venerdì 22 novembre 2024

"La verità tradita", Brooke Robinson

 

Londra, giorni nostri. Revelle Lee, 33 anni, da bambina ha vissuto in dodici nazioni diverse a causa del lavoro della madre. Per questo motivo parla correttamente nove lingue oltre all'inglese, capacità che fa di lei la migliore interprete dell'agenzia per cui lavora. Sempre affidabile e impeccabile, ai tranquilli ingaggi in convegni di ogni genere alterna le traduzioni fatte nei tribunali e per la polizia. In otto anni di carriera sa di aver commesso un unico sbaglio, proprio durante uno dei suoi primi incarichi. Un errore non intenzionale, l'opposto di quello che fa quando viene chiamata in centrale per fare da interprete a un uomo polacco che fornisce l'alibi a un amico in stato di fermo per l'omicidio di una donna. 
Revelle conosceva la vittima e quando sente un poliziotto dire che sul suo corpo è stato trovato il DNA del sospettato non si fa scrupoli a modificare la testimonianza del polacco quel tanto che basta per screditarla, facendo così crollare l'alibi dell'amico che, infatti, viene subito arrestato.
Ma la soddisfazione di Revelle finisce quando capisce di essere in pericolo perché qualcuno sa cosa ha fatto e adesso tutto è a rischio: la sua reputazione, il suo lavoro e, soprattutto, l'affido del bambino che sta cercando di adottare.

Un libro che è un chiaro esempio di come le aspettative possano condizionare il nostro giudizio (o per lo meno il mio), in positivo o in negativo. Tante volte mi è successo di rimanere delusa da una lettura di cui avevo sentito parlare benissimo, invece questa volta è successo il contrario: "La verità tradita" al momento ha raccolto su Amazon soltanto due valutazioni, da una e da due stelline. Non è dato sapere il perché di questi giudizi estremamente negativi, i due utenti non hanno lasciato neppure una riga di recensione (cosa odiosa). Forse i libri avevano dei difetti (io l'ho letto in digitale), forse non li hanno ricevuti oppure a loro il libro ha fatto proprio schifo. Io ormai lo avevo comprato (cosa che evito in caso di valutazioni così basse, magari aspettando altri pareri), per cui l'ho letto aspettandomi il peggio del peggio e probabilmente questo mi ha portata ad apprezzare la lettura più di quanto avrei fatto senza quelle influenze negative.

"The Interpreter", romanzo di esordio dell'australiana Brooke Robinson, ex libraia e drammaturga, pubblicato lo scorso anno e arrivato in Italia un paio di mesi fa, è un thriller che presenta alcuni difetti - tutti riconducibili a esagerazioni e inverosimiglianze che caratterizzano il modo di pensare e di agire della protagonista - ma che merita la sufficienza piena grazie a una scrittura fluente, a un buon intreccio fra passato e presente e a un discreto colpo di scena finale.
Ci sono diversi misteri da spiegare: chi è la voce narrante del prologo e delle parti in corsivo che chiudono molti capitoli, quali sono il legame e i trascorsi della protagonista con un altro personaggio femminile, più naturalmente tutta la parte legata alla "verità tradita".

Insomma, non è certo un capolavoro di genere, ma è un thriller che si lascia leggere più piacevolmente di tanti altri e quando verrà tradotto prenderò senz'altro anche il secondo libro della Robinson, "The Negotiator", uscito a giugno.

Mi sono segnata un passaggio curioso:

"Nel mercato del lavoro, le lingue sono considerate complementari, un bonus che serve a migliorare qualche altra abilità primaria. Non sono pensate per essere tutto ciò che hai da offrire al mondo, per dare vita a un’intera esistenza."

Questo può pensarlo e scriverlo giusto qualcuno che, come la Robinson e la sua protagonista, parla la lingua che ormai è l'esperanto nel mondo moderno! Un italiano in grado di fare traduzioni simultanee dall'inglese, francese, spagnolo, portoghese, russo, tedesco, polacco, ungherese, dari e hindi avrebbe infinite possibilità di lavoro, altro che bonus...

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