domenica 9 maggio 2021

"La macchia umana", Philip Roth



Monti del Berkshire (Massachusetts), estate 1998. Nathan Zuckerman e Coleman Silk sono vicini di casa da cinque anni, cioè da quando Nathan ha comprato quella casetta per poter scrivere i suoi libri immerso nella tranquillità offerta dal posto. Anche il suo vicino si presta al suo bisogno di quiete, Coleman ha sempre ignorato Nathan...
Finchè un giorno gli chiede di raccontare la sua storia in un romanzo, quella storia che a suo dire ha causato la morte della moglie Iris e coperto lui e la famiglia di ignominia.
E questo perchè all'Athena College - dove era sia insegnante che preside - non hanno capito (o non hanno voluto capire) che lui quella parola l'aveva usata nel suo senso letterale, non in quello dispregiativo, e che lui quei due ragazzi non li aveva neppure mai visti!
Ma Coleman avrebbe un'altra storia da raccontare, una storia iniziata cinquant'anni prima a East Orange, dove viveva con la famiglia di origine. Una storia che non ha mai raccontato nè alla moglie nè ai loro figli e che non sarà lui a raccontare a Nathan, ma Nathan la racconta a noi.

E dopo il solito abbozzo di trama, ora devo passare alle considerazioni personali, cosa che faccio con la consapevolezza di non avere la preparazione necessaria per poter parlare di questo Capolavoro come vorrei saper fare.

Inizio con le banalità, ad esempio dicendo che avevo inserito "La macchia umana" nella mia wish list dopo averne ascoltato la recensione fatta da Marco Cantoni su You Tube. Come mi è già capitato di dire, ho smesso di seguire Cantoni perchè - dopo aver letto diversi libri di cui lui era entusiasta - ho capito che abbiamo opinioni diverse (soprattutto riguardo all'importanza della trama in un romanzo), ma dopo questa lettura è probabile che torni a iscrivermi al suo canale.

Roth mi fa capire che le letture di livello esistono e che dovrei cercarle, anzichè starne alla larga come ho la tendenza a fare. Roth mi faceva paura, pensavo fosse ben oltre le mie capacità. E l'ho affrontato con questa paura e anche con un certo scoraggiamento a causa dei cinque macrocapitoli che mi sono trovata davanti.

Il primo giorno di lettura non è stato facile, ma poi mi sono resa conto che il suo stile è caratterizzato da quei periodi lunghissimi che ho sempre amato, così lunghi da necessitare di molta concentrazione per non rischiare di arrivare al punto e dover tornare indietro per riprendere il filo da cui si era partiti. Ma con la giusta attenzione e dedicandogli il tempo necessario ho potuto godere della storia che questo libro racconta e del modo incredibile in cui viene raccontata.

Anzi, delle storie: perchè al protagonista Roth affianca altri personaggi (non molti) ripercorrendo la vita di ognuno, spesso partendo dall'infanzia, e costruendo delle personalità approfondite in maniera magistrale. Figure caratterizzate da aspetti sia positivi che negativi, come siamo noi esseri umani nella realtà. E, là dove c'è del male, il male è stato causato dal sistema: abbiamo vittime del razzismo, vittime del degrado sociale, vittime politiche.

Fra tutti, è
Lester Farley ad avermi colpita di più e non poteva essere altrimenti perchè - reduce del Vietnam - è personaggio di fantasia fino a un certo punto. Gli Stati Uniti hanno generato migliaia di Lester Farley, carne da macello nelle mani dei potenti.

"Lo senti piangere, il Muro"

E Roth ci fa entrare nella testa di uno di loro in modo sconvolgente:

"Un giorno è là che mitraglia nel Vietnam, e vede gli elicotteri che esplodono, e vede esplodere i compagni a mezz’aria, così basso da sentire l’odore della carne che frigge, da sentire le grida, da vedere interi villaggi andare in fumo, e il giorno dopo è di nuovo sui Berkshire. E ora sì che si sente veramente fuori posto, e per giunta gli fanno un po’ paura certe cose che gli fischiano sopra la testa. Non ha voglia di stare in compagnia, non è capace di ridere o scherzare, sente di non fare più parte di quel mondo, sente di avere visto e fatto cose così estranee ai pensieri di quella gente che lui non riesce a intendersi con loro e loro non riescono a intendersi con lui."

Non meno straziante è l'esistenza di Faunia e anche qui Roth mette sapientemente in luce come il decantato sistema americano a volte si inceppi non curandosi come dovrebbe (e con l'aggravante che potrebbe, un lusso che poche nazioni hanno) dei suoi figli meno fortunati.

Scritto nel 2000, Roth non gira attorno alla vicenda Clinton-Lewinsky ("L'estate in cui il pene di un presidente invase la testa di tutti"), un altro spunto per attaccare il perbenismo americano, l'ipocrisia, di cui purtroppo non hanno l'esclusiva.

Roth non mi fa più paura come prima, ma ancora mi intimorisce. Non so se sarò in grado di recuperare tutti i suoi romanzi e mi faccio rabbia da sola per non essermi documentata prima di iniziare questo: solo a metà percorso ho scoperto che è l'ultimo di quella che viene definita la "Trilogia Americana", al seguito di "Pastorale americana" e di "Ho sposato un comunista", tre storie distinte che hanno però la stessa voce narrante, quel Nathan Zuckerman alter ego di Philip Roth. Un peccato per chiunque non leggerli in ordine cronologico, ma un'assurdità per me che mi impegno a rispettare quell'ordine anche con gli autorini...

Ormai è fatta, per fortuna ho un'ottima memoria e, se anche non la avessi, "La macchia umana" è un libro impossibile da dimenticare.

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla prima traccia annuale, "dieci libri a scelta da leggere entro la fine dell'anno"