domenica 28 agosto 2022

"Moll Flanders", Daniel Defoe



Londra, prigione di Newgate, primo decennio del 1600. Una galeotta dà alla luce una bambina che poi lascia nelle mani della pubblica assistenza prima di venire deportata negli Stati Uniti. Ed è quella stessa bambina che nel 1683, ormai quasi settantenne, racconta la sua intera esistenza: l'infanzia e l'adolescenza, quando la chiamavano Betty, vissuta sotto l'ala protettiva di una balia e a seguire tutti gli alti e i bassi di una donna che aveva come unico bene quello della bellezza grazie alla quale - ritrovandosi alternativamente moglie o amante - riuscì a sopravvivere, fino a diventare - prima per necessità, poi per diletto - la più famosa ladra dell'epoca con il nome di Moll Flanders.

Daniel Defoe scrisse questo romanzo (il mio primo di genere picaresco) nel 1722, tre anni 
dopo "Robinson Crusoe" (che non ho letto).
E' un esempio perfetto (non certo l'unico) del perché non amo i classici (per lo meno la maggior parte): se Defoe offre un bello spaccato sulla vita dell'epoca - sulle pesanti difficoltà patite dalle donne come Moll Flanders per le quali, senza poter godere di eredità o rendite personali, un matrimonio di convenienza era solo il male minore; sui sistemi processuali e penitenziari; sull'immigrazione verso il Nuovo Mondo; eccetera - non arriva ad approfondire i temi socio-culturali come mi sarebbe piaciuto, concentrandosi invece sulle vicende personali della sua protagonista fino a rendermi questa lettura una delle più soporifere di sempre.

Fa di Moll Flanders la voce narrante della sua storia, descrivendo nella prima parte i vari spostamenti al seguito di mariti o amanti, con le conseguenti gravidanze e diversi figli scodellati e mai allevati, e propinando nella seconda l'estenuante resoconto di furti e furtarelli, con relativo dettaglio delle refurtive, tutte situazioni che in un modo o nell'altro mettono principalmente in risalto l'arroganza di questa donna che trova sempre nel bisogno la giustificazione per quello che fa (mi riferisco ai reiterati furti) anche quando è lei stessa ad ammettere che avrebbe potuto smettere.

Se l'intento dell'autore, noto per il suo puritanesimo, era quello di condannare simili condotte e (come recita nelle batture finali) 
di raccontarle come monito spingendo i lettori a non cadere in comportamenti criminali o in quelli che all'epoca erano ritenuti licenziosi, presentando un personaggio che grazie al suo opportunismo cade sempre in piedi potrebbe anche aver ottenuto l'effetto contrario facendo di Moll Flanders un esempio da imitare.

E l'aspetto penalizzante del romanzo è la mancanza di introspezione: Moll Flanders si limita a raccontare quello che fa, senza descrivere sentimenti, sensazioni, stati d'animo.


Un dettaglio sgradevole, suppongo imputabile alla traduzione della edizione che ho letto (quella dell'immagine di copertina), è questa:


La ripetizione per ben 65 volte dell'espressione "per farla breve" che si sono tradotte in altrettante imprecazioni da parte mia!

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