Auvergne (Francia), estate 2016.
"Mi permetta di essere rude, ma onesto: lei è ormai alla fine dei suoi giorni, non è un segreto per nessuno, quindi se ha qualcosa sulla coscienza è il momento di lasciarsi andare."
A pronunciare queste parole è l'ispettore André Ventura e la sua interlocutrice è la donna che quel mattino ha preso a fucilate prima il vicino di casa e poi addirittura la polizia e che ora gli siede davanti nel suo ufficio al commissariato. E' anche accusata di aver aiutato a far fuggire una coppia di amanti ricercati per l'omicidio del marito di lei. E dai colleghi impegnati nella perquisizione del villino continuano ad arrivare telefonate di aggiornamento sugli scavi che stanno facendo in cantina: uno scheletro umano, poi due, poi tre e sembra ce ne siano altri!
Ma chi è questa Berthe Gavignol? Una serial killer? E, se così fosse, quante persone può aver fatto fuori nei suoi 102 anni di vita?
Ma chi è questa Berthe Gavignol? Una serial killer? E, se così fosse, quante persone può aver fatto fuori nei suoi 102 anni di vita?
Benoît Philippon, scrittore, sceneggiatore e regista francese classe 1976 (cresciuto tra Costa d’Avorio, Antille, Canada e Francia, come specificato nelle note sull'autore a fondo libro), ha all'attivo quattro romanzi. "La centenaria con la pistola" (titolo originale "Mamie Luger"), il secondo che ha scritto (nel 2018), è stato un vero e proprio caso editoriale in Francia.
La traduzione italiana è arrivata soltanto a giugno di quest'anno, con una copertina molto diversa da quella delle due edizioni francesi...
Ma è stato soprattutto il cattivo impiego dei tanti macro argomenti presenti nel libro (nazismo, guerra, sfruttamento, razzismo, maschilismo, diritti delle donne) a indispormi: c'è troppa superficialità nel trattarli, non ci sono frasi incisive su questi temi, niente di toccante che valga la pena ricordare.
E poi l'imbecillità nel far dire a Berthe "Non farei mai del male a una bestia", riferendosi al cane di un cacciatore, per poi a ruota farle intimare "E ora levatevi di torno! Abbiamo discusso abbastanza, e io ho pure una gallina sul fuoco"!
W il cane, ok, ma la gallina? Vale così poco da non poter essere neppure considerata una bestia? A lei ha forse fatto del bene mettendola in forno? Probabile che Philippon non si sia neppure reso conto della contraddizione, con la tipica ipocrisia di tutte quelle persone per le quali l'amore e la simpatia per gli animali si limitano a quelli di cui non si cibano.
La traduzione italiana è arrivata soltanto a giugno di quest'anno, con una copertina molto diversa da quella delle due edizioni francesi...
... e che può piacere o meno, ma che indubbiamente colpisce, al pari della trama che lascia immaginare una storia originale, cosa che in effetti è. Solo che avrebbe potuto essere sfruttata meglio.
La lettura - tolta qualche lungaggine di troppo che a tratti annoia - in linea di massima è piacevole e scorrevole, ma alla fine non si capisce se l'intento dell'autore fosse quello di scrivere un libro divertente oppure profondo. Forse mirava a fare due centri, ma ha sbagliato mira.
L'anziana Berthe è un po' troppo lucida e in gamba per i suoi 102 anni: 80/85, o anche 90 volendo esagerare, sarebbero stati sufficienti per avere molta vita da raccontare e avrebbero reso un po' più credibile il personaggio, che invece ricorda davvero troppo nonna Abelarda (non credo per caso, è famosa anche in Francia...) diventando caricaturale.
E se da un lato la lingua tagliente con cui tiene testa all'ispettore Ventura strappa più di un sorriso (e un po' di ammirazione), dall'altro gli episodi che racconta - violenze di vario genere che portano alle sue soluzioni altrettanto veementi e definitivamente risolutive - non hanno proprio nulla di allegro.
