domenica 21 agosto 2022

"Campo di sangue", Dulce Maria Cardoso

 

Quattro donne stanno aspettando il loro turno per parlare con un medico del manicomio criminale dove è rinchiuso un uomo che ha commesso un delitto.
Un funzionario le ha fatte accomodare nella sala d'attesa, ma nessuna di loro è comoda e l'attesa sembra essere infinita. Tutte hanno un legame con quell'uomo. Non tutte si conoscono. Nessuna parla con le altre.
La prima è la madre, stringe fra le mani un rosario.
La seconda è l'ex moglie, fuma giocando nervosamente con l'accendino.
La terza è la proprietaria della pensione dove l'uomo viveva, è infastidita dal fumo della sigaretta (anche perché in quella stanza sarebbe vietato fumare) e continua ritoccarsi il rossetto.
La quarta è la più giovane, è incinta e l'uomo è il padre del bambino che aspetta e che non vuole.
La madre guarda la proprietaria della pensione in modo diverso dopo aver scoperto che è vedova come lei.
L'ex moglie guarda la ragazza in modo diverso dopo aver scoperto che è del segno dello scorpione.
La proprietaria della pensione guarda l'ex moglie in modo diverso dopo aver scoperto che è ricca.
La giovane si stupisce scoprendo che la madre ha solo due cognomi e che anche i suoi genitori ne avevano solo due, quando in Portogallo tutti ne hanno quattro.

Opera prima di Dulce Maria Cardoso, pluripremiata scrittrice portoghese, dove mi ha fatto molto piacere trovare una delle frasi più belle di Fabrizio De André (che però non cita): "Quando si muore, si muore soli" (da "Il testamento", 1966).

Nata nel 1964 nel nord del Paese, ma cresciuta in Angola, tornò in Portogallo nel 1975 per sfuggire con la famiglia alla guerra civile angolana. On-line è facilmente reperibile un video in cui Daniele Petruccioli, il suo traduttore italiano, racconta l'autrice. Al termine della lettura ne ho visto soltanto l'inizio, dove viene descritta la sensazione provata dalla Cardoso al rientro in Portogallo nel sentirsi profuga nel suo paese di origine. Non sono andata oltre perché non riesco a provare compassione verso chi è partito dall'Europa per andarsi ad arricchire nelle colonie africane, ma anche perché dopo la lettura di "Campo di sangue" non avrei più il coraggio per affrontare un altro romanzo scritto in questo modo:

"L'uomo muscoloso scoppiò a ridere, dai amico, non mi pare il caso di prendersela tanto, annuì, le mosche entravano e uscivano dall'abitacolo, gli ronzavano intorno alla testa, gli tornava tutto su, il vino bianco, i bocconi di polipo, le sigarette fumate gli si rivoltavano nello stomaco, un moscone ronzò forte finché non decise di posarglisi sulla carne viva, sentì un brivido di raccapriccio, avrebbe voluto scacciarlo ma non riusciva neanche a fare quel semplice movimento con la mano, chiuse gli occhi, dovevano essere quasi all'ospedale, la coda di macchine si muoveva piano, di tanto in tanto l'uomo muscoloso suonava il clacson ma non c'era un buco per passare, i paperi gialli dell'asciugamano da mare si stavano inzuppando di sangue, aveva le unghie da cane tutte di fuori, gli sembrava di macchiare anche il cruscotto, c'erano attaccati con una calamita tre riquadri con le foto della moglie e dei due figli, la moglie in mezzo, da una parte una bambina e dall'altra un bebè, sicuramente sul muro del salotto c'era un ingrandimento delle stesse foto incorniciate, omaggio del fotografo, poteva chiedergli quando erano state scattate, era un buon argomento, ci vuole sempre un certo tempo per reinventare il passato, all'uomo muscoloso la domanda sembrò strana, non se lo ricordava, era passato tanto tempo, il bebè era il bambino grasso accasciato sul sedile di dietro, la bambina sdentata era la ragazza carina che aveva baciato il padrone del bar e poi aveva mentito dicendo di non conoscere nessuno su quella spiaggia, la moglie non aveva più quel bel sorriso e i capelli nerissimi, erano persone completamente diverse ma l'uomo muscoloso era convinto che fossero le stesse, tutti cadono in questo tipo di errore, ripensò alla fotografia di Eva che lei gli aveva regalato all'inizio della loro storia e alla faccia che aveva quel pomeriggio al bar, talmente diverse, ripensò alla propria faccia sui tanti tesserini che aveva avuto nel corso degli anni, da studente, da abbonato dei mezzi pubblici, da socio di svariate associazioni, gli piaceva associarsi a tutto quanto poteva, quando uno ha tempo finisce per far parte di qualunque cosa, gli piaceva compilare i moduli e consegnare gli stampati all'impiegato, se era  richiesta una  fotografia la spillava all'angolo superiore sinistro, prima usava sempre la stessa faccia, la fotografia della carta d'identità era la stessa che stava sul tavolino del salotto di sua madre, in una cornice di vetro opaco a fianco della fotografia di suo padre, tutti e due con lo stesso sorriso confuso, non si ricordava più il giorno in cui aveva deciso di usare facce diverse, quando uno ha tempo, era andato non si sa quante volte dal fotografo, gli piaceva anche farsi le foto alle macchinette, la signorina chiudeva la tenda e lui aspettava che scattasse il flash, poi aspettava cinque minuti che uscisse la striscia con le sue quattro facce, la signorina gli diceva sempre che era venuto molto bene e lui era contento, chiedeva di separare le foto, si faceva ritagliare attentamente la faccia, una volta che era venuto con gli occhi chiusi se l'era fatta di nuovo, altre quattro facce, conservava dozzine di facce formato tessera in un dei cassetti dell'armadio, un giorno di questi bisogna che le butti via tutte, un giorno di questi."

