Berna, 3 novembre 1948. Il corpo senza vita del tenente di polizia Ulrich Schmied viene ritrovato a bordo della sua Mercedes azzurra ferma sul ciglio di una strada all'uscita di un bosco. Gli hanno sparato alla testa.
Il caso viene affidato al commissario Bärlach, diretto superiore della vittima. Bärlach ha subito un sospetto, ma sceglie di non parlarne né al giudice istruttore Lutz né a Tschanz, il giovane collega che gli viene affiancato nelle indagini. Indagini che portano il commissario a ritroso nel tempo, fino a quarant'anni prima quando si trovava nel Bosforo e un uomo gli aveva assicurato che sarebbe stato in grado di commettere un delitto sotto ai suoi occhi senza lasciargli niente in mano per riuscire a incriminarlo. Bärlach aveva sciaguratamente accettato la scommessa, perdendola tre giorni dopo e da allora non aveva mai smesso di cercare il modo per pareggiare i conti.
Quando il mese scorso ho visto fra le nuove uscite la riedizione di "Greco cerca greca" mi si è risvegliato il ricordo di questo autore di cui più di trent'anni fa avevo letto "Il sospetto" e "La promessa". Ho quindi inserito in wish list gli altri suoi titoli e mi è sembrato giusto riprenderlo da questo, che è il suo primo poliziesco, scritto nel 1952, titolo originale "Der Richter und sein Henker Benziger Verlag".
Un altro romanzo breve (121 pagine) e parecchio datato che però, a differenza di "Lettera di una sconosciuta", dimostra tutti gli anni che ha. Non necessariamente un difetto, ma non si può negare che stile, descrizioni, atmosfere e storia siano cupe e pesanti. Tutto sommato un buon noir, ma non bello come i due letti in precedenza.
Principalmente ho patito la divergenza di opinioni con il vecchio commissario Bärlach, sicuro che - non avendo modo di incriminare un soggetto per un delitto accertato - sia lecito incastrarlo per uno che non ha commesso.
Un metodo che, nella migliore delle ipotesi, lascia comunque in libertà un colpevole. Ed io, a differenza di Dürrenmatt, convinto che la giustizia non possa arrivare alla verità, sono tendenzialmente molto più fiduciosa, l'onere di emettere sentenze lo ha solo chi il giudice lo fa per professione. Quanto ai boia meglio lasciarli relegati nel loro passato.
Il caso viene affidato al commissario Bärlach, diretto superiore della vittima. Bärlach ha subito un sospetto, ma sceglie di non parlarne né al giudice istruttore Lutz né a Tschanz, il giovane collega che gli viene affiancato nelle indagini. Indagini che portano il commissario a ritroso nel tempo, fino a quarant'anni prima quando si trovava nel Bosforo e un uomo gli aveva assicurato che sarebbe stato in grado di commettere un delitto sotto ai suoi occhi senza lasciargli niente in mano per riuscire a incriminarlo. Bärlach aveva sciaguratamente accettato la scommessa, perdendola tre giorni dopo e da allora non aveva mai smesso di cercare il modo per pareggiare i conti.
Quando il mese scorso ho visto fra le nuove uscite la riedizione di "Greco cerca greca" mi si è risvegliato il ricordo di questo autore di cui più di trent'anni fa avevo letto "Il sospetto" e "La promessa". Ho quindi inserito in wish list gli altri suoi titoli e mi è sembrato giusto riprenderlo da questo, che è il suo primo poliziesco, scritto nel 1952, titolo originale "Der Richter und sein Henker Benziger Verlag".
Un altro romanzo breve (121 pagine) e parecchio datato che però, a differenza di "Lettera di una sconosciuta", dimostra tutti gli anni che ha. Non necessariamente un difetto, ma non si può negare che stile, descrizioni, atmosfere e storia siano cupe e pesanti. Tutto sommato un buon noir, ma non bello come i due letti in precedenza.
Principalmente ho patito la divergenza di opinioni con il vecchio commissario Bärlach, sicuro che - non avendo modo di incriminare un soggetto per un delitto accertato - sia lecito incastrarlo per uno che non ha commesso.
"Sono un vecchio gatto nero, e mi piacciono i topi"
Un metodo che, nella migliore delle ipotesi, lascia comunque in libertà un colpevole. Ed io, a differenza di Dürrenmatt, convinto che la giustizia non possa arrivare alla verità, sono tendenzialmente molto più fiduciosa, l'onere di emettere sentenze lo ha solo chi il giudice lo fa per professione. Quanto ai boia meglio lasciarli relegati nel loro passato.