Philippon ha creato questa protagonista fuori dall'ordinario, l'ha resa orfana di padre da bambina e l'ha fatta crescere dalla nonna Nana, dando così alla storia un'impronta totalmente femminile, dove gli uomini - con una sola eccezione, oltre a quella di Ventura - rappresentano tutti i mali del mondo; le ha fatto attraversare due guerre mondiali e le ha fatto conoscere i soprusi degli invasori; l'ha resa moglie (e vedova) per cinque volte, per lo più di uomini misogini e violenti; le ha negato la maternità e l'ha fatta diventare mammana (e femminista).
E le ha fatto compiere una serie di omicidi, non tutti giustificabili e questo è stato un errore, perché uccidere un marito che si rifiuta di fare sesso orale o l'esattore delle tasse venuto a riscuotere sono eccessi del tutto evitabili che allontanano dal personaggio.
Altre cose non convincono di Berthe: perché far sposare ben cinque volte una donna così indipendente (anche economicamente grazie all'emporio del paese ereditato dal primo marito), per di più con uomini palesemente da poco? Perché far sposare anche un uomo con un micropene proprio a lei che ama così tanto il sesso? E perché farle compiere tutta una serie di comportamenti che condanniamo prontamente (e giustamente) quando provengono dagli uomini?
La lettura - tolta qualche lungaggine di troppo che a tratti annoia - in linea di massima è piacevole e scorrevole, ma alla fine non si capisce se l'intento dell'autore fosse quello di scrivere un libro divertente oppure profondo. Forse mirava a fare due centri, ma ha sbagliato mira.
L'anziana Berthe è un po' troppo lucida e in gamba per i suoi 102 anni: 80/85, o anche 90 volendo esagerare, sarebbero stati sufficienti per avere molta vita da raccontare e avrebbero reso un po' più credibile il personaggio, che invece ricorda davvero troppo nonna Abelarda (non credo per caso, è famosa anche in Francia...) diventando caricaturale.
E se da un lato la lingua tagliente con cui tiene testa all'ispettore Ventura strappa più di un sorriso (e un po' di ammirazione), dall'altro gli episodi che racconta - violenze di vario genere che portano alle sue soluzioni altrettanto veementi e definitivamente risolutive - non hanno proprio nulla di allegro.
Philippon ha creato questa protagonista fuori dall'ordinario, l'ha resa orfana di padre da bambina e l'ha fatta crescere dalla nonna Nana, dando così alla storia un'impronta totalmente femminile, dove gli uomini - con una sola eccezione, oltre a quella di Ventura - rappresentano tutti i mali del mondo; le ha fatto attraversare due guerre mondiali e le ha fatto conoscere i soprusi degli invasori; l'ha resa moglie (e vedova) per cinque volte, per lo più di uomini misogini e violenti; le ha negato la maternità e l'ha fatta diventare mammana (e femminista).
E le ha fatto compiere una serie di omicidi, non tutti giustificabili e questo è stato un errore, perché uccidere un marito che si rifiuta di fare sesso orale o l'esattore delle tasse venuto a riscuotere sono eccessi del tutto evitabili che allontanano dal personaggio.
Altre cose non convincono di Berthe: perché far sposare ben cinque volte una donna così indipendente (anche economicamente grazie all'emporio del paese ereditato dal primo marito), per di più con uomini palesemente da poco? Perché far sposare anche un uomo con un micropene proprio a lei che ama così tanto il sesso? E perché farle compiere tutta una serie di comportamenti che condanniamo prontamente (e giustamente) quando provengono dagli uomini?
Ma è stato soprattutto il cattivo impiego dei tanti macro argomenti presenti nel libro (nazismo, guerra, sfruttamento, razzismo, maschilismo, diritti delle donne) a indispormi: c'è troppa superficialità nel trattarli, non ci sono frasi incisive su questi temi, niente di toccante che valga la pena ricordare.
E poi l'imbecillità nel far dire a Berthe "Non farei mai del male a una bestia", riferendosi al cane di un cacciatore, per poi a ruota farle intimare "E ora levatevi di torno! Abbiamo discusso abbastanza, e io ho pure una gallina sul fuoco"!
W il cane, ok, ma la gallina? Vale così poco da non poter essere neppure considerata una bestia? A lei ha forse fatto del bene mettendola in forno? Probabile che Philippon non si sia neppure reso conto della contraddizione, con la tipica ipocrisia di tutte quelle persone per le quali l'amore e la simpatia per gli animali si limitano a quelli di cui non si cibano.
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