Ma cosa cazzo hanno fatto di male i punti alla Cardoso?!? Non ho dovuto cercare per trovare un periodo adatto da ricopiare, ho aperto una pagina a caso perché le 264 del libro sono scritte tutte così, con queste frasi lunghissime (in certi casi superano le due pagine) che raggruppano pensieri, ricordi e racconti di uno dei personaggi, spesso senza logica e con ripetizioni sfinenti.

La Cardoso sa scrivere e lo dimostra il fatto che - nonostante questi pipponi deliranti - non si perde mai il filo, non ci si dimentica cosa veniva detto all'inizio della frase, e per riuscire a divagare come fa lei senza far smarrire il lettore bisogna essere bravi, molto.

Pubblicato nel 2001, il libro ha vinto il Prémio Acontece. Forse hanno premiato l'indubbia originalità, ma quello che si legge deve anche piacere e a me la sua prosa non è piaciuta. Mi piacciono i dialoghi e qui sono rarissimi. Mi piace avere una collocazione geografica e qui si sa solo che è ambientato in Portogallo. Mi piace avere una collocazione temporale e qui non c'è nessun riferimento. Mi piace poter immaginare fisicamente i personaggi e qui vengono solo descritte le unghie dei piedi di lui, spesse, ricurve e nere di sporcizia (da vomitare il mio pranzo nuziale di 24 anni fa). Mi piace avere dei nomi e qui si sa solo quello di Eva, l'ex moglie. La staticità delle vicende descritte a me non ha disturbato, ricordi e flashback danno movimento, ma è bene mettere in conto anche il rischio di avere l'impressione di non muoversi dalla sala d'attesa del manicomio o dalla pensione decrepita e lercia.

E' uno di quei libri che sembrano voler essere un manifesto di quel tipo di degrado che non lascia via di uscita.

"I ragazzi del quartiere trascorrevano interi pomeriggi seduti su un muretto a guardare le ragazze, pomeriggi lunghi e tristi durante i quali non succedeva mai niente, a parte le ragazze che passavano"
Dove il protagonista - uno a cui dà sui nervi il mare per quanto è grande, i fiori perché sono di colori troppo diversi e gli alberi perché sono tutti dello stesso verde; uno che quando riceve una lettera la tiene chiusa per qualche giorno per avere qualcosa da pregustare, anche se sa che non ci sarà scritto niente di particolare - non è certo l'unico "caso disperato" della storia: non si salva nessuno.

"Solo su un'isola si capisce davvero la vita. Pensiamo di poterne fuggire, ma l'unica alternativa che abbiamo è girare in tondo, e per quanto giriamo la sola via d'uscita sono la morte e il mare"

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