lunedì 22 marzo 2021

"Finchè il caffè è caldo", Toshikazu Kawaguchi

Tokyo, giorni nostri. In un'anonima stradina della capitale dal 1874 c'è un piccolo caffè. E' davvero minuscolo, ha soltanto tre tavolini da due e tre sgabelli al bancone. Ha anche tre orologi appesi alla parete, di cui soltanto uno segna l'ora giusta, ma se non si sa quale sia dei tre non si riesce neppure a capire in quale momento della giornata ci si trovi perchè il locale non ha finestre e l'ingresso non dà sulla strada, ma si trova ai piedi di una scala.
Anni prima ha suscitato molta curiosità quando un giornalista gli aveva dedicato un articolo in cui svelava il suo segreto: sedendosi in quel caffè era possibile viaggiare nel tempo. Ma l'interesse dei tanti che avrebbero voluto tornare nel passato per fare o dire qualcosa che non avevano detto o fatto, oppure per ridire o rifare qualcosa in modo diverso, si era scontrato con le regole ferree che bisogna seguire per far sì che tutto funzioni.
Ad esempio il caffè non deve raffreddarsi. Mai!

Sono tante le persone che snobbano i casi letterari, invece a me attirano: senza sottovalutare il potere della spinta editoriale, penso che se un libro viene letto da "tutti" e se a quasi tutti piace, è facile che piaccia anche a me, per un semplice calcolo delle probabilità. Un conto è lasciarsi influenzare nell'acquisto, un altro farsi condizionare nel giudizio.

Inoltre non volevo rimanere l'unica della Reading Challenge a non averlo ancora letto!

Adesso che l'ho finito un po' mi stupisce il grande successo che ha riscosso anche in Europa.
Opera prima, scritta nel 2015, lo vedo perfettamente in linea con la cultura e la mentalità giapponesi, meno con le nostre. Però trasmette un messaggio (pieno di retorica) buono (deducibile dal titolo metaforico e spiattellato nella sinossi) e, guarda caso, si è scelto di tradurlo nell'annus horribilis 2020...

Visto il tema del viaggio nel tempo, Amazon avrebbe potuto etichettarlo come fantasy al pari de "La bibioteca di mezzanotte". Invece questa volta ha optato per la rassicurante e sempre valida narrativa contemporanea.

Un libro breve, 177 pagine, diviso in quattro capitoli che sono anche quattro storie autoconclusive. I personaggi di ciascuna, oltre ad essere legati dal caffè e dai suoi gestori, lo sono anche dal meccanismo che li porta a fare da comparsa in un "racconto" per poi diventare protagonisti di un altro, formando così una specie di filo ininterrotto.

A chi, come me, fatica a memorizzare i nomi stranieri, specialmente quelli giapponesi a cui non si viene svezzati neppure dalle serie TV, conviene annotarsi le caratteristiche principali, altrimenti è un attimo perdersi con tutte quelle K qualcosa...

In sostanza un librino che, più che essermi piaciuto, non mi è dispiaciuto e che mi ha trasmesso tutta quella serenità che ritrovo negli autori nipponici, non sempre  e non tanto per quello che viene raccontato, ma per come viene scritto, quel loro ritmo calmo e ripetitivo che su di me ha un effetto rilassante e sua mia sorella esasperante: credo che sarà lei a restare l'unica della RC a non leggerlo.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla traccia cascata di marzo (un libro con una tazza in copertina)