
Una sera di agosto del 1937 in una città non specificata della provincia americana. Loretta Botsford ha 16 anni e sembra vivere l'intera settimana aspettando l'uscita del sabato sera, per vedere le amiche, per farsi vedere dai ragazzi, per divertirsi più che può. Quel giorno vuole soprattutto incontrare Barnie Malin, ha perso la testa per lui, al punto da farsi così ardita da portarlo a casa sua. La madre è morta da cinque anni, il padre - ammesso che torni a casa - sarà così ubriaco da non accorgersi di nulla, e suo fratello è fuori con gli amici. Quello che Loretta non sa è che Brock ha in casa la pistola che un suo amico, condannato a dieci anni di carcere, gli ha chiesto di nascondere per lui. E che con quell'arma all'alba del giorno dopo farà secco Bernie dopo averlo trovato nel letto della sorella minore.
Terzo romanzo - dopo "Il giardino delle delizie" e "I ricchi" - dei quattro che formano la cosiddetta Grande Epopea Americana di Joyce Carol Oates.
Un tomo di 653 pagine, diviso in tre parti e trentanove capitoli, che avevo iniziato a settembre quando ero in vacanza e messo da parte dopo un paio di giorni perché il meraviglioso mare calabrese mi chiedeva più leggerezza, quindi ripreso a inizio mese, trovandolo più adatto alle giornate più corte e alle temperature in calo.
Perché "Loro" (mio coetaneo, cioè scritto nel 1969) è un romanzo estremamente cupo e mentirei se dicessi che mi è piaciuto. Alcune parti sì, ma quasi ogni pagina trasuda i flussi di coscienza dei suoi personaggi e sono - sia loro che i loro pensieri - opprimenti e spesso anche (volutamente) inconcludenti.
La Loretta ragazzina - ingravidata in quella sua prima notte d'amore - finisce per sposare Howard Wendall (che la Oates descrive come "un giovanotto robusto di ventidue o ventitré anni" e che nella sinossi diventa inspiegabilmente "un vecchio poliziotto"), padre di Jules (e non è detto che non lo sia visto che Loretta la notte dell'omicidio di Barnie fa sesso anche con lui nella cucina di casa sua) e successivamente di Maureen e quindi di Betty. E ci sarà anche un altro figlio avuto da un altro marito.
Se ai due figli minori l'autrice dà così poco spazio da chiedersi perché siano stati inseriti nella storia, Jules (soprattutto) e Maureen rubano presto alla madre il ruolo di protagonista.
La storia procede - a volte con calma, altre con salti temporali di una decina d'anni - portando gli Stati Uniti dalla Grande Depressione agli scontri di Detroit (dove la famiglia si trasferisce dopo aver trascorso una decina d'anni in campagna) del 1967: se durante la lettura ero rimasta delusa perché a eventi epocali quali l'assassinio di Kennedy e la guerra in Vietnam si accennava soltanto (ma accenni di peso, considerando anche che sono parole scritte quando quelle cose stavano succedendo: "Come può essere sacra la morte? E poi accusi gli altri di appartenere alla classe media! Non li hai letti i giornali? Laggiù stanno morendo migliaia di persone, migliaia di persone! Bombe, napalm, benzina in fiamme… benzina fiammeggiante, scorre come un fiume… e se i contadini si riparano in un fossato, scorre nel fossato come acqua, come acqua in fiamme, e li brucia vivi! Come puoi dire che la morte è sacra? La morte di un bastardo come Johnson sacra? Dovrebbe essere messo in un tritacarne e dato in pasto ai cani! Dovrebbe essere sotterrato con un aratro e adoperato come fertilizzante!"), arrivata alla ribellione che dal 23 al 27 luglio causò più di quaranta morti, più di mille feriti, più di duemila edifici distrutti e più di settemila arresti, ho pensato che lo scopo del libro fosse proprio quello di dar vita a quel capitolo - uno degli ultimi e uno dei più lunghi - che descrive i fatti.
La Oates, che firma sia le note introduttive sia la postfazione (datata ottobre 1999), visse a Detroit dal 1962 al 1968 (dice di essersi ispirata a una sua allieva per il personaggio di Maureen, la quale nel 1966 scrive un paio di lettere a Miss Oates, una sua ex insegnante del corso serale frequentato due anni prima) e ha quindi vissuto da dentro quello che deve essere stato un inferno, in quella che veniva chiamata "la Città delle Automobili", ma anche "la Città degli Omicidi".
