mercoledì 24 agosto 2022

"La stanza del polline", Zoe Jenny

 

Estate di un anno non precisato alla fine del secolo scorso. Jo è in Italia da un anno, ha voluto andarci subito dopo aver conseguito il diploma di maturità rimandando l'iscrizione all'università per raggiungere Lucy.
Lucy è sua madre e non si vedono da dodici anni, da quando la donna aveva deciso di seguire Alois, il suo nuovo grande amore, lasciando la bambina all'ex marito, senza più cercarla, senza mai tornare a trovarla.
Noi lettori le conosciamo dopo la tragica morte di Alois: una Jo diciottenne mai stata figlia che si trova a dover assistere una Lucy quarantacinquenne mai stata madre.

"Staccava con le unghie i lunghi stami e li metteva tutti insieme. Poi andava nella stanza del polline e faceva cadere la polvere. C'era polline dappertutto, sul pavimento e sui davanzali delle alte finestre dello scantinato"

"Das Blutenstaubzimmer", pubblicato nel 1997 in Germania, rappresentò un esordio col botto per Zoë Jenny, all'epoca appena ventitreenne. Nata a Basilea nel 1974, figlia dello scrittore ed editore svizzero Matthyas Jenny (morto lo scorso anno), vide la sua opera prima tradotta in ben 27 lingue, un vero best-seller internazionale.
Con l'ultimo romanzo pubblicato quest'anno ha all'attivo dieci titoli, di cui soltanto tre sono stati tradotti in italiano, ma questa volta le lacune non mi inquietano perché questa prima esperienza non mi ha lasciato nessuna voglia di leggere altro di suo.

Avevo grandissime aspettative, considerando il caso editoriale che fu a suo tempo ero sicura che nelle sue 107 pagine avrei trovato uno di quei gioiellini capaci di dare tantissimo in contrapposizione alla loro brevità e sono sicura che per molti sia stato così, così come penso che io stessa l'avrei apprezzato maggiormente leggendolo in un periodo diverso da quello estivo.

Il librino è un piccolo mattoncino che di solare ha soltanto la stagione in cui è ambientato. E' un concentrato di quell'introspezione così cupa che nessuno meglio dei tedeschi (anche se in questo caso si tratta non di nazionalità, ma di lingua) sa esprimere a livelli così alti. Questa è l'unica cosa eccezionale che mi sento di attribuirgli.

La narrazione è molto lenta, gli eventi principali vengono raccontati sotto forma di ricordi, ai fini pratici succedono poche cose, ma quel poco - se non tragico - si traduce invariabilmente in un chiodo di solitudine che trafigge questa povera ragazza a cui verrebbe naturale affezionarsi nell'inutile tentativo di darle un po' di quell'affetto di cui ogni figlio ha pieno diritto, ma che lei non riceve da nessuno dei due genitori il cui unico interesse è quello di creare un nuovo nucleo familiare: il padre senza preoccuparsi di lasciare uno spazio anche per la figlia di primo letto, la madre che arriverà a chiederle di fingere di essere la sorella minore quando le presenterà Vito, il nuovo amore per il quale la abbandonerà di nuovo dopo che Jo l'ha salvata obbligandola a uscire dalla stanza del polline.

"Lucy non aveva intenzione di parlare del passato, non si sentiva in obbligo di scusarsi con lei"

Ho usato il condizionale perché in realtà Zoe Jenny non è riuscita a rendere amabile la sua protagonista, un personaggio che pur suscitando pena, resta piatto dall'inizio alla fine e questa, secondo me, è la grande pecca del libro.

Un particolare mi ha colpita del suo stile. Tutti i punti non utilizzati dalla Cardoso in "Campo di morte" sembrano essere finiti nel librino della Jenny:

"La città sotterranea divide in due la città vera e propria ed è utilizzata come sottopassaggio. Non molto tempo fa ci hanno trovato degli scheletri e da allora è una attrazione per i turisti. Percorro in fretta i cunicoli appena illuminati. Qui sotto c'è puzza di freddo ed è sempre umido, anche in piena estate. Uno degli scheletri è in mostra sotto una lastra di vetro, incassato nella terra. Il cranio, le ossa del bacino e i frammenti di una gamba sono ordinatamente ricomposti. Forse un bambino di otto anni, dice la tabella. Alcuni turisti bisbigliano davanti alla grata che protegge lo scheletro. Nelle nicchie buie si danno appuntamenti e drogati. Accendono le candele per trovarsi più facilmente le vene. Di tanto in tanto una luce tremolante illumina le loro facce perse, inconfondibili."

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