due ragazze, dopo – qui diventa la vera protagonista della storia facendo di questo il libro più interessante e profondo dei tre.
 
E’ proprio brava la Ferrante. Tramite le vicissitudini e i pensieri dei suoi personaggi racconta le condizioni e lo sfruttamento della classe operaia, le lotte per riuscire a ottenere un trattamento dignitoso, e non solo dal punto di vista economico, cose come straordinari e ferie retribuiti, mutua, ecc, che oggi tendiamo a dare per scontate senza pensare che qualcuno le ha ottenute per noi pagando anche con la vita.
 
Stesso discorso per le importanti riflessioni sull’emancipazione femminile, in famiglia, sul posto di lavoro, ovunque.

Eppure, se io ho la fortuna di provare pena per chi negli anni ‘60 era costretto a lavorare con le dita delle mani lacerate per non perdere quel posto mal pagato e rabbia perché all’epoca era “normale” che il capo reparto molestasse e abusasse delle sue subalterne, il vero orrore è che certe situazioni di sfruttamento persistono nel 2019. Anche in Italia.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di ottobre. Lo collego a "Non ditelo allo scrittore" perchè entrambi scritti da una donna