E i Wendell sono la rappresentanza dei "loro", la "feccia bianca" de "Il giardino delle delizie", quei bianchi che inseguono il sogno americano convinti che gli spetti di diritto grazie al colore della pelle e che, aspettando la manna dal cielo, non fanno nulla di concreto per riscattarsi dalla povertà e dall'ignoranza, crogiolandosi nel razzismo e nel disprezzo nei confronti dei neri e dei latini, a cui attribuiscono la colpa della loro condizione disagiata.
Tumultuoso
Terzo romanzo - dopo "Il giardino delle delizie" e "I ricchi" - dei quattro che formano la cosiddetta Grande Epopea Americana di Joyce Carol Oates.
Un tomo di 653 pagine, diviso in tre parti e trentanove capitoli, che avevo iniziato a settembre quando ero in vacanza e messo da parte dopo un paio di giorni perché il meraviglioso mare calabrese mi chiedeva più leggerezza, quindi ripreso a inizio mese, trovandolo più adatto alle giornate più corte e alle temperature in calo.
Perché "Loro" (mio coetaneo, cioè scritto nel 1969) è un romanzo estremamente cupo e mentirei se dicessi che mi è piaciuto. Alcune parti sì, ma quasi ogni pagina trasuda i flussi di coscienza dei suoi personaggi e sono - sia loro che i loro pensieri - opprimenti e spesso anche (volutamente) inconcludenti.
La Loretta ragazzina - ingravidata in quella sua prima notte d'amore - finisce per sposare Howard Wendall (che la Oates descrive come "un giovanotto robusto di ventidue o ventitré anni" e che nella sinossi diventa inspiegabilmente "un vecchio poliziotto"), padre di Jules (e non è detto che non lo sia visto che Loretta la notte dell'omicidio di Barnie fa sesso anche con lui nella cucina di casa sua) e successivamente di Maureen e quindi di Betty. E ci sarà anche un altro figlio avuto da un altro marito.
Se ai due figli minori l'autrice dà così poco spazio da chiedersi perché siano stati inseriti nella storia, Jules (soprattutto) e Maureen rubano presto alla madre il ruolo di protagonista.
La storia procede - a volte con calma, altre con salti temporali di una decina d'anni - portando gli Stati Uniti dalla Grande Depressione agli scontri di Detroit (dove la famiglia si trasferisce dopo aver trascorso una decina d'anni in campagna) del 1967: se durante la lettura ero rimasta delusa perché a eventi epocali quali l'assassinio di Kennedy e la guerra in Vietnam si accennava soltanto (ma accenni di peso, considerando anche che sono parole scritte quando quelle cose stavano succedendo: "Come può essere sacra la morte? E poi accusi gli altri di appartenere alla classe media! Non li hai letti i giornali? Laggiù stanno morendo migliaia di persone, migliaia di persone! Bombe, napalm, benzina in fiamme… benzina fiammeggiante, scorre come un fiume… e se i contadini si riparano in un fossato, scorre nel fossato come acqua, come acqua in fiamme, e li brucia vivi! Come puoi dire che la morte è sacra? La morte di un bastardo come Johnson sacra? Dovrebbe essere messo in un tritacarne e dato in pasto ai cani! Dovrebbe essere sotterrato con un aratro e adoperato come fertilizzante!"), arrivata alla ribellione che dal 23 al 27 luglio causò più di quaranta morti, più di mille feriti, più di duemila edifici distrutti e più di settemila arresti, ho pensato che lo scopo del libro fosse proprio quello di dar vita a quel capitolo - uno degli ultimi e uno dei più lunghi - che descrive i fatti.
La Oates, che firma sia le note introduttive sia la postfazione (datata ottobre 1999), visse a Detroit dal 1962 al 1968 (dice di essersi ispirata a una sua allieva per il personaggio di Maureen, la quale nel 1966 scrive un paio di lettere a Miss Oates, una sua ex insegnante del corso serale frequentato due anni prima) e ha quindi vissuto da dentro quello che deve essere stato un inferno, in quella che veniva chiamata "la Città delle Automobili", ma anche "la Città degli Omicidi".
"Loro è un canto d’amore alla Detroit di quegli anni scomparsi: Detroit al culmine del suo potere economico, la città americana per antonomasia; la capitale mondiale dell’industria automobilistica; per i suoi abitanti una rapsodia di tramonti resi vermigli dai fumi chimici."
E i Wendell sono la rappresentanza dei "loro", la "feccia bianca" de "Il giardino delle delizie", quei bianchi che inseguono il sogno americano convinti che gli spetti di diritto grazie al colore della pelle e che, aspettando la manna dal cielo, non fanno nulla di concreto per riscattarsi dalla povertà e dall'ignoranza, crogiolandosi nel razzismo e nel disprezzo nei confronti dei neri e dei latini, a cui attribuiscono la colpa della loro condizione disagiata.
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